Pericle Ducati

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Pericle Ducati (1880 – 1944), archeologo ed etruscologo italiano.

L'arte classica[modifica]

Incipit[modifica]

Le origini dell'arte nelle regioni in cui fiorì la cultura denominata classica, sono assai modeste, assai umili. Le primitive popolazioni delle due penisole, ellenica ed italica, e delle isole circonvicine selvaggiamente conducendo una grama esistenza, dapprima, e ciò si avverte negli albori di vita di tutto il genere umano, usarono armi ed utensili di pietra, e nel lungo periodo, detto neolitico, in cui questi oggetti di pietra furono lavorati e levigati, talora con mirabile virtuosità tecnica, si ebbe una rudimentale arte decorativa applicata al rozzo vasellame, ai rozzi arnesi di uso domestico. Si esplicò altresì questa attività dei neolitici ad esprimere, ma non dappertutto, plasticamente e in modo assai rudimentale la figura umana.

Citazioni[modifica]

  • Solo se si pensa che per lo studio di edifizi dobbiamo rivolgersi quasi sempre a ruderi, spesso più che scheletrici, se si pensa che per la visione dell'attività di uno scultore ellenico dobbiamo ricorrere in modo quasi esclusivo a tarde copie dell'età romana imperiale e se si pensa che la grande pittura è per sempre andata perduta e che, per aver una idea dello stile e della composizione del grande Polignoto di Taso dobbiamo fondare la nostra indagine principale su pitture vascolari al famoso affreschista contemporanee, mentre come fantasmi evanescenti ci appariscono le figure di altri pittori come Zeussi, Parrasio, Apelle[1], non può davvero sembrare esagerata l'affermazione che a rovina terribile è stata soggetta l'arte della civiltà classica. (Prefazione, p. VII-VIII)
  • Come il Partenone per il secolo V, così il Mausoleo di Alicarnasso è la creazione artistico-plastica più importante del secolo IV. [...] L'edifizio, considerato come una delle meraviglie architettoniche del mondo antico, era in sufficiente stato di conservazione nel secolo XIII, nel qual tempo fu sconquassato ed abbattuto da terremoti. (Periodo quarto, fase terza, p. 453)
  • Il temperamento passionale di Scopa ci si rivela in pari modo in un'altra opera più insigne che è, per fortuna, un originale nel vero senso della parola: una testa femminile dal pendìo meridionale dell'acropoli di Atene. Probabilmente rappresenta essa Arianna, a cui conviene la benda attorno al capo ed a cui pure convengono i caratteri di così forte agitazione, di così eccitata sensualità, quali irradiano dal volto magnifico, in cui le peculiarità stilistiche della testa di Tegea si sono affinate, perfezionate. Perciò nella testa dell'acropoli dobbiamo riconoscere la impronta dell'arte scopadea nel suo pieno fulgore. (Periodo quarto, fase terza, pp. 466-467)
  • [Commentando la Menade di Scopa] Magnificamente espresso è il delirio sacro, accentuato dalla forte piegatura del capo, ovvia nelle creazioni di Scopa, con lo sguardo natante nella ebbrezza e perdentesi nel vuoto. È un ritmo audace di linee in fortissima torsione, degno, per questa fase di arte, di un artista così innovatore come Scopa; da questo schema agitatissimo del corpo, in cui pare che la carne abbia fremiti, emana quel trasporto impetuoso, quella follia mistica che gli antichi esaltavano nella creazione scopadea. (Periodo quarto, fase terza, p. 468)
  • [Dopo aver illustrato le caratteristiche dell'arte di Scopa] Dalla mano di Prassitele escono invece figure calme, graziose, sorridenti di divinità: Afrodite benigna e voluttuosa, Eros giovinetto; Apollo pure adolescente o efebico, le Muse, Dioniso barbuto, con Satiri ragazzi, Hercules intento alle cure del fratellino Dioniso ed altre ed altre soavi figure che sono come fiori dalle tinte delicate, dal grato profumo, i quali si uniscono e si fondono in un solo assieme di una sola intonazione di colori e di odori. (Periodo quarto, fase terza, p. 472)
  • [Nel Satiro giovinetto a riposo] Si ha lo schema prettamente prassitelico, per cui s'innalza la funzione statica dell'appoggio laterale della figura a funzione necessaria, e pel concetto e per la forma dell'opera creata; così viene a costituirsi quella linea flessuosa del corpo, quel molle abbandono che, unitamente alla dolce espressione del volto, tanto ci attrae nelle soavi creazioni prassiteliche. (Periodo quarto, fase terza, p. 474)
  • [Commentando l'Afrodite cnidia, di Prassitele] La dea è raffigurata in un fuggevole istante; pronta a scendere nel bagno, sta per deporre il vestito, che or ora si è tolto, sul vaso che le sta vicino; ma in questo istante un pensiero istintivo di pudore per la sua completa nudità le fa curvare un po' il corpo, stringere le ginocchia ed abbassare la mano destra. Ma neppure un'ombra d'inquietudine offusca il suo bel volto; la dea sa di non essere veduta da alcuno sguardo profano, e però il suo gesto, pieno di naturalezza e di castità, è esclusivamente dovuto ad un intimo senso di pudicizia. (Periodo quarto, fase terza, p. 479)
  • [Commentando l'Apollo del Belvedere, copia di un originale di Leocare] Il dio, di giovanile, elegante bellezza, è rappresentato nell'istante posteriore al gettito di una delle sue infallibili freccie; la figura è nello schema successivo alla totale tensione del corpo e dello spirito nel colpire con l'arco. Trionfante è lo sguardo dalle ciglia un po' corrugate; leggermente gonfie di sdegno sono le narici; dalla bocca leggermente schiusa si avverte l'accelerato respiro; vi è un movimento un po' turbato dell'animo, raffrenato tuttavia dalla essenza soprannaturale del dio. Ed il braccio sinistro è ancora disteso, ma si è già leggermente ripiegato, ed Apollo, pur indirizzando lo sguardo sul nemico già raggiunto dalla freccia, si reca altrove verso altri avversari, implacabile nella sua ira, ammantato da calma apparente. (Periodo quarto, fase terza, p. 500)
  • È innegabile che l'Apollo del Belvedere produca in noi una assai vivida impressione come di una teofania, cioè di una improvvisa apparizione di un dio tra i mortali; [...]. (Periodo quarto, fase terza, p. 500)
  • [Commentando l'Apoxyómenos di Lisippo] [...] Lisippo impicciolisce la testa, ma dona nel tempo stesso a tutta la figura proporzioni alte, slanciate. E la mossa è priva di ricercatezza, tutto è disinvolto e spigliato, e dall'assieme emana una signorile eleganza: è un atleta di nobile nascita, di raffinata educazione, di elevata coscienza, di pronta, lucida intellettualità. (Periodo quarto, fase terza, p. 505)
  • Posato è l'atteggiamento dell'apoxyómenos, col corpo sostenuto dalla gamba sinistra e con la destra distesa leggermente all'indietro; eppure tutta la figura è percorsa da un palpito nervoso di movimento, poiché si prova la impressione vivissima che, pur con la semplice azione del tergersi con lo strigile, l'atleta cambi continuamente nell'appoggio della gamba destra a quello della sinistra e così via. E scaturisce anche la impressione di movimentata vivacità delle braccia. Tutto in questa elasticità nervosa è fluttuante, mosso, agitato; eppure la figura è in riposo! (Periodo quarto, fase terza, p. 505)
  • [Commentando il drappeggio della Nike di Samotracia] Il vento, la fresca brezza marina, che eccita, esalta ed inebbria, sferza la trionfale, orgogliosa figura della dea e, facendo modellare il chitone sul corpo, ne raccoglie ed agita i lembi mentre distacca, o gonfiando in alto, o abbattendo a terra, lo himation. E mezzo efficacissimo pel raggiungimento di un effetto grandioso è il gonfiare dello himation tra gamba e gamba che, arricchendo di assai la parte inferiore della figura e donandole una solida base, prepara acconciamente il passaggio al torso, al petto, alle ali ampiamente distese. Tutto in questa scultura pare che ci renda sensibile la capricciosa brezza del mare, sicché sembra quasi di aspirare il, salso odore dell'ampia superficie delle acque. (Periodo quinto, p. 572)
  • È ben noto quanta ammirazione suscitasse questo torso [del Belvedere] in Michelangelo, il quale del resto trovava in esso piena corrispondenza con quell'ideale di arte grandiosa, che caratterizza le opere del sommo scultore del nostro rinascimento. E la entusiastica ammirazione a questo torso fu tributata attraverso i secoli, raggiungendo il culmine con G. G. Winckelmann[2], mentre di poi, anche in questo caso, le scoperte archeologiche del secolo XIX hanno contribuito a smorzare, e con ragione, l'incondizionato, fervoroso applauso. (Periodo sesto, fase prima, p. 660)
  • [Il torso del Belvedere] È un torso di forme atletiche, dalla possente muscolatura; pur essendo il personaggio rappresentato seduto, la posa sua implica un movimento assai forte del torace, il quale in tal modo viene esibito assai ripiegato con magnifico effetto di nudo. E nel trattamento di questo nudo si esplica una virtuosità nel rendere i più minuti particolari, che contrasta con la vigorosa imponenza dell'assieme. (Periodo sesto, fase prima, pp. 660-661)
  • In questo mausoleo [di Augusto], che fu innalzato nel 28 a. C. tra il Pincio e il Tevere in mezzo a un parco, venivano a fondersi forme desunte dal mondo ellenistico (si ricordo l'Arsinoeion di Samotracia) ed il tipo di sepolcro a tumulo di carattere etrusco. Consisteva esso di una costruzione cilindrica del diametro di 95 metri, che aveva anteriormente un porticato e che era sormontata o da un tumulo conico di terra piantata a cipressi o da una terrazza e con in cima la statua dell'imperatore. (Periodo sesto, fase prima, p. 670)
  • [...] nell'11 a. C., fu inaugurato il teatro di Marcello. Era trascorso quasi mezzo secolo dalla dedica del primo teatro in pietra di Roma, quello di Pompeo (55 a. C.); il teatro di Marcello fu il secondo che pure in pietra si costruì a Roma, certo con quella maggiore eleganza e signorilità che caratterizzano i monumenti augustei. Nel tempo stesso questo teatro di Marcello fu il primo edifizio romano, in cui venne adoperato il brillante travertino di Tivoli. (Periodo sesto, fase prima, pp. 677)
  • Vi è nei festoni dell'Ara Pacis una grande varietà accoppiata ad un grande naturalismo: grappoli di uva, spighe di grano, pomi, pere, fichi, pigne, olive, bacche di alloro ed altro compongono questi festoni simboleggianti, nella festività della pompa augustea, l'abbondanza delle terre benedette dal lavoro umano. E se si pensa alla originaria policromia, che doveva rendere vieppiù consimili questi festoni alle corone di frutti delle terrecotte robbiane[3], si deve senza esitazione alcuna riconoscere in essi uno degli esempi migliori di arte di natura morta. (Periodo sesto, fase prima, pp. 684-685)
  • [Sul ritratto di Paquio Proculo rinvenuto a Pompei] Curioso è il modo con cui questo fornaio, che pure riuscì ad essere nominato duumviro giurisdicente nella sua città, volle far ritrarre sé stesso e sua moglie; non pare invero di avere dinnanzi a sé una coppia borghese della classe benemerita, ma certo non provvista di raffinata cultura, dei negozianti; eppure Paquio Proculo e sua moglie ci appaiono come persone di lettere, che la loro principale occupazione ripongono nello studio. (Periodo sesto, fase prima, p. 717)
  • [Sul ritratto di Paquio Proculo] Eppure questo volto [dell'uomo], come quello della compagna, denotano quella compostezza veramente borghese di posa voluta, e dobbiamo credere che Paquio Proculo, e questo è un fenomeno non infrequente ai nostri giorni in circostanze analoghe, provasse intimo compiacimento che il pittore lo ritraesse insieme con la moglie, in un noto schema, in cui tutto accentuasse una raffinata intellettualità. (Periodo sesto, fase prima, p. 717)
  • Il Foro di Traiano fu ritenuto, e con ragione, un vero prodigio architettonico e come tale fu luogo prediletto della popolazione romana; invero fu assai frequentato nei secoli di decadenza questo ricco luogo, che rammentava il sempre compianto principe, per grandezza emulo di Cesare, per bontà a lui superiore. (Periodo sesto, fase prima, p. 732)
  • Fu il Foro di Traiano centro di vita sociale ed importanti avvenimenti si compirono dentro le sue mura ed i suoi colonnati, e la presenza delle sue biblioteche attrasse sempre eruditi e filosofi e le loro schiere di discepoli. Sebbene spogliato di alcune statue e forse di alcuni rilievi all'epoca di Costantino che, per eternare le sue imprese, non poté sempre servirsi della decaduta ed intirizzita arte aulica del suo tempo, il Foro Traiano rimase presso a poco intatto sino ai tempi tristi della caduta dell'impero di occidente, anzi nelle sue parti architettoniche, si può dire sino alla fine del sec. VIII. [...]. I peggiori guasti, che quasi totalmente rovinarono questo unico insieme di costruzioni, avvennero nel sec. XVI, specialmente sotto il fatale pontificato di Sisto V. (Periodo sesto, fase prima, pp. 732-733)
  • La colonna [Traiana] è l'unico monumento del Foro non rovinato o distrutto; anzi è pervenuto sino a noi quasi immune dalle devastazioni barbariche e dalle turbolenze e dalla ignoranza del medio-evo. [...]
    La causa di tale rispetto si dovette principalmente all'aureola di bontà che circondò il capo di Traiano, la quale suscitò, secondo la pia leggenda, la viva speme di Gregorio Magno a chiedere a Dio la salvezza dell'anima gloriosa del pagano imperatore. (Periodo sesto, fase prima, p. 733)
  • [...] ben con ragione fu detto che la colonna Traiana è per la conoscenza della vita militare dei Romani ciò che è Pompei per la conoscenza della loro vita civile. (Periodo sesto, fase prima, p. 735)
  • Il Pantheon è a noi pervenuto depredato del suo rivestimento di marmi, ma, per fortuna, in causa della sua trasformazione in chiesa cristiana nel 609, è nel suo insieme intatto, segnando, lungo il cammino percorso dall'arte edilizia nella espressione della volta, una delle tappe più gloriose come monumento intermedio tra il tesoro di Atreo a Micene di arte pre-ellenica e la chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli di arte bizantina. (Periodo sesto, fase seconda, p. 755)
  • Col nome del bieco tiranno Caracalla (211-217) sono connesse le famose Terme innalzate su di un terrazzo a sud-est dell'Aventino lungo la via Appia. I ruderi di queste Terme costituiscono ora accanto al Colosseo la testimonianza più grandiosa, più gigantesca dell'arte edilizia romana. (Periodo sesto, fase seconda, p. 801)
  • Con la grandiosità di questa sorprendente costruzione [le Terme di Caracalla] si accompagnava la ricchezza della decorazione interna, con le pareti rivestite a marmi di svariate e rare qualità, con colonne di marmo, di granito, di porfido, con insigni statue (il Toro Farnese proviene, per esempio, da queste Terme) e rilievi, con pavimentazione a musaici, con stucchi ed ornati nei soffitti.
    Tutto è ora ridotto ad un nudo scheletro con alcune parti abbattute al suolo, con altre distrutte; ma pur così mutile, in questa desolata parte della città eterna, ove un tempo si addensava la folla ed il lusso faceva fastosa pompa di sé, le brune muraglie, che ancora sembrano innalzarsi quasi ad ardua sfida nella dolce melanconia della plaga solitaria, dicono al visitatore che sappia interrogarle la gloria della città che visse e vivrà nei secoli. (Periodo sesto, fase seconda, pp. 802-803)
  • [Sulla decorazione dell'arco di Costantino] [...] gran parte, e la migliore, di questa decorazione proviene da monumenti imperiali anteriori, sicché non a torto quest'arco merita la designazione di cornacchia di Esopo che gli fu dato dal Milizia[4]. Ed invero questo primo monumento consacrante il trionfo del Cristianesimo può iniziare la lagrimevole serie delle numerose distruzioni o dissoluzioni di edifizi di Roma antica. (Periodo sesto, fase terza, p. 836)
  • Certo in Santa Costanza per l'armonia delle parti, per la sapiente ripartizione dei pesi e delle spinte dei muri, arditamente per gran parte sostenuti dalle colonne, pel contrasto ammirevole di luci e di ombre producenti un pittoresco effetto, è una prova ulteriore della grande vitalità che l'architettura conservò nel periodo costantiniano col mantenimento delle pure tradizioni del passato classico e con la espressione nel tempo stesso di nuovi aspetti precursori di ciò che poi apparisce nelle costruzioni bizantine. (Periodo sesto, fase terza, p. 846)
  • Santa Costanza, [...] è il primo edifizio cristiano che incontriamo, nel quale si osserva una larga, monumentale applicazione del musaico al soffitto. Purtroppo alla fine del secolo XVI uno scempio crudele privò Santa Costanza dei musaici che adornavano la cupola, i quali furono malauguratamente distrutti, intatta per compenso è rimasta la decorazione musiva della volta anulare. (Periodo sesto, fase terza, p. 846)
  • La distruzione di opere d'arte classica, e precisamente di contenuto e significato pagano, iniziatasi nell'epoca costantiniana, andò sempre più aumentando nei secoli di barbarie. Contribuirono a tale distruzione non solo i torbidi, le incursioni barbariche, le guerre, l'ignoranza sempre crescente, il fanatismo religioso, ma anche atti ufficiali emanati dal supremo potere imperiale. Teodoro II, imperatore di oriente, per esempio, decretò nel 426 la distruzione dei templi pagani; l'editto imperiale per fortuna non venne applicato rigorosamente; anzi per gli edifizi sacri dell'acropoli di Atene vi fu la protezione provvidenziale di Atenaide, moglie dello stesso imperatore. (Appendice prima, p. 901)

Note[modifica]

  1. Celebri pittori dell'antica Grecia del V-IV secolo a.C.
  2. Johann Joachim Winckelmann.
  3. Luca della Robbia (1399/1400 circa-1482), scultore, ceramista e orafo italiano.
  4. Francesco Milizia (1725-1798), teorico dell'architettura, storico dell'arte e critico d'arte italiano

Bibliografia[modifica]

  • Pericle Ducati, L'arte classica, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Milano - Napoli - Roma, 1920.

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