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Julius Evola

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Julius Evola

Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola (1898 – 1974), filosofo, pittore, poeta, scrittore ed esoterista italiano.

Citazioni di Julius Evola

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  • Debbo pochissimo all'ambiente, all'educazione, alla linea del mio sangue. In larga misura, mi sono trovato in contrasto sia con la tradizione predominante in Occidente – il cristianesimo e il cattolicesimo – sia con la civiltà attuale, col “mondo moderno” democratico e materialista, sia con la cultura e la mentalità prevalenti nella nazione in cui sono nato, l'Italia, sia, infine, col mio ambiente familiare. Se mai, l'influenza di tutto ciò è stata indiretta, negativa: in me ha favorito solo delle reazioni. (da Il Cammino del cinabro, saggio introduttivo di Geminello Alvi, Edizioni Mediterranee, Roma, 2014, p. 22. ISBN 978-88-272-2484-7)
  • Così è giusto quel che il Praz ha notato a tale riguardo, cioè che, volendo godere del piacere della trasgressione, della violenza contro ciò che è, il sadista non avrebbe altra scelta che la pratica della bontà e della virtù, perché proprio esse significherebbero l'anti-natura e l'anti-Dio, una rivolta e una violenza contro ciò che [...] costituirebbe il fondo ultimo – malvagio – della creazione. (da La Metafisica del sesso, Edizioni Mediterranee, Roma 1994, p. 136)
  • È nella battaglia stessa che occorre risvegliare e temprare quella forza che, di là dalle bufere del sangue e degli stenti, con nuovo splendore e con pace potente propizierà una nuova creazione.
    Per questo, oggi si dovrebbe apprendere di nuovo sul campo di battaglia la pura azione, l'azione non solo nel significato di ascesi virile, ma anche di purificazione e via verso forme di vita superiori, valide in sé e per sé — il che, però, significa in un certo modo proprio un ritorno alla tradizione primordiale ario-occidentale.[1]
  • Fra gli appartenenti a questo gruppo operativo [di UR] due elementi almeno erano dotati di reali poteri. Quanto alle finalità, quella più immediata era il destare una forza superiore da servire d'ausilio al lavoro individuale di ciascuno, forza di cui eventualmente ciascuno potesse far uso. Vi era però anche un fine più ambizioso, cioè l'idea che su quella specie di corpo psichico che si voleva creare potesse innestarsi, per evocazione, una vera influenza dall'alto. In tal caso non sarebbe stata esclusa la possibilità di esercitare, da dietro le quinte, un'azione perfino sulle forze predominanti nell'ambiente generale di allora. Quanto alla direzione di tale azione, i punti principali di riferimento sarebbero stati più o meno quelli di Imperialismo Pagano e degli ideali «romani» di Arturo Reghini. (da Il Cammino del Cinabro, cap. 5, "Il Gruppo di Ur", terza edizione corretta e aumentata, a cura di Gianfranco de Turris, Andrea Scarabelli, Giovanni Sessa, Roma, Edizioni Mediterranee, 2014)
  • In Trilussa si deve riconoscere un carattere, che si mantenne uguale a se stesso sia prima che durante il fascismo e che ebbe in proprio il coraggio della verità. [...] Di Trilussa, io ero amico, ed egli ben sapeva come le mie idee fossero tutt'altro che democratiche. Non basta. Trilussa stesso non giudicava antifascista l'orientamento delle sue satire e della sua poesia, nelle loro incidenze politiche. (da Una favola su Trilussa, Roma, 23 gennaio 1972; disponibile su Heliodromos.it)
  • La vita deve esser volontà diretta da un pensiero [...]. (da La tradizione ermetica, Edizioni Mediterranee, Roma 2013, p. 128)
  • Vivi come se tu dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai.[2][3]
  • Per un organizzarsi davvero efficace delle forze nazionalmente orientate una delle condizioni preliminari è il superamento del personalismo. Il personalismo è fra le disposizioni infelici del popolo italiano, specie nei suoi strati intellettuali, ed esso oggi persiste e si afferma anche fra i gruppi a noi idealmente più vicini, con effetti visibili e deprecabili di frazionamento, di dispersione delle energie, di distorsione. (da "Il flagello del personalismo", «Rivolta Ideale», 1951)
  • È stato denunciato più di una volta il carattere di decadenza che il moralismo presenta di fronte ad ogni superiore forma di legge e di vita. In realtà, affinché un "ordine" abbia valore, esso non deve significare né routine né spersonalizzante meccanicizzazione. Bisogna che esistano delle forze originariamente indomite, le quali conservino in una qualche maniera e misura questa loro natura anche presso la più rigida aderenza ad una disciplina. (da "La famiglia quale unità eroica", «Fedeltà Monarchica», Anno X, n.3, aprile 1970)
  • Dove il fascismo presentò un carattere «totalitario» devesi dunque pensare ad una deviazione dalla sua esigenza più profonda e valida. In effetti, Mussolini ha potuto parlare dello Stato come di «un sistema di gerarchie» – gerarchie che «debbono avere un'anima» e culminare in una élite: ideale, che evidentemente è diverso da quello totalitario. [...] Del resto, ci si potrebbe riferire allo stesso simbolo del FASCIO LITTORIO, da cui il movimento di rivoluzione antidemocratica e antimarxista delle Camicie Nere trasse il suo nome e che, secondo una frase di Mussolini, doveva significare «unità, volontà e disciplina». Infatti il fascio si compone di verghe distinte unite intorno ad un'ascia centrale la quale, secondo un simbolismo arcaico comune a molte antiche tradizioni, esprime la potenza dall'alto, il puro principio dell'imperio. Si ha dunque unità e, insieme, molteplicità, organicamente unite e in sinergia, in visibile corrispondenza con le idee poco sopra accennate. (da Fascismo e Terzo Reich, Edizioni Mediterranee, Roma 2013, p. 51)
  • [ Mussolini ] aveva un'autentica paura per gli iettatori di cui vietava si pronunciasse il nome in suo cospetto. (da Il cammino del cinabro, citato in: Marcello Veneziani, Imperdonabili, Venezia, 2017, ISBN 978-88-317-2858-4, p. 179)
  • [Dalla dichiarazione di Evola durante il processo del 1951] In realtà, le idee che ho difeso e che difendo, da uomo indipendente (…) non sono da dirsi «fasciste» bensì tradizionali e controrivoluzionarie. (…) io nego tutto ciò che, direttamente o indirettamente, deriva dalla Rivoluzione francese, a ciò contrapponendo il Mondo della Tradizione. (...) I miei principi sono solo quelli che prima della Rivoluzione francese ogni persona ben nata considerava sani e normali. (da Gli Uomini e le Rovine, Edizioni Mediterranee, Roma 2013, p. 43)
  • Nel mondo tradizionale, che per noi è quello retto dai principî dell'autorità e della sovranità, della gerarchia dell'ordinamento dall'alto e verso l'alto – tutto ciò che è “patria” o “nazione” – ethnos – non ebbe un significato politico ma soltanto naturalistico: si è di una patria o nazione come si è di una data famiglia. L'ordine politico in senso proprio corrispondeva invece al principio dello Stato (in genere, concretizzatesi in monarchie e in dinastie) o dell'impero come unità sovrordinata rispetto a nazione o "popolo". È così che si ebbero formazioni politiche in cui patrie e nazioni ebbero bensì il loro posto, ma non come fattori determinanti, invece come semplice "materia" della gerarchia complessiva. E non sembrava strano, a tale stregua, che, per esempio, per combinazioni dinastiche, per matrimoni o successioni, un popolo passasse a far parte di uno Stato diverso: da ciò esso non si sentiva per nulla snaturato, appunto per via del carattere sopraelevato del principio politico. Tale situazione aveva anche una controparte etica: l'appartenenza allo Stato era legata ad una fedeltà, cioè presupponeva un atto libero, volontario (i vincoli feudali ne erano già stati forma eminente). L'essere di un popolo o di una nazione è invece qualcosa di semplicemente dato, di naturalistico. (Dietro le quinte della storia. Il vero volto del Risorgimento, L'Italiano n. 3, marzo 1959)
  • Queste, sono chiare parole. Questi sono i termini della partita, e al giuoco non si bara. Inutile cercar qualcuno dietro di noi: dietro di noi non si troverà mai che un'idea, alla quale subordiniamo assolutamente le nostre persone. Perciò, che gli scoiattoli e le bisce si rassegnino: le mura lisce de "La Torre" non offrono loro alcuna presa. "La Torre" non si scala che passando per la porta maestra: sulla quale noi stiamo ad attender chiunque si faccia innanzi, cortesi e cavallerescamente ospitali per gli uomini leali, siano pur essi dei nemici; inesorabili per i vili e i mistificatori. (da "Cose a posto e parole chiare", da La Torre)
  • Possiamo pensare un concetto di Impero, visibile oltre che invisibile, avente una unità materiale oltre a quella spirituale. Si realizza un simile Impero, quando presso all'universalità come conoscenza si abbia anche l'«universalità come azione». Qui, per riferimenti storici, potremmo indicare la Cina antica, Roma, in parte, di nuovo il medioevo nel movimento delle Crociate da un lato, nell'Islamismo dall'altro. (da Vita italiana: rassegna mensile di politica, Roma 1931, p. 336)
  • Il bisogno del sovrannaturale sta nel profondo della natura umana e non si può negarlo senza mutilare questa natura stessa. (da Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Bocca, Milano 1932)
  • Compito essenziale che oggi si pone all'uomo differenziato: "Far che ciò su cui non si può far nulla, nulla possa su di noi". (da La dottrina del Risveglio, Edizioni Mediterranee, Roma 2013, p. 257)
  • A partir da un dato punto, non è più per il sangue, non più per gli affetti, non più per la patria, non più per un umano destino che potrai ancora sentirti unito a qualcuno. Unito ti potrai sentire solo con chi è sulla tua stessa via. (da Introduzione alla Magia quale scienza dell'Io, Gruppo di Ur – a cura di Julius Evola, Edizioni Mediterranee, Roma 1987, p. 173)
  • Il mondo è libero: scopi e ragioni, «evoluzione», fato o provvidenza, tutto ciò è nebbia, è cosa inventata da esseri che non sapevano ancora andare da sé e abbisognavano di dande ed appoggi. (da Introduzione alla Magia quale scienza dell'Io, Gruppo di Ur – a cura di Julius Evola, Edizioni Mediterranee, Roma 1987, p. 171)
  • Fu nel 1717 che, con l'accennata fondazione della Grande Loggia di Londra e col subentrare della cosiddetta «massoneria speculativa» continentale, si verificarono il soppiantamento e l'inversione di polarità, di cui si è detto. Come «speculazione» qui valse infatti l'ideologia illuministica, enciclopedistica e razionalistica connessa ad una corrispondente, deviata interpretazione dei simboli, e l'attività dell'organizzazione si concentrò decisamente sul piano politico-sociale, anche se usando prevalentemente la tattica dell'azione indiretta e manovrando con influenze e suggestioni, di cui era difficile individuare l'origine prima.
    Si vuole che questa trasformazione si sia verificata solo in alcune logge e che altre abbiano conservato il loro carattere iniziatico e operativo anche dopo il 1717. In effetti, questo carattere si può riscontrare negli ambienti massonici cui appartennero un Martinez de Pasqually, un Claude de Saint Martin e lo stesso Joseph de Maistre. Ma devesi ritenere che questa stessa massoneria sia entrata, per altro riguardo, essa stessa in una fase di degenerescenza, se essa nulla ha potuto contro l'affermarsi dell'altra e se, praticamente, da questa è stata alla fine travolta. Né si è avuta una qualsiasi azione della massoneria, che sarebbe rimasta iniziatica, per diffidare e sconfessare l'altra, per condannare l'attività politico-sociale e per impedire che, dappertutto, essa valesse propriamente e ufficialmente come massoneria. (da Il mistero del Graal, saggio introduttivo di Franco Cardini, appendice e bibliografia di Chiara Nejrotti, Edizioni Mediterranee, Roma, 2013, p. 216. ISBN 978-88-272-2277-5) (p. 216)
  • [...] nel Woltmann l'ideologia razzista assume una tinta germanica così spiccata, che egli non tollera l'unione dei Tedeschi neanche con altri rami della famiglia nordico-germanica; che egli è ben lontano dalle idee "pan-ariane" sul tipo di quelle che vedremo difese dal Chamberlain; che è addirittura l'uomo germanico che egli si sforza di scoprire in tutte le personalità superiori apparse nei popoli vicini alla Germania; che, infine, è alla razza germanica che egli attribuisce la funzione di «stringere la terra nel suo dominio» e di «fare delle razze passive dei semplici organi subalterni per lo sviluppo della sua civiltà», «Papato e impero – giunge a dire il Woltmann – sono entrambi istituzioni germaniche, strumenti di un dominio destinati ad assoggettare il mondo.» (da Il mito del sangue, Collezione Hoepli, 1937, Edizione digitale 2018, cap. III)
  • Si accende un gran fuoco. Al luogo di vino si beve rum e Kirsch. Si balla. Giunti ad uno stato intenso, si discute. Poi si esce. Ciò significa: passaggio ai 22 gradi sotto zero. L'idea è stata: andiamo sul lago. È notte alta. Immaginate una lastra immensa di cristallo nero, della levigatezza esatta di uno specchio che dura chilometri: il lago gelato. I monti nevosi dei due fianchi della valle e il cielo inverosimilmente costellato si riflettono in questa lastra con una nitidezza magnetica, per cui vi trovate fra un doppio miraggio, fra una doppia trasparenza. Pensate che cosa sia andar avanti senza pattini verso il centro, fra il vento del Nord, nell'equilibrio fisico e spirituale di una lucida ebbrezza in cui alcool, natura ed esaltazione interiore concorrono – concepire questo forse è possibile. Non è però possibile concepire, per chi non l'ha provato, che cosa è in queste condizioni l'esperienza della frattura dei ghiacci subacquei.
    La notte, per l'ulteriore dislivello di temperatura, accade che gli strati profondi del ghiaccio in contatto con le acque del lago si spezzano. Si produce allora uno scroscio ed un boato che si ripercuote paurosamente attraverso l'intera distesa gelata del lago e passa infine agli stessi echi della valle. Pericolo, nessuno. Tali fratture non raggiungono la superficie. Ma sentire ad un tratto sotto di sé lo scroscio che diviene un boato immenso che tutta la montagna ripete, è quasi sentir la voce stessa della terra, è aspettarsi un abisso che si spalanca – è insomma qualcosa che sommuove il sangue fino all'intimo, come solo il terremoto lo può: è il risveglio di una sensazione primordiale, meravigliosa e paurosa, dormente in chi sa quali arcaici strati della nostra entità più profonda.[4]
  • Alle 11,30 siamo in vetta. La nostra ascensione ha durato esattamente cinque ore e mezza. [...] Il giorno è divenuto superbo, splendente. E ora, dopo l'azione, la contemplazione.
    È l'ora delle cime e delle altezze, qui dove lo sguardo si fa ciclico e solare; dove, come larva di febbre, svanisce il ricordo delle piccole preoccupazioni, dei piccoli uomini, delle piccole lotte della vita delle «pianure»; dove non esiste che cielo, e nude libere forze che rispecchiano e fissano l'immensità nel coro titanico delle vette. «Molti metri sopra il mare, molti più sopra l'umano» – fu già scritto da Federico Nietzsche.[5]

Cavalcare la tigre

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  • L'"altro mondo" investito dal nichilismo europeo, da esso presentato come una pura illusione o condannato come una evasione, non è un'altra realtà: è un'altra dimensione della realtà, quella dove il reale, senza essere negato, acquista un significato assoluto, nella nudità inconcepibile dell'essere puro.
  • Dopo che ogni sovrastruttura è stata respinta o distrutta, e che per sola base si ha il proprio essere, il senso ultimo nell'esistere nel vivere, può scaturire unicamente da una relazione diretta e assoluta fra questo essere (fra ciò che si è determinatamente) e la trascendenza (della trascendenza in sé).
  • Non vi è oggetto del piacere bramoso o passivo che non possa, in via di principio, essere anche oggetto del piacere eroico o positivo, e viceversa.
  • Il complesso del "peccato" è una formazione patologica nata nel segno del Dio-persona, del "Dio della morale". La conoscenza di un errore commesso al posto del senso del "peccato" è stato invece un tratto caratteristico delle tradizioni a carattere metafisico.
  • Valida anche per noi è, pertanto, la concezione dell'Existenz come presenza fisica dell'Io nel mondo (in una forma e situazione determinata, concreta e irripetibile) e, ad un tempo, come presenza metafisica dell'Essere (della trascendenza) nell'Io. Su questa linea, un certo esistenzialismo potrebbe ricondurre ad un altro punto da noi già fissato, all'istanza di un antiteismo positivo, al superamento esistenziale del Dio-persona, oggetto della fede o del dubbio. Il centro dell'Io essendo misteriosamente il centro dell'Essere, "Dio" (la trascendenza) è certo, non come un contenuto di una fede o di un dogma, ma come presenza nell'esistenza e nella libertà.
  • Metafisicamente la nascita è un cambiamento di stato e la morte è un altro cambiamento di stato; l'esistenza nella condizione umana, sulla terra, non è che una ristretta sezione in un continuum, in una corrente che attraversa stati multipli.
  • Da un certo tempo buona parte dell'umanità occidentale considera come cosa naturale che l'esistenza sia priva di ogni vero significato e non debba essere ordinata a nessun principio superiore, per cui si è acconciata a viverla nel modo più sopportabile, meno spiacevole possibile. Ciò ha tuttavia come controparte e conseguenza inevitabili una vita interiore sempre più ridotta, informe, labile e sfuggente, una crescente dissoluzione di ogni dirittura e di ogni qualità di carattere.
  • La relazione fra questo orientamento e un ambiente ormai privo di senso è data dall'opposizione esistenzialistica fra 'autenticità' e 'inautenticità'. L'Heidegger parla dello stato di inautenticità, di tramortimento di "copertura" di se stessi o di fuga da se stessi proprio al trovarsi, all'"esser gettati" nell'anòdina esistenza pubblica quotidiana con le sue "evidenze", le sue chiacchiere, i suoi equivoci, i suoi grovigli, le sue utilità, le sue forme di "tranquillizzazione" e di "deiezione", con le sue diversioni evasionistiche. L'essere autentico si annuncia e si propone quando si sente il nulla quale sottofondo di quell'esistenza e si è richiamati al problema del proprio essere più profondo, di là dall'Io sociale e dalle sue categorie.

Gli Uomini e le Rovine

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  • Il riconoscimento da parte dell'inferiore è la base di ogni gerarchia normale e tradizionale. Non è il superiore che ha bisogno dell'inferiore, ma è l'inferiore che ha bisogno del superiore.
  • Compito essenziale è dunque formulare una adeguata dottrina, tener fermo a principi rigorosamente pensati e, partendo da ciò, dar forma a qualcosa di simile, appunto, ad un Ordine. Questa élite, differenziandosi su un piano che si definisce in termini di virilità spirituale, di decisione e di impersonalità, su un piano dove cessa di aver forza e valore qualsiasi vincolo naturalistico, sarà la portatrice di un nuovo principio di imprescrivibile autorità e sovranità, saprà accusare la sovversione e la demagogia in qualunque forma esse si presentino, arresterà il moto discendente del vertice e ascendente della base. Da essa, come da un seme, potrà trarre vita un organismo politico e una integrata nazione, in una dignità non diversa da quelle già create da una grande tradizione politica europea. Tutto il resto non è che pantano, dilettantismo, irrealismo, obliquità. (p. 80)
  • La libertà va intesa e difesa in modo non meno qualitativo e differenziato della stessa persona; ognuno ha la libertà che gli spetta, misurata dalla statura e dalla dignità della sua persona o dalla sua funzione, non dal fatto astratto ed elementare del suo essere semplicemente uomo o «cittadino» [...] (p. 84)
  • La misura di ciò che si può esigere dagli altri è data da ciò che si sa esigere da sé stessi; non saprebbe dominare secondo giustizia gli altri e dare ad essi una legge chi non abbia capacità di dominare anzitutto sé stesso e di dare a sé stesso una legge. (p. 88)
  • La legittimazione più alta e reale di un vero ordine politico, epperò dello stesso Stato, sta nella sua funzione anagogica: nel suo suscitare e alimentare la disposizione del singolo ad agire e pensare, a vivere, lottare ed eventualmente a sacrificarsi in funzione di qualcosa che va di là della sua semplice individualità. (p. 90)
  • [...] tutti gli aspetti esteriori di potenza e di progresso tecnico-industriale della civiltà contemporanea non mutano nulla nel carattere involutivo di essa. Diciamo di più, essi ne dipendono, perché tutto questo apparente  «progresso» è stato realizzato quasi esclusivamente in funzione dell'interesse economico in quanto ha preso la mano su ogni altro. (p. 111)
  • A lato della romanità delle origini, che riprodusse in forma speciale e originale un tipo di cultura e di costume comune alle principali civiltà superiori indoeuropee, ve ne è una grecizzata in senso negativo, ve ne è una "punicizzata", ve ne è una "ciceroniana", ve ne è una asiaticizzata, ve ne è una cattolica e così via. I punti di riferimento non vanno cercati in esse. Quel che in esse può esserci di valido, ai nostri fini lo si può ricondurre alla prima. Questa romanità originaria ebbe la sua base in una figura umana definita da un certo gruppo di disposizioni tipiche. In primo luogo sono da considerarsi un'attitudine dominata, un'audacia illuminata, un parlare conciso, un agire preciso e coerente quanto medidato, un freddo senso di dominio, alieno da personalismo e da vanità. Allo stile romano appartengono la "virtus" non come moralismo bensì come virilismo e coraggio, epperò la "fortitudo" e la "constantia", cioè la forza d'animo; la "sapientia", nel senso di riflessività, di consapevolezza; la "disciplina" come amore per una propria legge e una propria forma; la "fides" nel senso specificatamente romano di lealtà e di fedeltà; la "dignitas", la quale nell'antica aristocrazia patrizia si potenziava in "gravitas" e "solemnitas", in misurata, seria solennità. Sempre allo stesso stile appartengono l'agire preciso, senza grandi gesti; un realismo che non significa materialismo bensì amore per l'essenziale; l'ideale della chiarezza, un equilibrio interno e una diffidenza per ogni abbandono dell'anima e per ogni confuso misticismo; un amore pel limite; l'attitudine ad unirsi senza confondersi, in vista di un fine superiore o per un'idea da esseri liberi. Possono aggiungersi anche la "religio" e la "pietas", non significanti la religiosità nel senso più recente, significanti invece, pel Romano, un atteggiamento di rispettosa e dignitosa venerazione, e in pari tempo, di fiducia, di riconnessione nei riguardi del sovrasensibile, sentito presente ed agente presso le forze umane individuali, collettive e storiche. Del pari, questi elementi di stile hanno una loro evidenza, non sono legati a tempi trascorsi, possono in qualsiasi periodo agire come forze informatrici del carattere e valere come ideali non appena si desti una vocazione corrispondente. Inoltre, non è il caso di pensare che essi dovrebbero essere fatti propri da tutti gli individui: ciò sarebbe assurdo e, del resto, non necessario: basterebbe che nella nazione un certo strato, tenuto a dare il tono al resto, li incorporasse.
  • Vi è di più, per quel che riguarda i problemi interni di un popolo. Là dove si promuove, od anche soltanto non si combatte, l'indiscriminato accrescimento demografico, sono da attendersi gli effetti deleteri della legge della controselezione. Di fatto, sono le razze inferiori e gli strati sociali più bassi quelli più prolifici. Così si può dire che mentre il numero degli elementi superiori, più differenziati, aumenta in proporzione aritmetica, quello degli elementi inferiori cresce in proporzione geometrica, il che ha per risultato una fatale involuzione dell'insieme. Lo sfaldarsi e poi il franare dei grandi organismi imperiali è spesso avvenuto proprio in seguito a ciò: Come per una marea dal basso, per un dilatarsi teratologico della base, costituita da un elemento promiscuo e proletario. Vale qui ricordare che il termine proletario deriva da proles e riporta all'idea di un' animalesca prolificità. Come giustamente ha notato il Marenshkowkij, esso si applicava soprattutto a coloro la cui unica capacità creativa era quella di generare figli – uomini nel corpo ma quasi eunuchi nello spirito; siffatta direzione, nel suo logico sviluppo, conducendo verso quella società ideale in cui non esistono più classi, anzi né uomini né donne ma compagni e compagne, quasi cellule asessuate di un immenso formicaio.
  • Così va detto che un partito che si fa «partito unico», con ciò stesso dovrebbe cessare di essere «partito». I suoi uomini o, almeno, i più qualificati di essi, allora è nella veste di una specie di Ordine, di classe specificamente politica che dovrebbe presentarsi e governare, non costituendo uno Stato nello Stato, ma andando a presidiare e rafforzare le posizioni-chiave dello Stato, non difendendo una loro particolare ideologia ma incarnando impersonalmente la stessa idea pura dello Stato. (p. 101)
  • In genere, bisogna sentire in evidenza che di là da questa vita terrestre vi è una vita più alta, perché solo chi così si sente dispone di una forza infrangibile e intravolgibile, solo costui sarà capace, ove occorra, di una prontezza al sacrificio attivo e di uno slancio assoluto. (p. 154)
  • È innegabile la caduta di livello della Chiesa moderna pel fatto che essa a preoccupazioni di carattere sociale e moralistico dà assai più peso che non a quanto ha attinenza con la vera vita sovrannaturale, con l'ascesi e con la contemplazione, punti essenziali di riferimento di ogni superiore forma di religiosità. (p. 156)
  • Avendo parlato di intellettuali e di realismo, sarà bene precisare ancora un punto. Si è accennato al fatto che le simpatie di alcuni intellettuali pel comunismo hanno un certo carattere paradossale, in quanto il comunismo disprezza il tipo dell'intellettuale come tale, tipo che per esso appartiene, essenzialmente al mondo dell'odiata borghesia. Ora, un atteggiamento del genere può venire condiviso anche da chi appartenga al fronte opposto al comunismo. Dato quel che nel mondo contemporaneo esse significano, ci si può opporre ad ogni sopravalutazione della cultura e dell'intellettualità. L'avere per esse quasi un culto, il definire con esse uno strato superiore, quasi una aristocrazia – l'«aristocrazia del pensiero» che sarebbe quella vera, legittimamente soppiantante le forze precedenti di élite e di nobiltà – è un pregiudizio caratteristico dell'epoca borghese nei suoi settori umanistico-liberali. La verità è invece che siffatta cultura e intellettualità non sono che dei prodotti di dissociazione e di neutralizzazione rispetto ad una totalità. Pel fatto che ciò è stato avvertito, l'antintellettualismo ha avuto una parte di rilievo negli ultimi tempi, al titolo di una reazione quasi biologica la quale purtuttavia troppo spesso ha seguito direzioni sbagliate o, per lo meno, problematiche. Non ci soffermeremo però su quest'ultimo punto. Ne abbiamo già trattato in altra sede, parlando dell'equivoco dell'antirazionalismo. Qui vi è solo da mettere in rilievo che esiste un terzo possibile termine di riferimento di là sia da intellettualismo che da antintellettualismo, per un superamento della «cultura» d'intonazione borghese. Tale è la visione del mondo – in tedesco Weltanschauung. La visione del mondo non si basa sui libri, ma su una forma interiore e su una sensibilità aventi un carattere non acquisito ma innato. (pp. 164-165)
  • E la visione del mondo può esser più precisa in un uomo senza particolare istruzione che non in uno scrittore, nel soldato, nell'appartenente ad un ceppo aristocratico e nel contadino fedele alla terra che non nell'intellettuale borghese, nel «professore» o nel giornalista. Circa tutto questo, in Italia ci si trova, e non da oggi, in una posizione assai sfavorevole, perché chi fa il buono e il cattivo tempo, chi troneggia nella stampa, nella cultura accademica e nella critica, organizzando vere e proprie massonerie monopolizzatrici, è proprio il tipo deteriore dell'intellettuale, che nulla sa di ciò che è veramente spiritualità, interezza umana, pensiero conforme a saldi principi. (p. 165)
  • Se la nebbia si solleverà, apparirà chiaro che è la «visione del mondo» ciò che, di là da ogni «cultura», deve unire o dividere tracciando invalicabili frontiere dell'anima, che anche in un movimento politico essa costituisce l'elemento primario, perché solo una visione del mondo ha un potere di cristallizzare un dato tipo umano e quindi di dare il tono specifico ad una data comunità.
    Ora, sulla linea del comunismo vi sono stati casi nei quali qualcosa ha cominciato a penetrare fino ad una tale profondità. Non a torto un uomo politico contemporaneo ha parlato di un mutamento interno e profondo che, manifestandosi quasi nei termini di una ossessione, si produce in coloro che aderiscono veramente al comunismo: essi ne sono mutati nel pensare, nell'agire. Secondo noi è bensì una alterazione o contaminazione fondamentale dell'essere umano: ma essa raggiunge, nei casi in quistione, il piano della realtà esistenziale, cosa che non succede affatto in coloro che reagiscono partendo da posizioni borghesi e intellettualistiche. La possibilità dell'azione rivoluzionario-conservatrice dipende essenzialmente dalla misura in cui negli stessi termini possa agire l'idea opposta, cioè l'idea tradizionale, aristocratica, antiproletaria – tanto da dar luogo a un nuovo realismo e da dar forma, agendo come una visione della vita, ad un tipo specifico di uomo antiborghese, quale sostanza cellulare di nuove élites; di là dalla crisi di ogni valore individualistico e irrealistico. (p. 166)
  • La creazione di uno Stato nuovo e di una civiltà nuova sarà sempre cosa effimera quando l'uno e l'altra non abbiano per substrato un uomo nuovo. (p. 198)
  • Per le crisi che hanno travagliato e che travagliano la vita dei popoli moderni vengono addotte cause varie cause: storiche generali, sociali, economico-sociali, politiche, morali, culturali e via dicendo, a seconda dei punti di vista. Tuttavia è da porsi un problema superiore ed essenziale: sono, queste, sempre le cause prime, e hanno un carattere automatico come quelle del mondo fisico? E nel quadro di una simile problematica che si definisce il concetto della "guerra occulta". È, questa, la guerra condotta insensibilmente da quelle che, in genere si possono chiamare le forze della sovversione mondiale, con mezzi e in circostanze ignorati dalla corrente storiografia. [...] Ma se si considerano i veri agenti della storia negli speciali aspetti di questa, di cui ora stiamo trattando, le cose stanno diversamente: qui non si può parlare né di subconscio né inconscio, qui noi abbiamo invece a che fare con forze intelligenti le quali sanno benissimo che cosa vogliono e quali sono i mezzi più acconci per il raggiungimento – quasi sempre indiretto di quel che vogliono. La terza dimensione della storia non deve dunque esser fatta svaporare nella nebbia di astratti concetti filosofici e sociologici, ma va pensata come "un dietro le quinte" dove operano precise "intelligenze".

Imperialismo pagano

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L'attuale «civilizzazione» dell'Occidente è in attesa di un rivolgimento sostanziale, senza il quale essa è destinata, prima o dopo, a fracassarsi la testa.

Citazioni

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  • Il cristianesimo è alla radice istessa del male che ha corrotto l'Occidente. Questa è la verità, ed essa non ammette dubbio.
  • È assolutamente un errore che l'imperio si possa costruire sulla base di fattori economici, militareschi, industriali e anche "ideali". L'Imperium, come secondo la concezione iranica e romana, è qualcosa di trascendente, e lo realizza soltanto chi abbia la potenza di trascendere la piccola vita dei piccoli uomini, con i loro appetiti, con i loro gretti orgogli nazionali, con i loro "valori" "non valori" e Dei. (Edizioni Mediterranee, Roma, 2004[6])
  • L'infinità degli uomini sulla terra deserta di luce, ridotti a pura quantità – soltanto a quantità – resi uguali nella identità materiale di parti dipendenti di un meccanismo lasciato a sé stesso, lanciato a vuoto senza nessuno che possa più nulla – ecco quale è la prospettiva che sta in fondo alla direzione economico-industrialistica che intona tutto l'Occidente. (2015, p. 57)

L'arco e la clava

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Le tracce sussistenti – spesso ancor solo nella pietra – di alcune grandi civiltà delle origini racchiudono spesso un significato di rado avvertito. Dinanzi a quel che resta del più antico mondo greco-romano e poi più oltre, dell'Egitto, della Persia, della Cina, fino a giungere ai misteriosi e muti monumenti megalitici sparsi fra deserti, lande e foreste come ultime emergenti e immobili vestigia di mondi sommersi e travolti – e, come limite nella direzione opposta nel corso della storia, fino ad alcune forme del Medioevo europeo: dinanzi a tutto ciò viene da chiedersi se il miracoloso resistere al tempo di tali testimonianze, oltre ad esser dovuto ad un concorso favorevole di circostanze esteriori, non racchiuda anche il significato di un simbolo.

Citazioni

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  • [...] non crediamo di sbagliarci dicendo che il significato più profondo dello sci è il seguente: la sensazione istintiva di paura fisica, col moto riflesso di un trarsi indietro o di aggrapparsi a qualcosa, che sorge nell'istante del cadere, viene vinta e trasformata in una sensazione di ebrezza, di piacere, e sviluppata nell'impulso a andare ancor più veloci e a giuocare in ogni modo con la velocità e l'accelerazione che ai corpi imprime la forza di gravità. Così lo sci, sotto questo aspetto, vorremmo proprio definirlo come una tecnica, un giuoco e una ebrezza della caduta. Praticando questo sport si sviluppa di certo una forma di audacia o intrepidezza fisica, ma è una forma tutta speciale, ben distinta dall'audacia dell'alpinista, anzi ad essa opposta come significato: è una forma, diciamolo pure, «moderna». (da Psicanalisi dello sci, p. 61)
  • I ritmi accelerandosi, l'«umanismo» doveva percorrere la via che, volendo usare i simboli dianzi ricordati, da Prometeo conduce a Epimeteo. Il mondo moderno che sta prendendo forma non conosce il Prometeo liberato in senso positivo, cioè il Prometeo liberato attraverso Eracle (anticamente Eracle stette a significare l'uomo, l'eroe, che ha fatto l'altra scelta, quella di essere un alleato delle forze olimpiche). Esso conosce il Prometeo al quale sono state tolte le catene e che è stato lasciato libero di andare per la sua via affinché si glori della sua miseria e della tragedia di una esistenza soltanto umana – o, per dir meglio, dell'esistenza considerata da uno sguardo soltanto umano – giungendo al punto in cui, avendo finito col perdere il gusto per questa specie di autosadismo della sua «grandezza tragica», si tuffi nell'esistenza ottusa propria all'umanità epimeteica la quale in mezzo allo splendido, titanico spettacolo di tutte le umane conquiste dei tempi ultimi, conosce soltanto le discipline proprie agli animali da lavoro e la demonìa dell'economia. La formula usata da una nota ideologia è appunto l'«umanismo integrale» come «umanismo del lavoro», quale «senso della Storia». Il Ciclo si chiude. (da Il riso degli dèi, p. 95)

L'"Operaio" nel pensiero di Ernst Jünger

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  • Lo Jünger vede bene le distruzioni che l'elemento meccanicistico e tecnico realizza. Ma ciò per lui costituisce solo l'aspetto contingente di un fenomeno assai più vasto e, in ultima istanza, positivo. [...] Allora si paleserà anche la legittimità della rivoluzione da essi provocata. Allora la tecnica, con tutte le sue conquiste, apparirà come un'armatura per insospettate rivolte e insospettate lotte, da avere non meno cara di quel che l'antico cavaliere ebbe la sua spada. (p. 134)
  • Gli uomini sono nuovamente tipici e importanti là dove essi, per l'assenza di complicazioni intellettuali o sentimentali, meno credevano di esserlo: nella vita reale, nelle strade e nelle piazze, nelle case e nei cortili, sugli aeroplani o nelle ferrovie sotterranee, dove si lavora. (p. 135)
  • Non vi è dove evadere, dove scartare, dove indietreggiare. Bisogna invece intensificare la violenza e la velocità dei processi nei quali si è presi. Ed è allora bene presentire che dietro alla immane dinamica di questi tempi si cela un centro invisibile. (p. 137)
  • Il fenomeno dell'irruzione dell'"elementare" [...] è reale: e reale è anche il processo di enucleazione di un nuovo tipo, realistico, eroico, impersonale, capace di un controllo e d'un'azione assoluta, proteso verso una assunzione totale della vita. Anche se il mondo di questo nuovo tipo non corrisponde proprio a quello del "Forestaro", anche se esso ha lasciato dietro di sé il periodo delle distruzioni e dell'anarchia e nel suo avvento non si celebrino solo varie forme di quello del Quarto Stato, pure gli orizzonti non si schiariranno, e un temibile destino non sarà prevenuto, fino a che come controparte non si avrà appunto la tradizione spirituale nel senso più alto, un Ordine non nella prima assunzione soltanto attivistico-guerresca dello Jünger, ma appunto con riferimento a valori trascendenti, alle file segrete di qualcosa «che non è di questa terra» e che forse fino a oggi è stato ancora custodito. (pp. 141-142)

Orientamenti

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  • È importante, è essenziale, che si costituisca una élite la quale, in una raccolta intensità, definisca secondo un rigore intellettuale ed un'assoluta intransigenza l'idea, in funzione della quale si deve essere uniti, ed affermi questa idea soprattutto nella forma dell'uomo nuovo, dell'uomo della resistenza, dell'uomo dritto fra le rovine. Se sarà dato andar oltre questo periodo di crisi e di ordine vacillante e illusorio, solo a quest'uomo spetterà il futuro. Ma quand'anche il destino che il mondo moderno si è creato, e che ora sta travolgendolo, non dovesse esser contenuto, presso a tali premesse le posizioni interne saranno mantenute: in qualsiasi evenienza ciò che potrà esser fatto sarà fatto e apparterremo a quella patria, che da nessun nemico potrà mai essere né occupata né distrutta.
  • Nell'idea va riconosciuta la nostra vera patria. Non l'essere di una stessa terra o di una stessa lingua, ma l'essere della stessa idea è quel che oggi conta.
  • Un artigiano che assolve perfettamente alla sua funzione è indubbiamente superiore ad un re che scarti e non sia all'altezza della sua dignità.
  • Di fronte ad un mondo in poltiglia il cui principio è: «Chi te lo fa fare», oppure «Prima vien lo stomaco, la pelle (la malapartiana «pelle»!) e poi la morale» o ancora: «Questi non son tempi in cui ci si possa permettere il lusso di avere un carattere», o infine: «Ho famiglia», sappia opporre un chiaro e fermo: «Noi, non possiamo fare altrimenti, questa è la nostra via, questo il nostro essere.» (da Orientamenti, Edizioni Mediterranee, Roma 2013, p. 262)
  • Nell'idea va riconosciuta la nostra vera patria. Non l'essere di una stessa terra o di una stessa lingua, ma l'essere della stessa idea è quel che oggi conta. (da Orientamenti, Edizioni Mediterranee, Roma 2013, p. 272)
  • Lo «stile» che deve guadagnar risalto è quello di chi si tiene sulle posizioni in fedeltà a sé stesso e ad un'idea, in una raccolta intensità, in una repulsione per ogni compromesso, in un impegno totale che si deve manifestare non solo nella lotta politica, ma anche in ogni espressione dell'esistenza: nelle officine, nei laboratori, nelle università. nelle strade, nella stessa vita personale degli affetti. (da Orientamenti, Edizioni Mediterranee, Roma 2013, p. 262)
  • Non esiste la Storia, entità misteriosa scritta con la lettera maiuscola. Sono gli uomini, finché essi sono davvero uomini, che fanno e disfanno la storia. (da Orientamenti, Edizioni Mediterranee, Roma 2013, p. 265)

[Julius Evola, Orientamenti, Imperium, 1950.]

Ricognizioni

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Preso in un senso ampliato, il termine «umanismo» è forse il più atto a caratterizzare l'orientamento principale e il fondo ultimo della civiltà dell'èra moderna.

Citazioni

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  • [...] il termine otium, in antitesi a labor e negotium, spesso fu usato dai classici per designare non la fannullagine, ma il tempo dedicato ad attività non materiali, intellettuali, a studi, alla letteratura, a speculazioni e simili; mentre otium sacrum figurò nella stessa terminologia religiosa e ascetica, associato all'attività contemplativa. Qui non sappiamo resistere alla tentazione di citare un proverbio spagnolo: el hombre que trabaja pierde un tiempo muy precioso, cioè «l'uomo che lavora (in senso proprio) perde un tempo assai prezioso». Perdere questo tempo prezioso – perché meglio utilizzabile – può essere una necessità, una triste necessità. Ma il punto fondamentale dovrebbe essere il rifiuto di fare di tale necessità una virtù e esaltare una società di cui essa sia la chiave di volta.
    In ogni visione sana e normale della vita il lavoro deve essere considerato come un semplice mezzo di sostentamento nel caso di esseri non qualificati per svolgere una attività di un genere più alto. Lavorare come fine in sé e oltre quanto occorre pel proprio mantenimento è una aberrazione – e proprio il lavoratore dovrebbe capirlo: l'«eticità del lavoro», l'«umanesimo del lavoro», il «lavoro come onore» e tutte le altre chiacchiere non sono che mezzi per mistificarlo e per meglio saldare le catene che lo legano al meccanismo della «produzione» divenuta quasi un processo autonomo. (da Lo Stato e il Lavoro, pp. 34-35)
  • Non la semplice sottomissione ma l'adesione e il riconoscimento da parte dell'inferiore sono [...] la base fondamentale di ogni gerarchia normale e tradizionale. Non è il superiore che da bisogno dell'inferiore, ma è l'inferiore che ha bisogno del superiore; non è il capo che ha bisogno dei gregari ma è il gregario che ha bisogno di un capo. (da Il problema della decadenza, p. 45)
  • Il riconoscere che anche in economia i fattori primari sono i fattori spirituali, che un cambiamento di attitudine, una vera metanoia è il solo mezzo efficace se si deve ancora concepire un arresto sulla china, ciò va al di là dell'intelletto dei tecnici, giunti a proclamare ormai che «la economia è il nostro destino». Ma dove conduca la via, ove l'uomo tradisca se stesso, sovverta una giusta gerarchia di valori e di interessi, si concentri nell'esteriorità e nella[7] ricerca del guadagno, della «produzione», del fattore economico in genere faccia il motivo predominante della sua anima, lo si sa. Forse il Sombart è colui che meglio di ogni altro ha analizzato tutto il processo. Esso sbocca fatalmente in quelle forme dell'alto capitalismo industriale, in cui si è condannati ad una corsa senza tregua e ad una espansione illimitata del produrre, perché ogni arresto significherebbe immediatamente arretrare, spesso essere scalzati o travolti. Donde dei processi economici a catena che prendono il grande imprenditore anima e corpo, che lo legano più dell'ultimo suo operaio, mentre la corrente, resasi quasi autonoma, trascina con sé migliaia di esseri e finisce col dettar legge a genti o governi. Fiat productio, pereat homo. (da Il morso della tarantola, p. 55-56)

Rivolta Contro il Mondo Moderno

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  • È compito della tradizione – lo si ripete – scavare dei saldi alvei, a che le correnti caotiche della vita fluiscano nella direzione giusta. Liberi, sono coloro che assumendo questa direzione tradizionale non la sentono come imposta, ma vi si sviluppano spontaneamente, vi si riconoscono, tanto da attenuare quasi con un moto dall'interno la possibilità più alta, "tradizionale", della loro natura.
  • Per contro, nell'appartenersi e nel darsi una forma, nell'avere in se il principio di una vita non più dispersa, non più a battentesi qua e là in cerca di altro o di altri per completarsi e per giustificarsi, non più spezzata dalla necessità e dal conato irrazionale verso l'esterno e il diverso, in una parola, nell'esperienza dell'ascesi, si sentì la via per comprendere l'altra regione, il mondo dello stato dell' "essere", di quel che non è più fisico ma metafisico – "natura intellettuale priva di sonno", e di cui simboli solari, regioni uraniche, enti di luce o di fuoco, isole e altezze montane tradizionalmente furono le figurazioni. Tali le "due nature". E fu concepita una nascita secondo l'una e una secondo l'altra, e passaggio dall'una all'altra nascita, perché fu detto: "Un uomo è un dio mortale e, un dio, un uomo immortale". Il mondo tradizionale conobbe questi due grandi poli dell'esistenza e le vie che dall'uno conducono all'altro. [...] Conobbe che l'esistenza esterna, il "vivere", è nulla, se non approssimazione verso il sovramondo, verso il "più che vivere", se il suo più alto fine non è la partecipazione ad esso e una liberazione attiva dal vincolo umano. Conobbe che falsa è ogni autorità, ingiusta e violenta ogni legge, vana e caduca ogni istituzione, quando non siano autorità, leggi ed istituzioni ordinate al principio superiore dell'Essere -dall'alto verso l'alto. Il mondo tradizionale conobbe La Regalità Divina. Conobbe l'atto del transito: l'Iniziazione – le due grandi vie dell'approssimazione: l'Azione eroica e la Contemplazione – la mediazione: il Rito e la Fedeltà – il grande sostegno: la Legge tradizionale, la Casta – il simbolo terreno l'Impero. Queste sono le basi della gerarchia e della civiltà tradizionale, in tutto e per tutto distrutte dalla trionfante civiltà "umana" dei moderni.
  • Ove la Tradizione mantenne tutta la sua forza, la dinastia o successione dei re sacrali costituì un asse di luce e di eternità nel tempo e la presenza vittoriosa del sovramondo nel mondo, la componente "olimpica", che trasfigura l'elemento demonico del demos e dà un significato superiore a tutto ciò che è Stato, nazione e razza. E anche negli strati più bassi, il legame gerarchico creato da una dedizione cosciente e virile valeva come mezzo per un' approssimazione e una partecipazione. Infatti anche la semplice legge, dall'alto, rivestita di un'autorità, era, per coloro che non potevano accendere a sè stessi il fuoco sovrannaturale, un riferimento e un sostegno di là dalla semplice individualità umana. In realtà, l'aderenza intima, libera e effettiva, di tutta una vita alle norme tradizionali, anche quando non era presente, a giustificarla, una piena comprensione della loro dimensione interna, faceva sì che tale vita acquistasse oggettivamente un significato superiore: attraverso l'obbedienza e la fedeltà, attraverso l'azione o conforme ai principi e ai limiti tradizionali, una forza invisibile le dava forma e la disponeva sulla stessa direzione di quell'asse sovrannaturale, che negli altri – nei pochi al vertice – viveva allo stato di verità, di realizzazione, di luce. Così si formava un organismo stabile ed animato, costantemente orientato verso il sovramondo, santificato in potenza e in atto secondo i suoi gradi gerarchici, in tutti i domini del pensare, del sentire, dell'agire, del lottare. In tale clima viveva il mondo della Tradizione.
  • E quasi sempre va riconosciuto, con Nietzsche, che dovunque sorge la preoccupazione per una "morale", là vi è già una decadenza – il mos delle vichiane "età eroiche" mai ha avuto a che fare con limitazioni moralistiche. Specie la tradizione estremo-orientale ha messo bene in rilievo l'idea che la morale e la legge in genere (in senso conformistico e sociale) sorgono laddove la "virtù" e la "Via" non sono più conosciute: "Perduta la via, resta la virtù; perduta la virtù resta l'etica; perduta l'etica resta il diritto; perduto il diritto resta il costume. Il costume è solo l'esteriorità dell'etica e segna il principio della decadenza." Quanto poi alle leggi tradizionali, esse, nel loro carattere sacro e nella loro finalità trascendente, come avevano una validità non-umana, così in nessun modo si potevano riportare al piano di una morale nel senso corrente. Nè l'antagonismo dei popoli, lo stato di guerra è da per sè causa della rovina di una civiltà: l'idea del pericolo, come quella della conquista, può invece rinsaldare anche materialmente le maglie di una struttura unitaria, rinfocolare una unità di spirito nelle manifestazioni esterne – mentre la pace ed il benessere possono condurre ad uno stato di tensione ridotta, il quale facilità l'azione delle cause più profonde di un possibile disfacimento.
  • Se un corpo è libero solo quando esso obbedisce alla sua anima, non ad un'anima eterogenea – allora riceve un senso profondo di verità l'affermazione di Federico II, secondo la quale gli Stati che riconoscono l'autorità dell'Impero sono liberi, mentre schiavi sono quelli che alla Chiesa – esponente di un'altra spiritualità – si sottomettono.
  • D'altronde, è già stata ricordata la relazione tra aeternitas e imperium presentata dalla tradizione romana, donde un carattere trascendente, non-umano a cui vi viene elevata l'idea del "regere", sì che la paganità attribuì agli dèi la grandezza della città dell'Aquila e dell'Ascia. Da ciò, il segno più profondo che può presentare anche l'idea, secondo la quale il mondo non sarebbe finito fino a quando si sarebbe mantenuto l'Impero romano: idea da riportare a quella della funzione, appunto, di mistica salvazione attribuita all'Impero, una volta che si intenda "mondo" non fisicamente o politicamente, ma nel senso di "cosmos", di diga d'ordine e di stabilità opposta alle forze del caos e della disgregazione.
  • Peraltro leggi ed istituzioni, come erano dall'alto, così, nei quadri di ogni tipo veramente tradizionale di civiltà, erano verso l'alto. Un ordinamento politico, economico e sociale creato in tutto e per tutto per la sola vita temporale è cosa propria esclusivamente al mondo moderno, cioè al mondo dell'anti tradizione. Lo Stato, tradizionalmente, aveva invece un significato e una finalità in un certo modo trascendenti: esso era una apparizione del "sovramondo" e una via verso il "sovramondo".
  • Ancora una volta, non si dimentichi la verità, da cui il mondo tradizionale era compenetrato: nulla accade quaggiù, che non sia simbolo ed effetto concordante di avvenimenti spirituali – fra spirito e realtà ( e quindi anche potenza) vi è una intima relazione. Come conseguenza particolare di tale verità, si è già accennato che il vincere o perdere non furono mai considerati come puro caso. La vittoria, tradizionalmente, implica sempre un significato superiore. Permane ancora, e con particolare risalto, tra le popolazioni selvagge l'idea antica, che lo sfortunato è sempre un colpevole: gli esiti di ogni lotta, epperò anche di ogni guerra, sono sempre i segni mistici, risultati, per così dire, di un "giudizio divino", capaci dunque di rivelare, o attuare, un destino umano.
  • Nel mondo moderno, sì è deprecata l' "ingiustizia" del regime delle caste, ancor più sono state stigmatizzate le civiltà antiche che conobbero la schiavitù e si è ascritto a vanto dei tempi nuovi l'aver rivendicato il principio dell' "umana dignità". Anche questa è pura retorica. Quel che vale piuttosto mettere in rilievo è che, se vi è mai stata una civiltà di schiavi in grande, questa è esattamente la civiltà moderna. Nessuna civiltà tradizionale vide mai masse così grandi condannate ad un lavoro buio, disanimato, automatico: schiavitù, che non ha nemmeno per controparte l'alta statura e la realtà tangibile di figure di signori e di dominatori, ma che viene imposta anodinamente attraverso la tirannia del fattore economico e le strutture assurde di una società più o meno collettivizzata. E poiché la visione moderna della vita, nel suo materialismo, ha tolto al singolo ogni possibilità di conferire al proprio destino qualcosa di trasfigurante, di vedervi un segno e un simbolo, così la schiavitù di oggi è la più tetra e la più disperata di quante mai se ne siano conosciute.
  • Più in generale, va detto che quando il diritto di proprietà cessa di esser privilegio delle due caste superiori e passa alle caste inferiori – dei mercanti e dei servi – si ha di necessità una virtuale regressione naturalistica, si restaura la dipendenza dell'uomo da quegli "spiriti della terra", che nell'altro caso – nel quadro della tradizionalità solare dei signori del suolo – "presenze" superiori trasformavano in zone di influenze propizie, in "limiti creatori" e preservatori. La terra, che può anche appartenere ad un "mercante", vaisha – i proprietari dell'èra capitalistico-borghese possono considerarsi come gli equivalenti moderni dell'antica casta dei mercanti – o ad un servo (il moderno lavoratore), è una terra profanata: non altra è dunque quella che – conformemente appunto agli interessi propri alle due caste inferiori, riuscite a strapparla definitivamente all'antico tipo dei "signori" – non vale più che come un fattore di "economia", da sfruttare ad oltranza in ogni suo aspetto con macchine ed altre escogitazioni moderne. Senonché, giungendo a tanto, è naturale incontrare gli altri sintomi caratteristici per una tale discesa: la proprietà tende sempre più a passare dall'individuale al collettivo. [...] Si ha cioè proprio un ritorno dell'impero del collettivo sull'individuale, col quale si riafferma altresì il concetto collettivistico e promiscuo della proprietà proprio alle razze inferiori, come "superamento" della proprietà privata, come statizzazione, socializzazione e proletarizzazione dei beni e delle terre.
  • Non tanto dei nuovi "fatti" potranno portare al riconoscimento di diversi orizzonti, quanto un nuovo atteggiamento dinanzi ad essi.
  • Anche nella morale Cristiana la parte avuta da influenze meridionali e non arie è abbastanza visibile. Che sia di fronte a un Dio, e non ad una dea, che non si riconosce spiritualmente alcuna differenza fra uomo e uomo e si elegge per supremo principio l'amore, è di poco momento. Questa eguaglianza appartiene essenzialmente ad una concezione generale, una variante della quale è quel "diritto naturale", che aveva trovato modo di insinuarsi nel diritto romano della decadenza: è in funzione antitetica rispetto all'ideale eroico della personalità, al valore dato a tutto ciò che un essere differenziandosi, dando a se stesso una forma, conquista per sé in un ordine gerarchico.
  • Qui aveva preso parimenti forma l'idea della "salvazione" in senso ormai semplicemente religioso e si era affermato l'ideale di una religione aperta a tutti, estranea ad ogni concetto di razza, tradizione e casta, quindi, praticamente, andando incontro a coloro che di razza, di tradizione e di casta non ne avevano nessuna. In questa massa, presso l'azione concomitante dei culti universalistici di provenienza orientale, si andò sempre più diffondendo un bisogno confuso – finché nella figura del fondatore del cristianesimo apparve, per così dire, ciò che produsse la precipitazione catalitica, la cristallizzazione di quel che saturava l'atmosfera. Ed allora non si trattò più di uno strato, di una influenza diffusa, bensì di una forza precisa contro ad un'altra forza.
  • L'anima è in ogni essere ragionevole, il principio che decide circa tutto ciò che il corpo eseguirà.
  • È compito della tradizione – lo si ripete – scavare dei saldi alvei, a che le correnti caotiche della vita fluiscano nella direzione giusta. Liberi, sono coloro che assumendo questa direzione tradizionale non la sentono come imposta, ma vi si sviluppano spontaneamente, vi si riconoscono, tanto da attuare quasi con un moto dall'interno la possibilità più alta, "tradizionale", della loro natura. Gli altri, quelli che seguono materialmente le istituzioni, obbedendo, ma senza comprenderle e viverle, sono i sorretti: per quanto privo di luce, il loro ubbidire li porta virtualmente oltre la loro limitazione di individui, li dispone sulla stessa direzione dei primi. Ma per coloro che non seguono né nello spirito, né nella forma l'alveo tradizionale, non vi è che il caos. Sono i perduti, i caduti.
  • Poi, si è vista la rivolta dei Comuni e il sorgere delle varie formazioni medievali di una potenza mercantile. La programmazione solenne dei diritti del "Terzo Stato" in Francia costituisce la tappa decisiva cui seguono le varietà della "rivoluzione borghese", cioè appunto della terza casta, cui fanno da strumento le ideologie liberali e democratiche. Corrispondentemente, é caratteristica per questa èra la teoria del contratto sociale: come legame sociale ora non si trova più nemmeno una fides di tipo guerriero, cioè rapporti di fedeltà e di onore. Il legame sociale assume un carattere utilitario e economico: è un accordo in base alla convenienza e all'interesse materiale – quello, che solo un mercante può concepire. L'oro fa da tramite e chi se ne impadronisce e sa moltiplicarlo  (capitalismo, finanza, trust industriali), dietro la facciata democratica controlla virtualmente anche il potere politico e gli strumenti di formazione della pubblica opinione. L'aristocrazia cede il posto alla plutocrazia; il guerriero, al banchiere e all'industriale. L'economia vince su tutta la linea. Il traffico con la moneta e con l'interesse, prima confinato nei ghetti, invade la nuova civiltà. Secondo l'espressione del Sombart, nella terra promessa del puritanesimo protestantico, con l'americanismo e il capitalismo, non vive che "spirito ebraico distillato". Ed è naturale che, date queste premesse di congenialità, i rappresentanti moderni dell'ebraismo secolarizzato abbiano quasi visto aprirsi dinanzi a loro, in questa fase, le vie della conquista del mondo. Sono caratteristiche queste espressioni di Karl Marx:"Qual è il principio mondano dell'ebraismo? L'esigenza pratica, il proprio vantaggio. Qual è il suo Dio terrestre? Il denaro. L'ebreo si è emancipato non solo in quanto si è appropriato della potenza del denaro, ma anche in quanto per suo mezzo il denaro è divenuto potenza mondiale. Il dio degli ebrei si è mondanizzato ed è divenuto il dio della terra. Il cambio è il vero Dio degli ebrei."
  • Se il vertice delle civiltà tradizionali era costituito dal principio dell'universalità, la civiltà moderna sta dunque essenzialmente sotto il segno di quello del collettivo. Il collettivo sta all'universale come la "materia" sta alla "forma".[8] Il differenziarsi della sostanza promiscua del collettivo e il costituirsi di esseri personali mediante l'adesione a principi di interessi superiori è il primo passo di ciò che in senso eminente e tradizionale sempre si è inteso per "cultura". Quando il singolo è giunto a dare una legge e una forma alla propria natura sì da appartenere a sé stesso anziché dipendere dalla parte semplicemente fisica del suo essere è già presente la condizione preliminare per un ordine superiore, in cui la personalità non è abolita, ma integrata: e tale è l'ordine stesso delle partecipazioni tradizionali nel quale ogni individuo ogni funzione e ogni casta acquistano il loro giusto senso attraverso il riconoscimento di ciò che è loro superiore e il loro organico connettersi ad esso.
  • Per l'accennata azione orientatrice, è bene che tali "testimoni" vi siano, che i valori della Tradizione vengano sempre indicati, anzi in una forma tanto più inattenuata e dura, per quanto più l'opposta corrente acquista forza. Anche se oggi questi valori non possono essere realizzati, non per questo essi si riducono a semplici "idee". Essi sono misure. Qualora anche la capacità elementare di misurare andasse completamente perduta, allora davvero l'ultima notte scenderebbe. Si lascino pure gli uomini del tempo nostro parlare, nel riguardo, con maggiore o minore sufficienza e improntitudine, di anacronismo e di antistoria. Noi sappiamo bene essere, questi, solo gli alibi della loro disfatta. Li si lascino alle loro "verità" e ad un'unica cosa si badi: a tenersi in piedi in un mondo di rovine. [...] Rendere ben visibili i valori della verità, della realtà e della Tradizione a chi, oggi, non vuole il "questo" e cerca confusamente "l'altro" significa dare sostegni a che non in tutti la grande tentazione prevalga, là dove la materia sembra essere ormai più forte dello spirito.
  • A lato delle grandi correnti del mondo, esistono ancora individualità ancorate nelle "terre immobili". Sono, di massima, degli sconosciuti che si tengon fuori da tutti i trivi della notorietà e della cultura moderna. Essi mantengono le linee di vetta, non appartengono a questo mondo – pur essendo sparsi sulla terra e spesso ignorandosi a vicenda sono uniti invisibilmente e formano una catena infrangibile nello spirito tradizionale. Questo nucleo non agisce: ha solo la funzione a cui corrisponde il simbolismo del "fuoco perenne". In virtù di essi, la Tradizione è presente malgrado tutto, la fiamma arde invisibilmente, qualcosa connette sempre il mondo al sovramondo. Sono coloro che vegliano.
  • [...] mentre l'etica tradizionale chiedeva all'uomo e alla donna di essere sempre più sé stessi, di esprimere con tratti sempre più decisi ciò che fa dell'uno un uomo, dell'altra una donna – ecco che la civiltà nuova volge verso il livellamento, verso l'informe, verso uno stadio che invero non sta al di là, ma al di qua dell'individuazione e della differenza dei sessi.
    E si è scambiata per conquista una abdicazione. (2013, p. 207)

Citazioni su Julius Evola

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  • Con il suo idealismo magico, il culto di elementi esoterici, la rincorsa di appassiti valori aristocratici, Evola rappresenta il più importante esponente italiano del filone culturale della rivoluzione conservatrice. (Michele Prospero)
  • Evola è un neotradizionalista di destra che sogna di invertire il corso della modernità e recuperare così il gusto per i valori eroici e cavallereschi andati smarriti nell'età della massa. (Michele Prospero)
  • Evola non era mai stato iscritto al Partito nazionale fascista, ma questo solo perché lo riteneva troppo soffice e «italiota». Il suo ideale di stile e di organizzazione, e di fermezza ideologica, era il nazismo hitleriano. (Giampiero Mughini)
  • Frainteso da amici e nemici, lottò da solo contro il mondo moderno. (Necrologio apparso sul Corriere della Sera del 13 giugno 1974)
  • Ho letto e leggo Julius Evola. [...] Ora, io ignoravo tutto dello stato corporale di questo raro spirito. È quello che è. Ma egli vede!. (Henry de Montherlant)
  • Julius Evola ebbe due vite. Nella sua prima vita fu pittore, futurista, dadaista (dal nome di un movimento artistico e letterario nato a Zurigo nel 1916) e amico del suo fondatore, Tristan Tzara.
    I quadri dipinti in quegli anni furono notati e ammirati in alcune delle grandi esposizioni europee del tempo. Ma nel 1921 attraversò una difficile crisi personale, fu attratto dagli studi filosofici e dedicò il resto della sua vita alla elaborazione di un idealismo magico in cui è visibile l'influenza di Nietzsche, del pensiero razziale di Gobineau, della filosofia indiana e di altri culti esoterici dell'Asia.
    Aderì intellettualmente al fascismo e al nazismo perché sostenne di vedere in quei movimenti la nascita di un neo paganesimo e l'avvento di un'era eroica dominata da razze che avrebbero difeso i loro popoli dai flagelli della modernità. Uno dei suoi libri più importanti è, per l'appunto, Rivolta contro il mondo moderno. Era a Vienna nell'aprile del 1945 quando fu ferito durante un bombardamento alleato e perdette l'uso delle gambe.
    Quando rientrò in patria, nel 1948, fu accusato di avere collaborato alla creazione di una organizzazione fascista rivoluzionaria e venne processato; ma fu assolto ed ebbe da allora nella società culturale italiana una posizione simile per certi aspetti a quella di Céline, lo scrittore anti-semita di cui venivano riconosciute, tuttavia, le grandi qualità letterarie. (Sergio Romano)
  • La complessione spirituale di Evola – letto il suo libro [Saggi sull'idealismo magico] la si può considerare nella sua totale esperienza – è giunta coraggiosamente a limiti oltrepassati i quali non vi è più speranza per i deboli. I suoi sono continui atti di coraggio quantunque abbiano l'apparenza di sforzi logici; il signore assoluto, l'autarca, colui sufficiente a se stesso è tale in virtù di una coscienza nuova; questa coscienza nuova non ancora completamente manifestata, si è già definita in posizioni solide; questa coscienza nuova è necessaria per comprendere l'arte nuova, la nuova grande arte astratta che, altrimenti, è incomprensibile, incoerente. (Aniceto Del Massa)
  • Le cose non si cambiano solo con le piazze, si inizia anche dagli individui, ad esempio leggendo libri. Però si deve essere liberi intellettualmente. Invece, ancora oggi, quando ho detto che considero Julius Evola un artista degno di interesse, ho suscitato scandalo in certa stampa di sinistra, in modo prevenuto e superficiale. (Lucio Dalla)

Note

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  1. Da La dottrina aria di lotta e vittoria, a cura del Gruppo di Ar, Edizioni di Ar, Padova, 1986, pp. 26-27.
  2. Citato in Mario Caprara, Gianluca Semprini, Neri! La storia mai raccontata della destra radicale, eversiva e terrorista, Newton Compton editori, 2012, p. 151. ISBN 8854146951.
  3. La citazione viene erroneamente attribuita anche a Giorgio Almirante e Moana Pozzi. Almirante aveva fatto apporre la frase su un poster destinato alle sedi dell'MSI e l'aveva utilizzata come frase conclusiva del suo libro Autobiografia di un fucilatore. Moana Pozzi invece amava ripetere questa frase nel periodo in cui si occupava dell'edizione di un giornale erotico, poco prima di morire. Una frase simile è di Martin Lutero: «Bisogna lavorare come se si volesse vivere in eterno, ma vivere come se dovessimo morire adesso». Cfr. la raccolta Vivi come se dovessi.
  4. Da Meditazioni delle vette, Edizioni Mediterranee, Roma, 2013, p. 151. ISBN 978-88-272-2287-4
  5. Da Meditazioni delle vette, p. 124.
  6. Citato in centrostudilaruna.it.
  7. Nella fonte: della, refuso.
  8. [Proporzione]

Bibliografia

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