J. R. R. Tolkien

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J. R. R. Tolkien

Sir John Ronald Reuel Tolkien (1892 – 1973), scrittore, filologo, glottoteta e linguista britannico.

Citazioni di J. R. R. Tolkien[modifica]

  • Credo che sia vero che questo personaggio [Galadriel] debba molto all'insegnamento cristiano e cattolico su Maria.[1]
  • È stato come scoprire un'enorme enoteca riempita con bottiglie di un vino straordinario di tipo e sapore mai assaggiato prima. Ne fui decisamente preso. (da La realtà in trasparenza, lettera n. 163)
  • Gli ingredienti del Quenya sono molti, ma elaborati in una lingua propria non precisamente uguale a nessun altro linguaggio che io conosca. Mi sono imbattuto nel finlandese quando avevo cominciato a costruire una "mitologia", era un'influenza pressante, ma che tuttora è stata ridotta di molto (ora nel tardo Quenya). Sopravvive in alcune caratteristiche: come l'assenza di gruppi consonantici iniziali, l'assenza delle occlusive b, d, g (eccetto che in mb, nd, ng, ld, rd che formano gruppi propri) e la passione per il finale in -inen, -ainen, -oinen, ed anche in alcune caratteristiche grammaticali, come la flessione in -sse (restare fermi in), -nna (movimento a, verso), e -llo (movimento da), anche i pronomi personali possessivi sono espressi da suffissi; non ha genere.[2]
  • Guardiamo gli alberi, e li chiamiamo "alberi", dopo di che probabilmente non pensiamo più alla parola. Chiamiamo una stella "stella", e non ci pensiamo più. Ma bisogna ricordare che queste parole, "albero", "stella", erano (nella loro forma originaria) nomi dati a questi oggetti da gente con un modo di vedere diverso dal nostro. Per noi un albero è, semplicemente, un organismo vegetale, e una stella semplicemente una palla di materia inanimata che si muove lungo una rotta matematica. Ma i primi uomini che parlarono di "alberi" e di "stelle" vedevano le cose in maniera del tutto differente. Per loro, il mondo era animato da esseri mitologici. Vedevano le stelle come sfere di argento vivo, che esplodevano in una fiammata in risposta alla musica eterna. Vedevano il cielo come una tenda ingioiellata, e la terra come il ventre dal quale tutti gli esseri viventi sono venuti al mondo. Per loro, tutta la Creazione era intessuta di miti e popolata di elfi.[3]
  • I mostri erano stati i nemici degli dèi, i capi degli uomini, e, nei confini del Tempo, i mostri avrebbero vinto. [...] Perché i mostri non spariscono, anche se gli dèi vanno e vengono.[4]
  • Il lampione elettrico può essere in effetti ignorato, per la semplice ragione che è così insignificante e transitorio. E comunque, è certo che le fiabe hanno molte cose più permanenti e fondamentali di cui parlare. Il lampo, per esempio. (da Sulle fiabe, in Albero e foglia)
  • Il legame tra padre e figlio non è costituito solo dalla consanguineità: ci deve essere un po' di "aeternitas". Esiste un posto chiamato "paradiso" dove le opere buone iniziate qui possono venire portate a termine; e dove le storie non scritte e le speranze incompiute possono trovare un seguito.[5]
  • Io trovo la creazione dei linguaggi e la relazione tra di essi un piacere estetico in sé, a prescindere dal Signore degli Anelli che era ed è tutt'ora una creazione dipendente da questi.[6]
  • L'inizio del legendarium di cui la Trilogia è la conclusione, è stato nel tentativo di rielaborare alcuni testi del Kelevala, in particolare il racconto di Kullervo lo sventurato, in forma personalizzata. (da La realtà in trasparenza, lettera n. 163)
  • L'invenzione di linguaggi è il fondamento. Le 'storie' sono state create piuttosto per fornire un mondo ai linguaggi, che non il contrario. A me viene prima in mente un nome, e la storia in seguito. Per me è un esteso saggio di estetica linguistica, come dico talvolta alle persone che mi chiedono 'di cosa parla? (da La realtà in trasparenza, lettera n. 165)
  • La creazione di linguaggi e della mitologia sono attività correlate (da Il medioevo e il fantastico, Un vizio segreto)
  • La creazione di un linguaggio genera di per sé una mitologia, perché creazione della lingua e creazione della mitologia sono funzioni correlate. (citato in Corriere della Sera, 1º novembre 2003)
  • La costruzione del vostro linguaggio genererà una mitologia (da Il medioevo e il fantastico, Un vizio segreto)
  • La Fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla Ragione; né smussa l'appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e migliori fantasie produrrà. (da Sulle fiabe, in Albero e foglia)
  • Le guerre non sono mai propizie al perseguimento dei piaceri dello spirito.[7]
  • Mi chiedo se resterà una piccola nicchia, anche scomoda, per gli antiquati reazionari come me. I grandi assorbono i piccoli e tutto il mondo diventerà più piatto e noioso. Tutto diventerà una piccola, maledetta periferia provinciale. Quando avranno introdotto il sistema sanitario, la morale, il femminismo e la produzione di massa all'est, nel medio Oriente, nel lontano Oriente, nell'Urss, nella pampa, nel Gran Chaco, nel bacino danubiano, nell'Africa equatoriale, nelle terre più lontane dove esistono ancora gli stregoni, nel Gondhwanaland, a Lhasa e nei villaggi del profondo Berkshire, come saremo tutti felici. Ad ogni modo, questa dovrebbe essere la fine dei grandi viaggi. Non ci saranno più posti dove andare. E così la gente (penso) andrà più veloce. Il colonnello Knox dice che un ottavo della popolazione mondiale parla inglese e che l'inglese è la lingua più diffusa. Se è vero, che vergogna - dico io. Che la maledizione di Babele possa colpire le loro lingue in modo che possano solo dire "baa baa". Tanto è lo stesso. Penso che mi rifiuterò di parlare se non in antico merciano. Ma scherzi a parte: trovo questo cosmopolitanesimo americano terrificante.[8]
  • Mio caro Rob [il gesuita Robert Murray], mi ha specialmente rallegrato quello che tu hai detto [...] e hai rivelato persino a me stesso alcune cose del mio lavoro. Penso di sapere esattamente che cosa intendi con dottrina della Grazia; e naturalmente con il tuo riferimento a Nostra Signora, su cui si basa tutta la mia piccola percezione di bellezza sia come maestà sia come semplicità. Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un'opera religiosa e cattolica; all'inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione. [...] Perché a dir la verità, io consciamente ho programmato molto poco; e dovrei essere sommamente grato per essere stato allevato (da quando avevo otto anni) in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so.[9]
  • Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale. Ma è vero (da La realtà in trasparenza, lettera n. 205)
  • Parve a Sador che gli occhi di Túrin non fossero quelli di un bambino, e si disse: «Il dolore è una dote per un animo duro». (da I figli di Húrin, cap. I)
  • Sono innamorato dell'italiano, e mi sento alquanto sperduto senza la possibilità di provare a parlarlo. (La realtà in trasparenza, lettera n. 163)
  • Un drago non è una fantasia oziosa. Quali che possano essere le sue origini, nella realtà o nell'invenzione, nella leggenda il drago è una potente creazione dell'immaginazione umana, ricca di significato più che il suo tumulo sia ricco d'oro.[10][11]
  • Veniamo da Dio e, inevitabilmente, i miti da noi tessuti, pur contenendo errori, rifletteranno anche una scintilla della luce vera: la verità eterna che è con Dio. Infatti solo creando miti, solo diventando un sub-creatore di storia, l'uomo può aspirare a tornare allo stato di perfezione che conobbe prima della caduta. I nostri miti possono essere male indirizzati, ma anche se vacillano fanno rotta verso il porto, mentre il "progresso" materialista conduce solo a un abisso spalancato e alla Corona di Ferro del potere del male.[12]

Da JRR Tolkien

Dall'intervista di Denys Gueroult del 26 novembre 1964, citata in Heavy Metal n. 1, a cura di Alessandro Bottero e Vincenzo Perrone, Sprea, Cernusco sul Naviglio, novembre 2022. ISBN 9788862670999

  • Amo la Storia, e quando mi trovo in un luogo avverto sempre il desiderio di conoscerne la storia, anche delle persone che lo abitano. Camminiamo in questo mondo e abbiamo con noi tutta la Storia che ci precede. Ma se devi scrivere una storia, allora la cosa da fare è andare alla fine e poi procedere a ritroso.
  • E comunque, alla fine, abbiamo solo l'umanità su cui lavorare. È la mia argilla e ovviamente qualsiasi razza crei – se parlano e pensano – allora derivano tutte dall'umanità così come la conosciamo, sia pure con leggere e sottili alterazioni.
  • I cambiamenti appena accennati giorno dopo giorno sfumano l'uno nell'altro. Ma se un bambino sperimenta uno stacco così netto [riferito al suo trasferimento dal Sudafrica all'Inghilterra all'età di 3 anni] ne diventa consapevole, e cerca di incasellare i nuovi ricordi nei precedenti.
  • I Draghi mi hanno sempre attratto come elementi mitologici. Sembrano in grado di unire malizia umana e bestialità, saggezza malevola e spietatezza... Creature terrificanti.
  • In un certo senso gli Elfi sono solo il legittimo desiderio e l'aspirazione che la razza umana ha per se stessa.
  • [...] "le ruote del mondo sono fatte girare da piccole mani" [frase da Il Signore degli Anelli], mentre i grandi del mondo guardano altrove, e le girano perché devono, perché questo è il loro dovere quotidiano.
  • Sono sempre rimasto impressionato dal fatto che siamo qui, su questo pianeta, e siamo sopravvissuti, grazie all'indomabile coraggio di persone normali, che lottano, quasi alla cieca, contro ostacoli quasi insormontabili: giungle, vulcani, animali selvaggi...

Il Signore degli Anelli[modifica]

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L'Unico Anello
L'Unico Anello
La poesia dell'Anello
  • Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
    Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra,
    Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
    Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra
    Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.
    Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli,
    Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli,
    Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.
     manca l'edizione manca l'edizione

Sesta e settima riga nel Linguaggio nero di Mordor:

Ash nazg durbatuluk, ash nazg gimbatul, ash nazg thrakatuluk
agh burzum-ishi krimpatul.

Incipit[modifica]

Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione.
Bilbo era estremamente ricco e bizzarro e, da quando sessant'anni prima era sparito di colpo, per ritornare poi inaspettatamente, rappresentava la meraviglia della Contea. manca l'edizione manca l'edizione

La Compagnia dell'Anello[modifica]

  • Conosco la metà di voi soltanto a metà; e nutro, per meno della metà di voi, metà dell'affetto che meritate. (Bilbo: p. 57, Rusconi)
  • Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze. (Gandalf: p. 94, Rusconi)
  • Frodo: Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni!
    [...]
    Gandalf: Anch'io come d'altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato. manca l'edizione manca l'edizione
  • Questo è l'Anello Sovrano, quello che serve a dominarli tutti. È quell'Unico Anello che egli [Sauron] perse molto tempo fa, affievolendo di parecchio la propria potenza. Lo desidera più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma non deve mai più riaverlo. (Gandalf) manca l'edizione manca l'edizione
  • Sempre, dopo una disfatta ed una tregua, l'Ombra si trasforma e s'ingigantisce nuovamente. (Gandalf) manca l'edizione manca l'edizione
  • "O luminosi! È una fortuna insperata!", disse Pipino. Sam era senza parole. "Ti ringrazio di tutto cuore Gildor Inglorion", disse Frodo inchinandosi. "Elen síla lúmenn'omentielvo, una stella brilla sull'ora del nostro incontro" soggiunse in alto elfico. "Attenzione amici!", gridò ridendo Gildor. "Non parlate dei vostri segreti! Abbiamo qui uno studioso dell'Antica Lingua: Bilbo era un buon maestro. (p. 119, Rusconi)
  • "Disperazione o follia?", disse Gandalf. "Non è disperazione, perché la disperazione è solo per coloro che vedono la fine senza dubbio possibile. Non è il nostro caso. È saggezza riconoscere la necessità quando tutte le altre vie sono state soppesate, benché possa sembrare follia a chi si appiglia a false speranze. Ebbene, che la follia sia il nostro manto, un velo dinnanzi agli occhi del Nemico! Egli è molto saggio, e soppesa ogni cosa con estrema accuratezza sulla bilancia della sua malvagità. Ma l'unica misura che conosce è il desiderio, desiderio di potere, ed egli giudica tutti i cuori alla stessa stregua. La sua mente non accetterebbe mai il pensiero che qualcuno possa rifiutare il tanto bramato potere, o che, possedendo l'Anello, voglia distruggerlo. questa dev'esser dunque la nostra mira, se vogliamo confondere i suoi calcoli". (p. 339) manca l'edizione manca l'edizione
  • "Almeno per qualche tempo." disse Elrond. "È necessario che la strada sia percorsa, ma sarà molto difficile. Né la forza né la saggezza ci condurebbero lontano; questo è un cammino che i deboli possono intraprendere con la medesima speranza dei forti. Eppure tale è il corso degli eventi che muovono le ruote del mondo, che sono spesso le piccole mani ad agire per necessità, mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove." (p. 340, Rusconi)
  • "Prenderò io l'Anello" disse, "ma non conosco la strada". (p. 341, Rusconi)
  • "Hai pensato ad una conclusione?"
    "Sì, a parecchie, e son tutte spiacevoli e tetre" rispose Frodo.
    "Oh, ma allora non possono andare!", disse Bilbo. "I libri dovrebbero sempre finire bene. Che te ne pare di: e tutti finalmente assestati, vissero per sempre insieme felici e contenti?" (p. 345, Rusconi)
  • Non tutto quel ch'è oro brilla,
    Né gli erranti sono perduti;
    Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,
    Le radici profonde non gelano.
    Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
    L'ombra sprigionerà una scintilla;
    Nuova sarà la lama ora rotta,
    E re quel ch'è senza corona.
    (poesia composta da Bilbo riguardante Aragorn) manca l'edizione manca l'edizione
  • Chi non ha visto il calar della notte non giuri d'inoltrarsi nelle tenebre. (Elrond) manca l'edizione manca l'edizione
  • Poiché i consigli sono doni pericolosi, anche se scambiati fra saggi, e tutte le strade possono finire in un precipizio. (Gildor) manca l'edizione manca l'edizione
  • Pedo Mellon a Minno = Dite Amici Ed Entrate. (Incisione Sulla Porta d'Entrata Di Moria) manca l'edizione manca l'edizione
  • Sleale è colui che si accomiata quando la via si oscura. (Gimli) manca l'edizione manca l'edizione
  • Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l'amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte. (Haldir: p. 433, Rusconi)
  • "Ma non disprezzare i racconti tramandati per lunghi anni; potrebbe darsi che le nonne rammentino alcune cose che in passato i saggi era bene conoscessero." (Celeborn: p. 463, Rusconi)

Le due torri[modifica]

  • [A Boromir morente] "No!", disse Aragorn, prendendogli le mani e posando una bacio sulla sua fronte. "Hai vinto. Pochi hanno conosciuto un simile trionfo. Rasserenati! Minas Tirith non soccomberà!" (p. 508, Rusconi)
  • Il bene e il male sono rimasti immutati da sempre, e il loro significato è il medesimo per gli Elfi, per i Nani e per gli Uomini. Tocca ad ognuno di noi discernerli, tanto nel Bosco d'Oro quanto nella propria dimora. (p. 537, Rusconi)
  • Certe strade, è meglio intraprenderle che rifiutarle, anche se il loro esito è oscuro. (Aragorn) manca l'edizione manca l'edizione
  • "Dove sono cavallo e cavaliere? Dov'è il corno dal suono violento?
    Dove sono l'elmo e lo scudiere, e la fulgida capigliatura al vento?
    Dov'è la mano sull'arpa, e il rosso fuoco ardente?
    Dov'è primavera e la messe, ed il biondo grano crescente?
    Son passati come pioggia sulla montagna, come raffiche di vento in campagna;
    I giorni scompaiono ad ovest, dietro i colli che un mare d'ombra bagna.
    Chi riunirà il fumo del legno morto incandescente?
    Chi tornerà dal Mare e potrà mirare il tempo lungo e fuggente?
    " (p. 619, Rusconi)
  • Desti ora, desti, Cavalieri di Théoden! | Terribili eventi nell'oscuro Oriente. | Sellate i cavalli, suonate le trombe! | Avanti Eorlingas! (Théoden recita la carica degli Eorlingas) manca l'edizione manca l'edizione
  • Credevo che i meravigliosi protagonisti delle leggende partissero in cerca di esse, perché le desideravano, essendo cose entusiasmanti che interrompevano la monotonia della vita, uno svago, un divertimento. Ma non accadeva così nei racconti veramente importanti, in quelli che rimangono nella mente. Improvvisamente la gente si trovava coinvolta, e quello, come dite voi, era il loro sentiero. Penso che anche essi come noi ebbero molte occasioni di tornare indietro, ma non lo fecero. E se lo avessero fatto noi non lo sapremmo, perché sarebbero stati obliati. Noi sappiamo di coloro che proseguirono, e non tutti verso una felice fine, badate bene; o comunque non verso quella che i protagonisti di una storia chiamano una felice fine. (Sam) manca l'edizione manca l'edizione
  • [Sam] «Pensandoci bene, apparteniamo anche noi alla medesima storia, che continua attraverso i secoli! Non hanno dunque una fine i grandi racconti?».
    «No, non terminano mai i racconti», disse Frodo. «Sono i personaggi che vengono e se ne vanno, quando è terminata la loro parte. La nostra finirà più tardi... o fra breve».
  • La guerra è indispensabile per difendere la nostra vita da un distruttore che divorerebbe ogni cosa; ma io non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né il guerriero per la gloria acquisita. Amo solo ciò che difendo: la città degli uomini di Nùmenor; e desidero che la si ami per tutto ciò che custodisce di ricordi, antichità, bellezza ed eredità di saggezza. (Faramir: pp. 811-812, Rusconi)
  • "Gandalf", ripeté il vecchio, come se avesse ritrovato fra vecchi ricordi una parola da tempo in disuso. "Si, era questo il nome. Io ero Gandalf". (p. 603, Rusconi)
  • "Colui che non sa separarsi da un tesoro al momento del bisogno è simile a uno schiavo in ceppi". (Aragorn: 2007, p. 204)
  • Era per Sam la prima immagine di una battaglia di Uomini contro Uomini, e non gli piacque. Era contento di non poter vedere il viso del morto. Avrebbe voluto sapere da dove veniva e come si chiamava quell'uomo, se era davvero di animo malvagio, o se non erano state piuttosto menzogne e minacce a costringerlo a una lunga marcia lontano da casa; se non avrebbe invece preferito restarsene lì in pace. (2007, p. 320)

Il ritorno del re[modifica]

  • "Nella Contea diremmo che sono le nove. L'ora giusta per una deliziosa prima colazione presso una finestra aperta sul sole di primavera" (Pipino) manca l'edizione manca l'edizione
  • Opera del nemico disse Gandalf Ama molto questo genere di azioni: amico contro amico e lealtà trasformata in confusione. (Gandalf: p. 1022, Rusconi)
  • Dal dubbio e dalle tenebre verso il giorno galoppai,
    E cantando al sole la spada sguainai,
    Svanita ogni speme, lacero è il cuore:
    Ci attende la collera, la rovina e il notturno bagliore!

    Recitò queste strofe, eppure le disse ridendo. Perché il desiderio di combattere si era nuovamente impadronito di lui, ed egli era illeso, ed era giovane, ed era Re: sovrano di un popolo spietato. E mentre rideva, nella disperazione mirò ancora le navi nere e alzò la spada in segno di sfida. [riferito a Eomer che guida la cavalcata dei Rohirrim dopo la morte di Re Théoden] manca l'edizione manca l'edizione
  • Ma ricordi le parole di Gandalf: Persino Gollum potrebbe avere ancora qualcosa da fare? Se non fosse stato per lui, Sam, non avrei distrutto l'Anello. La Missione sarebbe stata vana, proprio alla fine. Quindi, perdoniamolo! La Missione è compiuta, e tutto è passato. Sono felice che tu sia qui con me. Qui, alla fine di ogni cosa, Sam. (Frodo: p. 1131, Rusconi)
  • È triste incontrarsi soltanto in questo modo, alla fine. Perché il mondo sta cambiando; lo sento nell'acqua, lo sento nella terra, e l'odoro nell'aria. Credo che non ci rivedremo più. (Barbalbero) manca l'edizione manca l'edizione
  • Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare. (Gandalf: p. 1054, Rusconi)
  • "Mai" è una parola troppo lunga persino per me. (Barbalbero: p. 1167, Rusconi)
  • Vecchio pazzo! Non riconosci la Morte quando la vedi? (Re Stregone di Angmar: p. 996, Rusconi)
  • Un urlo si levò nell'aria vibrante, spegnendosi con una nota acuta, un lacerante lamento che scomparve con il vento, una voce senza corpo che si estinse e fu inghiottita e non si udì mai più in quell'era del mondo. [Riferito al Re Stregone dopo la sua caduta] manca l'edizione manca l'edizione
  • [...] ma Gothmog, il luogotenente di Morgul, li aveva tuttavia mandati a combattere... [Riferito a Gothmog dopo la caduta del Re Stregone]
  • In testa cavalcava un'alta figura malefica su di un cavallo nero [...]. Il cavaliere era interamente vestito di nero, e nero era il suo alto elmo: eppure non si trattava di uno Schiavo dell'Anello bensì di un uomo vivo. Era il Luogotenente della Torre di Barad-dûr, e il suo nome non è ricordato in alcuna storia; egli stesso infatti l'aveva scordato e diceva: "Sono la Bocca di Sauron". [Riferito alla Bocca di Sauron, principale emissario e servo di Sauron] manca l'edizione manca l'edizione
  • "Molta gente ama sapere prima che cosa verrà in tavola; ma coloro che si sono affaticati per preparare la festa desiderano mantenere il segreto; perché lo stupore ingrandisce le parole di lode. E Aragorn attende un segnale". (Gandalf)
  • E lì Sam, sbirciando fra i lembi di nuvole che sovrastavano un'alta vetta, vide una stella bianca scintillare all'improvviso. Lo splendore gli penetrò nell'anima, e la speranza nacque di nuovo in lui. Come un limpido e freddo baleno passò nella sua mente il pensiero che l'Ombra non era in fin dei conti che una piccola cosa passeggera: al di là di essa vi erano eterna luce e splendida bellezza. (p. 1102, Rusconi)
  • "La Via prosegue senza fine
    Lungi dall'uscio dal quale parte.
    Ora la Via è fuggita avanti,
    Presto, la segua colui che parte!
    Cominci pure un nuovo viaggio,
    Ma io che sono assonnato e stanco
    Mi recherò all'osteria del villaggio
    E dormirò un sonno lungo e franco". manca l'edizione manca l'edizione
  • "È vento cattivo quello che non porta bene a nessuno, come ho sempre detto. E tutto è Bene ciò che finisce Meglio!"[13] (Il Gaffiere) manca l'edizione manca l'edizione
  • "Ma sono stato ferito troppo profondamente, Sam. Ho tentato di salvare la Contea, ed è stata salvata, ma non per merito mio. Accade sovente così, Sam, quando le cose sono in pericolo: qualcuno deve rinunciare, perderle, affinché altri possano conservarle". (Frodo: p. 1224, Rusconi)
  • "Ebbene, cari amici, qui sulle rive del Mare finisce la nostra compagnia nella Terra di Mezzo. Andate in pace! Non dirò: "Non piangete", perché non tutte le lacrime sono un male." (Gandalf: p. 1225, Rusconi)
  • "Voltato l'angolo forse ancor si trova
    Un ignoto portale o una strada nuova;
    Spesso ho tirato oltre, ma chissà,
    Finalmente il giorno giungerà,
    E sarò condotto dalla fortuna,
    A Est del Sole, a Ovest della Luna." manca l'edizione manca l'edizione

Explicit[modifica]

Infine, i tre compagni si allontanarono e partirono, tornando lentamente verso casa senza mai voltarsi; e non dissero una parola, ma ognuno traeva molto conforto dalla presenza degli amici sulla lunga strada grigia. Passarono infine i poggi e presero la Via Orientale, e Pipino e Merry cavalcarono verso la Terra di Buck; e già ricominciavano a cantare. Ma Sam prese la via per Lungacque, e tornò al Colle e di nuovo il giorno stava finendo. Egli vide una luce gialla e del fuoco acceso: il pasto serale era pronto, e lo stavano aspettando. Rosa lo accolse e lo fece accomodare, e gli mise la piccola Elanor sulle ginocchia. Egli trasse un profondo respiro. "Sono tornato", disse. (Rusconi)

Appendici[modifica]

  • "In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione. Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi. Addio!" (Annali dei Re e Governatori, La storia di Aragorn e Arwen, p. 1268)

[John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli, a cura di Quirino Principe, traduzione di Vicky Alliata di Villafranca, Bompiani, 2003.]

Proverbi e modi di dire delle varie razze della Terra di Mezzo[modifica]

  • Non rivolgerti agli Elfi per un consiglio, perché ti diranno sia no che sì. (Frodo a Gildor) manca l'edizione manca l'edizione
  • Strano come una notizia da Brea. (Espressione comune nel Decumano Est) manca l'edizione manca l'edizione
  • Non piove mai, diluvia soltanto, diciamo noi di Brea. (Omorzo Cactaceo) manca l'edizione manca l'edizione
  • ...pensa meno e più lentamente di quanto non parli, eppure riesce a vedere in tempo al di là di un muro di mattoni, come dicono a Brea. (Gandalf riferito a Omorzo Cactaceo) manca l'edizione manca l'edizione
  • Si dice che le lingue dei Nani non la smettono più quando si mettono a parlare del loro lavoro. (Glóin a Frodo) manca l'edizione manca l'edizione
  • È più sicuro nel ritrovare la via di casa in una notte cieca, che non i gatti della Regina Berúthiel. (Aragorn riferito a Gandalf) manca l'edizione manca l'edizione
  • È il lavoro mai incominciato che impieghi più tempo a finire. (Samvise, riportando un detto del Gaffiere) manca l'edizione manca l'edizione
  • Le mani di un re sono mani di guaritore. (Ioreth, riferito ad Aragorn) manca l'edizione manca l'edizione

Il Silmarillion[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

There was Eru, the One, who in Arda is called Ilúvatar; and he made first the Ainur, the Holy Ones, that were the offspring of his thought, and they were with him before aught else was made. And he spoke to them, propounding to them themes of music; and they sang before him, and he was glad. But for a long while they sang only each alone, or but few together, while the rest hearkened; for each comprehended only that part of the mind of Ilúvatar from which he came, and in the understanding of their brethren they grew but slowly. Yet ever as they listened they came to deeper understanding, and increased in unison and harmony.
[J.R.R. Tolkien, The Silmarillion, HarperCollins, 1994, ISBN 9780261102422]

Traduzioni[modifica]

Esisteva Eru, l'Uno, che in Arda è chiamato Ilúvatar; ed egli creò per primi gli Ainur, i Santi, rampolli del suo pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altro fosse creato. Ed egli parlò loro, proponendo temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto, ed egli ne fu lieto. A lungo cantarono soltanto uno alla volta, o solo pochi insieme, mentre gli altri stavano ad ascoltare; ché ciascuno di essi penetrava soltanto quella parte della mente di Ilúvatar da cui proveniva, e crescevano lentamente nella comprensione dei loro fratelli. Ma già solo ascoltando pervenivano a una comprensione più profonda, e s'accrescevano l'unisono e l'armonia.
[J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. di Francesco Saba Sardi, Rusconi Libri, 1978]

Esisteva Eru, l'Unico, che in Arda è chiamato Ilúvatar; ed egli creò per primi gli Ainur, Coloro che sono santi, progenie del proprio pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altra cosa fosse creata. Ed egli parlò loro, proponendo loro temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto, ed egli ne fu lieto. Ma a lungo cantarono ognuno da solo, o solamente pochi assieme, mentre gli altri ascoltavano; ciascuno di loro penetrava infatti soltanto quella parte della mente di Ilúvatar da cui proveniva e nella comprensione dei propri fratelli essi crescevano solo lentamente. Tuttavia, semplicemente ascoltando pervenivano a una comprensione più profonda, e accrescevano l'unisono e l'armonia fra loro.
[J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. di Francesco Saba Sardi, riveduta e aggiornata in collaborazione con la Società Tolkieniana Italiana, Bompiani, 2016]

Citazioni[modifica]

  • Fra tutti gli Ainur, a Melkor erano state concesse le massime doti di potenza e di conoscenza, ed egli partecipava anche di tutti i doni fatti ai suoi fratelli. Spesso se n'era andato da solo nei luoghi vuoti alla ricerca della Fiamma Imperitura, poiché in lui cresceva bruciante il desiderio di portare all'Essere cose proprie, e gli sembrava che Ilúvatar non avessealcun pensiero per il Vuoto, e la sua vacuità lo irritava. Tuttavia non trovò il Fuoco giacché esso è con Ilúvatar. Standosene solo, aveva però iniziato a concepire pensieri propri, diversi da quelli dei suoi fratelli. (Ainulindalë; 2016, p. 49)
  • Questo sarà il mio regno; e io gli do nome intitolando a me stesso! (Melkor, Ainulindalë; 2016, p. 57)
  • La sua invidia crebbe allora enorme dentro di lui; e anch'egli assunse forma visibile, ma, a causa del suo umore e della malvagità che gli bruciava dentro, quella forma fu oscura e terribile. Ed egli calò su Arda, maggiore, per potenza e per maestà, di ogni altro Valar, come una montagna che avanzi nel mare ergendo il capo sopra le nubi e sia rivestita di chiaccio e coronata di fumo e di fuoco; e la luce degli occhi di Melkor fu come una fiamma che consuma con il calore e che trafigge con un freddo mortale. (Ainulindalë; 2016, p. 59)
  • Nel principio Eru, l'Uno, che nella lingua elfica è detto Ilúvatar, creò gli Ainur dalla propria mente; e gli Ainur intonarono una Grande Musica al suo cospetto. In tale Musica, il mondo ebbe inizio, poiché Ilúvatar rese visibile il canto degli Ainur, e costoro lo videro quale una luce nell'oscurità. E molti di loro si innamorarono della sua bellezza e della sua vicenda che videro cominciare e svolgersi come in una visione. Per tale ragione Ilúvatar conferi Essere alla loro visione, e la collocò in mezzo al Vuoto, e il Fuoco Segreto fu inviato ad ardere nel cuore del Mondo; e questo fu chiamato Eä. manca l'edizione manca l'edizione
  • In principio Eru, l'Unico, che nella lingua elfica è chiamato Ilúvatar, creò gli Ainur dal proprio pensiero; ed essi fecero una Grande Musica al suo cospetto. In questa Musica, il Mondo fu cominciato giacché Ilúvatar rese visibile il canto degli Ainur ed essi lo videro come una luce nell'oscurità. E molti fra loro s'innamorarono della sua bellezza e della sua storia che videro cominciare e svolgersi come in una visione. Per questa ragione Ilúvatar conferì Essere alla loro visione e la collocò in mezzo al Vuoto, e il Fuoco Segreto fu inviato ad ardere nel cuore del Mondo; e questo fu chiamato Eä. (Valaquenta; 2016, p. 63)
  • Melkor consumò [...] il proprio spirito nell'invidia e nell'odio fino a che alla fine non riuscì a fare altro se non deridere il pensiero di altri di cui distruggeva, quando poteva, ogni opera. (Valaquenta; 2016, p. 67)
  • Per arroganza, dallo splendore decadde al disprezzo di tutte le cose salvo se stesso, spirito funesto e impietoso. Trasformò l'intellezione in sottigliezza pervertendo alla propria volontà quanto poteva servirgli, fino a che divenne un bugiardo privo di qualsiasi vergogna. Cominciò con il desiderio della Luce, ma quando non riuscì a possederla esclusivamente per sé, calò, tra fuoco e ira, dentro un grande incendio, giù nell'Oscurità. E soprattutto dell'oscurità si servì per le sue opere malvagie su Arda, e la colmò di terrore per tutte le creature viventi. [...] Molti dei Maiar, infatti, vennero attratti dal suo splendore nei giorni della sua grandezza e gli rimasero fedeli anche quando egli decadde nella sua oscurità; e altri ne corruppe in seguito, asservendoseli con menzogne e con doni ingannevoli. Tremendi fra questi spiriti furono i Valaraukar, i flagelli di fuoco che nella Terra di Mezzo furono chiamati Balrog, i demoni del terrore. (Valaquenta; 2016, pp. 73-74)
  • Fra i servi del Nemico che hanno nomi, il massimo era lo spirito che gli Eldar chiamavano Sauron, ovvero Gorthaur il Crudele, che in origine era dei Maiar di Aulë e che continuò ad avere grande parte nella tradizione di quel popolo.
    In tutte le trame di Melkor, il Morgoth in Arda, in tutte le sue diramate opere e negli intrighi della sua malizia, Sauron aveva parte, ed era meno perfido del suo padrone solo in quanto a lungo aveva servito un altro anziché se stesso.
    Ma in tardi anni si levò, simile ad ombra di Morgoth, e lo seguì passo passo, lungo il rovinoso sentiero che lo trasse giù nel Vuoto. (Valaquenta; 1978)  manca la pagina manca la pagina
  • Ora, Melkor iniziò a scavare e a costruire una grande fortezza, sprofondata giù nella Terra, sotto montagne oscure dove i raggi d'Illuin erano freddi e pallidi. Quella roccaforte fu chiamata Utumno; e, benché i Valar nulla ancora ne sapessero, la malvagità di Melkor e la perfida influenza del suo odio esalavano da essa, così che la Primavera di Arda ne fu guastata. Le cose verdi si ammalarono e marcirono, e i fiumi furono ostruiti da erbacce e da limo, e si formarono acquitrini, fetidi e intossicanti, che divennero vivai di mosche; e crebbero foreste oscure e pericolose, che furono antri della paura; e le bestie divennero mostri con corna e con zanne, e macchiarono la terra di sangue. Ecco allora che i Valar seppero che Melkor era nuovamente all'opera, e così si misero in cerca del suo nascondiglio. Ma Melkor, confidando nella solidità di Utumno e nella potenza dei propri servi, scatenò improvvisamente la guerra, sferrando il colpo iniziale prima che i Valar fossero pronti; e assaltò le luci d'Illuin e di Ormal, e ne abbatté i pilastri rompendone i Lumi. La distruzione dei possenti pilastri schiacciò terre e sollevò mari; e, quando furono rovesciati, i lumi riversarono fiamme devastatrici sulla Terra. In quel tempo, dunque, la forma di Arda, e la simmetria delle sue acque e delle sue terre, furono deturpate, così che i primi progetti dei Valar mai più vennero ripristinati dopo di ciò. (Quenta Silmarillion; 2016, pp. 79-80)
  • Chi infatti dei viventi è mai disceso nelle voragini di Utumno o ha sondato l'oscurità dei pensieri di Melkor? Eppure i sapienti di Eressëa sono certi che tutti coloro dei Quendi che caddero nelle mani di Melkor furono imprigionati in Utumno prima che esso fosse distrutto e che per mezzo di lente arti crudeli vennero corrotti e resi schiavi; e così Melkor generò l'orrenda razza degli Orchi che sono un atto d'invidia e di scherno verso gli Elfi, dei quali in seguito furono i nemici più irriducibili. Gli Orchi infatti prendevano vita e si moltiplicavano nello stesso modo dei Figli di Ilúvatar; e dal momento in cui si ribellò nello Ainulindalë prima del Principio, Melkor non poté più creare nulla che avesse vita propria, né parvenza di essa: così dicono i sapienti. E nel profondo dei propri cuori oscuri, gli Orchi detestavano il Signore che servivano nella paura, artefice solo della loro miseria. Fu forse questa l'azione più abietta di Melkor e la più odiosa a Ilúvatar. (Quenta Silmarillion; 2016, pp. 104-105)
  • Ora, in cuor suo Melkor odiava sommamente gli Eldar, sia perché erano limpidi e gioiosi, sia perché in essi vedeva la ragione dell'ascesa dei Valar e quella della propria caduta. Soprattutto nei loro confronti fingeva quindi amore cercandone l'amicizia, e offriva loro i servigi della propria sapienza e della propria fatica in qualsiasi grande impresa cui si accingessero. In verità, i Vanyar lo consideravano con gran sospetto, poiché essi dimoravano alla luce degli Alberi ed erano contenti; e ai Teleri Melkor prestò scarsa attenzione, ritenendoli di infimo valore, strumenti troppo deboli per i suoi disegni. I Noldor, però, erano attratti da ciò che ancora non conoscevano e che egli era in grado di rivelare loro; e alcuni prestarono orecchio a parole che sarebbe stato meglio per loro mai avere udito. (Quenta Silmarillion; 2016, p. 131)
  • Fëanor infatti, giunto alla pienezza del proprio vigore, era tutto preso da un nuovo pensiero, ma può anche essere che abbia preavvertito un'ombra della sorte che s'avvicinava; e rifletteva su come conservare imperitura la luce degli Alberi, gloria del Paese Beato. Diede allora mano a un lungo e segreto lavoro, facendo appello a tutta la propria sapienza, potenza e sottile abilità; e alla fine, ecco che produsse i Silmaril.
    I quali erano, quanto a forma, come tre grandi gioielli. Ma soltanto alla Fine, quando ritornerà Fëanor che perì prima che il Sole fosse fatto e siede ora nelle Aule d'Attesa, e non viene più tra i suoi simili: non prima che il Sole trapassi e la Luna crolli, si saprà di quale sostanza fossero fatti. La quale sembrava simile al cristallo dei diamanti, eppure ne era più forte, sicché non c'era forza, nel Regno di Arda, bastante a guastarla o spezzarla. Pure, il cristallo era, per i Silmaril, null'altro che ciò che il corpo è per i Figli di Ilúvatar: la dimora del suo fuoco interiore, che è in esso e insieme in ogni parte di esso, e che ne costituisce la vita. E il fuoco interno dei Silmaril, Fëanor lo ricavò dalla luce amalgamata degli Alberi di Valinor, che pur sempre vive in loro, ancorché gli Alberi da tempo siano isteriliti e più non splendano. Sicché, anche nella tenebra del più profondo tesoro i Silmaril per radianza propria splendevano come le stelle di Varda; pure, essendo essi in effetti cose viventi, della luce godevano e la recepivano e la restituivano in sfumature più meravigliose ancora. (Quenta Silmarillion; 2016, pp. 133-134)
  • Allora Melkor bramò i Silmaril, e la memoria stessa della loro radianza fu un fuoco che gli smangiava il cuore. Da quel momento, infiammato da tale brama, tanto più alacremente si mise alla ricerca del modo di distruggere Fëanor e di metter fine all'amicizia tra i Valar e gli Elfi; ma dissimulò i suoi propositi con astuzia, e nulla della sua malizia traspariva dal suo sembiante. A lungo fu all'opera, e dapprima lente e vane furono le sue fatiche. Ma colui che semina, alla fine riuscirà bene a raccogliere, e presto potrà riposarsi dalla fatica, mentre altri raccolgono e seminano in sua vece. Sempre Melkor trovava orecchie disposte a udirlo, nonché lingue pronte a diffondere i suoi detti; e le sue menzogne passavano da amico ad amico, a guisa di segreti la cui conoscenza costituisca la riprova della saggezza di chi li propala. Amaramente i Noldor avrebbero scontato la follia delle loro orecchie troppo ben disposte, nei giorni che sarebbero venuti. (Quenta Silmarillion; 2016, pp. 134-135)
  • Morgoth forgiò per se stesso una grande corona di ferro e si autonominò Re del Mondo. A prova del che, incastonò i Silmaril nella propria corona. Le sue mani erano nere di ustioni per via del contatto con quei sacrosanti gioielli, e nere sempre rimasero; né mai più Morgoth si liberò del dolore delle scottature e dell'irritazione che gliene veniva. La corona, mai se la tolse di capo, benché il suo peso divenisse angoscioso fardello. E solo una volta si dipartì, per breve tempo e in segreto, dal suo settentrionale dominio; anzi, ben di rado usciva dai luoghi profondi della sua roccaforte, governando i propri eserciti dal suo trono iperboreo. E, anche, solo una volta egli stesso maneggiò armi, finché il suo regno durò. (Quenta Silmarillion; 2016, p. 157)
  • Mai più alle mie orecchie risuoni la lingua di coloro che in Alqualondë hanno sterminato i miei consanguinei! Né sia più pubblicamente parlata nel mio regno, finché io sieda su questo trono. Tutti i Sindar devono essere informati del mio ordine di non usare la favella dei Noldor né di rispondere a chi con essa si rivolga loro. E chiunque vi faccia ricorso, sarà considerato fratricida e traditore impenitente. (Thingol, Quenta Silmarillion; 2016, p. 241)
  • Sauron era divenuto uno stregone di spaventosa potenza, padrone di ombre e fantasmi, di tenebrosa sapienza e crudelissima forza, tanto da deformare tutto ciò che toccava e stravolgere tutto ciò che governava, signore di lupi mannari; il suo dominio era perenne tormento. (Quenta Silmarillion; 2016, p. 286)
  • Piccolo prezzo, il tuo, per un tradimento di tal fatta. (Sauron, Quenta Silmarillion; 2016, p. 298)

Citazioni sul Silmarillion[modifica]

  • Ha aperto una finestra completamente nuova, mettendo Il Signore degli Anelli in una prospettiva più nuova e più ampia. (Verlyn Flieger)
  • JRRT era una persona molto colta. Approvo la decisione del figlio di "grattare i cassetti" del padre. La "mitologia" che è stata così ritrovata, e che è esposta soprattutto nel Silmarillion, è come l’Antico Testamento di una "Bibbia" di cui il Signore degli Anelli è il Nuovo Testamento. E proprio come, in confronto all’Antico, io trovo banale il Nuovo Testamento, così trovo banale il Signore degli Anelli se confrontato col Silmarillion: è una favola, anzi una favolina affetta da "buonismo". (Francesco Saba Sardi)
  • Nelle [opere di Tolkien] non c’è mai stata una divisione nettissima tra bene e male, non sono opere in bianco e nero. In particolare nel Silmarillion ci sono molte aree grigie, e appresso molto una conversazione su questo aspetto. (Ted Nasmith)
  • Quando ho realizzato le illustrazioni per il Silmarillion ho avuto un carteggio diretto con Christopher Tolkien per discutere di cosa volesse vedere illustrato ma devo dirti che fu molto rispettoso del mio lavoro lasciandomi estrema libertà. Gli proposi moltissimi soggetti sotto forma di miniature e da lì selezionammo cosa realizzare. (Ted Nasmith)

Masolino D'Amico[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • È leale dire subito che capita di rado a un libro complesso come il Silmarillion di Tolkien [...] di potersi avvalere di un lavoro di traduzione-interpretazione intelligente e amorevole come quello compiuto da Francesco Saba Sardi. È leale anche aggiungere che questo stesso libro [...] non soltanto ha avuto tutti gli onori della stampa, ma, il che in un certo senso conta di più, si è immediatamente insediato in vetta alle classifiche dei più venduti.
  • Il Silmarillion è, come «libro da leggere», faticosissimo, per non dire impossibile. Del resto, non era neppure destinato alla pubblicazione. Se ne era sentito parlare; si sapeva che l'autore del Signore degli Anelli, già salutato dal suo amico Auden come il creatore di un mondo intero, con moltissime e varie razze nonché una sua storia, una sua lingua, una sua mitologia, teneva nel cassetto, di quel mondo, gli antecedenti, anzi, per così dire, i testi sacri. Ora che il figlio di Tolkien, Christopher, ha aperto il cassetto paterno, apprendiamo che le coordinate dei popoli e del mondo in questione cominciarono ad essere tracciate addirittura una quarantina d'anni prima del libro famoso; che per tutta la vita Tolkien, insomma, continuò segretamente a mettere insieme le basi da cui la storia del Signore degli Anelli scaturì.
  • Perché illeggibile questo libro, che abbiamo accostato addirittura alla Bibbia? Ma perché creando dei finti testi sacri, Tolkien si comportò come del resto richiedeva l'ispirazione alla letteratura altomedievale nordica dalla quale aveva preso le mosse (e che insegnava a Oxford). E cioè, non si abbandonò al piacere di descrivere personaggi; represse il suo incantevole senso dell'umorismo; assunse toni uniformemente solenni e criptici; sgranò elenchi di nomi, ètimi, parentele, dinastie. In una parola, non narrò; lasciò i fatti nudi, schematici e innumerevoli come in una serie di iscrizioni votive. I cinque blocchi che trattano le vicende dei tre Silmaril non vanno quindi etichettati come racconti; sono qualcosa di forse più alto e ambizioso, certo di diverso.
  • Concludendo: una manna, o meglio, una minera, per i convertiti. Ma probabilmente un osso duro da rodere per i neofiti, che faranno meglio ad accostarsi a Tolkien lungo le strade già note.

Colin Duriez[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Ovviamente, numerosi lettori di Tolkien hanno percorso le vie de Il Silmarillion: molti lo trovano stranamente diverso dalle altre opere più popolari prodotte dallo stesso autore; altri, benché sopraffatti dal proliferare di nomi e di luoghi nuovi, vengono attratti dal senso di profondità e di ricchezza che lo pervade e dal fatto che da esplorare ci sia ben più che un mondo intero.
  • Nella propria mente, Tolkien associò sempre Edith a uno dei primi personaggi letterari creati per uno dei racconti da cui si svilupperà Il Silmarillion: Lúthien. Per Tolkien quel racconto aveva un significato tanto personale che quello di Lúthien e del suo amato Beren divennero i soprannomi di Edith e di se stesso. L'idea della storia era legata a un incidente occorso a Edith e a Tolkien, in seguito al quale i due si trovarono a vagare in un boschetto nel Roos, a settentrione dell'estuario dell'Humber. Lì, fra le betulle, Edith danzò e cantò per lui. E, nel racconto, Beren incontra Lúthien che danza fra le betulle dei boschi di Neldoreth. Sia per Beren che per Tolkien, ciò evocava un tempo di ricordi legati a un pericolo: Tolkien stava infatti per partire alla volta dei campi di battaglia della Prima guerra mondiale. Quando morì nel 1971, sulla pietra tombale di Edith Tolkien aggiunse il nome «Lúthien».
  • Di fatto, la maggior parte del ciclo di leggende di cui si compone Il Silmarillion era già stato costruito prima del 1930: prima della redazione e della pubblicazione de Lo Hobbit, il precursore de Il Signore degli Anelli. In questi due libri vi sono numerosi riferimenti a vicende di cui tratta Il Silmarillion: rovine di luoghi un tempo maestosi, siti di battaglie antiche, nomi strani e splendidi di un passato lontano, e spade elfiche forgiate a Gondolin, prima della sua caduta, per le Guerre contro gli orchi.
  • Il Silmarillion si basa sul lavoro lasciato incompleto da Tolkien e del resto non intende affatto suggerire l'idea di un'opera compiuta, ancorché la curatela editoriale di cui il figlio l'ha fatto oggetto sia altamente specialisticia e fedele alle intenzioni del padre. La natura incompiuta del volume è del tutto evidente in parecchi racconti indipendenti che in esso sono contenuti, come per esempio quello di Beren e della fanciulla elfica Lúthien, quello di Túrin Turambar, quello di Tuor, quello relativo alla Caduta di Gondolin e quello di Eärendil il marinaio. Di fatto, questi casi rappresentano dei riassunti di narrazioni intese di dimensioni assai più ampie e più dettagliate, ma mai portate a termine. Per i lettori, dunque, la natura sommaria e condensata di gran parte de Il Silmarillion pubblicato presenta delle difficoltà, rappresentate dalla enorme quantità di nomi con cui non si ha familiarità.

Gaia Servadio[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • The Silmarillion fa la cronaca di come venne dato un ordine al mondo del Valar sotto il comando di Dio (in incognito, ma riconoscibile anche con il nome di Eru Iluvatar); dei due alberi e della loro distruzione voluta dal gigantesco ragno Ungoliant; dei gioielli che preservano la luce degli alberi; del giuramento orribile di Feanor e dei suoi figli e delle guerre senza fine; degli eroismi di uomini contro uomini, Elves contro Elves, uomini contro Elves; tutte le forme crudeli di Morgoth, il primo padronenero che visse nella media terra, e come gli altri Elves lo combatterono per riconquistare i Silmaril. Siamo poi alla caduta degli dei, la Akallabeth, nella seconda era.
  • The Silmarillion non era un libro, era l'humus al quale Tolkien attingeva da anni, sul quale costruiva la complicata mitologia usata negli altri suoi volumi. Ed ecco perché The Silmarillion, al quale Tolkien lavorava da più di cinquant'anni, non era finito e non poteva essere finito. Il linguaggio usato inoltre è particolarmente monotono, e il continuo, esasperante uso di nomi inventati difficili da memorizzare e da seguire; è aggravato dal fatto che il lettore non trova protagonisti ai quali «allacciarsi».
  • Questa cronaca di ere antiche e distanti, tra laghi purissimi e montagne spaventose, non dà senso di spazio e di conquista. I lunghi brani di descrizione, in elaborato lessico biblico-wagneriano, sono scritti nello stesso stile del parlato, per cui queste valchirie e questi giganti del bene e del male parlano come il testo e sono tutti identici.

Christopher Tolkien[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Il Silmarillion non era mai stato dato alle stampe (sebbene certi accenni al suo contenuto possano essere reperiti nel Signore degli Anelli) e durante la sua lunga esistenza mio padre non l'ha mai accantonato né ha cessato di lavorarvi nemmeno negli ultimi anni. In tutto questo tempo, Il Silmarillion, concepito come un'ampia struttura narrativa unitaria, ha subito relativamente pochi rimaneggiamenti di rilievo; già molto tempo fa era divenuto una tradizione immutabile, fondamento di scritti successivi. Ciò non toglie che fosse ben lungi dall'essere un testo cristallizzato ed esso non è rimasto immutato neppure per quel che attiene a certe idee fondamentali circa la natura del mondo che rappresenta, mentre le stesse leggende venivano rinarrate in forme più lunghe o più brevi e con stili diversi. Con il passare degli anni, mutamenti e varianti, relativi a particolari o di respiro più ampio, hanno assunto una complessità tale, e sono divenuti così numerosi e pluristratificati, da far sembrare impossibile una versione conclusiva e definitiva.
  • Alla morte di mio padre è ricaduta sul sottoscritto la responsabilità di tentare di conferire all'opera forma tale da renderla pubblicabile. Mi è però risultato subito evidente che lo sforzo inteso a presentare, in un unico volume, materiali così disparati – vale a dire di offrire Il Silmarillion qual è veramente, una creazione continua che si è sviluppata lungo oltre mezzo secolo – non avrebbe che ingenerato confusione, obnubilando quanto vi è di essenziale. Ragion per cui mi sono accinto a elaborare un testo unico, scegliendo e ordinando i materiali in modo tale da attribuire loro l'aspetto di un insieme narrativo più coerente e privo di contraddizioni possibile.
  • Il lettore non si aspetti di trovare coerenza assoluta (né nell'ambito del Silmarillion stesso, né tra esso e altri scritti di mio padre già pubblicati), che del resto potrebbe essere raggiunta soltanto a prezzo assai caro e oltretutto inutile. Inoltre, mio padre era giunto a intendere Il Silmarillion come una compilazione, un compendio narrativo steso tardivamente sulla scorta di fonti assai diverse (poemi, annali, racconti di tradizione orale) trasmesse per retaggio antichissimo; ed è una concezione che trova un esatto parallelo nella storia effettiva del libro, sottesa al quale è una gran quantità di prose e di poesie precedenti, così che esso è, entro certi limiti, una silloge, tale di fatto e non soltanto in via retorica.

Lo Hobbit[modifica]

Incipit[modifica]

In un buco nel terreno viveva uno hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, piena di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima. manca l'edizione manca l'edizione

Citazioni[modifica]

  • Lontan sui monti fumidi e gelati | in antri fondi, oscuri, desolati, | prima che sorga il sol dobbiamo andare | a riaver l'arpe e l'oro a noi strappati. (J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit (illustrato) Con le illustrazioni di Alan Lee, Bompiani, 2012)
  • Il re degli antri che stan sotto il monte | e delle rocce aride scavate, | che fu signore delle argentee fonti, | queste cose riavrà, già a lui strappate! manca l'edizione manca l'edizione
  • [indovinello] Radici invisibili ha,
    più in alto degli alberi sta,
    lassù fra le nuvole va
    e mai tuttavia crescerà. (1990, p. 93)
  • Trenta bianchi destrier
    su un colle rosso
    battono e mordono,
    ma nessuno si è mosso. (1990, p. 93)
  • Non ha voce e grida fa,
    non ha ali e a volo va,
    non ha denti e morsi dà,
    non ha bocca e versi fa. (1990, p. 93)
  • Un giorno un occhio in un azzurro viso
    vide un altr'occhio dentro a un verde viso:
    «Quell'occhio è come me, però è laggiù,
    mentre il mio occhio se ne sta quassù». (1990, p. 94)
  • Vedere non si può e neanche sentire
    fiutare non si può e neppure udire.
    Sta sotto i colli, sta dietro le stelle
    ed empie tutti i vuoti, tutte le celle.
    Per primo viene, ultimo va,
    a vita e a riso termine dà. (1990, p. 94)
  • Senza coperchio, chiave, né cerniera
    uno scrigno cela una dorata sfera. (1990, p. 95)
  • Vive senza respirare,
    freddo come morte pare,
    beve ma non è assetato,
    non tintinna corazzato. (1990, p. 95)
  • Senza-gambe sta su Una gamba, Due-gambe vi siede accanto su Tre-gambe, Quattro-gambe ne prende un po'. (1990, p. 96)
  • Questa cosa ogni cosa divora,
    ciò che ha vita, la fauna e la flora;
    i re abbatte e così le città,
    rode il ferro, la calce già dura;
    e dei monti pianure farà. (1990, p. 97)
  • Che cos'ho in tasca? (1990, p. 97)
  • "No!" disse Thorin. "In te c'è più di quanto tu non sappia, figlio dell'Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d'oro, questo sarebbe un mondo più lieto. Ma triste o lieto, ora debbo lasciarlo. Addio!"
    Allora Bilbo si allontanò, e se ne andò in disparte; tutto solo si sedette avvolto in una coperta e, lo crediate o no, pianse finché i suoi occhi non furono rossi e roca la voce. (2004, p. 362)

I figli di Húrin[modifica]

Incipit[modifica]

Hador Testadoro era un signore degli Edain, molto amato dagli Eldar. Egli rimase, finché ebbe vita, sotto la signoria di Fingolfin che gli assegnò vaste terre in quella regione dello Hithlum, che era detta Dor-lómin. Sua figlia Glóredhel sposò Haldir figlio di Halmir, Signore degli Uomini del Brethil; e durante la stessa cerimonia suo figlio Galdor l'Alto prese in moglie Hareth, la figlia di Halmir.
[John Ronald Reuel Tolkien, I figli di Húrin. traduzione di Caterina Ciuferri, Bompiani, 2007]

Citazioni[modifica]

  • Beleg trasse la sua spada Anglachel e con essa tagliò i lacci che impedivano Túrin; ma il fato era più forte quel giorno e volle che la lama di Eöl l'Elfo Scuro gli scivolasse mentre la maneggiava, ferendo Tùrin al piede.
    Ridestandosi in preda a un eccesso di rabbia e paura, e scorgendo uno chino su di lui con una lama snudata in pugno, Tùrin balzò in piedi con un forte grido, credendo che gli Orchi fossero tornati a tormentarlo e, lottando con quegli nel buio, s'impadronì di Anglachel e trafisse Beleg Cúthalion, credendolo un avversario. Ma, quando si tirò su, scoprendosi libero e pronto a vendere cara la pelle ai suoi immaginari nemici, ecco che su di loro si accese accecante la luce di una saetta e, a quel chiarore, riconobbe il volto di Beleg. Túrin restò impietrito e silenzioso al cospetto di quella morte atroce, consapevole di ciò che aveva fatto; e così terribile era il suo volto rischiarato dai lampi che a sprazzi illuminavano il cielo intorno a loro, che Gwindor s'appiattì al suolo senza più osare levare lo sguardo.

[J.R.R. Tolkien, I figli di Húrin, Bompiani, Milano 2007]

Incipit di alcune opere[modifica]

Roverandom[modifica]

C'era una volta un cagnolino che aveva nome Rover. Era molto piccolo e molto giovane, altrimenti sarebbe stato più attento; ed era molto felice di star lì a giocare in giardino al sole con una palla gialla, o non avrebbe fatto mai ciò che fece.

[John Ronald Reuel Tolkien, Roverandom, a cura di C. Scull e W. G. Hammond, traduzione di F. Bandel Dragone, Bompiani.]

Citazioni su J. R. R. Tolkien[modifica]

  • Alla mia venuta in questo mondo mi avevano (tacitamente) avvertito di non fidarmi mai di un papista e (apertamente) al mio arrivo alla facoltà di inglese di non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era l'uno e l'altro. (C. S. Lewis)
  • Dall'Opera tutta di Tolkien emerge possente l'affermazione di una dei diritti fondamentali dell'uomo: il diritto a creare. "La fantasia Rimane un diritto umano – scrive l'autore – creiamo alla nostra misura e nel nostro modo derivativo perché siamo stati creati: e non soltanto creati, ma fatti a immagine e somiglianza del Creatore". (Mario Polia)
  • Di una rinascita dell'epopea nei tempi moderni non si può parlare in realtà che dal 1954-55 quando John Ronald Reuel Tolkien, un professore di Oxford di anglosassone e d'inglese medievale, pubblicò la trilogia del Lord of the Rings. [...] Egli non cerca di convertire il male con l'esempio della virtù, come fa Shelley, ma vuol debellarlo e «I draghi di Tolkien», scrive Zolla, «non sono da assimilare, da sentire in qualche modo fratelli, ma da annientare», onde la protesta dell'intellighentia d'oggi, per bocca di Auden, che osservò a proposito del Signore che non esistono esseri che obbediscano al Male assoluto, che non è possibile che una specie dotata di parola e perciò capace di scelta morale sia malvagia per natura. E se, dopo tutto, il mondo in bianco e in nero delle fiabe con un eroe buono (Frodo) e un antieroe malvagio (il re di Mordor), un mago buono (Gandalf) e un mago cattivo (Saruman, convertito al male come Lucifero in Satana), fosse più vicino alla realtà di quanto non lo sia il relativismo dell'Apostolo della mediocrità che oggi piace ai più d'accettare? Il mondo favoloso di Tolkien, che conosce la gaiezza e la facondia di canti del buon popolo degli Hobbit (elfi alti quattro piedi, in cui si legge in trasparenza la bonomia non disgiunta da ostinata prodezza del popolo inglese idealizzato secondo una formula Chesterton-Belloc, cattolici come Tolkien), ma anche truci popolazioni di Orchetti e di Cavalieri Neri, che vedon solo di notte e hanno un odorato finissimo, ed esseri viscidi e crudeli come quella reincarnazione di Caliban e del nano Alberico che è Gollum, il primitivo detentore dell'anello che dà il dominio del mondo. Ma la virtù di questo epos in prosa non sta tanto in una galleria ben caratterizzata di personaggi maschili (delle creature femminili solo Shelob è convincente, ma è un mostro), quanto soprattutto nella vicenda, la distruzione del fatale anello, non indegna di figurare accanto alla ricerca del Graal e l'affondamento del tesoro simbolo di potenza, nel Reno da parte di Hagen nella Saga dei Nibelunghi; sta nell'incalzare degli avvenimenti, nelle atmosfere serene e più spesso sinistre, d'una vastità coreografica che fa pensare agli apocalittici quadri di John Martin, e nel non dichiarato ma pervadente afflato metafisico che fa passar sopra alle occasionali velleità di «alto stile», e a certi scivolamenti nel sentimentale, il solo peccato veramente imperdonabile agli occhi degli smaliziati moderni. (Mario Praz)
  • È nazista ogni vagheggiamento di una forza, eminentemente virile, che non sappia né leggere né scrivere: il Medioevo, con Carlo Magno che appena sapeva fare la propria firma, si presta mirabilmente a questi sogni di un ritorno alla villosità incontaminata. Quanto più peloso il modello, tanto maggiore il vagheggiamento: l'Hobbit sia modello umano per i nuovi aspiranti a nuove e lunghe notti dei lunghi coltelli. (Umberto Eco)
  • Ho incontrato Tolkien, 45 anni fa a Oxford, mi ha stupito la sua aria dimessa e gentile, un timido professore. Avevo letto da poco il libro e quando mi hanno detto chi era mi sono messo in ginocchio: l'ho visto arrossire. (Christopher Lee)

Franco Cardini[modifica]

  • Era un grande filologo, aveva curato l'edizione critica del Beowulf. Era, insomma, un notevole studioso che all'improvviso scrive un romanzo: percorso poi reso celebre, da noi, da Umberto Eco, ma ben radicato nella tradizione romantica e ottocentesca.
  • La cosa paradossale è che Tolkien, oggi fenomeno di massa, era uno scrittore di nicchia: scriveva a mano, faceva lui stesso i disegnini per i suoi libri. E soprattutto scriveva, oltre che per sé, per i suoi colleghi e i suoi studenti di Oxford, per gente allenata a riconoscere tutti i riferimenti e tutte le citazioni. Per una élite, insomma: e leggendolo oggi, sarebbe bene saperlo.
  • Tolkien era un membro degli "Oxford Christians", era cattolico e conservatore. Faceva parte di quel filone solidaristico-rurale, legato al vicinato e alle tradizioni, che è importante nella politica inglese fin dai tempi di Coleridge. La "Contea" del libro è un'Inghilterra idealizzata, che alla fine viene distrutta da un'industrializzazione selvaggia. Inoltre, Tolkien era politicamente tutt'altro che semplice: era conservatore, sì, ma anti-totalitario. Lettere a Babbo Natale è di fatto un libro contro Hitler. Se questa sembra un'ovvietà, sarà bene ricordare che nell'Inghilterra degli anni 30 molti cattolici di origine sudafricana - come Tolkien - erano filo-hitleriani. Lui invece colse molto bene l'aspetto demonico-faustiano del nazismo.

Colin Duriez[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • John Ronald Reuel Tolkien è un autore che gode di un numero tanto grande di lettori da rendere difficile credere che ci sia stato un tempo in cui i suoi editori erano convinti che Il Signore degli Anelli avrebbe potuto causare loro perdite finanziarie. In quei giorni oscuri, quel dotto professore poteva borbottare la parola «orco» solo per commentare il comportamento rozzo di qualcuno o esclamare «Mordor è fra noi» solo per descrivere qualche brutto esempio della vita moderna, senza che peraltro nessuno riuscisse a comprendere quanto egli intendesse. Oggi, invece, termini come per esempio «Hobbit» sono addirittura entrati nella lingua inglese e trovano posto nei dizionari.
  • Tolkien sfida quello spirito della nostra epoca per il quale nessun viaggio ha senso, o perché non esiste alcuna strada, oppure perché tutte le strade conducono alla medesima destinazione. Il fatto che Tolkien sia tanto popolare fra i lettori di così tanti Paesi mostra quanto numerose siano le persone attratte dalla speranza che riluce nella sua opera.
  • In Tolkien, il mito e la fiaba debbono contenere verità morale e religiosa, ma in modo implicito e non esplicito (come invece avviene nell'allegoria). Tanto nei suoi interessi linguistici quanto in quelli creativi, Tolkien era costantemente alla ricerca di «materiali e cose di una certa qualità e di una certa atmosfera». I miti, le fiabe e i mondi antichi ispiravano e supportavano costantemente le creazioni della sua mente e della sua immaginazione che progressivamente venivano svelandosi: ovvero, le sue lingue elfiche e i primi semi de Il Silmarillion. L'atmosfera e la qualità che cercava Tolkien le identificò con l'Europa settentrionale e occidentale, in particolare con l'Inghilterra. E questa qualità cercò d'infonderla nella propria narrativa e nelle lingue che aveva inventato.

Verlyn Flieger[modifica]

  • L’opera di Tolkien è così ricca, così ampia che c’è del lavoro da fare ad ogni livello. La ricerca è in corso, un’idea porta ad un’altra, un concetto, una scena, una sequenza, una frase o una parola innescano il prossimo lavoro. Segui i sentieri e dove conducono.
  • Le opere magiori di Tolkien: la sua «mitologia per l'Inghilterra», il Silmarillion, e ancora di più il suo romance epico, il Signore degli Anelli, contengono le sue più profonde riflessioni sull'esistenza umana. In essi sono narrate una serie di storie (miti) sul rapporto fra l'umanità e il suo creatore (teologia) attraverso una storia fittizia (politica) che riguarda azioni e reazioni umane (psicologia).
  • Quando leggiamo le storie del legendarium di Tolkien, leggiamo la sua filosofia trasformata in dramma. Le storie di Uomini ed Elfi e Hobbit che si sforzano per mantenere il loro equilibrio nella Terra di Mezzo ci mostrano un mondo così simile a quello in cui viviamo, che possiamo vederne la bellezza e il pericolo, la familiarità e la stranezza, come le immagini fantastiche riflesse del nostro.
  • Tolkien usava diversi caratteri, spaziando da una bellissima calligrafia ad indecifrabili scarabocchi quando le idee giungevano dense e veloci ed aveva fretta di fissarle. Ci sono state parole e talvolta intere frasi, specialmente nella bozza di On Fairy-Stories che semplicemente non ero in grado di decifrare.

Ted Nasmith[modifica]

  • [«Cosa le piace maggiormente delle creazioni di Tolkien?»]
    Credo la combinazione di idee e atmosfere. Un mondo antico, familiare (eroico, medievale, molto inglese), eppure strano, con hobbit, Elfi e la terrificante diabolicità di Sauron. Amo il senso del tempo e la malinconia per le cose che passano unite all’universale amore per la vita, senza contare l'impressione di un meraviglioso mondo perduto. Irresistibile.
  • È facile dare la propria interpretazione dei personaggi di Tolkien, perché non pone troppi limiti alla fantasia (mancando delle descrizioni precise di dettagli come la barba o le capigliature). Altri artisti, quindi, hanno le loro idee. Io scelgo sempre di seguire un certo standard, mantenendomi il più fedele possibile a Tolkien, anche se negli ultimi anni mi sono rilassato – per molti anni sono stato davvero molto attento. Ma mi baso anche molto sul feedback: spesso il mio lavoro, come quello di altri, è stato al centro del dibattito su come sia giusto raffigurare l’opera Tolkieniana. Ma ritengo che un artista abbia diritto alla sua indipendenza, scegliendo poi se rientrare o meno in questo dibattito sulla fedeltà al materiale originale.
  • [«Com’è nata la tua passione per Tolkien?»] È stato semplicemente per la raccomandazione de Il Signore degli Anelli da parte di mia sorella maggiore; avevo quindici anni. Mi sono fissato appena ho iniziato a leggerlo. E da subito mi è nato un forte desiderio di disegnare immagini inspirate al libro.
  • È troppo restrittivo porsi dei limiti, bisogna prendere questa conversazione come qualcosa di vivo. Lo stesso Tolkien non voleva che tutti capissero la stessa identica cosa dalle sue opere. Capiva la natura di ciò che lui stesso stava facendo, visto che a sua volta prendeva spunto da fonti che poi rielaborava. Secondo me non c’è nulla di male a prendersi delle libertà. Tolkien non amava gli sciocchi e non apprezzava che gli si venisse a chiedere come si doveva raffigurare un suo personaggio: tutti gli spunti ci sono già nelle sue opere.
  • Tolkien mi ha sopraffatto con la sua bellezza e la sua unicità, senza contare la sua ovvia importanza come prodotto dell'immaginazione. Io volevo mostrare alla gente come le scene del suo libro avrebbero potuto essere rappresentate. Ricorda che all’epoca non c’era tanta gente interessata all’illustrazione, e si stava a malapena iniziando a pubblicare calendari con immagini illustrate.

Wu Ming[modifica]

  • Nella sua narrativa Tolkien affronta temi universali, non certo meno validi per la sua epoca o per la nostra. Il problema del male, del potere, della morte, il tema del coraggio, la funzione della poesia e della narrativa nella nostra vita. Se questo non è parlare della realtà della condizione umana non so cosa lo sia.
  • Per certi versi sarebbe solo auspicabile che i politici, di qualunque colorazione, leggessero Tolkien. Magari per trovarci qualche spunto di riflessione critica sull’attuale modello di sviluppo, che invece si accaniscono a difendere con le unghie e con i denti, oppure sulla corruzione morale indotta dall’esercizio del potere, al quale però paiono affezionatissimi. Francamente, al di là delle dichiarazioni e degli slogan, mi pare che le fonti d’ispirazione della nostra classe politica non siano proprio letterarie, per così dire. Io credo che gli studi tolkieniani abbiano tutto da perdere nel lasciarsi mettere il cappello in testa da costoro. Ma si sa che l’Anello della Visibilità è forte e più di uno ne rimarrà irretito.
  • [«Ma lo scrittore inglese non era antimodernista, conservatore, ultracattolico, insomma "di destra"?»]
    Sì. Ma questo non significa che non sapesse affrontare certe questioni capitali in una chiave problematica e irriducibile a posizioni ideologiche. Il fatto stesso che a metà della sua vita abbia saputo mettere sul banco degli imputati la filologia e la poesia anglosassoni che tanto amava dimostra quanto poco fosse "conservatore" nelle sue scelte e capace di prendere le distanze da una certa assunzione acritica dell'epica e del mito. Così come il fatto che aversasse senza mezzi termini l'autoritarismo, il razzismo e il militarismo fa di lui uno strano tipo di "reazionario" del XX secolo. In generale pretendere di inquadrare l'opera di un autore attraverso la sua biografia o la sua fede è un pessimo esercizio critico. Un atteggiamento che Tolkien stesso non sopportava.
  • Tolkien è una miniera inesauribile. Non si finisce mai di scoprirlo. Quando credi d’averlo inquadrato, salta fuori un dettaglio che offre uno spunto di rilettura. Più volte in questi dieci anni ho frenato il mio interesse per Tolkien, convinto di avere dato quello che potevo dare. Ma dopo un po’, per qualche motivo, mi sono sempre trovato a riprenderlo in mano e a scovarci qualcosa di nuovo. A questo punto credo di dovermici rassegnare.

Note[modifica]

  1. Citato in Franco Cardini, Il caso Tolkien, identitaeuropea.org, 24 dicembre 2003
  2. Da una lettera pubblicata su Parma Eldalamberon, n. 17, p. 135.
  3. Citato in Paolo Gulisano, Tolkien. Il mito e la grazia, Ancora, Milano, 2007, p. 6.
  4. Da Beowulf. I mostri e i critici; citato in Seamus Heaney, Beowulf, traduzione di Massimo Bacigalupo, Fazi Editore, 2002, p. 290.
  5. Dalla lettera del 9 giugno 1941 a Michael Tolkien, in J.R.R. Tolkien, Lettere 1914/1973, a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, Bompiani, Milano, 2017, p. 89.
  6. Da una lettera pubblicata su Parma Eldalamberon, n. 17, p. 61.
  7. Citato nella prefazione alla seconda edizione inglese de Il Signore degli Anelli, da il Corriere della Sera, 1º novembre 2003.
  8. Da La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, traduzione di Cristina De Grandis, Rusconi, Milano, 1990, p. 76.
  9. Dall'abbozzo di una lettera al gesuita Robert Murray del 4 novembre 1954, in J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere, a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, Bompiani, Milano, 2001, pp. 233-234.
  10. Da una conferenza tenuta alla British Academy, Londra, il 25 novembre 1936, edita a Oxford nel 1936 come vol. 22 dei Proceedings of the British Academy, e ora presente come saggio introduttivo in J.R.R. Tolkien, The Monsters and the Critics and Other Essays, London, HarperCollins, 1997; traduzione in J.R.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, a cura di Gianfranco de Turris, traduzione di Carlo Donà, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000.
  11. Da Beowulf. I mostri e i critici; citato in Seamus Heaney, Beowulf, traduzione di Massimo Bacigalupo, Fazi Editore, 2002, p. 286.
  12. Citato in Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien. La biografia, Lindau, p. 225.
  13. Cfr. Tutto è bene quel che finisce bene

Bibliografia[modifica]

  • John Ronald Reuel Tolkien, Il signore degli Anelli, traduzione di Elèmire Zolla, Rusconi
  • John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli, a cura di Quirino Principe, traduzione di Vicky Alliata di Villafranca, Bompiani, 2003.
  • John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli - Le due torri, a cura di Quirino Principe, traduzione di Vicky Alliata di Villafranca, Bompiani, 2007, XVIII ed.. ISBN 9788845232268
  • John Ronald Reuel Tolkien, Albero e foglia, traduzione di Francesco Saba Sardi e Fabrizio Dubosc, Bompiani, 20047. ISBN 8845290441
  • John Ronald Reuel Tolkien, I figli di Húrin, traduzione di Caterina Ciuferri, Bompiani, 2007. ISBN 9788845259616
  • John Ronald Reuel Tolkien, Il Silmarillion, traduzione di Francesco Saba Sardi, Rusconi Libri, 1978
  • John Ronald Reuel Tolkien, Il Silmarillion, traduzione di Francesco Saba Sardi, riveduta e aggiornata in collaborazione con la Società Tolkieniana Italiana, Bompiani, 2016, ISBN 978-88-452-7240-0
  • John Ronald Reuel Tolkien, Lo hobbit, traduzione di Elena Jeronimidis Conte, Adelphi, Milano, III ed., 1990
  • John Ronald Reuel Tolkien, Lo Hobbit, annotato da D. A. Anderson, seconda edizione a cura di O. Cilli, traduzione di E. Jeronimidis Conte, Bompiani, 2004
  • J.R.R. Tolkien, Christopher Tolkien, La realtà in trasparenza, Humphrey Carpenter, Bompiani, 2002, p. 5287. ISBN 45291302
  • (EN) Parma Eldalamberon, Christopher Gilson

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