Federico Zeri

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Federico Zeri (1974)

Federico Zeri (1921 – 1998), critico e storico d'arte italiano.

Citazioni di Federico Zeri[modifica]

  • Le mostre sono come la merda, fanno bene a chi le fa, non a chi le guarda.[1]
  • Nella pittura di Vermeer manca completamente l'aspetto chiassoso e ridanciano di certo caravaggismo, come avviene per esempio nella pittura di Gherado delle Notti. Vi è una sorta di atmosfera vellutata, sottesa, nascosta, in cui i sentimenti vengono quasi sempre rivelati in sordina, è anche, quella di Vermer, una pittura in cui solo una lunga frequenza con le immagini può rivelarne l'intensità psicologica. Non è un pittore da colpo d'occhio. È uno dei pittori più arcani e più introversi che abbia mai prodotto la pittura europea. Questo spiega per esempio il grande amore che per Vermeer aveva Marcel Proust. Vi è un'affinità tra i due.[2]
  • Per quello che riguarda poi l'arte destinata alle élite c'è ancora moltissimo da fare: ci sono delle zone d'Europa e anche d'Italia che sono completamente sconosciute. Per esempio l'arte dell'Italia meridionale comincia solo ora ad essere studiata seriamente. E, infine, una regione interessantissima come la Sicilia è un territorio quasi inesplorato: c'è moltissimo da fare nel campo dell'arte siciliana, nella scultura e nelle arti applicate. [3]
  • Sono contro la storia dell'arte che analizza solo le forme e gli stili; tanto più che fino ad oggi la storia dell'arte, soprattutto in Italia, ha analizzato solo un aspetto della produzione figurativa, quella destinata alle élite. Gli storici dell'arte dovrebbero ridare dignità a documenti figurativi di grande interesse storico come gli ex-voto o, parlando dell'arte del XX secolo, qualsiasi analisi sensata non dovrebbe prescindere da documenti interessantissimi come le affiche pubblicitarie o le copertine dei dischi.[3]

Dietro l'immagine[modifica]

  • Berenson, lo posso testimoniare di persona, sosteneva che la storia dell'arte è un grande gioco d'azzardo, nel quale vince chi possiede più fotografie. Modo piuttosto unilaterale di vedere le cose, perché si può benissimo, con l'aiuto di un'enorme documentazione fotografica, scoprire l'autore di un quadro e poi non capire assolutamente nulla di quel che l'autore volesse dire. D'altra parte oggi si sta assistendo al fenomeno opposto, che porta a eccessi incredibili: interessa molto di più il soggetto che non lo stile e, soprattutto, la qualità di un dipinto. (Prima conversazione, p. 8)
  • Non esiste un'arte cristiana vera e propria finché l'Impero romano non si è tramutato in un Impero cristiano. È curioso rilevare che, mentre tutti i periodi in cui noi suddividiamo la storia dell'arte sono originati da caratteri stilistici, o per lo meno dalla lettura formale, la così detta arte paleocristiana è l'unica che dipende solo dal soggetto. In realtà le produzioni plastiche e pittoriche dei primi cristiani non hanno formalmente nulla di diverso da quelle dei pagani; anzi, in alcuni casi, siamo addirittura incerti se il soggetto, il tema, sia cristiano o pagano, perché, formalmente, non esiste nessuna differenza. (Prima conversazione, p. 19)
  • È norma salutare che se un quadro è sporco è meglio non toccarlo, a meno di affidarlo a tecnici competenti: il tempo distrugge, il tempo rovina, ma non quanto i cattivi restauratori. (Prima conversazione, p. 24)
  • Il restauro è stato uno dei flagelli degli ultimi duecento anni. Un restauratore può rovinare molto di più di un bombardamento, perché le schegge delle bombe mutilano un quadro (a meno che non lo distruggano completamente), ma anche un frammento intatto consente la lettura dello stile. Il restauratore, invece, scortica il quadro; per cui mancando la pelle finale, sono impensabili l'analisi e l'interpretazione formale. (Prima conversazione, p. 24)
  • Più si conoscono la letteratura e la storia e più possiamo impadronirci del significato di un'opera figurativa. Più vaste sono le nostre conoscenze di un periodo e più è facile penetrare nello spirito dei suoi testi artistici. Ma non bisogna illudersi: molti dei suoi significati essenziali ci sfuggono. Un'enorme quantità di questi significati, e della loro stratificazione culturale, sociale, allegorica, simbolica, va persa definitivamente. (Prima conversazione, p. 33)
  • Quando un'opera d'arte esce dalla norma e si avvicina all'assoluto accade che possa fare l'effetto di qualcosa di semplificato, perfino di rozzo. È quello che molti incompetenti non riescono a capire, per esempio, nei disegni di Raffaello che, a prima vista, possono sembrare semplicemente degli schizzi gettati sulla carta senza un'adeguata preparazione. In realtà, si tratta della finta semplicità, della finta povertà di ciò che è estremamente elaborato. È quello che accade anche per certa musica di Verdi che a chi non è ben preparato all'ascolto può fare l'effetto della canzonetta popolare. Persino certi versi di Dante possono fare questo effetto. (Seconda conversazione, p. 48)
  • [...] sono esistite culture alle quali era estranea l'espressione figurativa, ma che si sono manifestate in altri modi: fra questi la cucina, la preparazione dei cibi, può avere un ruolo primario. A volte può essere significativa la sola ricetta di un cibo. Ma la preparazione dei dolci, come accadde nell'Italia barocca, ha costituito un fatto artistico di prim'ordine. (Seconda conversazione, p. 49)
  • Sappiamo da fonti, e anche da incisioni, che grandi artisti, come Gian Lorenzo Bernini, si sono dedicati alla fattura di dolci monumentali per l'aristocrazia romana. Queste opere erano fatte in gelatina, in panna montata, in creme di vario colore e solidità. Tali produzioni dovevano essere estremamente libere, capricciose, perché è molto più facile modellare in gelatina che non in creta o, addirittura, in marmo. Nella preparazione dei dolci manca quella ostilità quella refrattarietà di una materia come il marmo, per esempio, che appunto impedisce di esprimersi con la fantasia sbrigliata con cui si possono esprimere opere effimere. (Seconda conversazione, p. 49)
  • In realtà, tutta la grande arte è sempre il prodotto di una straordinaria tecnica. E bisogna saper leggere questa abilità tecnica nei suoi minimi dettagli. [...]. Voi troverete questa perizia eccezionale in Michelangelo, come scultore e come pittore; la trovate in Leonardo in ogni sua manifestazione; la trovate in Dürer; la trovate anche in Picasso, nonostante certi salti funambolici che a prima vista lasciano sconcertati. Questi artisti sono stati soprattutto dei grandissimi tecnici. Più è profonda la loro tecnica più grandi sono le loro produzioni. (Seconda conversazione, p. 66)
  • Le falsificazioni sono sempre esistite. Dal momento in cui un'opera d'arte comincia a suscitare di per sé un grande interesse, e ad avere valore commerciale, inizia la sua mercificazione. Simmetrici al suo valore veniale, incominciano i falsi. (Quarta conversazione, p. 157)
  • Ci sono poi artisti i quali odiano mostrare l'elaborazione della propria opera. Vogliono mostrare il risultato finale, e farsi conoscere soltanto attraverso quello. Uno di questi artisti è Michelangelo. (Quinta conversazione, p. 232)

Klimt, Giuditta I[modifica]

  • In Giuditta I, come in genere nelle opere di Klimt, assistiamo a una trasfigurazione. Mentre i volti delle figure mantengono una parvenza naturalistica, seppure in espressioni trasognate, spesso quasi ipnotiche, il contesto in cui sono immerse è del tutto astratto, e con il suo particolare decorativismo costituisce un superamento dell'Art Nouveau. (p. 1)
  • Gustav Klimt è affascinato dalla seduzione femminile, che esalta con il preziosismo delle vesti e degli ambienti in un inno alla bellezza. Quale interprete del fasto viennese è un artista stimato e vede riconosciuto il valore della sua pittura. (p. 2)
  • Il tema della donna quale crudele seduttrice ispira all'epoca [Tra Ottocento e Novecento] anche la musica e la letteratura: basti pensare al dramma Salomè di Wilde musicata da Richard Strauss. (p. 2)
  • Richard Strauss. Nella Salomè di Wilde, il suo stile musicale era improntato a una vena drammatica memore dell'orchestrazione wagneriana. (p. 2)
  • Giuditta appare lo strumento di una salvezza voluta da Dio cui non può sottrarsi, ma la violenza del suo delitto atterrisce anche lei a giudicare dall'espressione di disprezzo che Caravaggio le dipinge sul volto. (p. 4)
  • Giuditta I rivela una curiosa consonanza simbolica e compositiva con Il Peccato di Von Stuck: la tentazione descritta dal tedesco diviene il modello della donna fatale all'austriaco nel suggerire l'impostazione del corpo denudato ed evanescente quale centro focale della tela, e l'ambiguità del volto. (p. 4)
  • Il volto di Giuditta possiede una carica mista di voluttà e perversione. I suoi lineamenti sono trasfigurati al fine di raggiungere il massimo grado di intensità e seduzione, che Klimt ottiene respingendo la donna in una dimensione irraggiungibile. (p. 8)
  • L'universo klimtiano si concentra sulla donna come idolo malsano e ossessivo e raccoglie la sfida al moralismo già lanciato da Schnitzler e Hofmannsthal, dalla misoginia di Weininger o dal motore erotico di Freud. Ecco allora corpi scomposti o riassorbiti in un decorativismo fortemente allusivo, ma nell'eterno divenire dell'essere umano anche l'ambiguo potere erotico della femme fatale cede allo spettro della morte. (p. 18)
  • La Vienna di fine secolo è lo scenario privilegiato in cui si svolge la vicenda artistica di alcuni tra i più grandi compositori, da Brahms e Bruckner, fino alla nuova generazione di Richard Strauss, Gustav Mahler e Arnold Schönberg. (p. 32)
  • Alla sua morte, nel 1883, Wagner ha lasciato un'impegnativa eredità: nella sua concezione dell'opera d'arte totale, ha posto la musica ai vertici dell'espressione umana, come modello cui devono aspirare anche le altre forme artistiche. (p. 32)
  • "Il terreno di prova per la distruzione del mondo": con queste parole Karl Kraus sintetizza la fragilità e le contraddizioni che fra la fine dell'Ottocento e il primo conflitto mondiale caratterizzano Vienna, la capitale dell'Impero asburgico. (p. 40)
  • [Tra Ottocento e Novecento] Vienna è la culla di una rivoluzione culturale destinata a sconvolgere la tradizionale concezione dell'uomo, portando alla luce le sue contraddizioni e mettendone in discussione le certezze. (p. 40)

Note[modifica]

  1. Citato in Tomaso Montanari, Canova e lo spostamento delle opere d'arte, il sonno della ragione genera mostre, ilFattoQuotidiano.it, 12 settembre 2013.
  2. Da Un velo di silenzio, Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-86352-1, p. 153.
  3. a b Dall’intervista di Alessandro Morandotti, ANNO ZERI | Senza l'intervento del conoscitore la storia diventa un mito, ilgiornaledellarte.com, 5 ottobre 2021.

Bibliografia[modifica]

  • Federico Zeri, Dietro l'immagine. Conversazioni sull'arte di leggere l'arte, Tea Arte, Milano, 1990.
  • Federico Zeri, Klimt, Giuditta I, Cento dipinti, RCS, 1998.

Opere[modifica]

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