Immanuel Kant

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Immanuel Kant

Immanuel Kant (1724 – 1804), filosofo tedesco.

Citazioni di Immanuel Kant[modifica]

  • Agisci in modo da considerare l'umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche al tempo stesso come scopo e mai come semplice mezzo.[1]
  • Amici dell'umanità... non contestate alla ragione ciò che fa di essa il bene più alto sulla terra: il privilegio di essere l'ultima pietra di paragone della verità.[2]
  • Coloro che dicono che il mondo andrà sempre così come è andato finora [...] contribuiscono a far sì che l'oggetto della loro predizione si avveri.[3]
  • Dio ha inserito un'arte segreta nelle forze di natura in modo da consentire a quest'ultima di modellarsi passando dal caos a un perfetto sistema del mondo.[4]
  • Il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo, ed esso solo può attuare l'illuminismo fra gli uomini.[5]
  • Il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltà.[6]
  • Imperativo categorico.[7]
Kategorischer Imperativ.
  • L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a sé stesso è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude![8] Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'illuminismo.
    Sennonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: — Non ragionate! — L'ufficiale dice: — Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. — L'impiegato di finanza: — Non ragionate, ma pagate! — L'uomo di chiesa: — Non ragionate, ma credete![9]
  • L'unica e grande utilità degli esempi è che essi affinano il giudizio.[10]
  • L'uomo non può essere partecipe della felicità o dell'infelicità altrui fin tanto che non si sente egli stesso soddisfatto.[11]
  • La moralità non è la dottrina su come ci rendiamo felici. È la dottrina su come ci rendiamo degni di felicità.[12]
  • La ragione scorge soltanto ciò che essa stessa produce secondo il suo disegno.[13]
  • Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesistere con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè non leda questo diritto degli altri).[14]
  • Noi possiamo [...] solo dal punto di vista umano parlare di spazio.[15]
  • Non contestate alla ragione ciò che fa di essa il sommo bene sulla terra, vale a dire il privilegio di essere l'ultima pietra di paragone della verità.[16]
  • Quando Galileo fece [...] rotolare delle sfere su un piano inclinato, su tutti gli studiosi della natura si accese una luce.[17]
  • Tutte le chiese, tutte le comunità religiose mancano del contrassegno più importante della [...] Verità. Essendo fondate su una fede rivelata ed essendo perciò legate ad una serie di specifici eventi storici, sono prive di validità universale. È sostanzialmente inutile ricercare tra le varie tradizioni religiose quale sia la religione vera: quel che importa è agire bene. Compiere il Bene, la Virtù, per amore del Bene stesso relativizza non tanto la verità bensì l'esistenza delle singole comunità religiose, le quali si presentano ormai più come un ostacolo che come una via al conseguimento dell'unica religione morale, la sola davvero uguale per tutti.[18]
  • [Ultime parole] Tutto bene.
Es ist gut.[19]
  • Una creatura perfettamente malvagia ma intelligente preferirà vivere in una condizione civile piuttosto che in uno stato di natura, per essere protetto dalla violenza che gli altri, essendo diavoli come lui, gli faranno sicuramente; e preferirà la repubblica al dispotismo perché il potere incontrollato di un despota che sia diabolico, come lui, è di gran lunga più pericoloso del potere diviso e regolato di una costituzione repubblicana.[20]

Critica della ragion pratica[modifica]

  • Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale. (p. 65)
  • La ragion pura è per sé sola pratica, e dà (all'uomo) una legge universale che noi chiamiamo legge morale. (p. 67)
  • [...] Virtù e felicità costituiscono insieme in una persona il possesso del sommo bene, per questo anche la felicità, distribuita esattamente in proporzione della moralità (come valore della persona e suo merito di essere felice), costituisce il sommo bene di un mondo possibile. (pp. 243-245)
  • Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell'oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l'intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connes­sione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell'universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all'infinito. (Conclusione, p. 353)

Critica della ragion pura[modifica]

Incipit[modifica]

Non c'è dubbio che ogni nostra conoscenza incomincia con l'esperienza; da che infatti la nostra facoltà conoscitiva sarebbe altrimenti stimolata al suo esercizio, se ciò non avvenisse per mezzo degli oggetti che colpiscono i nostri sensi e, per un verso, danno origine da sé a rappresentazioni, per un altro, muovono l'attività del nostro intelletto a paragonare queste rappresentazioni, a riunirle o separarle, e ad elaborare per tal modo la materia greggia delle impressioni sensibili per giungere a quella conoscenza degli oggetti, che chiamasi esperienza? Nel tempo, dunque, nessuna conoscenza in noi precede all'esperienza, e ogni conoscenza comincia con questa. (2010)

Citazioni[modifica]

  • Io dunque ho dovuto sopprimere il sapere per sostituirvi la fede. (2010, Prefazione alla seconda edizione)
Ich musste das Wissen aufheben, um zum Glauben Platz zu bekommen.
  • La ragione umana, anche senza il pungolo della semplice vanità dell'onniscenza, è perpetuamente sospinta da un proprio bisogno verso quei problemi che non possono in nessun modo esser risolti da un uso empirico della ragione... e così in tutti gli uomini una qualche metafisica è sempre esistita e sempre esisterà, appena che la ragione s'innalzi alla speculazione. (2010, p. 88)
  • La fede in un Dio e in altro mondo è talmente intessuta col mio sentimento morale, che io non ho da preoccuparmi che la prima possa mai essermi strappata, nella stessa misura in cui non corro pericolo di perdere il secondo (II, cap.II, sez.III, 537, Einaudi, Torino 1957, p. 804.)
  • È esattamente conoscendo i propri limiti che la filosofia esiste.[21]
  • Per di più, chi mai abbia visto il dogmatico esibire dieci prove può ben credere ch'egli non ne abbia neanche una.
  • Il vero infinito non può essere carpito nell'esperienza.
  • La mancanza di capacita' di giudizio e' ciò che viene chiamato stupidita', e per una tale mancanza non vi e' niente che possa aiutare.
  • La leggera colomba, che taglia con liberi voli l'aria, di cui sente la resistenza, potrebbe immaginarsi che volare le riuscirebbe molto meglio in uno spazio senza aria.
  • La metafisica ha come finalità della propria indagine solo tree idee: Dio, libertà e immortalità.
  • La ragione umana [...] viene afflitta da domande che non può respingere [...] e a cui però non può neanche dare risposta.[13]
  • Si può allora ben dire che i sensi non sbaglino mai, ma non perché essi giudichino sempre in maniera corretta, bensi' perché essi non esprimono mai giudizi.
  • Senza i sensi non sarebbe a noi posto alcun oggetto, e senza l'intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche.

Critica del giudizio[modifica]

  • In tutti i giudizi coi quali dichiariamo bella una cosa, noi non permettiamo a nessuno di essere di altro parere, senza fondare tuttavia il nostro giudizio sopra concetti, ma soltanto sul nostro sentimento, di cui così facciamo un principio, non però in quanto sentimento individuale, ma in quanto sentimento comune. (1997, p. 145)
  • Il giudizio di gusto determina il suo oggetto, per ciò che riguarda il piacere (in quanto bellezza), pretendendo il consenso d'ognuno, come se il piacere fosse oggettivo. Dire che questo fiore è bello val quanto esprimere la propria pretesa al piacere di ognuno. Il piacevole del suo odore non ha simili pretese. Ad uno piace, ad un altro dà alla testa. E che cosa si potrebbe presumere da ciò se non che la bellezza dovrebbe essere considerata come una proprietà dell'oggetto stesso, non regolata dalla diversità degli individui e dei loro organismi, ma su cui invece questi dovrebbero regolarsi, volendone giudicare? E nondimeno non è così. Perché il giudizio di gusto consiste proprio nel chiamar bella una cosa soltanto per la sua proprietà di accordarsi col nostro modo di percepirla. (1997, pp. 240-241)
  • Il bello si accorda col sublime in questo, che entrambi piacciono per se stessi. Inoltre, entrambi non presuppongono un giudizio dei sensi né un giudizio determinante dell'intelletto ma un giudizio di riflessione [...].
    Ma saltano agli occhi anche differenze considerevoli. Il bello della natura riguarda la forma dell'oggetto, la quale consiste nella limitazione; il sublime invece si può trovare anche in un oggetto privo di forma, in quanto implichi o provochi la rappresentazione dell'illimitatezza, pensata per di più nella sua totalità [...] Tra i due tipi di piacere c'è inoltre una notevole differenza quanto alla specie: mentre il bello implica direttamente un sentimento di agevolazione e di intensificazione della vita, e perciò si può conciliare con le attrattive e con il gioco dell'immaginazione, il sentimento del sublime invece è un piacere che sorge solo indirettamente, e cioè viene prodotto dal senso di un momentaneo impedimento, seguito da una più forte effusione delle forze vitali, e perciò, in quanto emozione, non si presenta affatto come gioco, ma come qualcosa di serio nell'impiego dell'immaginazione. Quindi il sublime non si può unire ad attrattive; e poiché l'animo non è semplicemente attratto dall'oggetto, ma alternativamente attratto e respinto, il piacere dei sublime non è tanto una gioia positiva [...] merita di essere chiamato un piacere negativo. (1997, pp. 159-161)
  • Vi è un'infinità di cose della bella natura, per le quali esigiamo l'accordo dei nostro giudizio con quello di ciascun altro, e, senza molto ingannarci, possiamo anche aspettarlo; ma dal nostro giudizio sul sublime della natura non ci possiamo ripromettere così facilmente il consenso altrui. Pare difatti che, per pronunziare un giudizio su questa eccellenza degli oggetti naturali, sia necessaria una cultura molto maggiore, non soltanto del Giudizio estetico, ma anche delle facoltà conoscitive che vi stanno a fondamento. (1997, p. 201)
  • In realtà, ciò che noi, preparati dalla cultura, chiamiamo sublime, ...è per l'uomo rozzo semplicemente terribile. Questi, in quelle manifestazioni dell'impero devastatore della natura e della sua grande potenza, di fronte a cui il suo potere si riduce a niente, non vedrà che il disagio, il pericolo, l'affanno, che colpirebbe l'uomo che vi sarebbe esposto. (1997, p. 203)
  • La frode, la violenza, l'invidia dominano sempre intorno a lui, sebbene egli sia onesto, pacifico e benevolente; e gli onesti, che ancora gli è dato di incontrare, malgrado tutto il loro diritto di essere felici, sono sottoposti dalla natura, che non fa tali considerazioni, a tutti i mali della miseria e della malattia e ad una morte prematura come gli altri animali della terra. E rimangono sottoposti a tutti i mali finché un vasto sepolcro li inghiotte tutti insieme (onesti e disonesti, non importa) e li rigetta, essi che si erano creduti il fine ultimo della creazione, nell'abisso del cieco caos della materia da cui erano usciti. (citato in Tim Willocks, Il fine ultimo della creazione)
  • Esiste una causa morale del mondo, per proporci uno scopo finale, conformemente alla legge morale; e per quanto questo scopo è necessario, altrettanto è necessario ammettere quella causa: cioè che vi è un Dio.
  • Un prodotto organizzato dalla natura è un prodotto dove tutto è reciprocamente fine e mezzo; in esso, nulla d'inutile, privo di scopo, o dovuto a un cieco meccanismo naturale.
  • Il bello è il simbolo del bene morale.

Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico[modifica]

  • Da un legno così storto com'è quello di cui è fatto l'uomo non si può ricavare nulla di perfettamente dritto.[22] (in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, a cura di N. Bobbio, L. Firpo, V. Mathieu, Utet, Torino, 1956)
  • L'uomo vuole la concordia; ma la natura sa meglio di lui ciò che è buono per la sua specie: essa vuole la discordia. (p. 103)[23]
  • L'uomo vuol vivere comodamente e piacevolmente; ma la natura vuole ch'egli esca dallo stato di pigrizia e di inattiva soddisfazione ed affronti lavoro e fatiche per inventare i mezzi onde ingegnosamente liberarsi anche da queste ultime. (p. 103) [23]
  • La ragione è la facoltà che ha una creatura di estendere le regole ed intenzioni dell'uso di tutte le sue forze molto al di là dell'istinto naturale; essa non conosce limiti nei propri progetti. (p. 101)[23]

Lezioni di etica[modifica]

  • Si predica di continuo ciò che deve accadere, e nessuno pensa anche se esso possa accadere; perciò risulteranno noiosissime quelle esortazioni, che sono la ripetizione tautologica della regola che già ognuno conosce, in cui null'altro s'aggiunge a quanto già se ne sa e che si traducono in sermoni che rimangono ben vuoti, se chi tiene la predica non bada insieme alla saggezza pratica. A questo proposito Spalding è da preferire a tutti. (p. 5)
  • Rousseau, che è un Diogene raffinato, afferma anche che il nostro volere sarebbe buono per natura, ma che noi lo corromperemmo di continuo; che la natura ci avrebbe provvisto di tutto e che saremmo noi a crearci dei bisogni; egli richiede anche che l'educazione dei fanciulli sia soltanto negativa. (p. 10)
  • La scuola epicurea sosteneva che il sommo bene derivasse dall'arte e non dalla natura, come voleva la scuola cinica. La diversità tra le due scuole consisteva appunto in questo, che l'una affermava l'opposto dell'altra. Epicuro sosteneva che, se anche per natura non possedessimo alcun vizio, pure ne conserveremmo la tendenza, perciò l'innocenza e la semplicità non sono assicurate e deve intervenire l'arte. Su questo punto Zenone andava d'accordo con Epicuro, considerando la virtù come un prodotto dell'arte. (p. 10)
  • Il suicidio suscita un'avversione accompagnata da orrore per il fatto che ogni natura cerca di conservarsi: un albero percosso, un essere vivente, un animale; ora, nell'uomo, dovrebbe diventare un principio volto alla distruzione di se stessi proprio la libertà, che è il grado supremo della vita e quel che le conferisce valore. Ciò costituisce la cosa più spaventosa che si possa pensare, perché chi è giunto ormai al punto di disporre in ogni occasione di se stesso dispone anche della vita di tutti: a lui si aprono le porte verso ogni possibile vizio, dal momento che, prima che ci si possa impadronire di lui, egli è pronto a fuggire dal mondo. Il suicidio suscita dunque orrore, perché con esso l'uomo si pone al disotto delle bestie; e noi consideriamo un suicida alla stregua di una carogna [als ein Aas], mentre riserviamo la nostra pietà a chi è vittima della sorte. (p. 173)
  • Il suicidio, però, non è abominevole e inammissibile perché Dio lo ha proibito, ma al contrario Dio lo ha proibito perché, degradando al di sotto dell'animalità la dignità intrinseca dell'uomo, è abominevole. (pp. 176-177)
  • Gli uomini sono o maldicenti (médisants) o canzonatori (moquants). Nel primo caso v'è cattiveria; nel secondo frivolezza, per l'intento di far divertire alle spalle degli errori altrui. (p. 272)
  • Gli uomini si vergognano più d'esser canzonati che della maldicenza. La calunnia è qualcosa che avviene segretamente, che non può diffondersi in qualsiasi cerchia sociale e che si può personalmente anche ignorare; ma una canzonatura trova la strada aperta in qualsiasi ambiente. Da essa un uomo viene colpito più che dal male. Divenuto oggetto del riso altrui, egli perde ogni suo valore ed è esposto al disprezzo. (p. 272)
  • Poiché gli animali posseggono una natura analoga a quella degli uomini, osservando dei doveri verso di essi osserviamo dei doveri verso l'umanità, promuovendo con ciò i doveri che la riguardano. Per esempio, se un cane ha servito a lungo fedelmente il suo padrone, ciò costituisce qualcosa di analogo a un'azione meritevole e perciò richiede la nostra lode e, quando non sarà più in grado di renderci i suoi servizi, noi dovremo trattenere la bestia presso di noi fino alla morte. (p. 273)
  • Essendo, dunque, gli atti degli animali analoghi a quelli umani e derivando dagli stessi princìpi, in tanto noi abbiamo dei doveri verso di essi in quanto, osservando questi, noi promuoviamo quelli verso l'umanità. Chi perciò facesse uccidere il proprio cane, non essendo questo più in grado di guadagnarsi il pane, non agirebbe affatto contro i doveri riguardanti i cani, i quali sono sprovvisti di giudizio, ma lederebbe nella loro intrinseca natura quella socievolezza e umanità, che occorre rispettare nella pratica dei doveri verso il genere umano. Per non distruggerla, l'uomo deve mostrare bontà di cuore già verso gli animali, perché chi usa essere crudele verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini. Si può conoscere il cuore d'un uomo già dal modo in cui egli tratta le bestie. (p. 273)
  • Quanto più ci si dedica all'osservazione degli animali e del loro comportamento, tanto più si prova amore per essi, al vedere quante cure essi riservino ai loro piccoli. Si può allora concludere di non essere crudeli neppure verso un lupo. Leibniz, servendosi d'un foglio, riportava sull'albero il piccolo verme, su cui aveva compiuto le sue osservazioni, affinché per sua colpa non gliene venisse alcun danno. Distruggere questa piccola creatura senza ragione non avrebbe potuto non turbare un uomo. (p. 274)
  • In Inghilterra, in una giuria, non sono ammessi né macellai, né chirurghi, né medici, per la loro insensibilità verso la morte. Quando gli anatomici si servono di animali vivi per i loro esperimenti, ciò è senza dubbio crudele, sebbene sia fatto in vista di qualcosa di buono. Si può ammettere che gli animali siano considerati come strumenti dell'uomo; ma è assolutamente inaccettabile che essi ne costituiscano il gioco. Un padrone che scacci via il suo asino o il suo cane, perché ormai inservibili, rivela un animo meschino. (p. 274)
  • In conclusione, i nostri doveri verso gli animali sono indirettamente doveri verso l'umanità. (p. 274)

Per la pace perpetua. Un progetto filosofico[modifica]

  • «Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono col tempo scomparire interamente».
    Essi infatti minacciano incessantemente gli altri Stati con la guerra, dovendo sempre mostrarsi armati a tale scopo, ed eccitano altri Stati a gareggiare vicendevolmente in qualità di armamenti in una corsa senza fine: e siccome per le spese a ciò occorrenti la pace diventa da ultimo ancor più oppressiva che non una breve guerra, così tali eserciti permanenti diventano essi stessi la causa di guerre aggressive condotte per liberarsi di quel peso. (p. 177)[23]
  • Lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni a fianco degli altri, non è uno stato naturale, il quale è piuttosto uno stato di guerra.
  • Non c'è da attendersi che i re filosofeggino o che i filosofi diventino re, e neppure è da desiderarlo, perché il possesso della forza corrompe il libero giudizio della ragione. Ma che un re o un popolo sovrano non lascino ridurre al silenzio la classe dei filosofi, ma la lascino pubblicamente parlare, è indispensabile agli uni e agli altri per avere luce sui loro affari.

Principi metafisici della dottrina del diritto[modifica]

  • Colui che vuol sostenere di avere una cosa come sua, deve essere in possesso di questo oggetto, perché, se non lo fosse, non potrebbe essere danneggiato dall'uso che un altro fa di esso senza il suo consenso. (p. 226)[23]
  • Il diritto è [...] l'insieme delle condizioni per mezzo delle quali l'arbitrio dell'uno può accordarsi con l'arbitrio di un altro secondo una legge universale della libertà. (p. 216)[23]
  • Una dottrina del diritto puramente empirica è (come la testa di legno nella favola di Fedro[24]) una testa che può essere bella, ma che, ahimè!, non ha cervello. (p. 216)[23]

Incipit di alcune opere[modifica]

I sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica[modifica]

Mettendo insieme tutto quello che la gente racconta e il filosofo dimostra riguardo alle apparizioni di spiriti, si potrebbe pensare che questo genere di conoscenze costituisca una parte non piccola dell'umano sapere. Sennonché...
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

La pedagogia[modifica]

L'uomo è la sola creatura capace di essere educata. Per educazione, in senso largo, s'intende la cura (il trattamento, la conservazione) che richiede l'infanzia di lui, la disciplina che lo fa uomo, infine la istruzione con la cultura. Sotto questi tre rispetti, egli è infante, allievo e scolare.

Citazioni su Immanuel Kant[modifica]

  • Galilei e Kant entrambi trasformano vecchi mondi colla creazione di elementi nuovi: per Galilei il nuovo è il metodo di ricerca nella Natura, con cui s'inaugura lo sperimentalismo moderno: per Kant è il metodo critico, che formola il nuovo concetto dello spirito, raggiunge la produttività del conoscere: e fa sì che l'analisi del sapere, non più aggirantesi nell'esterno, tocchi l'intimo processo della cognizione. (Saverio Fausto De Dominicis)
  • Giacché nutro per Kant un'incrollabile ammirazione, e questo per il duplice motivo che il suo pensiero è una mirabile fusione di genio, rigore e follia e che, per quanto la sua prosa sia spartana, non ho incontrato grosse difficoltà a coglierne il senso. (Muriel Barbery)
  • I Bacone, gli Spinoza, gli Hume, gli Schelling, i Kant e chiunque altro vi proponga una filosofia della mente, sono soltanto traduttori più o meno adeguati di cose che esistono nella vostra coscienza, che anche voi avete modo di vedere, e forse anche di esprimere. (Ralph Waldo Emerson)
  • Il Kant precritico non vede dunque ancora la scorrettezza anche della prova cosmologica, ma già nota un problema: chi assicura che l'ente necessario sia proprio Dio? In altre parole, «si tratta di dimostrare non che Dio è qualcosa di esistente, ma che qualcosa di esistente è Dio». (Piergiorgio Odifreddi)
  • Il moralismo di Kant, – da dove viene? Lo dà continuamente a capire: da Rousseau e dal ridestato stoicismo romano. (Friedrich Nietzsche)
  • Io non ho mai avuto intenzione di sapere cosa propriamente Kant abbia voluto dire con la sua filosofia, ma solo ciò che avrebbe dovuto dire secondo il mio punto di vista, se voleva dare intima coerenza alla sua filosofia. (Friedrich Schelling)
  • Kant concepisce l'intelligenza alla stregua di un tubo digerente: essa non sarebbe capace di una assimilazione immateriale che le permetta di cogliere l'essenza di una cosa pur rispettandola pienamente, ma funzionerebbe in modo simile ad una assimilazione corporea, che frantuma la cosa sotto i denti di solidi concetti e la riduce alla sua propria sostanza. (Fabrice Hadjadj)
  • Kant è una specie di autostrada con tante, tante pietre miliari. Poi arrivano tutti i cagnolini e ognuno deposita il suo contributo alle pietre miliari. (Albert Einstein)
  • Kant non è stato certamente un filosofo come Socrate e tanto meno come Giordano Bruno; per la semplice ragione, forse, che egli è venuto dopo di loro. Socrate aveva portato il filosofare nella via, Giordano Bruno ne aveva fatto una propaganda sovversiva. Kant è stato il primo filosofo a sedere, s'intende filosofo che pensa col suo cervello e non con quello delle autorità più o meno civili e più o meno religiose del suo paese. (Paolo Orano)
  • La cosa più importante della filosofia di Kant, mi sembra, sono le sue categorie a priori che servono anche per costruire la scienza. (Albert Einstein)
  • La lezione di Kant conserva tutta la sua verità: l'imperativo morale o è categorico, e dunque incondizionato, o non è. (Bruno Forte)
  • La vita di Kant non offre nulla di notevole, nulla di interessante o di curioso. Essa fu una vita calma, intellettuale, tutta dedita allo studio. Egli visse come un semplice cittadino a cui non mancava una discreta tinta della più prosaica pedanteria. E tuttavia dalle profondità intime della sua vita esteriore modesta e tranquilla si levò un regno grandioso di pensieri che illuminò di luce viva la conoscenza e la vita umana. (Harald Høffding)
  • Nonostante tutti gli appunti che si possono muovere [alla critica di Kant], si deve riconoscervi un'idea originale di alto valore: la scienza non è una copia passiva della natura esteriore, ma è costruzione che lo spirito umano fa secondo le sue proprie leggi; pertanto la critica della scienza deve scoprire ed illuminare questo elemento subiettivo più profondo che è la razionalità del sapere. (Federigo Enriques)
  • Qualunque cosa percepiamo, la percepiamo come situata nel tempo e nello spazio, e riconducendo ogni fenomeno a una causa. Ma secondo Kant queste caratteristiche – tempo, spazio, relazione di causa ed effetto – non appartengono alla realtà in sé: sono un'aggiunta del nostro intelletto. (Nigel Warburton)
  • Quattro nomi sopravviveranno a tutti gli attacchi e ai sovvertimenti dei tempi a venire, e tramonteranno soltanto con l'umanità, i nomi di Buddha, Cristo, Kant e Schopenhauer. (Philipp Mainländer)
  • Secondo la dottrina della morale kantiana la regolarità interna della ragione umana produce, da sola e abbandonata a se stessa, l'imperativo categorico quale risposta all'autoinchiesta responsabile. Secondo l'opinione di Kant l'uomo come essere ragionevole non può volere un'azione nella cui essenza abbia scoperto una contraddizione razionale. Io mi pronuncio per l'opinione forse troppo prosaica che bisognava proprio essere un professore fuori della realtà e un così appassionato ammiratore della ragion pura come lo era Kant, per poter credere questo seriamente anche solo per un momento. Anzi, c'è per me qualcosa di commovente nell'opinione troppo alta che il filosofo manifesta per l'uomo medio se pensa che questo potrebbe venir trattenuto da un'azione qualsiasi verso cui è spinto da inclinazione naturale, solo perché ha riconosciuto in via puramente razionale che nell'essenza dell'azione c'è una contraddizione logica! (Konrad Lorenz)
  • Senza un personale studio accanito, ripetuto parecchie volte, delle principali opere kantiane, non si potrà assimilare neppure un concetto di questo fenomeno filosofico, il più importante che si sia mai presentato. Kant infatti è forse il cervello più originale che mai sia stato prodotto dalla natura. Pensare con lui e alla sua maniera è qualcosa che non può essere paragonato a null'altro, poiché egli possedeva un grado di chiara riflessione del tutto caratteristica, quale mai è toccato a nessun altro mortale. (Arthur Schopenhauer)
  • Tra i seguaci entusiasti di Tissot incontriamo Rousseau e Kant, per i quali chi si masturba non è dissimile dal "suicida" che distrugge con un gesto la vita che il masturbatore sacrifica nel tempo. (Umberto Galimberti)
  • Vi è sempre in Kant, come in Lutero, qualcosa che ricorda il monaco, il quale, anche uscito dal chiostro, non può tuttavia cancellarne da sé le tracce. (Friedrich Schiller)

Carlo Cantoni[modifica]

  • I precursori di Kant si potrebbero, sottilizzando, ricercare anche nelle filosofie più antiche; ma quanto alla sua propria dottrina, al suo criticismo, non se ne troveranno facilmente chiari e distinti tratti prima di Locke.
  • Nella dottrina di Kant, la scienza è affatto libera nella sua esplicazione e ne' suoi studii. Finché essa rimane nell'ordine suo, cioè resta scienza, non v'ha pericolo nessuno che essa entri in opposizione col principio morale: vi sarà uno screzio apparente, qualche malinteso od equivoco da dissipare; ma contro il principio morale e le sue necessarie condizioni tutte le teorie scientifiche si spuntano.
  • Versato profondamente nelle scienze naturali e specialmente nell'astronomia, Kant dovette più volte aver riflettuto sulla grande e fecondissima riforma, che il sistema copernicano aveva prodotto nella scienza degli astri; e forse questa riflessione fu quella, che dapprima gli fece balenare nella mente l'idea di tentare nella filosofia una rivoluzione analoga, benché, in origine, limitata al mondo dei sensi.

Note[modifica]

  1. Da Fondazione della metafisica dei costumi, traduzione di Vittorio Mathieu, Rusconi, Milano, 1994, pp. 143-145.
  2. Da Che cosa significa orientarsi nel pensare, A329.
  3. Da Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, traduzione di Norberto Bobbio, Luigi Firpo e Vittorio Mattiheu, UTET, Torino 1971.
  4. Citato in Rosa Giannetta Alberoni, Il Dio di Michelangelo e la barba di Darwin, Rizzoli, 2007, p. 110.
  5. Da Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?, 5 dicembre 1783.
  6. Citato in Fabio Rossi (a cura di), Cristianesimo, teologia, filosofia. Studi in onore di Alberto Siclari, p. 341. ISBN 9788856827781
  7. Da Grundlegung der Methaphysik der Sitten, II. Abschn.
  8. L'espressione Sapere aude è di Quinto Orazio Flacco.
  9. Da Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?, 5 dicembre 1783.
  10. Dalla Critica della Ragion Pura -> Dottrina Trascendentale degli elementi -> Logica Trascendentale -> Analitica del Trascendente Libro II -> Analitica dei principi.
  11. Da Bemerkungen. Note per un diario filosofico, a cura di Katrin Tenenbaum, Meltemi, Roma, p. 63.
  12. Citato in Come funziona la filosofia, a cura di Marcus Weeks, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2020, p. 185. ISBN 9788858025598
  13. a b Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 170. ISBN 9788858014165
  14. Da Sopra il detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica, Ueber den Gemeinspruch: das mag in der Theorie richtug sein, taugt aber nicht für die Praxis, 1793; in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, p. 255.
  15. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 169. ISBN 9788858014165
  16. Da Che cosa significa orientarsi nel pensare?, in Scritti sul criticismo, pp. 28-29.
  17. Citato in AA.VV., Il libro della fisica, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2021, p. 35. ISBN 9788858029589
  18. Da La religione nei limiti della semplice ragione, 1793; in Piero Stefani, Le radici bibliche della cultura occidentale, Mondadori, 2004, p. 150.
  19. Citato in Enrico Malato, Storia della letteratura italiana, Volume 6, Salerno, 1998, p. 112. ISBN 8884022304
  20. Da Sette scritti politici liberi, p. 218.
    Kant si limita all'ipotesi di un popolo di diavoli intelligenti, senza considerare la realistica possibilità di un popolo di diavoli stupidi. È infatti implicito che la natura, risolverà il problema della stupidità con i suoi mezzi. Chi non ha l'intelligenza di passare allo stato civile è destinato a essere sterminato; un popolo di diavoli che ritiene astuto affidarsi all'arbitrio di un despota altrettanto diabolico pagherà cara la sua scelta. (Maria Chiara Pievatolo in Sette scritti politici liberi)
  21. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 167. ISBN 9788858014165
  22. Attribuita anche a Hegel in Ralf Dahrendorf, Erasmiani, traduzione di M. Sampaolo, p. 59.
  23. a b c d e f g citato in Immanuel Kant, Stato di diritto e società civile, a cura di Nicolao Merker, Editori Riuniti, Roma 1982. ISBN 88-359-3906-2
  24. La favola della volpe e della maschera teatrale in Fabulae, I, 7.

Bibliografia[modifica]

  • Giovanni Fornero (a cura di). Itinerari di filosofia, volume II, tomo B. Milano, Paravia, 2003. ISBN 88-395-1287-X
  • Immanuel Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, traduzione di Petra Dal Santo, a cura di Franco Volpi, Adelphi, Milano, 1996. ISBN 8845912272
  • Immanuel Kant, Critica della ragion pura, traduzione di Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo-Radice, Laterza, Roma-Bari, 2010. ISBN 978-88-420-7549-3
  • Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, traduzione di Francesco Capra e Eugenio Garin, Laterza, Roma-Bari, 2006.
  • Immanuel Kant, Critica del Giudizio, traduzione di A. Gargiulo, Laterza, Bari, 1997.
  • Immanuel Kant, La pedagogia, proemio e traduzione di Angelo Valdarnini, G.B. Paravia & C., Torino, 1925.
  • Immanuel Kant, Lezioni di etica, traduzione di Augusto Guerra, Laterza, Roma-Bari, 1984. ISBN 88-420-2520-8
  • Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo? (Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?, 1784).
  • Immanuel Kant, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, a cura di Norberto Bobbio, Luigi Firpo, Vittorio Mathieu, traduzione di Gioele Solari e Giovanni Vidari, Utet, Torino, 1995. ISBN 8802018359.
  • Immanuel Kant, Scritti sul criticismo, traduzione di Giuseppe De Flaviis, Laterza, Roma-Bari, 1991. ISBN 8842038156
  • Immanuel Kant, Stato di diritto e società civile, a cura di Nicolao Merker, Editori Riuniti, Roma 1982.
  • Immanuel Kant, Sette scritti politici liberi, a cura di Maria Chiara Pievatolo, Firenze University Press, 2011. ISBN 978-88-6453-298-1 (id=gkrzCQrGizwC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri) (Edizione Elettronica HTML)
  • Tim Willocks, Il fine ultimo della creazione, traduzione di Katia Bagnoli, Mondadori, Milano, 1996. ISBN 8804420243

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