Isaac Bashevis Singer

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Isaac Bashevis Singer nel 1988
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1978)

Isaac Bashevis Singer (1904 – 1991), scrittore polacco naturalizzato statunitense.

Citazioni di Isaac Bashevis Singer[modifica]

  • A volte, durante i miei vagabondaggi, se mi sento particolarmente giù di corda, mi nascondo in un bosco e accendo le candele di Hanukkah anche se non è Hanukkah. Di notte, quando chiudo gli occhi, Reizel è con me. È giovane e indossa il vestito bianco di seta da sposa che i suoi genitori le avevano preparato per il corredo. Reizel versa l'olio in un magnifico candelabro di Hanukkah e io accendo le luci con un cero. A volte il cielo tutto si trasforma per me in una lampada di Hanukkah ultraterrena, con le stelle come luci. Ho raccontato il mio sogno a un rabbino, e lui mi ha detto: "L'amore nasce dall'anima, e le anime emanano luce".[1]
  • C'è chi chiama lo yiddish una lingua morta, ma così venne chiamato l'ebraico per duemila anni. È stato riportato in vita ai giorni nostri in modo sbalorditivo, quasi miracoloso. L'aramaico è certamente stata una lingua morta per secoli, ma poi ha dato alla luce lo Zohar, un'opera mistica di sublime valore. È un fatto che i classici della letteratura yiddish sono anche i classici della letteratura ebraica moderna. Lo yiddish non ha ancora pronunciato la sua ultima parola. Serba tesori che non sono ancora stati rivelati agli occhi del mondo. Era la lingua di martiri e santi, di sognatori e cabalisti – ricca di spirito e di memorie che l'umanità non potrà mai dimenticare. In senso figurato, lo yiddish è l'umile e sapiente linguaggio di noi tutti, l'idioma dell'umanità che teme e spera.[2]
  • Ci sono cinquecento ragioni per le quali ho iniziato a scrivere per i bambini, ma per non perdere troppo tempo, ne elencherò solo una decina. [...] Numero 10) Non si aspettano che il loro scrittore preferito redima l'umanità. Giovani come sono, capiscono che egli non ha questo potere. Solo gli adulti hanno illusioni così infantili.
There are five hundred reasons why I began to write for children, but to save time I will mention only ten of them. [...] Number 10) They don't expect their beloved writer to redeem humanity. Young as they are, they know that it is not in his power. Only the adults have such childish illusions.[3]
  • I pensatori materialisti hanno attribuito al cieco meccanismo dell'evoluzione più miracoli, improbabili coincidenze e prodigi di quanti ne abbiano mai potuto attribuire a Dio tutti i teologi del mondo.[4]
  • [...] i segreti della Torah sono più profondi dell'oceano, più alti del cielo e più dilettevoli di tutti i piaceri di cui può godere il corpo.[5]
  • Il cestino è il miglior amico dello scrittore.
The wastepaper basket is a writer's best friend.[6]
  • Il vegetarianesimo è la mia religione, sono diventato un vegetariano stabile circa venticinque anni fa. Prima di allora provavo e riprovavo, ma erano episodi sporadici. Finalmente, a metà degli anni sessanta, ho preso la decisione. Da allora sono vegetariano. [...] Questa è la mia protesta contro la condotta del mondo. Essere vegetariani significa dissentire, dissentire contro il corso degli eventi attuali. Energia nucleare, carestie, crudeltà, dobbiamo prendere posizione contro queste cose. Il vegetarianesimo è la mia presa di posizione. E penso che sia una presa di posizione consistente.[7]
  • L'amore delle persone vecchie e anziane è un tema che ricorre sempre più di frequente nel mio lavoro narrativo.[8]
  • L'Onnipotente è vecchio; non è una cosa da nulla vivere in eterno.[9]
  • L'unica speranza del genere umano è l'amore nelle sue varie forme e manifestazioni, la cui unica fonte è l'amore per la vita, il quale, come sappiamo, cresce e matura con gli anni.[8]
  • L'uomo è una cosa schifosa. Se lo picchi, si mette a urlare. Ma se è l'altro che viene picchiato, allora costruisce una teoria.[10]
  • Mi piacciono i funghi stufati, e mi piace il kasha [...]. Mi piace quando viene cucinato semplicemente, e se mia moglie ci mette le cipolle mi piace ancor di più. E poi sono un grande amante delle patate. Se ho patate e kasha mi sembra di avere tutto.[11]
  • Nella vita, le cose che più desideriamo hanno la specialità di arrivare troppo tardi.[10]
  • [Alla domanda «Si è mai sentito in esilio a New York?»] No, l'unica cosa che avvertivo, ma è una sensazione che provo tuttora, è che tutti gli esseri umani lo sono. Siamo nati e non sappiamo perché, moriremo e non sappiamo perché. Ognuno è un proscritto, perché non conosciamo nulla della nostra missione su questa terra, ne ignoriamo lo scopo, è come se fossimo messi in disparte. Da quando sono nato provo questo disagio, o perlomeno da quando ho cominciato a capire.[12]
  • Non si stancava mai di guardare sorgere il sole: rosso acceso, dorato, lavato nelle acque del grande mare. Il sole nascente gli ispirava sempre lo stesso pensiero: a differenza dell'astro celeste, il figlio dell'uomo non si rinnova mai e per questo è destinato alla morte. L'uomo ha ricordi, rimorsi e rancori che si accumulano dentro di lui come strati di polvere finché gli impediscono di ricevere la luce e la vita che discende dal cielo. Il creato, invece, si rinnova costantemente. Se il cielo si rannuvola, poi si rasserena. Il sole tramonta, ma ogni mattino rinasce. Le stelle o la luna non recano le tracce del tempo. La continuità del processo di creazione della natura non appare mai tanto ovvia come all'alba, quando cade la rugiada, gli uccellini cinguettano, il fiume s'infiamma, l'erba è umida e fresca. Felice è l'uomo che sa rinnovarsi insieme al creato.[13]
  • Ogni ebreo al mondo dovrebbe andare da uno psichiatra. Ogni ebreo moderno, voglio dire.[14]
  • Penso che tutto ciò che è collegato con il vegetarianesimo sia della massima importanza, perché non ci potrà mai essere pace nel mondo finché ci ostiniamo a mangiare gli animali. Questo si applica anche ai pesci. Io non mangio pesce. Sono diventato vegetariano perché per tutta la vita mi sono sentito in colpa e pieno di vergogna per il fatto di aver mangiato carne animale. Sono convinto che gli animali siano creature di Dio esattamente come lo sono gli esseri umani. E noi dobbiamo rispettarli, e amarli, invece di macellarli.[15]
  • Se non sei felice, comportati come se lo fossi. La felicità verrà in seguito [...]. Se sei in preda alla disperazione, comportati come se credessi. La fede verrà dopo.[14]
  • Si arriva all'assassinio per amore o per odio, alla propaganda dell'assassinio solo per malvagità.[16]
  • Sono vegetariano per ragioni di salute: la salute del pollo.
I am a vegetarian for health reasons—the health of the chicken.[17]
  • Tra uccidere animali e creare camere a gas di stampo hitleriano o campi di concentramento di stile staliniano, il passo è assai breve... non ci sarà giustizia fino a che un uomo brandirà un coltello o un'arma per distruggere coloro che sono più deboli di lui.[18]
  • Un vero scrittore non scrive in una lingua appresa da adulto, ma nella lingua che conosce sin dall'infanzia.[19]
  • Uno scrittore non muore di errori medici, solo di errori di stampa. [20]

Intervista di Matteo Bellinelli

in Come mai Dio non è vegetariano?, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2005. ISBN 88-7713-431-3

  • [«Quali sono gli aspetti specifici dell'essere ebrei?»] Direi proprio la convinzione che l'uomo sia nato per scegliere Dio, per amarlo, per vivere secondo i suoi comandamenti, per credere a coloro i quali, come Mosè, parlarono con Dio. Se lei avesse chiesto a mio padre: «Qual è lo scopo della sua vita?», egli non avrebbe avuto nessuna esitazione a risponderle: «Servire Dio». È la stessa cosa che i cristiani pii, e quanti credono profondamente in Dio, hanno sempre affermato di volere: «Servire Dio». (pp. 18-19)
  • [«Per lei l'amore è una forza sicura?»] Non certo come la morte, o la legge di gravità. [«Nella sua vita però l'amore ha svolto un ruolo fondamentale»] Naturalmente... Perché l'amore è amore della vita. Se si ama una donna, si ama la vita che c'è in lei. (p. 23)
  • [«Lei ha detto di non volere più pensare a Dio: l'ultima religione che non abbandona è la scelta vegetariana?»] Direi proprio di sì: visto che non ho ideali migliori, lasciamo che questa sia la mia religione. [«Il suo non sembra un atteggiamento molto lusinghiero né per la religione, né per Dio»] Lo so, ma il problema è: «Come mai Dio non è vegetariano?». Questa è la vera domanda, o, come dicono a Brooklyn, la domanda da 64 dollari. Dio avrebbe dovuto essere il primo dei vegetariani. (pp. 41-42)

Incipit di alcune opere[modifica]

Il re di campi[modifica]

La storia comincia... quando?[21]

La famiglia Moskat[modifica]

Cinque anni dopo la morte della seconda moglie, Reb Meshulam Moskat si sposò per la terza volta.[21]

Satana a Goray[modifica]

L'anno 1748, il crudele atamano ucraino Bogdan Chmelnicki, alla testa dei suoi cosacchi, strinse d'assedio la città di Zamos, ma non riuscì ad espugnarla: era troppo ben munita; i contadini haidamacki ribelli mossero allora a devastare Tomaszów, Bilgoraj, Krasnik, Turbin, Frampol, nonché Goray, la città nascosta tra le colline, in capo al mondo; massacravano a man salva, scorticando vivi gli uomini, sgozzando i bambini, violando le donne per poi squarciarne i ventri e cucirvi dentro gatti vivi.[21]

Nemici. Una storia d'amore[modifica]

Incipit[modifica]

Herman Broder si girò e aprì un occhio. Nel suo stato sognante, si domandò se si trovasse in America, a Tzivkev, o in un campo di concentramento tedesco. Vide, addirittura, se stesso nascosto nel fienile di Lipsk. Di quando in quando, tutti quei luoghi si confondevano nella sua mente. Sapeva di trovarsi a Brooklyn, ma udiva nazisti urlare. Conficcavano le baionette nel mucchio, cercando di stanarlo, mentre lui si rintanava sempre e sempre più in profondità entro il fieno. La lama di una baionetta gli sfiorò la testa.

Citazioni[modifica]

  • Gli uccelli avevano annunciato il nuovo giorno come se si fosse trattato del mattino dopo la creazione del mondo. Brezze tiepide portavano i profumi dei boschi e gli odori dei cibi cucinati negli alberghi. Parve a Herman di avere udito il verso di una gallina o di un'anatra. In qualche posto, in quella splendida mattinata estiva, pollame veniva sgozzato; Treblinka era dappertutto. (IV, 5; pp. 124-125)
  • Mosche, api e farfalle entrarono dalla finestra aperta. Le mosche e le api andarono a posarsi su un po' di zucchero rovesciatosi. Una farfalla si librò sopra una fetta di pane. Non voleva mangiare, ma sembrava assaporare l'odore. Per Herman quelli non erano insetti parassiti da scacciare; vedeva, in ognuna delle minuscole creature, le manifestazioni dell'eterna volontà di vivere, esperienza, comprensione. Le mosche, protendendo i palmi verso il cibo, si stropicciavano le zampette posteriori. Le ali della farfalla ricordavano a Herman uno scialle di preghiera. Le api ronzavano e tornavano a volar via. Una formichetta strisciava qua e là. Era sopravvissuta alla gelida notte e stava camminando sulla tavola... ma dov'era diretta? Si soffermò accanto a una briciola, poi proseguì, zigzagando avanti e indietro. Si era separata dal formicaio e adesso doveva cavarsela per suo conto. (IV, 5; p. 125)
  • Lucciole baluginavano, grilli cantavano, un uccello insonne cinguettava tra le chiome degli alberi. La luna si alzò... la testa di uno scheletro. Che cosa c'era lassù? Che cos'era la luna? Chi l'aveva creata? A quale scopo? Forse una soluzione semplice come quella della gravitazione universale stava aspettando che qualcuno la scoprisse; così, si diceva, era accaduto a Newton non appena veduta una mela cadere da un albero. Forse la verità universale poteva essere contenuta in una sola frase. Oppure le parole che avrebbero potuto definirla dovevano essere ancora create? (IV, 5; p. 127)
  • La notte era illune e gelida. Passò accanto a una fattoria. Entro un recinto si trovava un vitello. Contemplava il buio con lo smarrimento di una creatura muta. I suoi grandi occhi sembravano domandare: chi sono? Per quale ragione mi trovo qui? (IV, 7; p. 134)
  • Quelle cogitazioni lo conducevano sempre alla stessa conclusione: Dio (o qualsiasi cosa Egli potesse essere) era senza dubbio savio, ma non esisteva alcun indizio della Sua misericordia. Se un Dio misericordioso esisteva nella gerarchia celestiale, allora si trattava soltanto di una piccola divinità impotente, una sorta di ebreo celestiale tra i nazisti celestiali. (IV, 8; p. 136)
  • Si addormentò e sognò un'eclisse di sole e processioni funebri. Si susseguivano l'una all'altra, lunghi catafalchi, trainati da cavalli neri, sui quali viaggiavano giganti. Erano, al contempo, i morti e i piangenti. «Come può mai essere, questo?» si domandò nel sogno. «È possibile che una tribù condannata porti se stessa alla sepoltura?» Brandivano torce e cantavano una nenia funebre la cui malinconia era ultraterrena. Le loro vesti si trascinavano al suolo, le punte degli elmetti arrivavano entro le nubi. (IV, 8; p. 137)
  • Herman trascorse il giorno e la notte precedenti la vigilia di Yom Kippur in casa di Masha. Shifrah Puah aveva comprato due galline propiziatorie, una per sé e una per Masha; avrebbe voluto comprare un gallo per Herman, ma lui glielo aveva proibito. Già da qualche tempo, ormai, stava pensando di diventare vegetariano. Ad ogni occasione, faceva rilevare che quanto i nazisti avevano fatto agli ebrei, l'uomo lo stava facendo agli animali. Come ci si poteva servire di un pollo per redimere i peccati di un essere umano? Perché un Dio compassionevole avrebbe dovuto gradire un simile sacrificio? (V, 4; pp. 159-160)
  • Ricordò qualcosa che aveva imparato un tempo: quando si viola uno dei Dieci Comandamenti, si finisce con il violarli tutti. (VII, 6; p. 220)
  • La baia era illuminata dal sole e piena di imbarcazioni, molte delle quali appena rientrate da puntate in mare aperto, all'alba. Pesci che poche ore prima avevano nuotato nell'acqua giacevano adesso sui ponti delle barche con gli occhi vitrei, la bocca lacerata, le squame insanguinate. I pescatori, ricchi dilettanti, li stavano pesando e si vantavano delle loro prede. Tutte le volte in cui Herman aveva assistito al massacro di un animale o di un pesce, era sempre stato assalito dalla stessa riflessione: nel loro comportamento con le creature viventi, tutti gli uomini dimostravano di essere nazisti. La presuntuosità con la quale l'uomo faceva con le altre specie quel che gli piaceva era una esemplificazione delle teorie razziste più estremistiche, il principio secondo il quale la forza è diritto. Herman aveva ripetutamente promesso a se stesso di diventare vegetariano, ma Yadwiga non voleva saperne. (IX, 3; p. 273)

Nuove storie dalla corte di mio padre[modifica]

Incipit[modifica]

Lo chiamavano tutti Chaim il fabbro, ma in realtà era ciò che qui in America si definisce idraulico. Riparava tubazioni dell'acqua e in particolare scarichi intasati del gabinetto, problema frequente nella nostra vita.
Chaim era un uomo di media statura, forte e di spalle larghe, con una faccia bruna come il bronzo e una barba dello stesso colore. I suoi abiti sembravano spolverati di ruggine. Sebbene ancora giovane, aveva in viso le rughe e le grinze del faticatore che non si risparmia. Estate e inverno portava giacchetta corta e stivali alti. Aveva sempre con sé tubi, martelli, lime, pinze e questo o quel pezzo di ferro. Persino la sua voce aveva una sonorità metallica. Di shabbath Chaim il fabbro pregava a casa nostra e consumava il Terzo Pasto con noi. A volte, bevendo un bel bicchierone di acquavite, mi stringeva la mano. La sua era dura come il ferro.

Citazioni[modifica]

  • Ecco il problema dei goyim. Non hanno la pazienza di aspettare. (p. 32)
  • Era piantata lì in cucina, nera come il carbone, con la faccia torta e la bocca cascante: un ammasso di buio. (p. 40)
  • Una coppia di sposi in lite non era una gran cosa! Succedeva tutti i giorni, dieci volte al giorno. Anzi, in via Krochmalna ce n'erano che quando volevano litigare uscivano in strada e aspettavano che si radunasse una folla. Che senso aveva litigare in casa, davanti alle quattro pareti? (p. 166)

Ombre sull'Hudson[modifica]

Incipit[modifica]

Quella sera gli ospiti erano riuniti nell'appartamento di Boris Makaver, nell'Upper West Side. Il palazzo di abitazioni dove aveva appena traslocato gli ricordava Varsavia. Costruito attorno a un grandissimo cortile, dava sulla Broadway da un lato e su West End Avenue dall'altro. Il cabinet de travail – o studio, come lo chiamava sua figlia Anna – aveva una finestra che dava sul cortile, per cui ogni volta che gettava un'occhiata fuori, Boris poteva quasi immaginare di essere di nuovo a Varsavia.

Citazioni[modifica]

  • Molte volte aveva sentito di come rabbini, professori e studiosi si insultassero a vicenda dandosi dell'analfabeta e della testa di rapa. Per quanto a fondo un uomo possa aver studiato, c'è sempre un altro che lo schernisce. (p. 16)
  • Ma è una regola invariabile che, più una persona è forte, più forti sono le sue debolezze. È un principio di compensazione che agisce universalmente. (p. 50)
  • Il terrore assume tutte le forme, ma la peggiore è la compassione. Quando si ama una persona e al tempo stesso si prova compassione per lei, si può essere indotti alle cose più brutali. (p. 50)
  • Se si vede qualcuno pronto a sacrificarsi per noi, si deve sapere che ne trae il massimo piacere. Cerchiamo di impedirgli di sacrificarsi, e ci ficcherà un coltello in corpo... (p. 51)
  • Niente affatto: il desiderio di ingannare prova che dietro l'inganno si nasconde una verità. Gli stessi idoli testimoniano dell'esistenza di Dio. (p. 74)
  • Stranamente, nel locale era ancora viva una mosca solitaria, nel cuore dell'inverno. Si aggrappava al bordo della zuccheriera, completamente assorta in sé come lo sono gli esseri che hanno vissuto oltre il loro tempo e dovrebbero ormai essere morti. (p. 84)
  • Due guerre mondiali erano forse prodotto della logica? Il genere umano si dibatteva in paludi di assurdo, tenebra, mistero, magia, eppure continuava a parlare di senno. Era una follia in sé. La fiduciosa lucidità dei contemporanei era una pericolosa illusione. Nel Medioevo si era più vicini alla verità di adesso. Allora se non altro si sapeva che agivano poteri sinistri. Li si chiamava persino per nome: Satana, Lucifero, Belial. La gente moderna era resa folle dalla ragione. Una banda di intellettuali aveva portato il genere umano sul limite dell'abisso. (p. 317)
  • Non mettere giù! Appendere la cornetta è come appendere un essere umano alla forca. Si resta lì ammutoliti come idioti, con la lingua penzoloni. (p. 352)
  • Per qualche tempo fu preso da una sorta di gioia, un desiderio di distruzione accoppiato a un gusto per l'azzardo, una sensazione che prende spesso chi sa porsi fuori di sé stesso e guardare il proprio comportamento attraverso gli occhi di un estraneo, dopo essersi scisso in due come per magia o per una malattia fisica. (p. 358)
  • Fa bene tutto... è il suo handicap più grave. Se si hanno le spalle larghe, si portano grossi pesi. Se una donna sa fare tutto, è costretta a farlo da sé. (p. 441)
  • La cultura ebraica non è una sorta di erba selvatica che cresce per conto suo. È un giardino che si deve curare di continuo. Quando il giardiniere se ne scorda, o decide di scordarsene, le piante avvizziscono. (p. 464)
  • Se uno si pianta su un tetto e vuole saltare giù, non fermarti neanche un secondo a discutere con lui, perché lo farà e ti cadrà sulla testa. (p. 477)
  • Perché non c'è nessun luogo dove scappare. È semplice nevrosi, e ogni nevrosi è ingenua. Ha ragione, dicendo che la società è corrotta, ma il pianeta dove dobbiamo vivere è questo. Può migliorare o peggiorare.

Racconti[modifica]

Incipit[modifica]

Al principio della Grande Guerra, Chaim Sachar di via Krochmalna a Varsavia era un uomo ricco. Dopo aver messo da parte qualche migliaio di rubli per la dote di ognuna delle figlie, si preparava a prendere in affitto un appartamento abbastanza grande per sistemarci anche un genero che studiava la Torà. Doveva esserci anche una camera per il padre di Chaim Sachar, il novantenne Reb Moshe Ber, seguace del Rebbe di Turisk, che da qualche tempo era venuto ad abitare dal figlio a Varsavia. (Il vecchio; p. 3)

[Isaac Bashevis Singer, Racconti, traduzioni di Anna Bassan Levi, Mario Biondi, Gabriella Luzzani, Anna Ravano, Mondadori, Milano, 2005. ISBN 88-04-45289-7]

Citazioni[modifica]

  • Adesso sei una donna e condividi con tutte noi la maledizione di Eva. (La rovina di Kreshev; 2005, p. 83)
  • [...] meglio per l'uomo peccare con fervore anziché compiere buone azioni senza entusiasmo [...]. (La rovina di Kreshev; 2005, p. 88)
  • Chi conosce la complessità della natura umana sa che la gioia e il dolore, il brutto e il bello, l'amore e l'odio, la pietà e la ferocia e altre passioni contrastanti finiscono spesso col confondersi fino a diventare indistinguibili. (La rovina di Kreshev; 2005, p. 98)
  • Gli insetti si dispersero, ma tornarono dopo un attimo e ripresero a girare intorno alla fiammella tremolante. Il dottor Fischelson si asciugò il sudore dalla fronte grinzosa e sospirò: «Sono come gli uomini, non desiderano altro che il piacere del momento». Sul tavolo era aperto un libro in latino, con gli ampi margini pieni di note e commenti aggiunti dal dottor Fischelson in uno stampatello minuto: era l'Etica di Spinoza, che egli studiava da trent'anni. Sapeva a memoria ogni proposizione, ogni dimostrazione, ogni corollario e ogni scolio, e quando voleva rileggere un determinato passo apriva quasi sempre il libro alla pagina giusta senza doverla cercare; eppure continuava a studiare l'Etica ogni giorno, per ore e ore, con una lente d'ingrandimento nella mano ossuta, mormorando fra sé e annuendo col capo. La verità era che più studiava e più scopriva punti di difficile interpretazione, passi oscuri e osservazioni enigmatiche; in ogni frase c'erano significati riposti che nessuno studioso di Spinoza aveva mai decifrato. Il filosofo, in realtà, aveva precorso tutte le critiche della ragion pura formulate da Kant e dai suoi seguaci. (Lo Spinoza di via del Mercato; 2005, pp. 127-128)
  • Sono Gimpel l'idiota. Secondo me non sono affatto un idiota, ma è così che mi chiamano. Questo soprannome me l'hanno dato quando andavo ancora a scuola. Di nomignoli, allora, ne avevo addirittura sette: imbecille, somaro, zuccone, cretino, gnocco, babbeo e idiota. L'ultimo è quello che mi è rimasto. Ma perché ero un idiota? Perché mi lasciavo imbrogliare come niente. (Gimpel l'idiota; 2005, p. 162)
  • Le spalle ce le dà Dio, e le some anche. (Gimpel l'idiota; 2005, p. 169)
  • [...] quando il pastore è cieco il gregge si disperde. (Il signore di Cracovia; 2005, p. 227)
  • L'ebraismo si poteva riassumere in una parola sola: isolamento. Quando non li rinchiudevano in un ghetto, gli ebrei se ne creavano uno di loro volontà; quando non li costringevano a portare il segno giallo, si vestivano in un modo che ai loro vicini sembrava stravagante. (L'ombra di una culla; 2005, pp. 314-315)
  • Ma, come dice il proverbio, se le ferite guariscono le parole lasciano il segno. (Grande e piccolo; 2005, p. 475)
  • Finché l'uomo si considera importante i suoi occhi sono ciechi, incapaci di vedere il Cielo. (Nonno e nipote; 2005, p. 802)
  • La fretta non si addiceva a Herman Gombiner: in lui la competenza era il risultato della ponderatezza. (L'uomo che scriveva lettere; 2005, p. 698)
  • Il vapore sibilava nel calorifero con il suo canto monotono, e dalle tubature sembrava parlare a Herman per consolarlo: «Tu non sei solo, sei un elemento dell'universo, un figlio di Dio, parte integrante del creato. La tua sofferenza è la sofferenza di Dio, il tuo struggimento è il Suo. Ogni cosa è giusta. Che la verità ti si riveli e ti colmi di gioia».
    All'improvviso Herman sentì uno squittio. Il topo era uscito furtivamente nell'oscurità e si guardava attorno con cautela, come per il timore di un gatto in agguato nelle vicinanze. Herman trattenne il respiro. "Non aver paura, creatura santa, nessuno ti farà del male." La osservò avvicinarsi al piattino dell'acqua e berne un sorso, poi un secondo e un terzo e infine mettersi a rosicchiare pian piano il formaggio.
    "Come potrebbe esistere una meraviglia più grande?" pensò Herman. "Ecco un topo, figlio di topi, nipote di topi, frutto di milioni, di miliardi di topi che sono vissuti, hanno sofferto, si sono riprodotti, e che adesso sono scomparsi per sempre, ma hanno lasciato un erede, l'ultimo, sembra, della sua stirpe. Eccolo lì che mangia. Che cosa penserà tutto il giorno nel suo buco? A qualcosa deve pur pensare. Ha una mente, un sistema nervoso; fa parte della creazione di Dio alla stessa stregua dei pianeti, delle stelle, delle lontane galassie."
    Il topo alzò improvvisamente la testa e lo fissò con uno sguardo umano, pieno d'amore e di gratitudine. Herman immaginò che lo stesse ringraziando. (L'uomo che scriveva lettere; 2005, p. 716)
  • Si sono convinti che l'uomo, il peggiore trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti, per gli animali Treblinka dura in eterno, eppure l'uomo pretende compassione dal Cielo. (L'uomo che scriveva lettere; 2005, p. 728)
  • Ogni persona è un esperimento nuovo nel laboratorio di Dio. (L'uomo che scriveva lettere; 2005, p. 728)
  • Come diceva la Ghemarà, così come non esiste il grano senza paglia, non esistono sogni che non contengano sciocchezze. (La potenza delle tenebre; 2005, p. 1223)
  • I vivi muoiono perché i morti possano vivere. (La potenza delle tenebre; 2005, p. 1225)
  • L'ebreo moderno non può vivere senza l'antisemitismo. Se non c'è, fa di tutto per farlo nascere. (L'istruttore; 2005, pp. 1523-1524)

Shosha[modifica]

Incipit[modifica]

Io venni educato sulla base di tre lingue morte – l'ebraico, l'aramaico e lo yiddish (che alcuni non considerano affatto una lingua) – e di una cultura che si sviluppò a Babilonia: il Talmùd.

Citazioni[modifica]

  • Un giorno mio padre nominò Spinoza – il suo nome sia cancellato – e la sua teoria secondo la quale Dio è il mondo e il mondo è Dio. Parole che mi provocarono un tumulto nella mente. Se il mondo è Dio, allora io, il ragazzo Aaron, il mio gabbano, il mio berretto di velluto, i miei capelli rossi, le mie scarpe partecipavano della Natura Divina. (p. 15)
  • «In una goccia d'acqua possono esserci miriadi di mondi simili.»
    «Non annegano?» chiedeva Shosha.
    Al fine di non complicare troppo le cose, dicevo: «Sanno nuotare tutti». (pp. 15-16)
  • «Grazie, Tekla. Sei una Brava ragazza».
    Nella guancia sinistra di Tekla comparve una fossetta. «Salute a lei». Uscì lentamente dalla camera.

    Pensavo: questa è la gente vera, quella che fa girare il mondo.Servono come prova che hanno ragione i cabalisti, non Feitelzohn. Un Dio indifferente, un Dio folle non potrebbe aver creato Tekla. Mi sentii provvisoriamente innamorato di quella ragazza. Le sue guance avevano il colore delle mele mature. Esprimeva un'energia che ha le radici nella terra, nel sole, in tutto l'universo. Non voleva migliorare il mondo come Dora. Non pretendeva parti ed interviste come Betty; non cercava esperienze eccitanti come Celia. Voleva dare, non prendere. Se il popolo polacco era riuscito a produrre anche una sola Tekla, aveva certamente compiuto la propria missione. (p. 50)
  • «Gli porgevo la mano e gli dicevo: "Procedi se è di questo che la rivoluzione ha bisogno, fammi quello che vuoi". Lo chiamavano fuori e un altro carnefice prendeva il suo posto...un altro carnefice che era riposato e sazio. Fu così che mi interrogarono per ventisei ore di orologio. Li imploravo: "Fucilatemi e facciamola finita!"»
    «Wolf non posso più ascoltarti», gridava Dora.
    «Non puoi, davvero? Devi! Noi siamo responsabili di tutto ciò. Abbiamo fatto propaganda perché ciò avvenisse. Nel 1926, quando cominciarono a diffondersi le notizie contro Trotskij, dicemmo che era una agente dei Pilsudki, dei Mussolini, dei Rockefeller, dei MacDonald. Ci tappammo le orecchie e ci rifiutammo di ascoltare la verità».
    «Felhendler, non voglio gettare sale sulle tue piaghe», dissi, «ma se Trotskij fosse al potere non si comporterebbe affatto diversamente da Stalin».
    Negli occhi di Felhendler apparve un misto di ironia e di rabbia. «Come fai a sapere come si comporterebbe Trotskij? Come osi fare delle ipotesi su cose che non sono mai successe?»
    «Sono successe in tutte le rivoluzioni. Ogni volta che si versa del sangue in nome dell'umanità, delle religione o di qualsiasi altra causa, inevitabilmente si arriva a questo tipo di terrore.» (pp. 146-147)
  • «Tu stavi al balcone e catturavi le mosche
    «Non ricordarmelo», dissi.
    «Perché?»
    «Perché noi facciamo alle creature di Dio quello che i nazisti fanno a noi.»
    «Ma le mosche pizzicano.»
    «Devono pizzicare. È così che Dio le ha create.»
    «Perché Dio le ha create così?» chiese Shosha.
    «Shoshele, a questo non c'è risposta.» (p. 188)
  • L'uomo è privo di immaginazione nel pessimismo come nell'ottimismo. (pp. 208-209)

Vecchio amore[modifica]

Incipit[modifica]

Non avevo mai sentito parlare di lui prima di allora, tuttavia, in una lunga lettera che mi scrisse da Rio de Janeiro, mi si presentò come uno scrittore yddish che si era «perso e impantanato nel deserto bollente del Brasile». Si chiamava Paltiel Gerstendrescher. Alcuni mesi dopo la lettera, arrivò uno dei suoi libri. Era pubblicato dalle Myself Publications, stampato su carta grigia e legato in una copertina arricciata sui lati a causa del lungo periodo di tempo passato negli uffici postali. Era un misto di autobiografismo e riflessioni su Dio, il mondo, l'uomo e la mancanza di fini della creazione, scritto in uno stile ampolloso e in frasi di lunghezza insolita. Era zeppo di errori di stampa e aveva diverse pagine fuori posto. Si intitolava La confessione di un agnostico.

Citazioni[modifica]

  • Chi crea deve essere critico però il senso critico deve venire dopo. (pp. 12-13)
  • Quando Adamo ed Eva mangiarono all'albero della conoscenza, divennero critici e analitici, e si resero conto di essere nudi. (p. 13)
  • La vita è il carro di Dio e la morte è solo l'ombra della Sua frusta.

Citazioni su Isaac Bashevis Singer[modifica]

  • Che mondo meraviglioso, un mondo terribile e splendido, quello di Isaac Bashevis Singer, Dio lo benedica! (Henry Miller)
  • Dopo essere fuggito dalla Polonia occupata dai nazisti, il premio Nobel Isaac Bashevis Singer paragonò i pregiudizi di specie alle «teorie razziste più estremistiche». Singer sosteneva che i diritti degli animali fossero la forma più pura di difesa della giustizia sociale perché gli animali sono i più vulnerabili di tutti gli oppressi. A suo parere i maltrattamenti degli animali erano l'epitome del paradigma morale secondo cui «la forza è diritto». (Jonathan Safran Foer)

Note[modifica]

  1. Da Una notte di Hanukkah, traduzione di Bianca Maria Bonazzi e Adriano Spatola, illustrazioni di Claudio Benzoni, Emme Edizioni, Milano, 1982, pp. 140-141.
  2. Da Discorso all'Accademia di Svezia, in Come mai Dio non è vegetariano?, p. 53.
  3. Dal discorso al banchetto per i vincitori dei Premi Nobel, Stoccolma, 10 dicembre 1978.
  4. Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, 2000.
  5. Da Una notte di Hanukkah, p. 35.
  6. Dall'intervista di Morton A. Reichek, 'Yiddish,' says Isaac Bashevis Singer, 'contains vitamins that other languages don't have.', The New York Times, 23 marzo 1975, p. 228.
  7. Dalla Prefazione a Steven Rosen, Il vegetarianesimo e le religioni del mondo, traduzione di Giulia Amici, Gruppo Futura – Jackson Libri, Bresso, 1995, pp. VII-VIII. ISBN 88-256-0826-8
  8. a b Citato in prefazione a Vecchio amore.
  9. Da La distruzione di Kreshev, in Racconti, 2013.
  10. a b Da La famiglia Moskat.
  11. Citato in Berry, pp. 202-203.
  12. Citato in Enzo Biagi, 1943 e dintorni, Mondadori, 1983, p. 73.
  13. Da Io non mi affido agli uomini.
  14. a b Citato dall'intervistatore in Come mai Dio non è vegetariano?, p. 38.
  15. Citato in Berry, p. 203 (dichiarazione riportata nel libro dietro richiesta dello stesso Singer).
  16. Da Satana a Goray. Frase identica a quella presente in Italo Svevo (vedi), La coscienza di Zeno.
  17. (EN) Citato in Richard H. Schwartz, Judaism and Vegetarianism, Lantern Books, New York, 2001, p. 177. ISBN 1-930051-24-7
  18. Dalla prefazione a Dudley Giehl, Vegetarianism; citato in Michela Vittoria Brambilla, Manifesto animalista, Mondadori, Milano, 2012, p. 33. ISBN 978-88-04-62679-4
  19. Citato in Corriere della Sera, 5 novembre 2009.
  20. Da Vicini, in Racconti, 2013.
  21. a b c Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Rynn Berry, Da Buddha ai Beatles. La vita e le ricette inedite dei grandi vegetariani della storia, traduzione di Annamaria Pietrobono, Gruppo Futura – Jackson Libri, Bresso, 1996. ISBN 88-256-1108-0
  • Isaac Bashevis Singer, Come mai Dio non è vegetariano? Intervista di Matteo Bellinelli. Con i discorsi per il Premio Nobel, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2005. ISBN 88-7713-431-3
  • Isaac Bashevis Singer, La famiglia Moskat, traduzione di Bruno Ponzi, TEA, 1989.
  • Isaac Bashevis Singer, Nemici. Una storia d'amore, traduzione di Bruno Oddera, Longanesi, 1974.
  • Isaac Bashevis Singer, Nuove storie dalla corte di mio padre, traduzione di Mario Biondi, Longanesi, 2000.
  • Isaac Bashevis Singer, Ombre sull'Hudson, traduzione di Mario Biondi, Longanesi, 2000.
  • Isaac Bashevis Singer, Racconti, traduzioni di Anna Bassan Levi, Mario Biondi, Gabriella Luzzani, Anna Ravano, Mondadori, Milano, 2005. ISBN 88-04-45289-7
  • Isaac Bashevis Singer, Racconti, traduzioni di Bruno Oddera, Maria Vasta Dazzi e Mario Biondi, Corbaccio, 2013. ISBN 978-88-6380-579-6
  • Isaac Bashevis Singer, Satana a Goray, traduzione di Bruno Oddera, Longanesi, 2002.
  • Isaac Bashevis Singer, Shosha, traduzione di Mario Biondi, Longanesi & C., Milano, 1978.
  • Isaac Bashevis Singer, Vecchio amore (Old Love), traduzione di Mario Biondi, CDE, 1981.

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