Giampiero Mughini
Giampiero Mughini (1941 – vivente), scrittore, opinionista e giornalista italiano.
Citazioni di Giampiero Mughini
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- La Juventus è l'unica donna della nostra vita che non c'ha mai tradito.[1]
- [Su Zdeněk Zeman] [...] grande allenatore ma anche un impagabile cabarettista quando si tratta di lanciare veleno anti-Juve.[2]
- Chiamare Calciopoli un episodio mi pare pazzesco: alla Juve sono stati tolti due scudetti, mandati in serie B, distrutta una squadra, la squadra dei campioni del Mondo nella finale del 2006, tra Italia e Francia, tra campo e panchina, allenatore compreso, ce n'erano 14. Che questa squadra sia stata distrutta non è un episodio.Non è stato un episodio, c'è una squadra che è stata al centro del campionato, della storia del calcio, delle vittorie italiane del campionato del mondo, che è stata umiliata.Il pm sportivo ha detto che anche l'Inter aveva fatto le sue telefonate e i suoi approcci ed era punibile, ma era caduta in prescrizione. Perché non rinunciate alla prescrizione?Il protagonista, Facchetti, non telefonava a nome della sua famiglia, ma della società di cui era un dipendente. La prescrizione non era dovuta al fatto che Giacinto Facchetti fosse in Paradiso, ma al fatto che era trascorso un certo numero di anni.Questo non cicatrizza la ferita, l'umiliazione, l'offesa. No, non cicatrizza, no.[3]
- Il porno è una cosa seria. È molto più seria di quanto dicano e io potrei tranquillamente tenere lezioni all'università. È arte pura. [...] In occasione dell'Isola dei Famosi un brillante giornalista italiano ha parlato della masturbazione come fosse una malattia, invece è una di quelle cose che Dio ci ha dato e di cui gli siamo grati. Anche io mi masturbo davanti a un film porno. Chi non l'ha mai fatto è un degenere, anche se li guardo solo per completare la ricchezza del mio patrimonio conoscitivo.[4]
- [Sulla Juventus] [...] la squadra che un italiano su tre considera la sua "fidanzata" ideale e mentre gli altri due italiani su tre la reputano invece il Male Assoluto.[5]
- [Sulla Juventus] Una squadra che è tornata ad essere l'orgoglio del calcio italiano alla faccia di tutti i club "Juve merda" disseminati per lo stivale. Una squadra che è una scuola del carattere, uno stemma, un brand. L'unico brand italiano del 1930 tuttora in voga.[5]
- Agli interisti con tanta simpatia dico che all'Università ho sostenuto tre esami di letteratura dedicando meno tempo alla Divina Commedia di quanto se ne stia dedicando alle quattro partitine dell'Inter in questo avvio di campionato.[6]
- Vecchioni? Sulla Sicilia ha fatto benissimo, io l'ho detto non so quante volte che odio la Sicilia. Che sentimento vuoi provare quando vedi l'assemblea regionale? E poi è chiaro che Vecchioni ha pronunciato quelle parole perché prova un sentimento di amore-odio. Leonardo Sciascia diceva: mi alzo delle mattine e penso della Sicilia ciò che ne pensa la Liga Veneta. La Sicilia è la terra dove è sepolta mia madre, io dico che la odio. Ma si deve capire l'intensità di questo sentimento. Guardate l'assemblea regionale siciliana, che sentimenti puoi provare?[7]
- È estraneo alle consuetudini della cultura italiana che un collezionista, al momento di dar via i suoi libri, lasci traccia della sua collezione in un catalogo. Quando un collezionista italiano arriva al capolinea e vende, di solito avviene in sordina e in silenzio.[8]
- Mani pulite fu un regolamento di conti mafioso. Uccise il Psi, la Dc e gli altri partiti che avevano costruito la democrazia italiana; così vennero fuori l'Msi, la Lega e un partito costruito dagli impiegati di Publitalia. Il crollo culturale è evidente.[9]
- Destinata a diventare la più grande fotografa italiana, Lisetta Carmi (nata nel 1924, morta il 5 luglio 2022) aveva poco più di quarant'anni la notte del Capodanno del 1965 quando dopo aver percorso uno di quei viottoli entrò in una casa dove sostavano alcuni dei personaggi ai quali l'ex ghetto era divenuto campo di vita e di azione. Ossia i "travestiti", uomini che vestivano e si atteggiavano da donne, uomini che con tutto il loro essere si sentivano donne e si volevano donne che si prostituivano perché altri sbocchi di che vivere la società italiana del tempo a loro non ne affriva. [...] Per nientemeno che sette anni di fila la Carmi scattò qualcosa come duemila immagini. Non pe adulare quella sorta di umanità ma per mostrarla aspra com'era, assieme riluttante e spavalda.[10]
- [In riferimento alle leggi razziali fasciste] Una testimonianza drammaticissima e giorno per giorno di quei mesi e di quegli anni sta in un libro pubblicato nel 1946 che credo pochi conoscano e che ho potuto comprare fortunosamente, Caccia all'uomo. Pagine di diario di Luciano Morpurgo. Nato a Spalato da antica famiglia ebraica nel 1868, uno che è stato fra i più importanti fotografi italiani fra le due guerre e di cui è immane il fondo fotografico custodito in varie istituzioni culturali italiane. Leggendario è il suo reportage fotografico del 1927 da una Palestina alla quale stava cambiando volto l'afflusso di ebrei che vi si rifugiavano numerosi.[11]
- Ico Parisi, un autore che oggi ha un risalto culturale e collezionistico non inferiore a quello di Carlo Mollino. Trent'anni fa uno dei tre suoi mobili presentati in unico esemplare alla Triennale di Milano del 1951, lo pagavi tra i dieci e i venti milioni di lire. Oggi a un'asta internazionale raggiungerebbe facilmente un'aggiudicazione tra i 150 e i 200 mila euro.[12]
- Di Duilio Cambellotti, un poliedrico artista che era stato ineguagliabile nella prima metà del secolo, l'Italia degli anni Sessanta si era completamente dimenticata. Un suo magistrale affresco a tempera affisso sulle mura del Palazzo del governo di Ragusa, e che raccontava la Marcia su Roma, era stato addirittura nascosto a forza di teli che ne oscurassero il carattere politically incorrect. Finché nel 1987 la Bompiani non pubblicò Invenzione di una prefettura, il libro con cui Leonardo Sciascia svelava al mondo quel capolavoro.[12]
Da un articolo per notizie.tiscali.it, 2008.
- [La prostituzione] Quella che Leonardo Sciascia definiva il più innocente dei peccati capitali.
- È esilarante che i mass-media fingano di scandalizzarsi quando un bel pezzo della squadra del Manchester United convoca, in un non ricordo più quale albergo, una caterva di puttane, due o tre a testa. E che cosa volete che facciano dei ragazzoni di vent'anni che guadagnano in sterline l'equivalente di mezza milionata di euro netti il mese? Pensavate che passassero tutto il loro tempo libero nelle gallerie d'arte e nelle librerie antiquarie?
- Il governatore di New York [Eliot Spitzer] è stato un gran bugiardo e un grande ipocrita, certo che per questo andava punito. Ma solo per questo. Perché per il resto l'andare a puttane è affare strettamente privato, e ognuno ne risponde (se vuole) alla propria coscienza, eventualmente alla propria donna.
- Poche cose sono certe e continuative nella storia dell'umanità come l'andare a puttane. Tolgo di mezzo subito un possibile equivoco. Non sono un praticante della cosa. Non ci vado adesso né ci andavo a venti o trent'anni, salvo in un paio di occasioni di cui la sola emozione che ricordo è la noia.
Da un articolo per Libero, 29 gennaio 2011; ripubblicato in ju29ro.com.
[Sulla Juventus Football Club 2010-2011]
- Di campioni in campo nemmeno l'ombra. Il ginocchio di Quagliarella ha sbattuto contro la mala sorte; Krasic non ce la fa più neppure ad andare a rispondere al telefono; Aquilani è fuori condizione. Per il resto infortuni a catena e mediocrità disarmante in campo. Non si può pensar di vincere nulla con Grygera, con l'invecchiato Grosso, con il pur volenteroso Pepe, con il fantasma di un giocatore chiamato Martinez, con la contraffazione del Sissoko della prima stagione juventina.
- Che brutto vedere una partita di calcio e non provare la benché minima emozione. Vedere in campo le maglie bianconere e non provare emozioni. Mi era mai successo?
- Oggi per un arbitro fa chic sbagliare contro la Juve, così come nel giornalismo politico fa chic dire che Bettino Craxi era un malfattore.
- Beppe Furino non era un fuoriclasse, era molto di più di un fuoriclasse: era il "capitan Furia" della più bella Juve tutta italiana [...].
- Gli anni passano, le generazioni pure. È finito l'Impero Romano, la Repubblica marinara di Venezia, il tempo in cui il drappo orgoglioso della Spagna sventolava su territori sui quali non tramontava mai il sole. Credo sia purtroppo finito il tempo di un'insegna calcistica voluta da un gruppo di liceali nella magnifica Torino di fine Ottocento. Una squadra e un mito durati un secolo e più. [...] That's the end, my beautiful friend. È purtroppo finita.
Da un intervento a La Zanzara, Radio 24; citato in Gisella Ruccia, tv.ilfattoquotidiano.it, 11 marzo 2013.
- Grillo? È un miliardario che si veste da baracconato e va gridando pezzenterie. Sono totalmente insensibile a Grillo, come i film che non mi piacciono e non guardo. Di lui non mi arriva nulla, sento solo una gran fanfaronata molto furbetta. Non penso che creda alle cose che dice, come il voler prendere il cento per cento. Ormai Grillo è una macchinetta, metti una moneta ed esce una nenia, come aver messo un gettone in un jukebox.
- [Su Gianroberto Casaleggio] È letteratura allo stato puro, un genio della coreografia. Mi fa pensare ad Albert Speer, l'architetto del Terzo Reich, grande inventore di coreografie naziste. Speer aveva creato le serate notturne per i leader nazisti che avevano la pancetta e con le sue coreografie le nascondeva. Ecco, Casaleggio è un genio della coreografia, ma meno geniale di Speer.
- [Su Oscar Giannino] Conosco benissimo le sue smargiassate, lui è un mentitore professionale, ma è bravissimo nel suo lavoro. Ha sbagliato a vantarsi delle lauree, perché sono le cose più inutili e stucchevoli. Con la mia laurea io mi ci sono pulito le scarpe e non sono neppure venute pulite.
Intervista di Gianmarco Aimi, rollingstone.it, 16 aprile 2021.
- [Lo sport] È stato il momento formativo essenziale della mia vita. Mi ha fatto comprendere che ti devi far valere, che le sfide si affrontano lealmente, che stringi la mano all’avversario prima e dopo la gara e che talvolta vinci ma talvolta puoi anche perdere. Tutto quello che so l’ho imparato lì. A scuola invece un bel niente.>
- Il calcio è il più gran romanzo popolare italiano.
- Io apro bocca solo quando mi pagano per sapere come la penso.
A via della Mercede c'era un razzista
[modifica]- Per molti anni ha scritto a mano, secco e perentorio, con una penna stilografica Parker nera a inchiostro verde, l'inchiostro poi prediletto da Palmiro Togliatti, e tenendosi sulle ginocchia il figlio Cesare, avvolti entrambi in una nube di fumo, il fumo di qualcuna delle cento sigarette che Interlandi padre consuma in un giorno. Da alcuni anni ha preso invece a usare la Olivetti rossa. Batte lentamente, con l'indice della mano destra coadiuvato solo di tanto in tanto dall'indice della mano sinistra. Finisce comunque rapidamente, come sempre. Secco e perentorio. È di quelli che hanno inventato il giornalismo moderno, quel fraseggiare scarno, essenziale, che mira subito al cuore dell'argomento. Sin dalla fine degli anni Venti, Leo Longanesi, che se ne intendeva più di chiunque altro, aveva scritto che di giornalisti pari a Interlandi il fascismo non ne aveva. (cap. I, p. 14)
- [...] collaboratore ricorrentissimo tanto del «Tevere» che di «Quadrivio», l'architetto Vinicio Paladini, un intellettuale «bolscevico» che da autore di strepitosi fotomontaggi e delle più belle copertine di libri degli anni Trenta è stato un po' il Moholy-Nagy[13] italiano, un protagonista dell'avanguardia tra le due guerre che ancora attende adeguata valutazione. (cap. I, p. 18)
- Anche se oggi il suo nome nemmeno figura nel Dizionario Bompiani degli Autori, Gallian è stato uno scrittore di spiccatissima personalità e tra le figure più interessanti della cultura italiana degli anni Trenta, un uomo all'incrocio di varie traiettorie intellettuali, lì al punto di giunzione fra il fascismo di sinistra e avanguardia intellettuale. Irregolare delle lettere e fascista verbalmente accanito, grande sperperatore del suo talento, morto a sessantasei anni nel 1968, lui la battaglia col pubblico sembra averla perduta di brutto, tanto da essere stato completamente cancellato dal panorama letterario del suo tempo. (cap. V, p. 104)
- Padre di sei figli, ammalato, sfrattato di casa e senza neppure i soldi di che pagare la bolletta della luce, il suo nome bandito da giornali e riviste, il secondo dopoguerra fu per lui disperante. Negli anni in cui molti di quelli che avevano scritto poesie sui martiri fascisti ne scrivevano adesso bellamente sui caduti partigiani, Gallian pagò duramente per quelle che erano state le sue idee dell'anteguerra, giovandogli a niente che non avesse aderito alla Repubblica di Salò. Per sopravvivere dové ridursi a vendere sigarette alla Stazione Termini. (cap. V, p. 104)
- [Marcello Gallian] Questo apologeta dello squadrismo, questo fascista della prima ora, continuamente alla questua di soldi con cui campare la sua numerosa famiglia (e difatti figura con una cifra consistente fra quanti vennero mensilmente sovvenzionati dal ministero della Cultura popolare); quest'uomo generoso che subito si mise di mezzo con Mussolini, nel 1938, quando l'antifascista Eugenio Montale stava per perdere, e poi effettivamente perse, il suo posto di direttore del Gabinetto Vieusseux a Firenze, questo tipo fuori delle regole, che non arrivava mai puntuale agli appuntamenti e scriveva articoli diversi da quelli commissionatigli; questo dandy che litigava continuamente con Anton Giulio Bragaglia, a chi dei due fosse il vincente nell'arte di sedurre e conquistare le donne; questo scrittore di razza che ebbe tra i suoi elogiatori Giuseppe Ungaretti, Emilio Cecchi, Enrico Falqui, il giovane Vasco Pratolini; questo spregiatore della borghesia che portava in giro il suo amico Gambetti, vestito in divisa da avanguardista, a far visita a quelli che a Gallian stavano più congeniali, gli artigiani anarchici che abitavano nel quartiere più «rosso» di Roma, San Lorenzo; quest'uomo bello e altero che in ogni cerino avrebbe voluto vedere il sintomo di un vulcano; quest'uomo, negli anni Venti e Trenta, era di casa nei giornali del suo amico fraterno Interlandi, da lui definito «un uomo vivo». Tanto di casa che un suo romanzo Nostro impero quotidiano, venne pubblicato da «Quadrivio» addirittura in 27 puntate, fra il 1937 e il 1938. (cap. V, pp. 106-107)
- Nato a Mosca nel 1902 da madre russa e da un ricco albergatore romano, piccolo di statura, esile, un paio di occhialetti tondi d'alluminio e sulla testa un basco (a quanto ce lo mostra un ritratto di Giuseppe Capogrossi), Paladini aveva visitato nel 1924 il padiglione sovietico alla Biennale di Venezia e ne era uscito entusiasta. Cultore da sinistra del moderno, convinto che in Urss fosse in atto la germinazione di una società nuova e dunque di un'arte rivoluzionaria, tessé l'elogio degli artisti esposti in quel padiglione in un libriccino[14] di poche pagine, pubblicato nel 1925. (cap. V, p. 111)
- Una foto di prima pagina [ del Quadrivio][15] ci fa sapere che a Macallè[16] è sorta la sede del Guf[17].
È per l'appunto il tempo dell'imbecille coloniale, così come più tardi sarà il tempo dell'imbecille neorealista, e, via via che ci avviciniamo agli anni nostri, dell'imbecille terzomondista, dell'imbecille operaista, dell'imbecille pacifista, dell'imbecille ecologico. Ogni epoca ha i suoi di imbecilli, e se li tiene preziosi. (cap. V, p. 133) - [...], il 7 luglio [1943], a poche ore dallo sbarco alleato in Sicilia, Interlandi affonda nuovamente il fioretto, questa volta dalla prima pagina del «Tevere». Contro chi? Contro Vittorio Cramer. E chi diavolo è Cramer? È l'annunciatore radiofonico del bollettino di guerra, un ebreo. La qual cosa a Interlandi non va proprio giù, la prende come un indebolimento della volontà di guerra, uno sconciare l'identità nazionale. Il suo corsivo è talmente spropositato da mandare su tutte le furie Fernando Mezzasoma, il direttore generale per il servizio della stampa italiana, che, appena presa in mano la copia del «Tevere», telefona a Interlandi ad abbaiargli se è quello il momento di prendersela con un annunciatore radiofonico perché ebreo. (cap. VII, p. 185)
- Piccolo di statura, un aspetto che ricorda quello di Goebbels senza averne la luce diabolica, lo sguardo obliquo e acido di chi non si sente sufficientemente ascoltato e seguito, Preziosi rincara ogni giorno la dose del suo antisemitismo; ovvero, a dirla in linguaggio psicoanalitico, si lascia giocare ogni giorno di più dal suo delirio razziale. Fino al momento della resa dei conti, quando dai balconi di quella stessa casa di Desenzano, si lancerà giù a sfracellarsi, la mano nella mano della moglie, Valeria Bertarelli, una donna dai capelli argentei molto più alta di lui [...]. (cap. VII, p. 196)
Il grande disordine
[modifica]- Nel quotidiano «Lotta continua» hanno lavorato e si sono formati alcuni dei talenti di una generazione giornalistica, da Lerner a Deaglio, da Mercenaro a Briglia. Non metto nel gruppo Claudio Rinaldi, di gran lunga il miglior direttore di settimanali nell'Italia dell'ultimo decennio, perché nei confronti del giornale e della realtà umana di Lc Rinaldi s'è comportato alla maniera di un gabbiano. Vi è piombato sopra un attimo, a beccarvi quel che gli giovava, per poi volare subito alto, verso quel principio di prestazione e di efficacia che facesse saettare la sua carriera [...]. (cap. I, p. 23)
- Di quel gruppo di talenti e di figure in cui s'è specchiato il meglio di una generazione, resta comunque eccezionale il personaggio [Adriano] Sofri. Ho detto prima di Rinaldi e di [Renato] Mieli, e del loro accorto equilibrio tra la fedeltà alla loro generazione e l'esercizio implacabile del principio di prestazione e di efficacia. Se c'è uno invece che giudica il principio di prestazione men che zero è Sofri, uno che pure è capace di splendide prestazioni intellettuali. A lui la riuscita, la carriera, il collocamento gerarchico nella zona nobile di un'istituzione riconosciuta, a lui tutto questo significa men che zero. Lui mira molto più in alto. Gli interessa esercitare l'imperio sulle anime, che gli siano devoti quelli che stanno dalla parte del Bene. Lui sì che era e resta «sessantottino», con quel di eroico che il termine comporta, ma senza quel che di limitato e di intellettualmente miserevole c'è in tanti altri reduci del Sessantotto. (cap. I, pp. 25-26)
- [...] Evola non era mai stato iscritto al Partito nazionale fascista, ma questo solo perché lo riteneva troppo soffice e «italiota». Il suo ideale di stile e di organizzazione, e di fermezza ideologica, era il nazismo hitleriano. (cap. II, p. 66)
- Dell'uomo di partito che ha consacrato tutto il suo vivere e il suo immaginare al partito, Enrico Berlinguer portava le stimmate. Ogni cosa in lui era politica e destinata alla politica; ad esempio la volta che da segretario della Fgci[18] raccomandò ai giovani italiani di prendere a modello Maria Goretti, quella che aveva difeso la sua verginità a prezzo della vita, ed era un modo per dire ai cattolici che i loro valori coincidevano con quelli dei comunisti. (cap. V, p. 154)
- Sì, Berlinguer era timido, chiuso, uno che parlava più con gli occhi che con le parole, e che di parole non ne sprecava una in più del necessario neppure quando andava in televisione e mezza Italia gli puntava lo sguardo addosso. Cocciuto più che appariscente, uno che si muoveva senza fare rumore, uno che ci dava sotto e non mollava la presa. (cap. V, p. 155)
- Che il Pci degli anni Settanta fosse un grande apparato, è dire poco. Mai in nessun altro Paese moderno il comunismo aveva avuto una tale schiera di seguaci, gente entusiasta e talvolta di gran qualità. Due milioni gli iscritti, decine di migliaia i funzionari di partito in libro paga, centinaia di deputati e senatori, un minimpero editoriale di quotidiani e settimanali da oltre 600.000 copie a botta, quelle feste dell'«Unità» dove pittori e scrittori importanti facevano a gara ad offrirsi gratuitamente per cucinare le salsicce ai militanti. E mentre votava Pci un italiano su tre, ed erano in mano ai comunisti le amministrazioni delle grandi città, a Torino come a Roma. Così come sono saldamente in mano ai comunisti, e da loro dominate in ogni ripostiglio della vita pubblica, le regioni più ricche, quelle dell'Italia centrale, quelle dove dietro ogni porta palpita una piccola azienda che crea e fa reddito. (cap. V, p. 156)
- Uno dei giocatori più brutti al mondo da vedere era Gerd Mueller, la punta della nazionale tedesca. Era tracagnotto, le gambe storte, si muoveva tutto sbilenco. In 60 e passa partite che aveva giocato nella nazionale tedesca aveva segnato alla media di più che un gol per partita, una media impressionante. Altro che brutto da vedere, era un giocatore sublime da quanto era efficace ed essenziale. (cap. VI, p. 196)
- Il bravo e leale segretario comunista della Cgil, Luciano Lama, sbagliò a voler entrare all'Università di Roma protetto dal suo servizio d'ordine, quel 17 febbraio 1977, ciò che non poteva non avere l'aria di un'invasione straniera. Ma a sconfiggerlo, non furono le parole d'ordine estreme di demenza e di violenza che gli ringhiarono contro quelli dell'Autonomia romana. A sconfiggerlo, a fare da dimostrazione lampante che lui era l'uomo sbagliato nel posto sbagliato, sarà l'iscrizione che sui muri dell'università avevano tracciato gli indiani metropolitani: «I Lama stanno nel Tibet». Non la forza aveva costretto Lama a cedere il campo, ma l'ironia. (cap. VII, p. 216)
- Un critico d'arte affinato come Maurizio Calvesi lo aveva scritto subito che quei due fatti contemporanei, l'inaugurazione del Beaubourg a Parigi [nel 1977] e la nascita degli indiani metropolitani a Roma, erano due indizi culturali che avevano lo stesso significato e che andavano nella stessa direzione. (cap. VII, p. 217)
- Da laico, Scalfari era diverso da Montanelli. Lui Dio lo vedeva e lo trovava ogni mattina, quell'immagine allo specchio mentre si stava curando la barba. (cap. VII, p. 241)
- Il primo numero del «Male» apparve nel febbraio del 1978 e aveva in copertina un'immagine che riassumeva la filosofia del mondo di Zac[19], e a quella maniera tutt'altro che allettante che era la sua. Era l'immagine di un orinale dalla cui materia fumante emergevano i volti di Andreotti, La Malfa, Craxi e Berlinguer. Titolo: «La misura è colma». (cap. VII, p. 248)
- [...] un saggista di sterminata cultura e di vivacissima scrittura polemica, è Cesare Cases, uno che per anni è stato l'alter ego di Fortini, ora interlocutore e ora contraddittore necessario. (cap. VIII, p. 266)
- Comunista iscritto al Pci, Cases lo rimase per poco anche dopo i fatti d'Ungheria del 1956. Un suo magnifico saggio sulla politica culturale nella Germania dell'Est, pubblicato da «Nuovi Argomenti» nel 1958, era talmente sarcastico nei confronti dei «compagni» tedeschi che qualcuno lo mise sul tavolo di Palmiro Togliatti, a chiedergli che si dovesse fare di un tipo che scriveva cose simili, se tenerlo ancora nel Pci o cacciarlo. Togliatti disse di lasciar perdere, e Cases se ne andò dal Pci sulle sue gambe. (cap. VIII, p. 266)
Quando sono sbucato dalla metropolitana di Porta Genova, una mattina di poco più di un anno fa, il cielo milanese era appena striato da qualche timida nuvolaglia sperduta nell'azzurro intenso. Per essere una giornata di fine novembre, niente a che vedere con la sua cupa leggenda di cielo imbronciato e attristante. Quel cielo milanese di inizio secolo, «spesso reumatizzante in inverno dolorante preoccupato», di cui scrive Filippo Tommaso Marinetti in un suo tardo libro autobiografico. E se nello spazio di un secolo è cambiato il colore e l'aroma del cielo milanese, figuriamoci tutto il resto. Dagli albori del Novecento, quando Marinetti (nato ad Alessandria d'Egitto nel 1876) aveva trent'anni nella «grande Milano tradizionale e futurista» e s'apprestava a scatenare in Italia e nel mondo l'uragano letterario e artistico del futurismo. Del cui esordio ufficiale, il Manifeste du Futurisme firmato da Marinetti sulla prima pagina del «Figaro» del 20 febbraio 1909, scocca in questo 2009 l'anno centenario. Marinetti e gli altri della sua banda, nessuno dei quali aveva toccato i trent'anni, avevano scritto questa tonitruante apologia della modernità alla notte, in quel suo appartamento milanese di via Senato sotto le cui finestre scorrevano allora le acque del Naviglio.
Citazioni su Giampiero Mughini
[modifica]- Mughini Giampiero. Oltre dalla polizia è tenuto sotto sorveglianza anche dagli antropologi. È infatti passato da Lotta Continua ad Area Bianconera. (Enzo Costa)
- Se un giocatore della Juve dà un calcio nella gola di un avversario e lo colpisce alla testa con un kalashnikov Mughini dice che è rigore per la Juve. (Claudio Amendola)
- Un carattere molto forte, una persona di grande cultura, un grande uomo di spettacolo. (Luisa Corna)
Note
[modifica]- ↑ Da Juve, il sogno che continua, Mondadori, 2008. ISBN 88-0457-594-8
- ↑ Da un articolo per Libero, 23 agosto 2012; trascritto in Mughini "Giustizia sportiva al rovinìo", juvemania.it.
- ↑ Dal programma televisivo Tiki-Taka; citato in Sotto la lente - Calciopoli, una ferita che non cicatrizzerà mai, tuttojuve.com, 31 ottobre 2014.
- ↑ Da un itervento a La Zanzara, Radio 24; citato in Giampiero Mughini: "Il porno è una cosa seria. Chi non si masturba è un degenere. Ho una collezione di 20 cassette hard", liberoquotidiano.it, 30 marzo 2015.
- ↑ a b Da Nove anni fa. La Juve distrutta è in Serie B, dagospia.com, 14 maggio 2015.
- ↑ Citato in Bonolis a Mughini: "Ho studiato diritto penale, posso parlare di Juventus", juvenews.eu, 22 settembre 2015.
- ↑ Da un intervento a La Zanzara, Radio 24; citato in Il siciliano Mughini dà manforte a Vecchioni: «Le frasi sulla Sicilia? Ha fatto bene, io la odio», corrieredelmezzogiorno.corriere.it, 11 dicembre 2015.
- ↑ Da La stanza dei libri, 2016.
- ↑ Dall'intervista di Aldo Cazzullo, Mughini: «A Parigi nel ‘68 tiravo pavé sulla polizia, poi mi innamorai di Craxi», corriere.it, 24 marzo 2018.
- ↑ Da I travesiti di Lisetta Carmi, fotografie che segnano un'epoca del Novecento, Il Foglio Quotidiano, 27 dicembre 2022.
- ↑ Da Il dramma di quegli ebrei così italiani, ma braccati. Pagine di diario, Il Foglio Quotidiano, 31 gennaio 2023.
- ↑ a b Da La mappa della bellezza moderna a Roma disegnata dal duo DE Guttry-"Mapi", il Fatto Quotidiano, 28 marzo 2023.
- ↑ László Moholy-Nagy (1895 – 1946), pittore e fotografo ungherese naturalizzato statunitense, esponente del Bauhaus.
- ↑ Arte nella Russia dei soviets. Il padiglione dell'U.R.S.S. a Venezia.
- ↑ Rivista, nata nel 1933, diretta da Telesio Interlandi.
- ↑ Capitale del Tigrè, in Etiopia.
- ↑ Gruppi universitari fascisti.
- ↑ Federazione Giovanile Comunista Italiana.
- ↑ Pseudonimo di Giuseppe Zaccaria (1930-1985), fumettista, regista e animatore italiano.
Bibliografia
[modifica]- Giampiero Mughini, A via della Mercede c'era un razzista, RCS Rizzoli Libri, Milano, 1991, ISBN 88-17-84100-5
- Giampiero Mughini, Il grande disordine. I nostri indimenticabili anni Settanta, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1998. ISBN 88-04-43254-3
- Giampiero Mughini, La collezione. Un bibliofolle racconta i più bei libri italiani del Novecento, Einaudi, 2009. ISBN 9788806196103
- Giampiero Mughini, La stanza dei libri, Bompiani, 2016.
Film
[modifica]- Ecce bombo (1978)
- Sogni d'oro (1981)
Altri progetti
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