Cesare Lombroso

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Cesare Lombroso

Cesare Lombroso (1835 – 1909), antropologo e criminologo italiano.

Citazioni di Cesare Lombroso[modifica]

  • Così un animaluccio come la termite, giunge a far crollare intere città e, viceversa, può edificare dei palazzi alti dieci metri, capaci di resistere alle inondazioni, alle pioggie più torrenziali. E le formiche giungono a fabbricarsi delle città, anzi degli imperi, tutti uniti tra loro da fratellanza strettissima, e manifestazioni singole di virtù sodali [...].
    Analogamente intendono molti animali il sistema monarchico, a un dipresso come lo intendevano gli antichi Chinesi, che veneravano i loro Re, ma seguendo la dottrina di Confucio, lo sopprimevano quando veniva meno ai suoi doveri. Così le api hanno adottato una pura forma monarchica.[1]
  • Io che passo dal tristo scalpello anatomico alla fredda e severa analisi della storia, mi sento tratto tratto scappare il proponimento inamovibile e mi vien voglia di abbandonare la vita del pensiero per quella del poeta.[2]
  • La riconoscenza non esiste in natura, è dunque inutile pretenderla dagli uomini.[3]
  • Lee, poeta, verseggiò «in delirio» 13 tragedie: un giorno, un cattivo collega avendogli detto che era facile scrivere come i matti, egli rispose: «Come gli stupidi sì, come i matti no».[4]
  • Nei nostri tempi, Giorgio Fox, il fondatore dei quaqueri, deve l'energia della sua propaganda a vere allucinazioni. In grazia a queste abbandona la famiglia, si veste di cuoio, si chiude nei cavi degli alberi, sente che tutti i cristiani, ortodossiani, son figli di Dio. Niuno gli crede; ma egli ode una voce che gli grida: «G. C. ti comprende;» sta 14 giorni in una specie di letargia; e mentre il suo corpo sembra morto, la mente continua ad agire: il che si ripete poi nei suoi seguaci, tutti onesti, ma visionari, profeti.[5]
  • Nulla somiglia più ad un matto, sotto l'accesso, quanto un uomo di genio, che mediti e plasmi i suoi concetti.[6]
  • Non si ha nomea di scienziati per poco! – Ed eccoli all'opera, costoro, e abbandonando la sicura e unica strada dell'esperimento, e delle osservazioni, inaugurato dal grande Bresciano si danno a spigolare, fra le pagine polverose degli ospedali e delle Biblioteche, pochi e rari casi studiati senza metodo, ed anzi con quello guasto dalla prevenzione o dalla fantasia, di malattie simili alla pellagra e vergini dall'uso del maiz[7] e quindi ad arzigogolare le più strane e ridicole spiegazioni sulle cause di quel morbo, dallo scottore del sole (povera Sicilia), all'onanismo, (poveri seminari), all'abuso del vino (poveri osti), fino alla sifilide, alla lebbra, che io, fino a certe muffe crittogame che piovono giù dall'alto delle capanne sul desco dei contadini!!
    Vi ebbero perfino degli spiriti bizzarri, i quali dopo molti e lunghi studii, riescirono a scoprire che la pellagra non esistette mai, il che al dir vero mi pare il non plus ultra della miope petulanza dei falsi eruditi.[8]
  • [Giovanni di Dio] Un riformatore poiché non mise che un solo malato per ciascun letto; egli fu il primo che pensò a dividere i malati in categorie; fu insomma il creatore dell'ospedale moderno; fu il primo a fondare il Workhouse aprendo nel suo ospizio una casa, dove i poveri senza tetto e i viaggiatori senza denari potevano dormire.[9]

In Calabria[modifica]

  • Converrebbe adunque, per qualche tempo almeno assumere l'iniziativa; tutelare e sorvegliare gli emigranti, la cui mortalità è si grande; moltiplicare le fontane, la cui penuria contribuisce tanto alla poca nettezza degli abitati; migliorare da capo a fondo le prigioni, provvedendole di ventilatoi, di latrine e di pozzi; non permettendo che i prigionieri comunichino al difuori, e possibilmente trasportandoli dal piano terreno ai piani superiori. Sarebbe d'uopo anche con apposite leggi diramate ai parrochi vietare i matrimoni precoci.
    Gioverebbe pure stringere dei contratti con delle compagnie commerciali o fornire appositi prestiti ai Comuni onde asciugare le paludi, od almeno ridurle alle meno malefiche risaie; inalveare i fiumi, ridurre a coltivo le molte terre non tocche ancora che dalle capre, e diboscare le selve in vicinanza alle vie maestre ed alle coste.
    La Calabria ha seni e non porti, per cui la lunghissima linea delle sue coste è più percorsa da pescatori che da naviganti; quindi la civiltà ed il commercio non hanno uno sbocco né una via di entrata. Si dovrebbe por mano a fondare un ampio porto per ambo i lati della Calabria; molti mi indicarono sarebbe facile ed utilissimo il costruirne uno nell'antico e già frequentatissimo dai Greci porto di Oreste tra Sant'Eufemia e Palme. I sottoprefetti dovrebbero invitare i grandi proprietari dei Comuni a migliorare le abitazioni dei loro coloni e spingerli a stabilirsi fuori della cerchia del villaggio o della città, all'aria aperta e salubre delle loro ubertose campagne.
    Con severe leggi municipali si proibisca la circolazione delle capre e dei porci, si distruggano i cani vaganti senza padrone e si adotti un sistema uniforme per le latrine e si incarichino uomini e non sudici quadrupedi della pulizia stradale. Urgentissimo provvedimento parrebbemi anche quello d'invitare i Comuni che abbiano più di 10.000 anime e si trovino lontani dai centri maggiori a fondare un ospitale pei poveri infermi, spesso costretti a portare per le pubbliche vie il marchio deforme dei loro mali, o a rintanarsi affamati e morenti nei loro giacìgli.
  • Prima di ogni cosa: terribile ci appare l'effetto della cattiva distribuzione della proprietà. Tu vedi nelle Calabrie vaste estensioni di terreni deserti, perchè in mano d'un solo senza che altri ne possegga una spanna, mentre quei paesi ove la proprietà è in mano di molti offrono più agiatezza, maggiore salute, minore criminalità. [...]
    Conviene mutar prima di tutto l’ordinamento della proprietà terriera, spezzando i latifondi e cominciando a restituire ai Comuni le terre che essi lasciaronsi usurpare dai baroni e dai banchieri loro sostituti ed alleati; e inalvearvi una colonizzazione interna, e una coltura intensiva dei terreni che offrirebbe il primo rimedio contro all’ emigrazione, alle disoccupazioni, alla eccessiva mitezza dei salari ed alla scarsa produzione.

L'uomo delinquente[modifica]

Incipit[modifica]

Non vi è delitto che non abbia radice in molteplici cause: che se queste molte volte s'intrecciano e si fondono l'una coll'altra, ciò non ci impedisce dal considerarle, obbedendo ad una necessità scolastica o di linguaggio, una per una, come si pratica per tutti i fenomeni umani, a cui quasi mai si può assegnare una causa sola, scevra di concomitanze. Nessuno dubita, ormai, che il colèra, il tifo, la tubercolosi s'originino da cause specifiche; ma pure, chi può negare che, oltre queste, vi influiscano tante circostanze – meteoriche, igieniche, individuali, psichiche, da lasciare, sulle prime, nel dubbio della influenza specifica anche i più provetti osservatori?

Citazioni[modifica]

  • Bartolo Longo, in omaggio alla Madonna e del Santuario di Pompei, seppe raccogliere 135 orfanelle e 70 figli dei carcerati addestrandoli in arti loro conformi e nell'agricoltura, mescolando all'ascetismo e al feticismo per la Madonna, la modernità nell'ampio uso di pubblicità e rendiconti e fotografie, e riescendo così a collocare anche alcune orfanelle in famiglie benevole ed oneste.
  • Don Bosco fu a 26 anni, nel 1841, nel convitto di S. Francesco d'Assisi; sotto la guida di don Cafasso, visitando le carceri di Torino, cominciò ad interessarsi della sorte dei giovani delinquenti, a riflettere che se in tempo si fosse presa cura di loro, almeno una parte di essi avrebbe potuto essere salvata, e a pensare che questo deve essere un altissimo ufficio per la religione e per la società.
  • Una sera nel 1847, vicino al corso Valdocco, si trovò circondato da una ventina di giovinastri, che lo beffeggiavano. Don Bosco non si perdette d'animo, e quando questi per burla gli proposero di pagar loro una pinta – Volentieri, ma voglio bere anch'io. E mantenne la parola.
  • Far sparire le barbarie non si può tutto ad un tratto, ma ben si può scemarne i danni [...] coll'incoraggiare, infine, o alla peggio terrorizzare, i cittadini onesti, ma deboli, così che, posti fra le due paure dei criminali e della legge, siano costretti a preferire la seconda alla prima, al qual metodo Manhès deve d'aver distrutto 4000 briganti in poco meno di quattro mesi.

La donna delinquente[modifica]

Per approfondire, vedi: La donna delinquente.

Tre tribuni studiati da un alienista[modifica]

Incipit[modifica]

All'amico ignoto,

Non ho il coraggio di dedicare questo libro a un amico provato, come aveva fatto per l'altro; quando si lotta per verità poco note o poco accette non si deve legare alla catena dolorosa della propria impopolarità l'amico che a voi si affidava.
Ma ve n'è uno, al quale chi lotta per un'idea può sempre abbandonarsi senza ritegno.
È l'amico ignoto, spesso più caldo del compagno d'infanzia, che non rifugge mai dalle idee generose per quanto combattute, anzi perché combattute.
E a lui che mi rivolgo.

Citazioni[modifica]

  • Il Cianchettini si paragona a Galileo e a Gesù Cristo, ma scopa la scala della caserma. Passanante si nomina presidente della Società politica e fa il cuoco. Mangione si classifica martire dell'Italia e del proprio genio, eppure si adatta a far da sensale. (cap. 1, p. 9)
  • È il Coccapieller un uomo di statura elevata, con fronte alquanto sfuggente e seni frontali spiccati. La testa tende assai più all'ultrabrachicefalia che non avvenga nel più dei Romani attuali, i quali pendono al dolicocefalo; e relativamente alla statura è di volume piuttosto scarso.
    Gli occhi, senza essere strabici, hanno poca parallassi fra di loro; e se non fosse errabondo come di chi temesse continuamente un agguato, lo sguardo, come la fisonomia, avrebbe un'impronta di bonomia quasi giovanile e non mostrerebbe alcuno dei caratteri dell'uomo criminale e meno ancora dell'alienato.
    Anche la scrittura, ricca di prolungamenti, di graffe a lettere allungate, uniformi, non ha nulla dell'alienato e nemmeno del mattoide; è propria, piuttosto, d'un uomo astuto ed abile nei commerci — d'una volpe, direbbero i toscani, che abbia pisciato su molte nevi. (cap. 3, p. 71)
  • [...] è certo che il Coccapieller ebbe dei veri accessi megalomani. – In carcere per es., credeva dover egli comandare, gli altri obbedire; minacciava i guardiani; e dichiarava che, nominato deputato, avrebbe fatto cacciar via i ministri e 402 deputati − e peggio anche se non rigavan dritti; disturbava le più alte autorità dello stato per nonnulla, anche per veri delirii, mandava un giorno, per es., a chiamare il Procuratore del Re, per dirgli: Io non sono Re se non perché non lo voglio essere: si regoli in conseguenza (sic). (cap. 3, pp. 81-82)

Incipit di alcune opere[modifica]

Genio e follia[modifica]

È bene una triste missione, la nostra, di dovere, colla forbice dell'analisi, ad uno ad uno, sminuzzare, distruggere, quei delicati e variopinti velami, di cui si abbella e s'illude, l'uomo, nella sua boriosa pochezza, e non potere dar in cambio degli idoli più venerati, dei più soavi sogni, che l'agghiacciato sorriso del cinico! Tanto, è fatale, anche, la religione del vero! Così il fisiologo non rifugge dal ridurre, a poco a poco, l'amore ad un gioco di stami e di pistilli... ed il pensiero ad un arido movimento delle molecole. Persino il genio, quella sola potenza umana, innanzi a cui si possa, senza vergogna, piegare il ginocchio, fu, da non pochi psichiatri, confinato insieme al delitto, fra le forme teratologiche della mente umana, fra le varietà della pazzia.

Gli anarchici[modifica]

In questi tempi, in cui si tende sempre più a complicare la macchina di governo, non puoi considerare una teoria come l'anarchica, che accenna al ritorno verso l'uomo preistorico, prima che sorgesse il paterfamilias, che come un enorme regresso.
Però, come ogni favola contiene una parte di vero, ogni teoria, per quanto assurda, massime quando è seguita da un gran numero di persone, deve contenere una qualche parte di giusto. Né deve allontanarcene il pensiero del suo strano ritorno all'antico, perché è solo la sconfinata vanità umana che ci può far credere in un continuo progresso sul vecchio e sull'uomo primitivo.

L'antisemitismo e le scienze moderne[modifica]

In questi ultimi anni, mentre d'ogni parte si inneggia arcadicamente all'amore dell'uomo, alla fraternità dei popoli, un soffio gelido, d'odio selvaggio, percorre i popoli anche più civili d'Europa, dando luogo a quelle scene che mal si sarebbero credute possibili nel Medio Evo; è il soffio dell'antisemitismo che prese nome ed abbrivio in Germania, ma che sotto altri appellativi meno scientifici aveva divampato nelle epoche anteriori e covava latente nei bassi strati dei popoli Europei.
Il fenomeno è troppo importante perché il sociologo non debba preoccuparsene e studiarne le cause e i rimedi.

L'uomo bianco e l'uomo di colore[modifica]

Una scienza affatto nuova, eppure gigante, è sorta ad un tratto, o Signore, dal germe fecondo delle scuole moderne, sui ruderi dei vecchi e dei nuovi pregiudizj. È la scienza dell'antropologia, che studia l'uomo col mezzo e coi metodi delle scienze fisiche, che ai sogni dei teologhi, alle fantasticherie dei metafisici, sostituisce pochi aridi fatti... ma fatti.
Uno dei più curiosi problemi, che si agitava insoluto prima della sua comparsa, è quello della origine e della pluralità delle stirpi umane: se, cioè, nelle razze umane esistano delle disuguaglianze profonde, che si manifestarono fino dall'origine loro, e perdurarono immutate sotto il variare dei tempi e dei climi, lasciando nella storia e nei destini dei popoli l'eterno loro conio.
Gli è un grave problema.

La delinquenza nella rivoluzione francese[modifica]

Quella che si suole chiamare Rivoluzione dell'89, non fu che una grande rivolta e un grande delitto politico che servì ad aumentare una triste serie di comuni delitti; per cui chi vuol trattare dei suoi elementi criminosi dovrebbe rifarne tutta la storia; il che nè è mio cómpito, nè sarebbe possibile in poche pagine.

Nuovi studii sul Genio[modifica]

È cosa notissima che i contemporanei di Colombo (ripeto le parole del miglior suo storiografo, il De Lollis), tanto i dotti che gl'ignoranti, non s'erano potuto rendere una chiara ragione del modo con cui egli era giunto alla grande scoperta. Né meglio vi approdarono i posteri per quante indagini vi accumulassero; sicché giustamente Correnti (Discorso su Colombo, Milano 1863) sentenziava: che né la storia né la filosofia valsero finora a risolvere degnamente quel quesito.

Citazioni su Cesare Lombroso[modifica]

  • Il Prof. Lombroso ha visto nei fenomeni spiritici un semplice affare di psichiatria per il solo motivo ch'egli è psichiatra, alla stessa guisa che un teologo ci vede chiara come il sole l'azione del demonio. (Giovanni Battista Ermacora)
  • «Lombroso è un emerito coglione». Il compagno Ossipon sostenne l'urto di questa bestemmia con un impressionante sguardo vuoto. E l'altro, i cui occhi spenti e offuscati facevano apparire più nere le ombre profonde sotto la fronte ampia e ossuta, mugugnò, afferrandosi ogni due parole la punta della lingua fra le labbra come se la masticasse con rabbia: «Ma voi un idiota simile lo avete mai visto? Per lui, il criminale è il detenuto. Semplice, no? E quelli che lo hanno messo in prigione, che lo hanno costretto ad entrarvi? Proprio così. Costretto a entrarvi. e il crimine, che cos'è? Lo sa lui cos'è, quest'imbecille che si è fatto strada in questo mondo di idioti rimpinzati di cibo guardando le orecchie e i denti di un mucchio di poveri diavoli sfortunati? Sarebbero i denti e le orecchie a imprimere il marchio al criminale? Ma davvero? E la legge allora, che gli imprime il marchio ancora meglio, questo grazioso strumento per marcare a fuoco inventato dai supernutriti per proteggersi dagli affamati? Applicazioni col ferro rovente sulla loro pelle vile, eh? Non lo sentite anche da qui l'odore e il rumore della pellaccia del popolo che brucia e sfrigola? Ecco come si fabbricano i criminali, perché i tuoi Lombroso ci possano scrivere su le loro baggianate.» (Joseph Conrad)
  • Lombroso ed i suoi seguaci s'immaginano che il genio confina con la alienazione, ma essi si ingannano di grosso. Il genio, o meglio l'uomo di genio, è l'ordine personificato. (Auguste Rodin)
  • Una volta mostrarono a Lombroso una foto di detenuti e gli chiesero chi fosse quello che mostrava più nettamente i caratteri del criminale. Lombroso mise il dito su una testa che stava al centro della foto, dietro agli altri. Era il cappellano. Lombroso si giustificò poi affermando che non tutti realizzano le proprie inclinazioni... «Astra inclinant, non necessitant.» (Mario Canciani)

Federico De Roberto[modifica]

  • «A quel massimo degli umani intelletti, Paolo Sarpi, ragionevolmente parve lo straordinario ingegno una prontissima passività a ricevere e riprodurre in sè anco le minime impressioni degli oggetti o sensibili o intelligibili, e però non altro che una straordinaria e male invidiata malattia, la quale i moderni fisiologi nel moderno linguaggio chiamerebbero lenta encefalite».
    Queste righe di Pietro Giordani potrebbero trovar posto nei Precursori del Lombroso del dottor Antonini. Dove il prosatore piacentino diagnosticava una encefalite lenta, i filosofi contemporanei vedono, con l'autore dell'Uomo di genio, una nevrosi, una psicosi, una forma di epilessia.
  • Alcuni, tuttavia, combattono la teoria del Lombroso perché temono precisamente che sia diretta, o possa portare a comprimere, a deprimere i sentimenti d'ammirazione che il genio eccita nella mediocre e infima umanità, e a scemarne l'importanza sociale.
  • Max Nordau è stato seguace tanto fervente del Lombroso, che ha esteso la teoria oltre le intenzioni del maestro, sino a considerare la più gran parte degli ingegni artistici universalmente ammirati ai nostri giorni come il prodotto di una degenerazione.

Note[modifica]

  1. Citato in Enrico Alleva, La mente animale, Einaudi, Torino, 2007, p. 42. ISBN 978-88-06-18914-3
  2. Da una lettera a Ettore Righi, 1854; citato in L. Bulferetti, Cesare Lombroso, UTET, Torino, 1975.
  3. Citato in Gina Lombroso-Ferraro, Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere narrate dalla figlia, Bocca, Torino, 1915.
  4. Da L'uomo di genio, Fratelli Bocca, Torino, 18946 p. 96.
  5. Da Due tribuni studiati da un alienista, Casa editrice A. Sommaruga e C., Roma, 1883, p. 97.
  6. Da Genio e follia.
  7. Mais o granturco.
  8. Da Maiz e pellagra in Italia, Estratto dalla Rivista europea, Tipografia dell'Associazione, Firenze, 1872, p. 6.
  9. Da L'uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all'estetica, Torino, 1894; citato in Igino Giordani, Il Santo della Carità ospedaliera.

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]