Sergej Adamovič Kovalëv
Sergej Adamovič Kovalëv (1930 – 2021), attivista russo.
Citazioni di Sergej Adamovič Kovalëv
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Il presidente Dudaev non è affatto circondato da bande armate, ma da un popolo in armi. Il popolo ceceno, come ogni altro popolo, può sbagliarsi quando sceglie i suoi leaders, ma ciò non dà a nessuno il diritto di bombardarlo... I soldati e gli ufficiali russi non vogliono combattere contro il popolo di Cecenia e ci chiedono di farglielo sapere.[1]
- [Su Pavel Gračëv] Una canaglia. [...] Vi prego, riferite che ho proprio detto così: una canaglia.[2]
- Gli anni di Eltsin ci hanno riportati indietro. [...] Noi intellettuali, che dopo il '91 ci siamo lasciati tentare dal potere, e ne abbiamo fatto l'apologia, ora ci ritroviamo imbavagliati.[3]
- Zhirinovskij non vuole perdonarmi di aver protestato contro la guerra in Cecenia, mentre i comunisti – più moderati nell'appoggiarla – non possono perdonarmi di aver fatto da testimone d'accusa nel processo contro il pcus.[3]
- Un presidente si elegge perché gli elettori pensano che possa rispondere a varie aspettative, politiche, economiche, sociali. Mentre Putin verrà eletto soltanto perché ha promesso di sbaragliare i ceceni. Qui sta il consenso dei russi attorno al suo nome. E più il nostro esercito impiega contro piccoli villaggi, contro gruppi di guerriglieri, armi da grande guerra campale, missili o bombe dagli effetti disastrosi, più cresce il consenso. Per non parlare poi delle tre tappe che hanno portato Putin alle soglie della presidenza: prima i misteriosi attentati terroristici con centinaia di morti, quindi la guerra, infine le dimissioni di Eltsin. Ebbene, chi può credere che dietro a tutto questo non ci siano dei burattinai?[4]
Intervista di Anna Zafesova, La Stampa, 6 gennaio 1995, p. 9.
- Il governo di Mosca non vi dice che menzogne su quello che sta accadendo. [...] nemmeno in 70 anni di comunismo si era mai visto un potere così bugiardo.
- Non ne ho visto nemmeno l'ombra [di mujaheddin afgani in Cecenia]. I tre giordani presi dai russi come mercenari erano in realtà tecnici della raffineria.
- [...] i ceceni non sono dei suicidi. Ma temo che questa bugia [sull'utilizzo di armi chimiche da parte dei ceceni] serva per giustificare in seguito l'uso di gas tossici da parte dei russi.
- [Su Boris Nikolaevič El'cin] Temo che non venga informato di quello che accade. Ma è comunque responsabile per essersi circondato di bugiardi e canaglie.
Intervista di Mauro Montali, l'Unità, 12 marzo 1995, p. 12.
- Quel che so è che si sta realizzando, ai miei danni, un'alleanza tra i nazionalisti di Zhirinovskij e i comunisti. [...] Per quanto riguarda Zhirinovskij c'è poco da dire. La mia denuncia sulla Cecenia non gli dev'essere andata a genio. Per quanto riguarda i comunisti, invece, va detto che la Cecenia non c'entra nulla. Loro, sia pure blandamente, sono contro la guerra. Il motivo è un altro: io ero teste d'accusa durante il processo al tentato golpe dell'agosto 1991. Evidentemente non me l'hanno perdonato.
- La guerra in Cecenia non era affatto inevitabile. Mosca aveva le possibilità di risolvere il conflitto usando la trattativa.
- [...] tornerò a fare il dissidente. Sono tornati alla cultura della menzogna. È peggio dei tempi di Breznev quando tutti sapevano che diceva bugie, lui sapeva che tutti sapevano, e non si muoveva foglia.
- Il governo sostiene che le vittime, tra i militari, siano state appena 957. Vi posso assicurare che sono state molto di più. Quello che ho visto con i miei occhi è terribile e in molti posti hanno impedito che ci andassi, salvo poi dichiarare che non ci sono arrivato io. Stanno istituzionalizzando, di nuovo, le bugie. Solamente tra i civili morti sono più di 25mila. E tutto questo per una guerra che è condannata almeno dal settanta per cento della popolazione.
Dalla lettera a Boris Nikolaevič El'cin pubblicata da Izvetsija; citato ne La Stampa, 25 gennaio 1996, p. 9.
- [Sulla crisi costituzionale russa del 1993] Nei giorni tragici nell'autunno 1993 io – non senza gravi dubbi – mi decisi ad appoggiarLa. Pensai allora che l'uso della forza fosse una necessità fatale di fronte alla guerra civile che minacciava di esplodere da un momento all'altro. Ma sperai che, una volta superata la crisi, il presidente e il governo avrebbero fatto il possibile per lo sviluppo pacifico e libero della Russia. Mi sono sbagliato. La Costituzione del 1993 assegna al presidente poteri enormi. Come li ha usati? Lei ha cominciato a predicare apertamente il principio «che soffrano gli innocenti, l'importante è punire i colpevoli».
- Nei primi tempi accanto a Lei c'erano parecchie persone competenti e oneste. Ma Lei accoglieva più volentieri coloro la cui unica virtù era la fedeltà personale. Pian piano questo principio di selezione dei collaboratori, tipico del pcus, ha prevalso. Quelli che invece non possedevano nella misura giusta questa qualità venivano allontanati. Ma perfino nella ristretta cerchia dei «fedeli senza adulazione» facevano carriera solo quelli che – e ciò era evidente a tutto il Paese – perseguivano innanzitutto i propri interessi, ed è ancora una fortuna quando quegli interessi non erano criminali. Risultato? Guardi bene in faccia i suoi seguaci attuali e smetterà di stupirsi perché il Paese non si fida di loro e, quindi, di Lei.
- [Sulle elezioni presidenziali in Russia del 1996] Oggi Lei si presenta come unica alternativa a Ziuganov e Zhirinovskij. Ma sbaglia: siete molto più simili, che diversi. E se ci toccherà di scegliere tra di voi, il nostro voto assomiglierà alla scelta tra diverse protezioni mafiose, tra chi è un po' meno avido e pericoloso. Rifiuto i «rossi» e i «bruni», ma non voterò nemmeno per Lei. E sconsiglio la gente onesta dal farlo. Non posso continuare a lavorare con un presidente che non ritengo né sostenitore della democrazia, né garante delle libertà e dei diritti. Da oggi non faccio più parte di nessun organismo presidenziale. Penso che Lei non rimpiangerà il mio abbandono. Nemmeno io.
Intervista di Enrico Franceschini, La Repubblica, 27 gennaio 1997.
- [Sull'elezione generale in Cecenia del 1997] All'inizio della campagna elettorale sembrava che il colonnello Maskhadov fosse un candidato invincibile. Adesso c'è invece molta incertezza, e il suo principale avversario, Basaev, ha qualche probabilità di farcela. La sua vittoria sarebbe un problema, Basaev è ricercato per terrorismo dalla Russia, può ben capire come sarebbe difficile per Mosca avviare un rapporto con lui.
- La Russia ha bisogno della Cecenia, e la Cecenia della Russia. Non credo che molta gente in Cecenia abbia un'idea precisa di che cos'è uno Stato indipendente. Tanti hanno preso il fucile e combattuto solo per difendere la propria famiglia, la propria casa, il proprio villaggio. Ma perché sia possibile un compromesso, la Russia deve aiutare a ricostruire la Cecenia, a rimettere in piedi quello che ha distrutto. Purtroppo non abbiamo i 150 miliardi di dollari che chiedono i ceceni e neppure molto meno.
- Certamente il rischio [del separatismo in Russia] esiste, ma siamo noi russi che dobbiamo dimostrare a tutti che è finita la mentalità imperiale, che si può restare dentro alla Russia e trarne un vantaggio. Non possiamo tenere nessuno legato a Mosca con la forza.
Intervista di Enrico Franceschini sulle elezioni presidenziali in Russia del 1996, La Repubblica, 3 luglio 1997.
- Il 16 giugno ho votato per Javlinskij. Il 3 luglio voterò contro tutti. Ma ci tengo a precisare che è solo la mia posizione personale: non invito nessuno a seguirla. Anzi, facendo un ragionamento politico, sono costretto ad ammettere che Eltsin sia l'opzione più conveniente. Ma non me la sento di dargli il mio voto.
- So bene cosa accadrebbe [se vincesse Gennadij Zjuganov]: ci sarebbero di nuovo prezzi fissati dallo Stato per certi prodotti, cui seguirebbe un'impennata dell'inflazione, dopodiché tornerebbero a mancare i beni di consumo, ricomparirebbero le code e le tessere per il razionamento. Avremmo tentativi di confiscare le proprietà private, di limitare la libertà di stampa, e varie forme di repressione. Un disastro. [...] Mi spaventa. Ma i comunisti sarebbero incapaci di creare una stabilità, sarebbero gli autori della loro stessa precipitosa caduta, ne sono certo.
- Eltsin potrebbe garantire una sorta di stabilità estremamente pericolosa, guidando un governo che mente con metodo, che ruba e corrompe, che riduce progressivamente i diritti umani. La Russia è già oggi uno strano paese, ha un sistema di governo sostanzialmente comunista mascherato da slogan anticomunisti. Un sistema molto ipocrita, che invece di screditare il comunismo finisce per screditare la democrazia.
- È già stato dimostrato altrove che un'economia di mercato può operare in un regime totalitario, basta pensare alla Cina.
- [Su Aleksandr Ivanovič Lebed'] Avrei preferito che l'alleato e l'erede di Eltsin fosse un liberale, come Javlinskij, non un generale. Temo che dovremo fare presto la conoscenza con il suo bonapartismo. È possibile che diventi una specie di "De Gaulle russo", ma non abbiamo alcuna garanzia al riguardo.
Intervista di Rossella Ripert, l'Unità, 17 dicembre 1999, p. 3.
- [Sulla battaglia di Groznyj] Non si può chiamare vittoria la conquista di una città distrutta, delle sue rovine. Mosca non avrà mai la vittoria a meno che non arrivi al genocidio.
- Purtroppo uomini politici ambiziosi stanno dimostrando di non aver fatto tesoro di nessuna lezione precedente. Non hanno imparato nulla dall'Afghanistan. Non hanno imparato nulla dalla prima guerra contro Grozny. In Cecenia avranno un nuovo mini-Afghanistan.
- [Su Aslan Maschadov] Il presidente ceceno ha fatto un grande errore. Non ha ascoltato la maggioranza della sua gente che gli chiedeva di prendere provvedimenti contro quei ceceni armati che prendevano ostaggi. Ha avuto paura di una guerra civile. Ha pensato di non poter vincere perché aveva dalla sua parte solo civili inermi mentre gli altri, in minoranza, avevano le armi. Ha fatto un analisi da militare e non da uomo politico. La maggioranza della popolazione invece l'avrebbe seguito. Ha avuto paura. Ha temuto di perdere, di portare il paese al crack e ora paga un carissimo prezzo.
- [Su Aslan Maschadov] È [...] un sostenitore di uno Stato laico, di uno stato di diritto. Lo so per certo. La sua visione non è quella di un europeo o di un russo ma non è a favore di una repubblica islamica.
- [Sulla seconda guerra cecena] La comunità internazionale deve fare una fortissima pressione su Mosca, sempre maggiore. Deve chiedere la fine dei bombardamenti, di ogni azione militare. Dall'altro canto deve premere con altrettanta forza sui ceceni. Deve chiedere loro il rispetto dei diritti civili, deve pretendere la punizione dei terroristi e dei sequestratori. Questa doppia pressione potrebbe togliere a Mosca gli argomenti che ora la spingono a protestare contro l'ingerenza nei suoi affari interni. E, nello stesso tempo potrebbe ridare autorevolezza al presidente Maskhadov che potrebbe riconquistare l'appoggio della maggioranza dei ceceni. L'Occidente avrebbe dovuto usare questa politica della doppia pressione anche per il Kosovo. Molti errori sarebbero stati evitati.
- [Sulla guerra del Kosovo] Per me l'intervento militare è stata una triste necessità. Ma credo che l'Europa abbia compiuto un errore gravissimo nella guerra balcanica: quello di non aver esercitato nessuna pressione sulla parte albanese. Certo non possiamo mettere sullo stesso piano il comportamento dei kosovari e quello di Milosevic prima che scoppiasse il conflitto. Ma va detto che il loro comportamento non è stato certo impeccabile.
Intervista di Sandro Viola sulle elezioni presidenziali in Russia del 2000, La Repubblica, 23 marzo 2000.
- Coloro che hanno tramato per un ritorno dell' autocrazia, spingendo sulla scena questa specie di Pinochet russo, sono riusciti nel loro intento.
- La manovra con cui Putin è stato messo sulla poltrona presidenziale [...] era perfetta. Se infatti Eltsin non si fosse dimesso, e le elezioni avessero avuto luogo come previsto a giugno, non so proprio come sarebbero finite. La guerra rischia infatti di mettersi molto male per il nostro esercito. Ai tempi in cui Tolstoj combatteva anche lui da quelle parti, i vecchi capi ceceni dicevano: "Quando sugli alberi le foglie arrivano ad avere la grandezza d' un soldo, la vita del soldato russo non vale più di due soldi". Intendendo che la primavera favorisce la tattica della guerriglia, rende più facili gli agguati e le incursioni dietro le linee russe. Così, da marzo a giugno, le nostre perdite avrebbero potuto essere tanto pesanti da rendere assai più problematica la vittoria del signor Putin...
La Repubblica, 5 dicembre 2007.
- I commentatori, siano russi o siano stranieri, hanno elaborato diverse spiegazioni per lo straordinario "fenomeno Putin". La prima fa riferimento al fatto che Putin avrebbe dato ai cittadini russi quel che loro attendevano con ansia dopo il susseguirsi delle catastrofi degli anni '90: la sensazione di aver raggiunto una relativa stabilità e sicurezza. Qualcosa di vero c'è: gli stipendi vengono pagati quasi sempre in tempo; l'economia mostra segni di ripresa e in ogni caso il declino si è arrestato. - Le pensioni e la sicurezza sociale sono in netto miglioramento, anche se sono ancora lontane dal garantire una vita appena decente; la percentuale di cittadini che vivono in povertà è in costante diminuzione; la resistenza armata cecena è stata quasi debellata, e da qualche tempo non vi sono più stati attacchi terroristici. Una seconda spiegazione per la popolarità di Putin è la nostalgia per il passato sovietico. Alla gente, si dice, il regime sovietico e tutti i suoi simboli tutto sommato mancano. E quale era l'essenza del regime sovietico, se non il Kgb, erede della potente Ceka staliniana, baluardo contro i nemici interni ed esterni dello Stato? Dunque, è per nostalgia che i russi hanno eletto e rieletto un colonnello del Kgb come loro leader. [...] Vi è anche una terza spiegazione, forse un po' mistica, ma se ne parla spesso in conversazioni private e qualche articolo di giornale di tanto in tanto la evoca. La popolarità di Putin ha a che fare col suo "carisma", anche se nessuno sembra capace di dire in cosa esattamente questo consista. L'unica cosa chiara è che non si può ridurre al fascino mascolino o ai suoi comportamenti in pubblico, che sembrano tuttavia ispirare fiducia nel cittadino comune. Eppure, quando si compiace di usare espressioni quali "affoghiamoli nel cesso" (in riferimento ai ribelli ceceni) o dice a un giornalista straniero "vada a farsi circoncidere", non sembra affatto emanare un "carisma" particolare.
- I collaboratori di Putin hanno rapidamente portato a termine il compito più delicato e importante, la conquista del sistema televisivo. Da allora, il paese è sottoposto a una propaganda pervasiva, incessante, ben più sofisticata, efficace e onnipresente di quanto il regime sovietico sia mai stato capace di mettere in atto. Stampa e televisione hanno martellato senza sosta il pubblico con immagini di Putin quale capo carismatico alla testa di un vasto movimento di resistenza nazionale, mentre il putinismo viene rappresentato come il garante della stabilità e dell'ordine interno. I valori dello stato imperiale sono stati inculcati nell'immaginario collettivo, nell'intelligenza sociale, insieme con una sistematica denigrazione e banalizzazione di ogni concezione alternativa dello sviluppo della Russia, soprattutto quelle che si ispirano ai valori della libertà e di una genuina democrazia. In breve, l'incessante propaganda ha trasformato le diverse ipotesi sulla popolarità di Putin in una singola, coerente e dominante realtà.
- In realtà, l'inculcare i valori dello stato imperiale è solo una tappa nei piani dell'establishment politico russo. Il fine ultimo è l'eradicazione completa dei meccanismi europei di passaggio dei poteri, per poter consolidare un sistema bizantino di successione ereditaria. Poco importa quale sarà il risultato degli intrighi in atto volti a definire gli scenari per le elezioni presidenziali del 2008. In effetti, una scelta è già stata operata, Putin passerà semplicemente dal ruolo di presidente a quello di primo ministro, e si provvederà di conseguenza a trasferire più potere alle sue prerogative. Il che significa che nel 2008 non sarà un pretendente o un erede che vincerà le elezioni presidenziali, ma ovviamente una figura meramente rappresentativa. Cosa si deve fare se non ci si rassegna a un sistema bizantino di potere?
- Prevedo - con tristezza e certezza - che il sistema di potere bizantino che ha trionfato in Russia durerà per un certo tempo. È troppo tardi per rimuoverlo attraverso un normale processo democratico, in quanto i meccanismi della democrazia sono stati liquidati, trasformati in pura e vuota imitazione. Pochi di noi, temo, vivranno abbastanza per vedere libertà e democrazia restaurate in Russia. Anche se dobbiamo ricordarci che la talpa della storia continua a scavare senza che ce ne accorgiamo.
Intervista di Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera, 12 agosto 2009, p. 3.
- Putin e Medvedev si dividono semplicemente i ruoli. Per essere più preciso direi che esiste una squadra, anzi una banda all'interno della quale uno deve fare il duro e l'altro il morbido. [«E non lo fanno per i russi».] Certo che no, lo fanno per voi occidentali, per dare a qualche governante ipocrita la possibilità di dire che esiste anche un potere buono nel Paese. Da noi invece si picchia solo su un tasto e tutti quelli che osano criticare vengono identificati come nemici, al soldo delle potenze straniere, soprattutto l'America. I membri della squadra sono quasi tutti ex Kgb. Ma nessuno di loro ha chiesto scusa perché da giovane non capiva di far parte di una organizzazione colpevole di milioni di omicidi.
- È stato aggredito Lev Ponomaryov, mentre io continuo a ricevere telefonate di minacce. In Internet ci sono indirizzi, numeri di telefono e foto delle persone da considerare nemici. Un'attivista dei diritti umani, Svetlana Gannushkina, si è rivolta alla magistratura contro questa lista di persone da eliminare. Le hanno risposto che non ci sono sufficienti elementi per aprire un caso criminale. E chi autorizza tutto questo? Chi, come minimo, gira la testa dall'altra parte? Andiamo, non scherziamo.
- Forse, semplicemente, Putin e Medvedev sono le due teste dell'aquila simbolo della Russia.
Citazioni su Sergej Adamovič Kovalëv
[modifica]- Per la missione cecena i democratici russi hanno incoronato Kovaliov «coscienza della Russia» e l'hanno candidato al premio Nobel per la pace. Il ministro della Difesa russo Graciov invece l'ha definito «nemico del Paese». (Anna Zafesova)
- Quando si è in tanti, la squadra è coesa e c'è un leader come Sergej Adamovič Kovalëv, il resto – come la paura o la sensazione di solitudine, di andare contro un qualche colosso – svanisce. (Oleg Orlov)
- Seguace negli anni del comunismo dell'accademico Sakharov, era stato incarcerato per 10 anni nel Gulag per «propaganda antisovietica», perché voleva portare in Russia la democrazia. Ora ritorna al dissenso, dopo essere stato il primo a denunciare senza pietà l'orrore della guerra in Cecenia. Ha passato un mese a Grozny, sotto le bombe dell'aviazione russa, a chiedere di cessare il fuoco, di cominciare a trattare con i ribelli, a raccontare a tutto il mondo la morte di donne e bambini in quella che il Cremlino si ostinava a definire come «affare interno della Russia» e «operazione contro le formazioni di banditi». (Anna Zafesova)
- Serghei Kovaliov forse prenderà il premio Nobel per quello che ha fatto in Cecenia per difendere i diritti umani. Non credo che gliene importi molto. Ha l'aria malinconica e desolata di chi vede l'evidenza ma si accorge di vivere in mezzo alla menzogna. (Giulietto Chiesa)
Note
[modifica]- ↑ Citato in La morte dal cielo su Grozny, La Stampa, 21 dicembre 1994, p. 9.
- ↑ Citato in «Scusi, i diritti umani?» e il Presidente sorrise, La Stampa, 10 gennaio 1995, p. 7.
- ↑ a b Citato in Mosca caccia il leader dei diritti umani, La Stampa, 11 marzo 1995, p. 7.
- ↑ Citato in Putin il poliziotto che piace ai liberali Un uomo forte per la Russia. "Putin ci salverà dal crac", La Repubblica, 7 marzo 2000.
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