Vittorio Pica

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Vittorio Pica nei primi anni del Novecento

Vittorio Pica (1862 – 1930), scrittore e critico d'arte italiano.

Citazioni di Vittorio Pica[modifica]

  • Avendo [Santiago Rusiñol] esordito con alcuni tipici paesaggi dei sobborghi industriali di Barcellona, egli per molto tempo esitò fra la pittura di figura e la pittura di paesaggio, producendo opere pregevoli sotto più di un riguardo, ma di scarsa originalità. Egli sentiva confusamente dentro di sé di avere qualcosa di tutt'affatto proprio da dire in arte, ma non riusciva a trovare il particolare linguaggio figurativo necessario a significarlo sulla tela. (da Artisti contemporanei: Santiago Rusiñol, Emporium Rivista mensile illustrata d'arte letteratura scienze e varietà, Istituto italiano d'arti grafiche Bergamo - Editore, volume XXI, 1905, n. 123, p. 173)
  • [...] ciò che costituisce il maggior merito di Félix Vallotton, disegnatore così fermo, sicuro e personale nella sua volontaria limitazione dei mezzi grafici di rappresentazione, decoratore così garbato ed efficace, psicologo così sottile ed osservatore spesso così acuto delle realtà anche più usuali e volgari, è che egli ha sempre voluto e saputo vivificare quanto di arcaico ha la forma da lui prescelta, mercé un sentimento schietto e profondo della modernità. Ed avviene così che, mentre la ricerca alquanto artificiosa di un dilettantistico arcaismo raffredda, dopo un po' di tempo che le abbiamo guardate, il godimento estetico che a bella prima ci hanno procurato le ingegnose fantasie decorative, [...], non ci stanchiamo punto di contemplare le incisioni del valente ed originalissimo disegnatore di Losanna, perché ci accorgiamo subito che sotto la vecchia ruvida corteccia fluisce una linfa abbondante e giovine, la quale assicura viride[1] foglie, olezzanti fiori e savorosi[2] pomi ai nostri occhi, alle nostre nari, al nostro palato del secolo ventesimo. (da I moderni incisori su legno: Félix Vallotton, Emporium Rivista mensile illustrata d'arte letteratura scienze e varietà, Istituto italiano d'arti grafiche Bergamo - Editore, volume XXI, 1905, p. 318)
  • Con ardore contenuto e con pertinacia instancabile, egli [Santiago Rusiñol] lavorò durante anni ed anni, cercando sempre nuove sensazioni e nuove emozioni e cercando attraverso di esse sé medesimo, finché un bel giorno – credo fosse nella primavera del 1896 –, al cospetto di un poetico vecchio giardino, a metà abbandonato, di Granata, egli ritrovossi intero, nella rivelazione improvvisa di una consonanza profonda fra lo spettacolo melanconico di conforti alberi fioriti, di scalee diroccate, di mura cadenti, di frammenti muscosi, di antiche statue, di viali invasi da erbacce selvatiche e la tristezza sognatrice della propria anima. Da quel giorno tutta o quasi tutta l'attività sua pittorica venne riservata ad evocare, con pennello glorificatore, i giardini di Granata, di Malaga, di Cordova, di Valenza, di Barcellona, di Majorca. I soggetti dei suoi quadri egli non li chiese più che ora alle grandiose ville signorili ed ora ai modesti giardinetti di montagna, ma a preferenza ai viali, alle aiuole, ai ruderi, alle fontane, che, per la trascuraggine e l'abbandono degli uomini, ritornano oggidì, un po' alla volta, allo stato selvaggio, pure rivelando sempre, qua e là, l'antico splendore. (da Artisti contemporanei: Santiago Rusiñol, Emporium Rivista mensile illustrata d'arte letteratura scienze e varietà, Istituto italiano d'arti grafiche Bergamo - Editore, volume XXI, 1905, n. 123, pp. 176-178)
  • Fra tutti gli artisti arditamente rinnovatori dell'ora presente, che si affannano, con vivace entusiasmo e con lena infaticabile, per affermare e rendere vittorioso un nuovo stile o, per essere più esatti, un nuovo indirizzo architettonico, colui che, a parer mio, si è maggiormente avvicinato alla meta agognata ed ha saputo rivelare, più di ogni altro, un'originalità spiccatamente personale è uno Svedese: Ferdinand Boberg.[3]
  • Ma laddove il Martini ha, a parer mio, dato tutta la misura del suo straordinario talento di commentatore grafico di un grande scrittore e di concettoso ed ultra-suggestivo riassuntore figurativo delle fantasiose sue concezioni è nelle numerose tavole da lui eseguite finora ed a cui succeder debbono ancora parecchie altre per illustrare le Storie straordinarie e le Storie serie e grottesche di Edgar Allan Poe.
    L'immaginativa del giovane trevigiano, postasi in stretto contatto con quella del geniale letterato americano, mentre intensificava e raffinava tutte le varie sue doti, ha sagacemente saputo rinunciare a quel senso di voluttà, che pure esaltasi e trionfa in tanta parte dell'opera sua anteriore, ben comprendendo che esso sarebbe riuscito inopportuno per comprendere e fare poi comprendere agli altri l'essenza dell'idealismo, schivo da ogni più lontana ombra sensuale, di Edgar Poe. (da Un illustratore italiano di Edgar Poe, Emporium Rivista mensile illustrata d'arte letteratura scienze e varietà, Istituto italiano d'arti grafiche Bergamo - Editore, volume XXVII, 1908, pp. 272-274)
  • Mentre nella seziona lombarda [della VII Esposizione sull'arte mondiale di Venezia del 1907] molti, anzi troppi degli artisti della vecchia guardia o nella piena maturità del talento e della fama mostrano di sonnecchiare sui passati allori, è un pittore quasi settantenne, Lorenzo Delleani, che nella sezione piemontese richiama giustamente, a preferenza d'ogni altro, l'attenzione dei visitatori.
    La raccolta, infatti, dei trentacinque bozzetti, che a questo semplice e schietto veterano della moderna pittura piemontese hanno, volta a volta, suggerito Roma o Venezia, Amsterdam o le Alpi, Cuneo od Ivrea, il Biellese od il Monferrato, rivelano tale spontaneità ed insieme tale intensità di visione del vero, tale risoluta e precisa franchezza di rappresentazione, tale vibrante nervosità di segno e tale savorosa pastosità cromatica, che l'ammirazione s'impone e gli occhi, che sono passati dal Novembre ad Un angolo di Pollone, dal Mattino di maggio sui colli del Monferrato a Roma dalla Porta Pinciana, dal Temporale imminente alla Faticosa salita, dal Ritorno dal lavoro a dieci, a venti altre piccole meraviglie del pennello, non sanno quasi più rassegnarsi a lasciarli pei paesaggi di maggiore formato e di maggiore pretesa, nei quali il caldo impeto creativo della prima impressione al cospetto delle incantevoli ed esaltanti scene della natura si attenua o, peggio ancora, si sfibra e si falsifica. (da L'arte mondiale alla VII Esposizione di Venezia, Istituto italiano d'arti grafiche editore, Bergamo, 1907, p. 290)
  • Verso una visione più schietta del vero ci riconduce Ludwig Dettmann, coi suoi quattro quadri dei quali, se i due maggiori, Nozze di pescatori e Seminatore, pur apparendo interessanti e caratteristici per l'intensità espressiva delle figure poste in iscena, riescono, d'altra parte, alquanto fastidiose alle nostre pupille latine per l'acerbità delle tinte e per certa totale disarmonia di tonalità cromatiche, i due minori invece, dipinti all'acquerello, Coppia d'amanti e Notte di maggio, accaparransi di primo acchito la nostra simpatia, tanto per la delicatezza armoniosa della colorazione quanto per la gentile sentimentalità del soggetto, sentimentalità di carattere eminentemente nordico, ma senza alcuna stucchevole mellifluità. (da L'arte mondiale alla IV Esposizione di Venezia, Bergamo, Officine dell'Istituto italiano d'arti grafiche, 1901, pp. 114-116)

Attraverso gli albi e le cartelle[modifica]

Seconda serie[modifica]

  • Aubrey Beardsley, il giovane disegnatore inglese, che un morbo implacabile doveva, nella primavera del 1898, trascinare nella tomba appena ventiseienne, è, a parer mio, una delle personalità più spiccate che l'aristocratica arte del bianco e nero abbia avuto in quest'ultimo ventennio.
    Dinanzi all'opera sua così numerosa, così varia ed a cui egli ha saputo, fondendo gli elementi più disparati, imprimere un'originalità spiccatissima ed affatto individuale; dinanzi all'opera sua, che, acerbamente censurata dagli uni ed enfaticamente glorificata dagli altri, ha esercitata un'influenza così larga e così profonda sui disegnatori dell'Inghilterra e dell'America Settentrionale, suscitando tutta una falange d'imitatori, non si può rimanere indifferenti e se, già altra volta si è ceduto al fascino dell'arte d'eccezione, si finisce ben presto col non trovare esagerato l'epiteto di geniale attribuitole dai ferventi suoi ammiratori. (p. 94)
  • Tutto ciò che vi è di ridicolo ed insieme di repugnante nelle pecorine, interessate e vanitose maggioranze parlamentari è sintetizzato in modo impareggiabile, nella più famosa delle composizioni di Daumier: Le ventre législatif. (p. 124)
  • Fra le doti maggiori di Daumier, che lo rendevano proprio degno di essere proclamato dal Baudelaire una delle personalità più importanti non soltanto della caricatura, ma anche dell'arte moderna, v'è questo carattere davvero prodigioso di naturalezza delle sue figure, nelle quali del modello vivente vengono soltanto eliminati alcuni tratti secondari per fare invece risaltare, con una esagerazione per solito assai lieve, i tratti della fisionomia essenzialmente comici e rivelatori. (p. 125)
  • Artista cerebrale, invaghito dei simboli, delle allegorie e delle fantasticherie satiriche e disegnatore analitico e minuzioso, il Martini, al contrario del maggior numero degli odierni illustratori, non ricerca punto la modernità realistica, sia vezzosamente elegante, sia rudemente brutale, né, in quanto alla tecnica, ama servirsi dei contrasti d'impressionistica virtuosità delle macchie nere di seppia con quelle bianche di biacca, che tanto giovano a fissare gli effetti di luce e l'instantaneità dei movimenti: ciò spiega come egli non risenta in alcun modo dell'influenza dei maggiori vignettisti contemporanei e si riavvicini invece ai maestri antichi che egli adora e studia di continuo, e ciò dà un carattere di particolare austerità estetica, anche nella maggiore giocondità dell'ispirazione, all'arte sua e la dispone in specie alle composizioni semplicemente ornamentali della pagina stampata, alle copertine e agli ex-libris e la fa più adatta ad interpretare i poeti che i novellieri della vita di tutti i giorni ed a rappresentare i soggetti del passato o che si svolgono fuori d'una precisa nozione di tempo e di luogo che gli aspetti fugaci e spesso frivoli dell'attualità. (p. 190)
  • Se, [nelle sue incisioni su legno,] rinnovando gli antichi metodi semplicisti dei grandi maestri del XV e XVI secolo, Vallotton ricerca prima e sopra d'ogni altra cosa, l'effetto pittorico, considerato sempre dal particolarissimo punto di vista d'una fattura xilografica di volontaria rigidezza, egli però non si accontenta di essa, eccezion fatta per alcune vignettine di evidente carattere ornamentale, come quelle leggiadrissime delle Bagnanti e ora vi aggiunge l'indagatrice penetrazione psicologica, ora l'osservazione acuta del vero ed ora un bonario ed acre senso di umorismo, che talvolta poi assume aspetto tragico e tal'altra scivola nel macabro. (pp. 270-272)

Terza serie[modifica]

  • Ma a dimostrare quanto sia pericoloso dommatizzare in fatto d'arte e quanto sia preferibile per un artista il creare al legiferare, ecco, senza neppure ricorrere alle stampe famose del vecchio Piranesi, una recente acquaforte di grandissimo formato e di fattura larga e sapiente, Santa Maria della Salute a Venezia, dell'inglese Frank Brangwyn, la quale a me pare che sia, tanto per l'accorto contrasto delle luci con le ombre quanto per l'impressionante efficacia dell'evocazione del vero e per l'ardita originalità della visione, una delle stampe più belle e più caratteristiche prodotte ai nostri tempi. (pp. 20-24)
  • Come raffiguratore del nudo femminile, osservato non certo con l'occhio spietato di un Degas ma neppure illeziosito secondo l'uso di tanti mercantili pittori francesi graditi al grosso pubblico od idealizzato secondo la formola poetizzatrice dei prerafaeliti inglesi, lo Zorn ha ben pochi che nella pittura moderna lo agguaglino e forse nessuno nell'incisione. Col suo segno nervoso e sintetico, egli ci fa passare, volta a volta, sotto gli occhi la nudità massiccia e alquanto grossolana della contadina svedese, come nella Rappezzatrice, quella giunonica, ben proporzionata e sicura di se della donna abituata a posare pei pittori, come nella Barca e la modella, quella soda, snella e leggiadramente giovanile delle bagnanti di Estate e Cerchi nell'acqua e quella raccolta e voluttuosa della Gitana con la chitarra. (pp. 154-155)

Gli impressionisti francesi[modifica]

Incipit[modifica]

Nella storia così varia e così gloriosa della pittura francese del secolo decimonono tre grandi tappe di un'evoluzione rinnovatrice, in odio alle grettezze ed ai convenzionalismi accademici, sono da prendere in particolare considerazione, anche per l'influenza larga e profonda esercitata da esse sull'arte delle altre nazioni. La prima fu rappresentata dai paesisti di Fontainebleau, la seconda dal realismo di Courbet, di Millet e di Daumier, e la terza dagli impressionisti.

Citazioni[modifica]

  • [...] Camille Pissarro dal realismo di descrittiva fedeltà passò ad una visione più sintetica ed alquanto decorativa, per cui credette di potere, sempre però con una discrezione che lo tenne assai lontano da ciò che in seguito doveva farsi da più di un paesista alemanno, eliminare qualche particolare e modificare qualche altro allo scopo di ottenere una composizione di più complessa e ritmica armonia. D'altra parte, la ricerca, sempre preoccupante e mai trascurata, della maggiore luminosità lo persuase ad un atto di trasporto per l'arte e di modestia davvero ammirabile in un artista come lui già vecchio e con tutta una numerosa e magistrale opera dietro di sé, ad applicare, cioè, con un lavoro minuzioso e con rigore paziente, per alquanto tempo, ad ogni sua nuova tela la meticolosa tecnica divisionista del Seurat[4] e del Signac[5]. (cap. V, pp. 146-147)
  • Eppure Alfred Sisley che, fra gli impressionisti della prima ora, fu senza contrasto, il più aspramente ed incessantemente provato dall'avversa fortuna, fu anche di essi quello che contemplò con maggiore gioconda simpatia il mondo esteriore e che si compiacque nelle sue tele di delicata freschezza e di squisita luminosità, apprezzate al loro giusto valore soltanto da qualche anno, a darne una visione di grazia ridente. (cap. V, p. 150)
  • [Sisley] Meno possente e dinamico di Claude Monet, meno robustamente costruttivo di Camille Pissarro e meno ricercatore di ambedue degli effetti insoliti e violenti di luce, egli però riuscì, come pochi, ad evocare, sotto una tenera gamma di tinte violacee, che fece al suo primo apparire scandalo e che adesso è accettata e ripetuta da tutta una folta schiera di paesisti d'ogni nazione, alcuni placidi aspetti di canali rispecchianti la luce diffusa del cielo estivo ed alcuni cantucci graziosi di villaggio. (cap. V, p. 150)
  • [...] dopo aver soggiornato alcuni anni a Firenze ed aver iniziato, col Signorini, col Banti e col Lega[6], il movimento innovatore dei macchiaiuoli toscani, [Federico Zandomeneghi] andò a Parigi, vi si stabilì definitivamente e partecipò a tutte le battaglie degli impressionisti, attestando, con un'assai gustosa e vivace serie di pitture ad olio, di pastelli e di disegni, una visione individuale specie delle folle eleganti, delle figure di bambine e di giovani donne e di nudi femminili, in cui l'acume nell'osservare il vero e nel ritrarlo con segno preciso e nervoso nell'istantaneità del movimento si unisce quasi sempre ad una grazia armoniosa di colorazione e ad una signorile eleganza di composizione e di taglio del quadro. (cap. VII, p. 194)
  • L'innovazione [dei divisionisti] fondata sull'applicazione più o meno rigorosa, della teoria della miscela ottica, che il Seurat scoprì in un libro dell'americano N. O. Rood, professore di fisica a New-York, Teoria scientifica dei colori e sue applicazioni alle arti ed alle industrie, consisteva principalmente nel posare i colori affatto divisi sulla tela, in modo che la miscela di essi, piuttosto che sulla tavolozza, si effettuasse sulla retina di chi guardava. (cap. VIII, p. 203)
  • Il torto dei divisionisti, a mio credere, consiste tanto nel fondarsi con esagerata fiducia su teorie scientifiche tuttora abbastanza problematiche e nel trarne conseguenze eccessivamente rigorose, quanto nel voler troppo semplificare il problema della luce e della visione ottica, che è dei più complessi, dei più complicati e possiede elementi o male studiati ancora o da essi del tutto trascurati. (cap. VIII, p. 204)
  • I divisionisti muovono da un presupposto scientifico, in cui c'è molta parte di vero e la meta che agognano di raggiungere è delle più interessanti nel campo dell'arte, ma la tecnica da loro prescelta è ancora artificiosa, tentennante, incompleta. (cap. VIII, p. 204)

L'arte mondiale a Roma nel 1911[modifica]

  • Spagnuoli ambedue [Ignacio Zuloaga ed Hermenegildo Anglada Camarasa], ambedue lungamente e fieramente osteggiati in patria e debitori agli stranieri del successo sempre più vivo e sempre più largo delle loro tele, eglino differiscono affatto d'indole e di tendenze.
    Mentre, infatti, Zuloaga è un cerebrale austero e pessimista, che aspira a riallacciare l'opera sua a quella dei grandi maestri spagnoli del Seicento e della fine del Settecento e sopra tutto al Greco ed al Goya e che del suo paese ama riprodurre gli aspetti tetri e grandiosi ed i tipi tragici e malsani, Anglada è un sensitivo raffinato che si compiace di ritrarre gli spettacoli della vita moderna delle grandi città, che ricerca le complesse, squisite e sapienti armonie cromatiche e che della Spagna esalta gli spettacoli di gioia, di movimento e di fasto popolare. (cap. IV, p. XIV)
  • Volendo riassumere in due caratteri essenziali l'individualità artistica di Hermen Anglada si potrebbe dire ch'egli è un impressionista, dando a quest'epiteto il suo significato assoluto e non già quello ristretto e speciale attribuitogli dalla tecnica del celebre gruppo di pittori francesi dell'ultimo quarantennio, e che, in pari tempo, è un fantasista. (cap. IV, p. XXI)
  • In questo accentuare i tratti che caratterizzano una figura e la rendono fisicamente rappresentativa di una data categoria sociale di persone di una data consuetudine di vita o di una data depravazione dei sensi o del sentimento, come nel sapere, mercé un'accorta e gustosissima gradazione di richiami di linee e di macchie di colore, attirare l'attenzione del riguardante verso la figura od il gruppo di figure che riassume in sé il significato e la ragione del quadro, mentre, con carezzevole morbidezza di pennello, sono dipinte nel fondo leggiadre o grottesche figurette episodiche, è riposta; a parer mio, la ragione principale per cui l'arte di Hermen Anglada y Camarasa, così spiccatamente originale, non può che riuscire sgradita ed antipatica a coloro che amano la sentimentalità novellistica e la minutaglia cincischiata dei quadretti vignettistici, mentre suscita l'ammirazione entusiastica di coloro che amano invece il bello caratteristico ed espressivo, che desiderano la rappresentazione degli spettacoli della vita moderna, la cui realtà sia sintetizzata ed intensificata dallo spirito di osservazione e di rievocazione dell'artista, e che sono profondamente convinti che la pittura sia fatta sopra tutto per la gioia degli occhi. (cap. IV, pp. XXII-XXIII)
  • Iniziando tale rapida rassegna [del padiglione d'Inghilterra], io credo di dovermi, per ovvie ragioni di convenienza, arrestare innanzi tutto alle opere di due artisti di età matura, Lawrence Alma Tadema e Humbert von Herkomer, entrambi i quali sono inglesi soltanto d'adozione perché nati l'uno in Olanda l'altro in Baviera, e già da anni godono, in ispecie il primo, una fama europea. Di Alma Tadema vi sono a Roma, coi titoli di Galleria di scultura ed II bacio, due delle piacevoli ed ingegnose scenette della vita intima della Grecia e della Roma del remoto passato, popolate, con grazioso anacronismo, di vezzose inglesine dei tempi nostri vestite all'antica, a cui sopra tutto si diletta il suo elegante pennello, che ci si appalesa vago del disegno minuto e del colorito di mela rosa della pittura da miniaturista. Di Herkomer vi è invece L'ultimo appello, che è l'opera sua più importante o che per lo meno come tale viene considerata ed a cui, pure rilevando un certo artificio vignettistico nella complessiva composizione della scena contegnosamente patetica, non si può di certo negare il disegno sicuro e serrato delle figure e lo studio penetrante delle fisonomie dei veterani raccolti nel silenzio austero della cappella. (cap. XIV, p. LXXI)

L'arte mondiale alla V Esposizione di Venezia[modifica]

  • Una delle lodi maggiori che, a parer mio, si possa tributare ad un artista è di aver voluto ed aver saputo essere del suo tempo: ebbene, è proprio questo che ci vediamo obbligati a rifiutare a quel mirabile artefice che è Franz von Lenbach. (cap. V, p. 120)
  • Nei suoi tre grandi ritratti della Contessa di Noalles, della Principessa di Caraman-Chimay e della Signora Salvator, di una gamma di colore così sobria e pur così gentile e delicata nella gradazione delle sfumature, con prevalenza di turchino nel primo, con accordo di bianco e rosa nel secondo e di bianco e nero su fondo verde oliva nel terzo, il Della Gandara ha saputo evocare, con eguale nervosa sapienza di pennello elegante, tre tipi affatto diversi e pur sempre interessanti e caratteristici di donna moderna; l'intellettuale, la mondana e la voluttuosa. (cap. V, pp. 125-126)
  • Nel gruppo dei pittori dell'Alta Italia, che qui a Venezia, è il più numeroso e presenta maggiore varietà di opere, gli artisti più originali e più interessanti a me sembra che siano quest'anno due luministi, Angelo Morbelli e Vittore Grubicy[7], i quali, però, il primo nel quadro di figura ed il secondo nel paesaggio, applicano, con sagace descrizione, la tecnica della divisione dei colori[8].
    Il ciclo di sei quadri, che il Morbelli ha intitolato Il poema della vecchiaia, rappresenta, con un'efficacia patetica, mirabile nella sua semplicità, alcune scene dell'esistenza triste e monotona che uomini e donne aggrinziti, incanutiti e curvi dagli anni, menano nelle vaste e nude sale dell'ospizio Trivulzio, che la carità milanese ha creato a rifugio della vecchiaia dei perseguitati dalla miseria e dalla mala sorte. Ecco della pittura psicologica, senza esagerazioni politico-sociali e senza mistificazioni letterarie, che io giudico, nella sua soave schiettezza, buona e vera ed a cui do, con vivo entusiasmo, il mio plauso! (cap. VI, pp. 151-153)
  • [Mario de Maria] La sua pittura, sapiente e laboriosa come fattura ed insolita e spesso bizzarra come ispirazione, rivela un mirabile artefice della tavolozza, rivela un'immaginativa esuberante ed alquanto sbrigliata di una forza inventiva tutt'altro che comune, rivela uno spirito che ha in odio la volgarità e ricerca, con ansia febbrile, l'eccentricità e che, talvolta, per la sua passione dell'insolito, scivola nel manierato e nell'artificioso. È una pittura che si può amare o odiare, ma dinanzi alla quale non si può rimanere indifferenti e che, vista una volta, difficilmente si dimentica. (cap. VII, p. 180)
  • Molto vivaci sono state le discussioni che si sono accese intorno a varie delle opere di Marius pictor[9], siccome già da parecchi anni egli suole firmare le sue tele, e ciò di leggieri si spiega se si considerano gli spiccati caratteri di personale originalità che esse presentano. Le intelligenze placide e positive, che in arte come in ogni cosa, prediligono l'ingenuità e la naturalezza e che pretendono sia da condannarsi ogni ispirazione estetica non attinta direttamente alla realtà esteriore e consueta, tale quale manifestasi ai sensi di ogni persona, non possono certo nutrire simpatia pei quadri dell'ardimentoso pittore bolognese, che dimostrasi, in compenso, mirabilmente atto ad ammaliare le pupille dei raffinati. (cap. VII, pp. 180-184)
  • Tra i pittori romani primeggia Giulio Aristide Sartorio, con vari di quei così caratteristici suoi paesaggi a tempera e con una vastissima tela, che occupa tutto il fondo della sala del Lazio e che evoca con abbastanza efficacia, malgrado la disposizione alquanto scenografica e malgrado qualche deficienza formale, specie nel primo piano, la maestà selvaggia e un po' triste della campagna romana, coi suoi immensi pascoli, coi suoi numerosi greggi e coi suoi barbuti mandriani dalle gambe coperte di pelli caprine. (cap. VII, p. 196)
  • Di Federico Rossano vi è una delle sue abituali scene di campagna francese lungo un fiume e durante la tristezza dell'inverno, dipinta con tanta squisita eleganza e con tanto sentimento di poesia che quasi non si riesce più a rimproverargli l'eccessiva monotonia della sua ispirazione. (cap. VII, p. 196)

Citazioni su Vittorio Pica[modifica]

  • Vittorio Pica, uomo di gusto sicuro, di prudenti giudizii e, nell'arte contemporanea, di molta dottrina. (Ugo Ojetti)

Note[modifica]

  1. Raro latinismo per "verdi".
  2. Variante arcaica di "saporosi".
  3. Da Artisti contemporanei: Ferdinand Boberg, in Emporium Rivista mensile illustrata d'arte letteratura scienze e varietà, Istituto italiano d'arti grafiche Bergamo - Editore, vol. XXIII, Aprile 1906, n. 136, p. 246.
  4. Georges Seurat (1859–1891), pittore francese.
  5. Paul Signac (1863–1935), pittore francese.
  6. I pittori Telemaco Signorini (1835–1901), Cristiano Banti (1824–1904) e Silvestro Lega (1826–1895).
  7. Vittore Grubicy de Dragon (1851-1920), pittore, incisore e critico d'arte italiano.
  8. Ambedue gli artisti citati furono esponenti del divisionismo.
  9. Pseudonimo utilizzato da Mario de Maria.

Bibliografia[modifica]

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