Loredana Lipperini

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Loredana Lipperini

Loredana Lipperini (1956 – vivente), giornalista, scrittrice, conduttrice televisiva e autrice per la radio e per la televisione italiana.

Citazioni di Loredana Lipperini[modifica]

  • È il mondo che somiglia a una sala giochi, e non viceversa, e Matrix è un film su cui riflettere... (da Generazione Pokémon, Castelvecchi)
  • La nostra società è profondamente radicata nel presente ed è quindi abbarbicata al mito della giovinezza. Non si riesce a concepire la fine, o il modificarsi, di un ciclo vitale; invecchiare e morire è considerata una cosa da perdenti. (da Cinque domande a Loredana Lipperini, autrice di "Non è un paese per vecchie")
  • Prendere coscienza. Questo per me è sempre il primo passo. Cercare di capire quello che ci sta intorno, al di là degli stereotipi, e parlarne il più possibile. Poi, certo, le strade dovrebbero essere due: una che riguarda il sociale e una l'immaginario. Sul piano sociale è evidente che occorre pretendere dai partiti che mettano un discorso sul "welfare" e sulle discriminazioni reali ai primi posti del programma elettorale. E se questo non accade, se non passa l'idea che il modello svedese, o anche quello tedesco, non è per noi una mera utopia, bisognerebbe forse togliere la fiducia che si è data a determinate forze della politica, o partitica che dir si voglia. Riguardo all'immaginario, occorre cominciare a cambiarlo. (ibidem)
Lipperatura
  • Ellen Ripley è diventata la capostipite di un nuovo tipo di eroina cinematografica e narrativa. Arrivò come una sorpresa felice, a dieci anni dall'esplosione dei movimenti delle donne: il tempo giusto perché non fosse rigidamente e politicamente corretta, ma perché costituisse un'alternativa alle altre donne del cinema di avventura. [...] Leggere Alien con gli occhi di Ripley significa ritrovare i temi capitali del femminismo in una storia di avventura e scoprire che anche i personaggi femminili possono essere protagonisti di un'epica. Possono uscire, evitare di singhiozzare su storie d'amore andate a male, calpestare spazi e cieli aperti, fare a meno di una casa e di una patria. (da Dalla Nostromo alla spada, 15 dicembre 2009)
  • Berlusconi non è che il risultato di un processo. È solo uno dei tasselli dei puzzle. Tra le sue colpe più grandi, semmai, metto quella di far passare come legittimo il modello dell'uomo anziano con una ragazza giovane accanto. (da Non è un Paese per vecchie su Gioia, 2 settembre 2010)
  • Io non riesco a dare una connotazione politica alle parole. Le parole "Onore" e "Ordine" sono utilizzate politicamente come clave. Le parole "Rispetto" e "Dignità" dovrebbero essere patrimonio dell'umanità. (da Chiara Valerio su L'Unità, 17 settembre 2010)
  • Io non voglio più sentire chiamare nonno una persona anziana. Non è possibile che in questo paese una persona sia definita in base alla capacità di procreare. Chi si occupa di comunicazione deve riflettere su una rapida presa di coscienza etica, altrimenti non ne usciamo. (ibidem)
  • Nel disinteresse ufficiale, sta crescendo una nuova leva di combattenti per la libertà, che occupano case e piazze, rivendicano diritti incomprimibili, sovvertono l'ordine sepolcrale in cui si vorrebbe rinchiudere la scuola, si ribellano alle nuove schiavitù del precariato e della fabbrica-galera. [...] Lo scontro ("The Clash") non è prospettiva futura, ma realtà già in atto. A chi sappia prestare ascolto, non può sfuggire il clangore metallico dei guns of Brixton che, nelle periferie, migliaia di giovani stanno ricaricando. (da Tenacia, 12 novembre 2010)
  • Quel che va ripetuto fino alla nausea, perché non siamo riuscite a farlo passare, è che il femminismo storico e il neofemminismo attuale non hanno mai voluto né vogliono gabbie, come dice Lorella Zanardo. Non vogliono modelli di donna ideale. Non vogliono modelli: bensì diritti, bensì la possibilità di cambiare un immaginario devastante che ha offerto alle generazioni cresciute negli anni Ottanta e Novanta una sola possibilità in cui rispecchiarsi, e non le molteplici che devono essere a disposizione di ogni persona. Se non usciamo da questa divisione, se non spezziamo il donna contro donna, rimarremo, ancora una volta, ferme. (da Testacoda, 7 novembre 2011)
  • Il berlusconismo non è la causa, ma l'effetto. O meglio, è concausa e rilancio di un cambiamento che ha riguardato soprattutto l'Italia ma non solo l'Italia, che affonda le radici negli anni Ottanta e in tutta la deriva anti-sociale, anti-comunità e pro-individuo che ci portiamo dietro e con cui continueremo a fare i conti. Almeno, finché non ricominceremo a produrre un immaginario diverso e una cultura diversa: perché se i nostri figli ventenni ascoltano musiche degli anni Novanta, Ottanta, Settanta e leggono preferibilmente libri degli anni Novanta, Ottanta, Settanta e a ritroso, qualcosa vorrà pur dire. (da Mutanti, 17 novembre 2011)
  • Il meccanismo della violenza è perverso: non solo controlla e sminuisce le donne mantenendole al "loro posto", ma le distrugge. Visto che è estremamente difficile, per una donna che subisce violenze e umiliazioni, confessare ciò che ha vissuto o continua a vivere. Le parole mancano, si balbetta, non si riesce a spiegare esattamente ciò che è successo. Ci vogliono anni per poter riuscire ad integrare questi "pezzi di vita" all'interno di un racconto coerente. Eppure è solo raccontando le storie di questa violenza che si può legittimare l'esperienza femminile, svelando ciò che accade nell'oscurità, lontano dagli sguardi. (da Tre segnalazioni e un titolo da cambiare, 2 marzo 2012)
  • Non si potrà mai definitivamente eliminare l'ambiguità profonda che ogni essere umano si porta dentro. Nessuno di noi è immune dall'odio, dall'invidia, dalla volontà di dominio. Ma le parole aiutano a ritrovare un senso. Aiutano, non solo a dire, ma anche a fare, come hanno spiegato bene i filosofi americani Austin e Searle. Perché il linguaggio è sempre performativo. È un'azione, che può cambiare il mondo. (ibidem)

Ancora dalla parte delle bambine[modifica]

Incipit[modifica]

È come quando si cerca di mettere a fuoco qualcosa. Come quando si incocca una freccia mirando al cerchio centrale, quello giallo, quello con il punteggio più alto; e si è davvero convinti che lo sguardo sia indirizzato correttamente, e che dunque la freccia sia destinata a fermarsi nel punto che l'occhio crede di vedere. Ma una volta che le dita hanno rilasciato la corda, e che quella ha sfregato dolorosamente il braccio – giacché si è degli arcieri dilettanti – e che la freccia è volata via, si scopre che la nostra era un'illusione ottica, e che quello che stavamo fissando non era il bersaglio giallo, quello che conta davvero. Perché è sul margine più esterno, colorato di blu, che la punta della freccia si è conficcata.

Citazioni[modifica]

  • A formare una cultura è quello stesso immaginario che si veicola nei prodotti a larga diffusione: prodotti destinati all'infanzia, soprattutto. Perché, per capire cosa sta succedendo alle donne, occorre sapere cosa è successo, da qualche lustro a questa parte, alle bambine.
    Non casualmente, quel che viene intuito oggi dai saggisti era già noto, da oltre dieci anni, nel marketing che riguarda i giovanissimi. La re-genderization, il ritorno ai generi, è già in atto, dalla metà degli anni novanta, nella produzione e diffusione di giocattoli, programmi televisivi, libri, film, cartoni. Laddove la parola ritorno non sancisce semplicemente una differenza, ma determina, ancora una volta e a dispetto delle apparenze, la premessa di una subordinazione.
  • Mezzo e messaggio continuano a essere sinonimi: e uno dei risultati dell'antico fraintendimento è la messa in ombra di quelli che sono forse gli stereotipi più inquietanti, ma che vengono da un supporto ritenuto benefico. La carta.
  • Non è censurando, allontanando o ritentando l'esperienza fallimentare del politically correct che si ristabilisce un equilibrio ormai perduto di vista. Semmai, vigilando: e dunque, entrando nel mondo dei simboli per osservarli e riconoscerli. Per renderli, forse e finalmente, innocui.
  • Da almeno dieci anni a questa parte una sola parola accompagna tutto quello che riguarda il mondo dell'infanzia: allarme. All'insegna del pericolo è stato caratterizzato ogni mezzo che permettesse a bambine e bambini di condividere saperi (e, anzi, di ribaltare il tavolo dello scibile adulto, e collaudarne uno nuovo), scoprire affinità e far fiorire le proprie giovani comunità, così giustamente diverse da quelle dei genitori. Naturalmente ci sono buone ragioni per seminare panico: i bambini occidentali, per cominciare, sono ormai merce rara e dunque preziosa, da porre sotto massima tutela. Inoltre, da qualche tempo la società sembra accarezzare con frequenza crescente quella che il filosofo Pascal Bruckner definisce la velenosa tentazione dell'innocenza. E le vittime, si sa, godono di ottima stampa.
  • Raunch, ovvero l'osceno, il volgare, significa far diventare comune la versione dozzinale della sessualità femminile. Significa che, se un tempo esistevano "Playmen" e il resto, adesso ci sono i calendari modellati su "Playmen" dentro il resto. Significa, insomma, che l'atteggiamento pornografico presiede al modo di concepire televisione, giornali, libri. [...] A monte del reggiseno a vista e delle labbra gonfie che anche la più intelligente delle ospiti si sente, a differenza dei colleghi maschi, obbligata a esibire, c'è il malinteso concetto per cui un essere umano che ha raggiunto la presunta liberazione dagli stereotipi possa usare i medesimi per divertirsi. [...] Ma giocare con i simboli, e con gli stereotipi, presuppone una consapevolezza così potente e così granitica del gioco medesimo che è molto difficile non restarne scottati.
  • Nel pendolo oscillante fra volgarità e neopuritanesimo, sembra essersi persa ogni traccia del concetto di individuo giudicabile per la propria storia e non per la propria appartenenza sessuale.
  • Da una parte si tornano a sospingere le donne, dolcemente e senza apparente clamore, verso il loro destino "naturale". Dall'altra, si dice loro che, magari a causa delle loro passate rivendicazioni, non ne sono più capaci. E hanno bisogno del massimo aiuto. Denigrare, da secoli, è stata la condizione prima per avvalorare l'inferiorità.
  • La contrapposizione fra donna e madre è questione antichissima. Per meglio dire, è antico, e utile, l'addomesticare e insieme il divinizzare e il mitizzare la maternità, facendone qualcosa di separato – in quanto superiore – dalla carnalità della femmina. [...] Nella mistica della maternità, la donna appartiene alla natura e insieme la trascende, in un destino glorioso che la riscatta e ne conferma l'alterità. Eppure, di questo concetto sembrava – ingenuamente – fosse stata fatta giustizia.
  • La creazione di un branco ostile soprattutto a se stesso, pronto a scagliarsi contro esemplari del proprio sesso, è la causa prima della subordinazione femminile.
  • Cosa c'è che non va, in Barbie? Perché la maggior parte delle scrittrici, per esempio, esprime il proprio odio nei suoi confronti in poesie e racconti brevi? A turbare, non è tanto quella seduttività precoce quanto negata, il suo essere sexy come un'adulta e asessuata come un giocattolo: Barbie è un ibrido, nasce da un incrocio fra le bambole di carta con un guardaroba da ritagliare e un sex-toy. Esibisce due seni da capogiro, ma che servono solo per sostenere a dovere le scollature, perché sono finti, levigati, privi di capezzoli. Rappresenta la donna secondo un concetto maschile: priva di quelle parti "segrete e terribili" che tanto indignavano, secoli fa, pensatori e padri della Chiesa. Incarna la femminilità ideale, muta e sigillata.
  • Riportare due modelli in territorio neutro significa chiudere il cerchio. Ammettendo, sia pure con le migliori intenzioni, la differenza fra generi nei gamers, si conferma che il genere esiste: anche in un ambito che dovrebbe trascenderli, come il videogioco.
  • La cattedra è donna. Benissimo, perché? Perché le donne continuano, ancora oggi, a pensarsi come coloro che si prendono cura degli altri, e non come professioniste? Perché quella di occuparsi di bambini è, ancora una volta, una "vocazione"? [...] Torna il divario fra l'idea della donna (e prima ancora, della ragazza e della bambina) autonoma, dura, persino pericolosa, e una realtà che dice altro. Ci viene raccontato che abbiamo a che fare con replicanti in miniatura della Sposa di Quentin Tarantino. Scopriamo di avere davanti a noi docili, e già frustrate creature, che si rassegnano quasi subito a un destino irrilevante.
  • Se si porta avanti la coazione a ripetere di meccanismi su cui soltanto raramente ci si interroga, si accetta e, purtroppo, si perpetua, quella che è stata da sempre la prigione delle donne: che sono state, per prime, vestali della situazione data, custodi della cultura dominante, carceriere delle proprie simili.
  • Capita sempre più spesso, negli ultimi tempi, di ascoltare voci di donne che rimpiangono ciò che con l'emancipazione si sarebbe perso: e, di conseguenza, lamentano quel mondo peggiore che, per colpa della femminilità smarrita, si sarebbe venuto a creare. Capitava anche in passato, peraltro, di imbattersi nella stessa teoria, magari rovesciata perché promulgata dagli uomini: quando la donna si afferma, la civiltà decade. In quanto, per eccesso di femminilizzazione, decade il maschile
  • La donna della grande letteratura, da Lotte a Emma, è sempre la proiezione del desiderio maschile: l'Innamorata è lo specchio di Narciso, un fantasma femminile creato dagli uomini affinché li insegua. Una trasfigurazione, certo: ma anche il più sublime dei modi per destinare la donna all'amore. E dunque relegarla ad Altro.
  • Dagli albori della civiltà la donna ascolta le voci dei morti e degli dèi, comprende il linguaggio del vento e degli animali, predice il futuro. [...] È colei che si oppone alla conoscenza intellettuale con un sapere, ancora una volta, Altro.
    La femmina come Altro è la prima questione che Simone de Beauvoir affronta scrivendo Il Secondo Sesso. Sa che la biologia non basta a fornire risposte sul perché la donna sia stata al di fuori del mondo maschile: e sa che è necessario capire, dunque, come la natura sia stata rielaborata – da altri – in lei nel corso dei secoli. Il più potente degli strumenti utilizzati in questa rielaborazione è stata la creazione – maschile – di un regno femminile dove trionfano la vita e l'immanenza, e dove le donne restano rinchiuse.
  • Nelle letture destinate alle bambine di oggi c'è qualcosa di peggio rispetto al modello di virtuosa bellezza che da sempre è loro riservato: è l'identificazione del loro destino con lo scopo, ben misero, di impegnarsi per rendersi piacevoli. Il prima possibile.
  • La storia della televisione italiana è stata costruita in gran parte sui corpi femminili in offerta: certo, in passato la discrezione era maggiore, ma quel che ha sempre caratterizzato i nostri palinsesti è stata una svestita ragazza sorridente ("Quanti canali porno avete in Italia!" allibisce la mia amica neozelandese dopo una sera di zapping fra Rai e Mediaset). E muta, finché si può.
  • La televisione è un bersaglio facile: prima a essere considerata l'uovo in cui cresce il male, prima nelle classifiche degli anatemi. Ma sul banco degli imputati è salita quasi sempre per i motivi sbagliati: film, cartoni, telefilm, spettacoli marcatamente basati sulla finzione come il wrestling. In misura molto minore, talk show o programmi di intrattenimento. Quasi mai, si è sottolineato che la televisione accoglie, ma non inventa un modello sociale.
  • Il fatto che esista, da parte dei fruitori bambini, la possibilità concreta di modificare un prodotto brutto, offensivo, volgare, non esime dalle proprie responsabilità chi quel prodotto ha realizzato. Il bersaglio dei difensori dell'infanzia è sbagliato: non è il mezzo, non è il pubblico. Sono quelli che hanno una visione scorretta di entrambi.
  • Insieme alla televisione, ai videogame, alla rete è cresciuto un pubblico più intelligente e consapevole. Ma all'interno di quel sistema si continuano a veicolare modelli inquietanti, conservatori e, sì, sessisti.
    Dunque, non è il sistema che non funziona, è chi dovrebbe farlo funzionare.
  • Cercando, si trova tutto quel che si desidera: il web funziona così. Nulla di strano, dunque, se i cacciatori di apocalisse escono ogni volta pienamente soddisfatti dal loro tour: perché, per quanto riguarda ragazzine e ragazzini, le chiavi di ricerca usate dagli osservatori adulti tentano di individuare soprattutto lap-dancers. Bulli. Suicidi. Pedofili. Pornografi. Satanisti. In un territorio sterminato, quel che si vuole trovare viene incontro con rapida accondiscendenza al solerte visitatore.
    Peccato. Perché l'insistenza sui pericoli di Internet costringe alla solita manovra di retromarcia, porta a difendere il tutto per la parte. E a ripetere ancora una volta che il sistema è innocente e anzi virtuoso (perché è proprio grazie alla rete che è possibile rielaborare e rovesciare contenuti mediocri e antichi stereotipi): e sono semmai coloro che vi inseriscono concetti e modelli molto simili a quelli reperibili off line, o reiterano comportamenti irridenti e offensivi, a confondere ancora una volta le acque. Sapendo che, nel web, è addirittura più facile.

Di mamma ce n'è più d'una[modifica]

Incipit[modifica]

Dove eravamo rimaste, e rimasti, tutti quanti?
Me lo chiedo il primo giorno del 2012, davanti a un cesto foderato di tovaglioli rossi e traboccante di muffin. Due gusti, vaniglia e cioccolato. I muffin sono al centro del tavolo, illuminati dalle candele. Guardo i volti delle altre donne chini sul cesto, con gli occhi brillanti di ammirazione e invidia per chi ha preparato il dono. "Ancor che falso, il dono / è reale e lo accetto", scriveva Pessoa. Non ha senso interrogarsi, mi dico ancora: sono solo dolcetti.
È stata una mamma a cucinare i muffin. Una mamma: è così che si presenta e questo soltanto saprò di lei. Sto bevendo un bicchiere di vino a casa di amici, nelle Marche, per festeggiare un anno che si annuncia – e sarà – difficilissimo. Gli amici hanno invitato i compagni di scuola del figlio e i loro genitori, per non farlo sentire solo, come spesso avviene ai figli unici. Dunque, le donne che siedono con me al tavolo, davanti al cesto, alle candele e alle briciole del panettone, sono presenti in quanto madri di bambini che condividono la stessa sezione di una scuola elementare romana. Questo è lo status che le caratterizza in quel momento e che non si dissolverà nel corso dell'intera serata. Né della cuoca, né delle altre, conoscerò nulla: non il loro lavoro, non i loro gusti, i loro sogni, i loro desideri. Non ne conoscerò neanche il nome: da frammenti di conversazione, saprò solo che sono la mamma di Gianluca, la mamma di Paola, la mamma di Francesco. Mentre Gianluca, Paola e Francesco si rincorrono, litigano e giocano per le scale della grande casa di campagna, le mamme esibiscono alla tavolata i propri segni di riconoscimento e le proprie medaglie: una teglia di lasagne, un torrone fatto in casa, il vassoio dei muffins.
È tutto normale, cosa c'è che non va?

Citazioni[modifica]

  • Bisognerebbe smettere di considerare la faraona al profumo di uva la spia dell'antifemminismo, come per anni è avvenuto, e come ancora avviene, tramandando l'idea, specie presso le più giovani, che il movimento sia stato e sia una faccenda di prescrizioni e rimbrotti, di mutande infilate alle statue e di invidia dei culi sodi. Bisognerebbe, ed è bene dirlo e ridirlo, che ogni donna e uomo potessero considerare i propri gesti e le proprie passioni non come aderenti a un modello, ma come scelta. Bisognerebbe che fossero, quelle donne e quegli uomini, liberi dalle costrizioni e dalle fazioni.
  • Dunque, è la maternità il nodo. Prima negata (perché bisognava contrattarla con il datore di lavoro, con il compagno, con se stesse), ora trionfante e apparentemente esclusiva. Il pendolo oscilla ancora, e i punti che tocca sembrano essere sempre e solo due: l'emancipata e la madre, la pornofila e la moralista, l'escort e la femminista che la insegue per redimerla, e già che ci siamo coprirle le tette. Due modelli: invece di dieci, cento, miliardi. La rappresentazione delle donne non riesce a essere prismatica. È sempre, e solo, a due facce.
  • Anche la maternità è un Palazzo d'Inverno: dove è splendido aggirarsi ma da dove non si può uscire. A meno di non abdicare, condividendo quel che ci è stato attribuito come esclusivo: perché potere e libertà si elidono e per secoli la maternità è stato l'unico potere concesso alle donne. Dovrebbe inquietare il fatto che oggi torni a essere prospettato come il più importante, l'irrinunciabile, il naturale, il primario. Lo ribadiscono televisione, giornali, libri, pubblicità. Nelle narrazioni, in assoluto, si torna a raffigurare la donna soprattutto in quanto madre in nome della ritornante "naturalezza". Ma anche se così fosse, ha poco di naturale l'idea di una felicità costruita sull'idea di una scelta obbligata [...] Non è naturale l'idea di voler plasmare se stesse e i propri figli secondo lo spettro di una perfezione impossibile. Non è naturale l'ossessione contro l'Artificio (dalle medicine alla scuola). È semplicemente l'aggiornata declinazione di una gabbia che imprigiona la madre e il figlio. Un'utopia malvagia. Una dis-topia.
  • Eppure basterebbe cedere lo scettro, per difficile che sia. Basterebbe riaffermare, con forza, che non esiste un solo modo di essere madre, che non è vero – non necessariamente – che si partorisce nel dolore e che l'aborto è un lutto insuperabile, e che anzi la parola dolore e la parola sacrificio non si coniugano automaticamente per tutte le donne del mondo. Basterebbe ribadire che non importa se il figlio o la figlia non sono capolavori viventi, ma che sono meravigliosi in quanto esseri imperfetti e oggetto di imperfetto amore. Basterebbe sottolineare che non è necessario diventare madri per essere, ebbene sì, felici: perché le donne che scelgono di non esserlo non hanno voce, sono un'anomalia, una stortura, ancora oggi.
  • Il materno cattolico preme su tutte le caratteristiche che si stringono come catene anche sulla vita delle laiche: la "naturale vocazione alla cura", "l'eroismo spirituale" (con la beatificazione delle madri che rifiutano di curarsi dal cancro per mettere al mondo un figlio), la virtù salvifica nei confronti dell'intero universo. [...] Quando la generale ansia di maternità dell'Occidente si innesta su questa cultura, il cortocircuito è pesante. Uso la parola ansia invece di desiderio, giusto, legittimo, sacrosanto, di mettere al mondo un figlio. L'ansia riguarda il talento futuro di quel figlio, che deve avere le caratteristiche di un piccolo messia.
  • Eppure, teoricamente, avere un figlio non è più "naturale", consequenziale, strettamente legato alla biologia, né necessario per l'economia familiare. Da quando esistono gli anticoncezionali, non dovrebbe essere più così. Da quando esiste il capitalismo, non sembrava essere più così. Le possibilità apparivano infinite, e così le scelte: di una scelta consapevole e profonda dovrebbe dunque essere conseguenza la nascita di un bambino.
  • Per quanto nascosto nel pozzo nero delle emozioni inconfessabili, il sottile disprezzo verso le infertili esiste. Si dice ancora "non è stata capace" di una donna che non riesce ad avere figli. Capace, abile. Come se dipendesse dal talento. Di contro, essere madri viene percepito come uno status che accomuna. Noi madri. Noi che sappiamo. Noi che ci capiamo. Noi che ci siamo passate. Noi che diamo la vita. Per molte donne, "in quanto madri" si dovrebbe avere diritto di parola su tutto: come se partorire rendesse, di per sé, atte alla comprensione delle leggi dell'universo.
  • Le prime ore di vita sono determinanti: coloro che hanno avuto un figlio o una figlia nati dopo un parto difficoltoso, o prematuro, lo sanno. Conoscono ogni variazione dei monitor, soppesano il tono di voce e decifrano lo sguardo del neonatologo più allenato a mentire: ventiquattro ore, quarantotto, l'importante è che il tempo passi, l'importante è mettere minuti, poi ore, poi giorni fra quella nascita così sottile, così fragile, e il futuro, l'importante è guadagnare possibilità di vita.
  • Ma la scelta di restare a casa ha anche un altro aspetto che va emergendo negli ultimi anni. Non solo resa, ma, per molte, anche rivoluzione silenziosa, un "no" detto a un sistema che non condividono, un rifiuto del capitalismo, un boicottaggio che, però, difficilmente si rivela libero fino in fondo nel momento in cui vengono a mancare le condizioni sociali che lo renderebbero tale e che consentirebbero a tutte le altre di scegliere diversamente. E dunque, meglio sostenere che i figli non vanno affidati agli estranei, e che in fondo le proprie madri sbagliavano nel volere tutto: tutta la felicità del materno, tutta la vastità del mondo.
  • Perché si può essere "culturali" quanto si vuole, ma infine il concetto di sacrificio – concetto cattolico radicatissimo nella nostra vita – è quello che ti morde il cuore. Se non ti sacrifichi, non sei. Questo, temo, è il vero punto della "diversità" italiana: un paese che santifica le madri, e dove le madri sono talmente intrise del concetto di sacrificio, volenti o nolenti, che nei fatti hanno ottenuto pochissimo in termini di riconoscimento sociale. Perché comunque quello è il "loro" compito, e perché, se si chiama in causa la Natura, non si può che riferirsi alla donna, tagliando fuori il padre se non come colui che vigila sulla simbiosi madre-figlio. Dunque si re-genderizzano i ruoli, e pesantemente.
  • Non si è perfette, né lo si diventerà. Si camminerà insieme. Si imparerà a distinguere una colica dalla malinconia, si riconosceranno i gradi di febbre da un bacio sulla fronte. Non è istinto, è esperienza. Non è natura, è, appunto, cultura. E amore, che è un sentimento imperfetto, anche se potente.
  • Il problema è che la società narcisista in cui ci troviamo a vivere fa di ogni esperienza individuale l'esperienza perfetta, e dunque trasforma ogni singola maternità in paradigma. La Madre sono io, ed è la Mia strada quella da seguire: le altre non sono valide, e vengono messe in caricatura. La madre-lavoratrice irride la mucca da latte chiusa in casa, la madre-madre sottolinea ferocemente il tacco a spillo e il biberon della Nemica. Sullo sfondo, restano tutte le questioni sociali e di supporto alla maternità. Perché il branco è il primo modo di reiterare una posizione di subalternità.
  • Quando si appartiene alla Natura, quando si viene identificate con colei che protegge e nutre (e a volte distrugge), e non con un essere che può scegliere di fare altro rispetto al proprio compito "innato", le sbarre sono evidenti, e difficilmente si abbattono.
  • E allora, forse le madri, per liberare se stesse, dovrebbero scendere dall'altare dove, è vero, sono state poste: ma dove ancora più spesso si pongono. Forse il patriarca non esiste più, ma la matrona non è mai scomparsa. Dovrebbero esistere, invece, due persone libere e innamorate, che desiderano stare con i propri figli senza farne dei messia. Non deve salvare il mondo, quel bambino indaco, deve vivere nel mondo. Non deve essere speciale, deve essere se stesso. E le madri, e i padri, e i figli, sbagliano, come tutte le imperfette creature che camminano nel mondo. Devono essere liberi di poterlo dire e di staccarsi dall'immagine che di loro viene consegnata. Perché la strada che farà delle donne individui davvero uguali agli uomini va percorsa in due. Anche in tre va benissimo. Purché si percorra insieme.

Non è un paese per vecchie[modifica]

Incipit[modifica]

È il 1967. Time dichiara uomini dell'anno i twenty-five and under e, per la prima volta nella storia, consegna il potere ai giovani. Il giovane in questione – il maschio bianco al centro della copertina – accoglie l'onore senza scomporsi. Nell'illustrazione, indossa con elegante noncuranza giacca e cravatta: poiché i tempi richiedono, ancora per poco, la forma. I capelli, lisci e chiari, sono ben pettinati, gli occhi brillano, la bocca è dischiusa in atteggiamento fiero. Non c'è dubbio: il ragazzo conquisterà il mondo, o comunque abiterà in una confortevole porzione del medesimo.
Non è solo: alle sue spalle c'è una ragazza, ma di lei si vede solo metà del volto, anche se il suo sorriso sembra più aperto e caldo di quello del compagno. Del resto, la ragazza è colei che probabilmente aiuterà il twenty-five and under nel suo cammino trionfale, ma rimanendo sempre un passo indietro, fuori dal cono di luce dei riflettori. Invecchiando, potrà rimasticare la vecchia frase "dietro un grande uomo c'è una grande donna" e rendersi conto che la rivoluzione di cui, a detta di tutti, è stata protagonista, l'ha lasciata ancora una volta ai margini. A metà, meglio: come il suo visto. Dietro di loro, infine e quasi sullo sfondo, il profilo di un ragazzo nero e il volto di un asiatico garantiscono una fratellanza interrazionale che verrà rispettata a fatica.
Il mito nasce così. La copertina di Time non fa che sancire, come avverrà molto più avanti con il famoso You dell'era Internet, l'affermarsi di un processo reale nel mondo simbolico. Da quel momento, tutto quel che è nuovo, originale, trasgressivo, tutto quello che, in poche parole, costituisce il motore primo del progresso culturale, sociale, economico, verrà dalla giovinezza. Perché i giovani possono tutto. Il ragazzo biondo della copertina – si legge nell'articolo – polverizza un record di atletica, guida un razzo spaziale, gira un documentario nel ghetto di Manhattan, può ballare tutta la notte, accendersi una sigaretta, innamorarsi di Jackie Kennedy. Il mondo gli viene consegnato con speranza e un pizzico d'invidia.

Citazioni[modifica]

  • A giudicare dagli umori collettivi, i vecchi andrebbero – metaforicamente o meno – uccisi. Come in Diario della guerra del maiale di Adolfo Bioy Casares: dove i giovani di Buenos Aires decidono di colpo che chiunque più di cinquant'anni è inutile alla società, e dunque va cacciato e sterminato. Andrebbero cancellati, come ne Il signore delle mosche di Golding: dove si realizza il sogno oscuro di ogni adolescente: un mondo senza adulti. Andrebbero eliminati, come nel racconto L'esame di Richard Matheson, dove ogni anziano che non è più in grado di superare un test psicofisico deve venire ucciso.
    I vecchi non meritano difesa, in una società dove i figli sono più infelici dei padri: infelicità reale, ma forse non completamente attribuibile alle deprecate pensioni dei nonni . Anche perché, molto spesso, sono proprio gli anziani ad essere i garanti delle famiglie: secondo il rapporto Istat del luglio 2009, "soltanto le famiglie con almeno un componente anziano mostrano una diminuzione dell'incidenza di poverta' (dal 13,5% al 12,5%) che è ancora più marcata in presenza di due anziani o più (dal 16,9% al 14, 7%)."
  • Tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 tre anziani muoiono tra le fiamme nella provincia di Lucca: la vestaglia di Veronica, 80 anni, prende fuoco quando la donna passa troppo vicino a un fornello. Liliana viene consumata da un incendio misterioso. Giuseppina dormiva quando un corto circuito della presa elettrica sotto il suo letto ha scatenato le fiamme. A Voltri, nel marzo 2008, i pompieri sfondano una porta e si trovano davanti il cadavere di Maria, 84 anni. Suo fratello Giovanni, 82, è semisvenuto. A Roma, nello stesso periodo, un'altra porta viene abbattuta: dietro c'è una donna morta da dodici ore. Aveva 88 anni. Nell'altra stanza, due parenti ancora vivi: due ultraottentenni invalidi che da lei erano accuditi. A Genova, il giorno di Santo Stefano, qualcuno ha l'idea di bussare alla porta di Edda e Ottavio per fare gli auguri. Erano morti da una settimana.
    Nel gennaio di quello che sarà il suo ultimo anno di vita, il 2009, la poetessa Alda Merini sbotta: "è una vergogna: i vecchi in questa città vengono trattati come carta igienica". E aggiunge: "C' è indifferenza, a Milano, ed è il crimine più grosso. Si è tanto parlato della violenza del branco contro le ragazze, ed è certamente un fatto orribile, ma c' è una violenza sotterranea che non è meno feroce. Una persona che muore da sola e nessuno se ne accorge è davvero il silenzio degli innocenti".
  • Ulteriore questione: all'interno dello stereotipo di genere – interno, a sua volta, a quello dell'età – si trova, come in una scatola magica, uno stereotipo ancora più sottile, ma non meno insidioso. Quello della negazione.
    Occorrerebbe Goethe per spiegarlo. Occorrebbe il suo Faust, quando esclama. "Nemmeno un cane potrebbe vivere più a lungo così!". Certo che puoi, certo che devi, gli verrebbe risposto oggi. Il parmigiano reggiano – quello che propone come esempio di buona crescita un gruppo di bambini dove i maschi sono esploratori e scienziati e le femmine fanno le infermiere – mette accanto due donne e ammicca: "Ti scambiano per tua figlia?". Ecco: lo scambio madre figlia è il più frequente nelle campagne rivolte alle donne: che si tratti di creme o di prodotti dietetici, di cosmetici o di abiti, il parallelo viene ripetuto impietosamente. È la versione aggiornata e consumista della fiaba di Biancaneve, laddove a Grimilde viene proposto non di vivere come è stata fino a quel momento e come continua ad essere, semplicemente con alcuni anni in più, ma di vendicarsi, infine e una volta per tutte, della figliastra. Non serve avvelenarla, puoi essere lei. Per una madre, dovrebbe essere una proposta terribile: ma risulta seducente come la più fatale delle tentazioni di Mefistofele.

Incipit di alcune opere[modifica]

Sopdet. La stella della morte[modifica]

Questa notte è Halloween e i morti busseranno alle porte dei vivi, e i vivi non se ne accorgeranno perché saranno troppo occupati a giocare con la loro idea di morte. Cilla, che adesso mastica una gomma ascoltando i Second Hand Serenade, verrà sfiorata da piccole mani gelate: quelle di suo fratello Simone, portato via a cinque anni da una meningite, quando lei ne aveva appena due. Lui le soffierà in viso tre parole: Perché non tu?. Ma Cilla non le sentirà: sbatterà le palpebre, si chiederà se non per caso non c'era troppo rum nella Coca Cola e sorriderà a Marco della IV E.

Tanit. La bambina nera[modifica]

Non ci sono stelle. È il 24 febbraio 2008.
I titoli dei quotidiani (sette colonne, caratteri così grandi che sembrano fiammeggiare) ribadiscono lo stesso concetto con poche varianti. "Roma violenta". "Sangue sulla capitale". "Notte di follia". Marcello li ha ripiegati e impilati sulla scrivania dopo averli letti. Li ha quasi imparati a memoria, anzi, da quando, stamattina, ha sbirciato dal giornalaio la prima pagina di «Repubblica».

Bibliografia[modifica]

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