Giuseppe Rovani

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Giuseppe Rovani

Giuseppe Rovani (1818 – 1874), scrittore e pubblicista italiano.

Citazioni di Giuseppe Rovani[modifica]

  • Siamo sinceri, ma in dodici milioni d'uomini a cui può salire il regno unito, tra Piemonte e Lombardia e Ducati e Toscana e Legazioni forse non si trovano sei uomini della poderosa efficacia di Cattaneo; or la sua patria offrirebbe lo scadolo indecoroso di declinare la candidatura, perché è stato federalista? perché sommosse la storia contemporanea con severissimo sindacato, e con critica terribile degli uomini e delle cose? Ma il parlamento ha forse bisogno d'adulatori e di cerimonieri e di coristi?[1]

Cento anni[modifica]

Incipit[modifica]

Convien risalire a quindici anni addietro, allorquando chi scrive trovavasi in quella età felice, in cui si è amici di tutto il mondo, e il mondo per contraccambio vuota con noi il sacco delle cortesie; età in cui la bile non è ancora uscita dal suo sacchetto a invelenir le vene, e il volto conserva le sue rose, e le influenze atmosferiche non fanno di noi quel che il rame fa delle rane scorticate; età in cui l'umore è sempre uguale e sempre lieto, e l'animo si apre a tutti, spensierato e fidente; età in cui sin la bruttezza ha la sua beltà; tanto che tutti, vecchi e giovani, uomini e donne, matrone e fanciulle si volgono a noi, chi per consigliarci, chi per compatirci amabilmente, chi per accarezzarci senza malizia la barba nascente; età in cui l'uomo è il legittimo re dell'universo, del finito e dell'infinito, perché se il presente gli sorride da tutte le parti, l'avvenire gli si svolge dinanzi in lungo e in largo, senza confine, tutto pieno di fantasmi dorati. Chi pensa a codesta divina adolescenza della vita, e senza consultare la fede di battesimo, vede nello specchio che ha tanti anni di più, e, guardando il fumo che esce dalla sua pipa, può esclamar col poeta:

Questo di tanta speme oggi mi resta[2],

si fa silenzioso e tetro, e cerca tosto di sommover l'onda delle tristi idee, mescolandovi lo spirito d'assenzio. Allorché dunque chi scrive aveva molti anni meno, ebbe a far la conoscenza di un vecchio, il qual vecchio, a quel tempo, dei due milioni e cinquecento mila abitanti che contava la Lombardia, era forse quello che portava più anni sulle spalle, tanto che, se fosse stato povero, avrebbe fatto la prima figura alla lavanda de' piedi. Ma non era povero, quantunque non fosse nemmen ricchissimo.

Citazioni[modifica]

  • Talvolta un'idea, un'opinione, una credenza s'impadronisce di un'intera massa di gente in un modo irresistibile. E gli uomini di buon senso e di spirito equo, che, volendo esaminare prima di condannare, azzardano qualche difesa e qualche osservazione, sono quelli che precisamente danno le mosse al temporale. (da Vol. I, Libro secondo, p. 174)
  • Era da circa mezzo secolo che in Francia, dove si davano in pubblico perfino otto balli in maschera per settimana, s'era introdotta la perversa invenzione delle maschere-ritratti, le quali, eseguite da pittori esperti e da plastificatori, rendevano al vivo la sembianza, di chiunque si voleva. Questa maschera-ritratto di solito la si copriva con un'altra maschera qualunque, la quale, levata con destrezza, lasciava intravedere il volto imprestato che stava sotto, e che ricoprivasi tosto, onde impedire si potesse conoscere l'inganno. Questa moda dalla Francia si diffuse tosto in Italia, e segnatamente a Milano e a Venezia. Ma i disordini che ne seguirono furon tali e tanti, che la pubblica morale se ne risentì altamente. Giovani scaltri assumevano il volto di fortunati amanti a ingannar donne e donzelle inesperte. Donne gelose e gelosi amatori e mariti, traevano in insidia donne e amanti creduli, dal che derivarono vendette e delitti. (da Vol. I, Libro secondo, pp. 187-188)
  • Casa Salomon. Allorché la gondola si fermò davanti allo scaglione di quella casa, Galantino diede al gondoliere un breve portafoglio si seta legato con nastri, fuor del quale spuntava una cartolina. Allora, come ognuno sa, non c'erano biglietti di visita propriamente fatti, ma c'eran i loro precursori; e giacché era il secolo delle eleganze più profumate e delle caricature, chi voleva farsi annunziare a qualcuno per una visita, faceva presentare al guardaportone, perché lo facesse avere al padrone della casa, un bigliettino su cui scriveva il proprio nome, il qual bigliettino veniva sempre collocato in un portafoglio, in un astuccio, in un vezzo qualunque; e tali vezzi qualche volta avevano un gran valore, essendo d'argento, d'oro e persino ornati di pietre preziose; a seconda della ricchezza del visitatore, e del bisogno che aveva di rendersi gradito e d'imprimersi bene nella memoria di chi voleva visitare; perché era di prammatica che il padrone di casa, tolto il foglietto, e letto il nome si tenesse il vezzo per sé, come pegno e come dono. (da Vol. I, Libro secondo, p. 226)
  • Donna Clelia taceva, ma nella sua testa era penetrata la convinzione che quel che aveva sospettato era vero. Nella bilancia della giustizia legale, il rossore, il pallore e lo smarrimento sono imponderabili morali; ma nella bilancia dell'uomo valgono più della stessa colpa confessata. (da Vol. I, Libro secondo, p. 232)
  • Amorevoli aveva avuto dalla natura una dose d'ira, come suol dirsi, normale, ma gli era stata accresciuta dalle suscettibilità teatrali e dalle diverse liti cogli impresari, e dalle controversie coi vestiaristi, sempre incapaci ad accontentare un cantante; per di più, essendo romano di Transtevere, dov'era nato, aveva portato seco ne' suoi viaggi tutti que' modi risoluti e troppo espressivi onde quella frazione di popolo sa imprecare più di tutti i popoli del mondo. (da Vol. I, Libro quarto, p. 325)
  • Nel tempo che Tartini faceva correr l'arco sulle corde e regolava i bischeri, l'Algarotti ebbe campo di sfoggiare la sua dottrina archeologica sulla genesi del violino, confutando Aristofane e Ateneo che fecero il violino coevo ad Orfeo, e confutando quelli che lo vollero inventato dagli Indiani e donato all'Italia dalle crociate; e piantandosi nell'opinione che vuole il violino figliuolo d'Occidente, e probabilmente dal principato di Galles, e trascorrendo sui vari trattamenti della sua forma, dalla viola primitiva alla viola da braccio, a quella da gamba; i quali a lungo andare generarono poi in Francia il piccolo violino. (da Vol. I, Libro quarto, p. 356)
  • Ebbene... questa è la prima volta ch'io mi sento innamorato, innamorato alla follia, innamorato al punto da compromettere tutta la mia esistenza, e tutta la mia ricchezza accumulata con tanti pericoli e con tanta fatica, per il desiderio che mi tormenta di poter avere in moglie questo angelo del paradiso, che è venuto quaggiù per fare il miracolo di convertire al bene i demoni dell'inferno. Io non vanto nessuna nobiltà, ma, siamo sinceri, il mio blasone potrebbe sempre essere la coda del diavolo in campo rosso. Eppure, da qualche tempo, io mi sento tutt'altr'uomo... e se questa fanciulla potesse mai diventar mia moglie... certo che il mio avvenire sarebbe la più luminosa ammenda del mio passato. (da Vol. I, Libro settimo, p. 518)
  • – Mi spiego subito... e mi spiego pigliando per punto di appoggio precisamente la piazzetta San Marco. Perché tutti i forestieri di ogni paese, d'ogni generazione, d'ogni levatura, sono costretti a confessare che in quell'aggregato di edifizi è il trionfo dell'architettura, e che forse in nessuna parte del mondo può trovarsi una scena più maravigliosa di quella che si presenta a chi approda sulla scalea del molo della piazzetta di san Marco? perché appunto trova l'unità nella varietà. A destra il palazzo Ducale del Calendario; vicino ad esso le prigioni di Da Ponte, dirimpetto l'edificio della libreria del Sansovino; vicino a questo il palazzo degli uffici. E se dal primo, dirò così, sipario, si spinge l'occhio oltre le colonne di Todero e del Leone, ecco la Basilica di San Marco a dritta delle sue cupole bisantine, ecco la torre dell'orologio di fronte a un brano delle Procuratie nuove de' Lombardi. Nientemeno che sette edifizi, sette stili, sette varie altezze, e una schiera d'architetti di tempi diversi e di diverse scuole che vi portano il vario contributo della loro ricca fantasia. (da Vol. I, Libro nono, p. 682)
  • – Chi ha fretta va adagio, chi vuol vendicarsi manda giù l'ira e si arma di sorrisi. (da Vol. II, Libro undecimo, p. 797)
  • Duce degli uomini di Trastevere era il Camillone, il Cicerouacchio di allora; quello di cui teniamo parte del Diario, ch'egli dettò per non saper scrivere; uomo tanto amato da quelli del suo rione, e perciò di tanta autorità, che il governo stesso dovette più volte fare capo a lui per riuscire a sedare dei tumulti. (da Vol. II, Libro duodecimo, p. 881)
  • Allo scopo di esagerare, per l'amore delle antitesi, che è il delirio dei poeti, la decadenza materiale di Roma, incaricò persino il Tevere di essere afflitto e di aver voluto ritirarsi, per la gran vergogna, in un angolo della città, non d'altro occupato che di somministrare le sue acque, che, sole, rimasero bionde come im antico, a lavare i lini sudici dei neonati Quiriti. [...] Visto dal ponte Elio e dal ponte Senatorio, è ancora il più maestoso fiume d'Italia che attraversi una città. A Ripa Grande, la selva delle antenne e il biancheggiar delle vele e i fumi densi delle vaporiere lo fanno parer davvero un porto di mare; il che è ben altra cosa dall'esser ridotto un rigagnolo avvilito, non visitato che dalle lavandaie. (da Vol. II, Libro decimoterzo, pp. 899-900)
  • Gli odi e le antipatie bene spesso non sono altro che una conseguenza dell'amor proprio offeso. L'uomo che è avido della stima altrui, sente un'avversione invincibile per chi egli sospetta non ne abbia punto per lui. Quando uno dice: quel tale mi è orribilmente antipatico, e non so il perché; non gli credete; il perché lo sa benissimo; egli teme che colui non lo tenga in quel conto in cui egli aspira. Ma, in conseguenza di ciò appunto, se per caso quel tale, contro l'aspettazione, si fa innanzi con degli attestati di grande considerazione, l'antipatia scompare di colpo e si converte nel suo contrario. Ecco perché soventi vediamo diventare amicissimi due che si scansavano per antipatia. (da Vol. II, Libro decimoquinto, p. 1014)
  • È carattere dell'ambizione, quello di non aver nessun sistema prestabilito e inconcusso, ma di odorare il vento e virare e atteggiarsi a seconda degli avvenimenti e dell'invito delle circostanze. (da Vol. II, Libro decimoquinto, p. 1016)

Le tre arti[modifica]

Volume I[modifica]

  • [...] se si trattasse [...] di fare il ristauro del torso del Belvedere, e se ci fosse l'artista, che sapendo eguagliare l'antico, aggiungesse le braccia e il capo e il resto dei corpo al venerato avanzo, si potrebbe dire che, completandolo, lo riduca a meno e lo faccia in parte scomparire? o non piuttosto che, adoperando di tal modo, faccia scaturire quelle bellezze che la reliquia infranta poteva bensì lasciar sospettare, ma non vedere? (vol. I, p. 37)

Volume II[modifica]

  • Lorenzo Bartolini nacque nel millesettecentosettantasette a Savignano, da Liborio Bartolini fabbro-ferrajo, uomo non solo non intelligente di belle arti, ma ad esse tanto avverso, che allorquando nel figlio si rivelò un'attitudine speciale per quelle, lo prese talmente in odio da percuoterlo brutalmente ogni qualvolta lo vedeva abbandonare martello e lima per far qualche disegno col carbone. (vol. II, p. 89)
  • [...] questo [la semplice attitudine a copiar la natura] ci conduce a parlare del tanto e meritamente celebrato Davide di Michelangelo, celebrato meritamente per quella parte che si riferisce alla fedele imitazione della natura materiale, ma in quanto all'elemento spirituale, che consisteva nel farci comparire innanzi il giovinetto vincitore di Golia quale ce lo impresse nella fantasia la breviloquente lettera della Bibbia, non solo il Buonarroti ha mostrato di non aver raggiunto l'intento, ma sì di non averci nemmen pensato. Il Davide di Michelangelo si riduce a non essere altro che un ritratto fedelissimo di un giovine di forme perfette; ma non porta menomamente le impronte di quel carattere per cui quella statua non avrebbe dovuto render altro personaggio che Davide. ((vol. II, pp. 106-107)
  • Hayez segna nientemeno che la linea di divisione che separa la scuola antica dalla moderna. Con Sabatelli[3] e con Palagi[4] finisce quella scuola che, per consuetudine, si chiamò classica; con Hayez invece comincia quell'altra scuola che, col più arbitrario dei vocaboli. si chiamò romantica. (vol. II, p. 127)
  • [...] tenendo conto di tutto quello che ha fatto e di tutti gli elementi onde risulta il carattere del suo ingegno e del suo stile, a noi pare di poter asserire che Francesco Hayez tenga un gran posto in Italia fra i pittori viventi, e incontrastabilmente sia il primo per la potenza dell'esecuzione, per il prestigio del colore, per la grazia squisita della linea. – È un pittore che ha virtù straordinarie, ma anche peccati gravi, e pur troppo in questi ultimi anni ha mostrato di trascurare il concetto e l'idea, tutto quanto preoccupato della forma e del pennello, motivo per cui ha provocato una critica fin troppo virulenta e severa in coloro che hanno rispetto del pensiero più che di tutto, e che ad un dipinto prodigiosamente eseguito antepongono un quadro in cui l'esecuzione sia appena sufficiente, ma sia grande l'idea e severa la composizione. (vol. II, pp. 135-136)
  • Senza aver nulla promesso in sua giovinezza, senza aver troppo riscaldati i banchi delle Academie, né sforzatosi d'imitare piuttosto questo che quel caposcuola, Giuseppe Molteni balzò fuori improvvisamente a fermare l'attenzione universale col suo pennello prestigiatore. La fedele somiglianza de' suoi ritratti, il lusso degli accessorj, l'imitazione dei panni, dei velluti, dei rasi, degli ori, dei talchi, la tavolozza che fa specchietto e abbarbaglia, e sopratutto l'arte adulatrice che lusinga l'altrui vanità, o migliorando l'originale bellezza o dissimulando gli sfregi della natura matrigna, sono le doti a cui questo pittore deve la sua straordinaria fortuna. (vol. II, pp. 163-164)
  • [Giuseppe Molteni] Pittore nato, l'arte non gli costò mai grande fatica, ed è appunto per questo felice istinto che riuscì a trarsi dietro al suo carro trionfale tanta folla plaudente, pure essendo destituito di sapere legittimo e d'arte sincera. (vol. II, p. 164)
  • Come il celebre Waite, il più gran dentista dell'Inghilterra, Molteni ebbe il superbo piacere di far aspettare alla porta le carrozze dei felici semidei e di quelli che raccomandano alla tela la propria faccia perché paia più seducente alla lontana fidanzata; e come il famoso Schikard di Parigi, onde lo Schik rimase parola d'ordine nei regni della moda, Molteni impose colla propria autorità ai minori viventi, e fece ascendere i consolidati del Corriere delle Dame. Non crediamo dir troppo affermando che quasi tutto il bel mondo patrizio della città nostra si fece rimbiondire da questo re della moda, il quale per anni parecchi, ad un ceto speciale di persone, parve il Matador delle esposizioni di Brera. (vol. II, p. 164)
  • Quelli che asseriscono essere un delirio assurdo il credere indispensabile ai giovani artisti lo studiare per qualche tempo a Roma, guardino un tratto a Vincenzo Vela e alle sue opere che concepì prima di recarsi alla Capitale delle Arti, e a quelle che modellò in illa luce. Tra quelle prime e quest'ultime opere v'è la differenza che passa tra un'arte che pare un trastullo e un'arte che si risolve in una palestra ardua e solenne; tra la Preghiera del mattino e lo Spartaco la distanza è tale, che è difficile credere siano opere ambedue del medesimo artista. (vol. II, p. 212)
  • In Hayez le grazie della forma e della linea sono tali che rendono spesso la bellezza molle e voluttuosa; nell'Induno invece c'era come qualcosa di aspro e di chiuso che gli faceva velo alla bellezza e pareva quasi gli facesse temere di peccare rivelandola altrui; la tavolozza d'Hayez riluce d'una tinta serena che invita e ristora, quella dell'Induno severa invece e cupa, a tutta prima sembrava quasi voler respingere i profani. (vol. II, p. 231)

Storia delle lettere e delle arti in Italia[modifica]

  • [Gaspara Stampa] Fornita d'ingegno singolare, apprese, oltre la propria, le lingue latina e greca; e non paga della coltura letteraria, attese pure alla musica, riuscendo sonatrice di liuto, e cantatrice eccellente. Le quali doti, congiunte a non ordinaria bellezza, non è meraviglia che le procacciassero, oltreché somma riputazione, l'amore di quanti la conoscevano. (p. 84)
  • Molti uomini privilegiati sostennero con saviezza la porpora e il pastorale, si fecero venerandi per santità di vita, riformarono e migliorarono i costumi del popolo; molti furono proclamati benefattori del genere umano o perché soccorsero i loro simili coll'opera e con istituzioni nelle private e pubbliche calamità, o perché propagarono l'istruzione delle divine e umane discipline; molti largheggiarono i propri beni allo splendore ed all'utilità della patria, consacrarono sé stessi, i propri studi a vantaggio de' loro fratelli; pochi e forse nessuno unì tutte queste eminenti qualità, come S. Carlo Borromeo. (p. 95)
  • [Francesco Redi] Aveva ammesso nell'arte che professava, il dubbio sapientissimo su tutto ciò che di verità non sente, e, fatto timido e circospetto, diè bando alle visioni ipotetiche ed alla farragine de' rimedii, che attestavano a un tempo e l'ignoranza di chi gli amministrava, e la cieca eredulità di coloro che gli invocavano. (p. 141)
  • L'Andreini fu la prima fra le molte donne, che allora attendevano alla poesia, che levasse il pensiero a un dramma pastorale, pensiero ardito perché richiede forza di concepimento, perseveranza di esecuzione, ben altro che seguire con brevi componimenti l'inspirazioni del momento: era giovinetta, non si atterrì, e scrisse la Mirtilla. (p. 362)

Incipit di alcune opere[modifica]

Manfredo Palavicino, o, I francesi e gli sforzeschi[modifica]

Quel canto della contrada delle Ore, ove alzando un tratto lo sguardo, si ha il vantaggio, di vedere un lato della chiesa di s. Gottardo e la torre del suo famoso orologio, che è sempre un buon pezzo d'architettura, non fu mai, a nessun'epoca, oggetto di molta attenzione; ed è in questa parte, dove la massima noja viene oggidì ad assalire il granatiere del corpo che vi passeggia a guardia; soltanto trecentoventinove anni or fanno[5], il giorno de' santi Cornelio e Cipriano, che cadeva allora al tredici settembre, la parte di popolazione che poteva reggersi sulle gambe, passò quasi tutta per di là, a gettare un'occhiata ben attenta a quell'angolo che in quel dì ebbe un successo, quale non ebbe a vantar mai né prima né dopo.

Valenzia Candiano[modifica]

In una sala del palazzo ducale di Venezia, le cui pareti, tutte coperte di rasce nere, venivano debolmente rischiarate da una sola lampada a sei becchi pendente per tre catene dalla volta; una notte d'agosto del 13... stavano sedute intorno ad una gran tavola diciassette persone; dieci senatori, il doge e sei consiglieri. Era l'eccelso consiglio così detto dei Dieci, raccolto in sessione.

Citazioni su Giuseppe Rovani[modifica]

  • Così, Rovani, artista-scienziato, si appresta a Gorini, scienziato-artista; Rovani, dall'ingegno settèsemplice, rossiniano, che, dopo di averci, con uno stile veramente umòristico, narrato cento degli ultimi anni della vita del mondo – torna a crearsi – e con un periodare togato, dissolvendo la Roma convenzionale delle platee e dei panchi che spiega capponi non àquile, soffia potente in una Roma vera, messa già nell'antiquaria pazienza, completa forse, ma rimasta cadàvere; Gorini, altìssimo genio, che sa forzar la materia a narrar le antiche vicende e a predir le venture, e che nel sublime racconto ritrova i fili d'insospettate scoperte, nè, pago di èsser profeta di splèndidi veri, splendidamente – nuovo Galileo – li annuncia. (Carlo Dossi)

Note[modifica]

  1. Da Delle elezioni a proposito di Carlo Cattaneo, Gazzetta di Milano, 8 marzo 1860; ripubblicato in Franco Contorbia (a cura di), Giornalismo Italiano, Volume primo 1860-1901, I meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2007, p. 13.
  2. È un verso di Ugo Foscolo tratto dall'ultima strofa del sonetto In morte del fratello Giovanni. Cfr.voce su Wikipedia.
  3. Luigi Sabatelli (1772-1850), pittore, incisore e docente italiano.
  4. Pelagio Palagi (1775-1860), pittore, scultore, decoratore d'interni italiano
  5. La prima edizione della presente storia fu pubblicata nel 1845.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]