Baldassarre Poli

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Baldassare Poli (1795 – 1883), filosofo italiano.

Saggio d'un corso di filosofia[modifica]

  • Per morale o etica particolare od applicata s'intende quella parte di morale, la quale tratta del sommo bene e dell'onesto, ovvero dei doveri e della virtù in tutte le loro applicazioni e relazioni. Questa parte è la morale veraniente pratica, quella che per alcuni forma tutta la scienza dell'etica, appunto perché in essa deve apprendere lo spirito ad operare. (p. 537)
  • Nulla c'è di più relativo, di più conforme all'amore armonico di noi stessi che quello di continuare ad esistere o di conservarsi, che quello di accrescere ed isviluppare al maggior grado possibile tutte le nostre potenze o forze tendenti a tutti i nostri fini. (p. 544)
  • L'atto della conservazione è il primo modo col quale si manifesta l'amore armonico dell'individuo verso sé stesso. Quésta conservazione consiste nella continuazione dell'esistenza dello spirito nell'integrità del presente suo stato, ossia nella sua intima unione col corpo. (p. 544-545)
  • Una vita incommoda, disagevole, penosa, abbrevia e distrugge il principio vitale dell'esistenza. (p. 546)
  • Il suicidio [...] non è altro che l'attentato qualunque alla propria esistenza, distinguendosi esso perciò in diretto ed indiretto secondo che la distruzione di noi stessi è propriamente diretta ed intenzionale, ovvero indiretta e di pura conseguenza. (p. 553)
  • Il suicidio è il non atto più grave e più lesivo del dovere di conservazione, quanto è il più comune a sostenersi coll'apparenza delle ragioni. (p. 553)
  • La sregolatezza delle passioni è a tutta colpa di chi le lascia sfrenate ed indomabili. (p. 554)
  • I mali diminuiscono coll'abitudine. (p. 555)
  • Il cedere ai mali è prova di debolezza e non di fortezza essendo forte quegli soltanto che ha il coraggio di affrontarli e di sostenerli. I mali sono una condizione necessaria della presente umana esistenza ed entrano nel piano della creazione. (p. 555)
  • Tutti i mali si rendono sopportabili colla speranza, coi molti beni che vi si ponno sempre contrapporre, coll'idea della felicità assoluta o futura. Dunque i mali stessi anche i più gravi ed indipendenti non sono mai una cagione plausibile per commettere il suicidio. (p. 555)
  • Il suicidio [...] indiretto per azioni doverose e fatte a tale scopo è un dovere, una virtù. Quindi il soldato che corre alla morte sul campo di battaglia, i medici ed i filantropi che soccombono vittime del loro amore per gli altri lungi dal commettere il suicidio colpevole indiretto, toccano il grado sommo della moralità o dell'onesto. (p. 557)
  • Le obbiezioni colle quali si pretende di legittimare o di scusare il suicidio, e che sono le più comuni, quanto sono le più apparenti o speciose noi le riscontriamo nelle seguenti:
    1." La natura vuole l'uomo felice; dunque essa nell'infelicità autorizza il suicidio.
    2" Tra due mali può sempre aver luogo la scelta del minore e perciò del suicidio.
    3." La natura ci attornia di oggetti tendenti alla nostra distruzione, ella adunque approva il suicidio.
    4." L'uomo quando è inutile a sé ed agli altri non offende più alcun dovere col suicidio.
    5." Si può esporre la vita per altri doveri; dunque anche per quello della felicità.
    6." Il suicidio si commette sempre nello stato di pazzia; dunque non può essere imputato a disonestà o a colpa.
    7." Il suicidio è determinato da un'irresistibile tendenza nel punto nel quale si commette; dunque esso non è più imputabile, siccome non libero.
    8." Il suicidio fu qualche volta ammesso dalle leggi e dai filosofi: dunque esso non è di quelle immoralità che si tennero sempre ed assolutamente per tali. (p. 558)
  • Lo spirito non solo deve tendere alla continuazione della propria esistenza nell'integrità del suo individuo mediante l'atto della conservazione, ma deve altresì esistere e far esistere le sue forze secondo la propria loro natura, e secondo la loro capacità e destinazione per gli stessi suoi fini. (p. 562)
  • La perfezione non è altro che lo stato della massima intensità ed estensione delle funzioni dello spirito. (p. 562-563)
  • La perfezione fisica consiste nello sviluppo e nell'accrescimento maggiore possibile in intensità ed estensione delle forze del corpo o degli organi fisici. La perfezione fisica si riferisce particolarmente al vigore, all' agilità, alla destrezza ed alla bellezza del corpo. (p. 563)
  • La perfezione intellettuale consiste nello sviluppo e nell'accrescimento maggiore possibile in intensità ed estensione delle forze della mente o delle funzioni della cognizione. Questa perfezione si ottiene da una parte coll'estendere e fortificare l'attività dello spirito in simili funzioni, e dall'altra coll'acquisto del sapere o del vero. (p. 565)
  • L'educazione consiste sempre ed in generale nel dirigere, nell'allevare; nell'insinuare certe abitudini. L'educazione morale sarà perciò l'arte o l'industria di dirigere ed allevare lo spirito alle buone abitudini nell'onestà e nella virtù. Quest'educazione morale non può ottenersi senza l'intelligenza o giusta nozione dell'onesto e delle sue applicazioni. Quest'educazione morale si lega necessariamente colla perfezione intellettuale. (p. 569)
  • Il senso morale propriamente detto non esiste. Trovasi però in noi una tendenza o disposizione originaria a dilettarsi del bene o dell'onesto, a disgustarsi del male o del disonesto. (p. 572)
  • La Religione è la perfezionatrice ed ampliatrice della morale filosofica, ossia dei doveri e della virtù dettati dalla pura ragione o dalla legge naturale dell'onesto. (p. 574-575)
  • I mali ed i beni sono gli oggetti od elementi costitutivi della felicità. Questi per la loro speciale azione sono di varia indole e si ricoprono bene spesso di fallaci apparenze per traviare ed ingannare. (p. 576-577)
  • Dall'immaginazione dipende in gran parte quella somma di beni e di mali immaginari o ideali cbe ciascheduno aggiunge come un sopra più, sulla bilancia della propria felicità od infelicità. (p. 579)
  • Tra le passioni piacevoli noi annoveriamo l'amor proprio, l'orgoglio, la vanità, la filantropia, l'amicizia, l'amor conjugale, paterno e figliale, la beneficenza, la gratitudine, il desiderio, la speranza, la gioja, l'entusiasmo, l'amor del piacere, l'avarizia, l'ambizione, l'amor della gloria, l'amor del vero, del bello, dell'onesto, l'amore divino. Tutte queste passioni non meritano d'essere ritenute, né ugualmente trattate allo scopo del morale perfezionamento. Quelle che si debbono assolutamente escludere sono l'orgoglio, la vanità, l'ambizione, l'amor del piacere, l'avarizia e l'entusiasmo, perché contraddicono all'amore armonico di noi e degli altri, opponendosi nello stesso tempo al fine della felicità o al dovere di perfezione co' mali che apportano. Quelle che si debbono mantenere e nutrire sottoponendole però ad un legittimo freno o governo sono tutte le altre, in quanto che si accordano col soprannominato amore armonico di noi e degli altri, e giovano sommamente alla morale perfezione coi beni di cui sono feconde. (p. 580-581)
  • La speranza raddoppia la felicità perché vivifica nel godimento de' beni, perché conforta e sostiene ne' mali, perché ispira fermezza e coraggio contro tutti i pericoli ed ostacoli ai doveri ed alla virtù, e perché accompagna persino negli ultimi istanti della vita onde alleggerire l'aspro dolore del suo abbandono. (p. 583)
  • Le passioni dispiacevoli sono l' odio, il tedio, la misantropia, l'inimicizia, la vendetta, la gelosia, la pietà o la compassione, l'indignazione, l'invidia, la tristezza, il timore, il pudore; e tutte queste ammettono sicuramente il proprio freno o governo, onde concorrere al maggior nostro morale perfezionamento. (p. 585)
  • La gelosia è una specie di odio pazzo e sospettoso che fomenta ed affligge nelle sue smanie e ne' suoi furori che offende l'altrui merito e l'altrui virtù, e che alimenta la diffidenza contra all'amore e alla buona opinione degli altri. (p. 586)
  • La pietà o la compassione che si vorrebbe sbandita dagli egoisti come fonte di mali e di sofferenze, è un sentimento dolcissimo per le anime tenere e sensibili, apporta ineffabili contentezze nella beneficenza e nuli'affezione, aggrandisce e distende l'anima nel dolore per moltipllcarla prodigiosamente nel piacere. (p. 587)
  • L'ira è irragionevole nelle sue cause e dannosissima ne' suoi effetti, pel furore a cui si abbandona, per gli eccessi a' quali trascorre, per l'avversione altrui, pel rimorso, pel pentimento. Essa non può esser temperata che dalla pazienza o tolleranza, dal freno dell'orgoglio e del proprio temperamento. (p. 587-588)
  • L'invidia sempre vile e bassa, avversa alla giustizia e alla benevolenza è quella che sbandisce dall'animo ogni pace e tranquillità nel suo livore, che è capace del tradimento e della calunnia per opprimere ed abbassare il merito, che si espone giustamente all'odio ed all'esecrazione di tutti. (p. 588)
  • Il pudore è un affetto necessario perché senza di esso si perde anche il senso dell'onore. Ma se il pudore sia soverchio riesce incomodo, forma il carattere timido e debole, né si può più per esso aspirare ai beni e alla grandezza della virtù. (p. 589)

Bibliografia[modifica]

  • Baldassarre Poli, Saggio d'un corso di filosofia, Tipografia di Paolo Andrea Molina, Milano, vol. IV, 1832.

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