Umberto Galimberti: differenze tra le versioni

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Umberto Galimberti (1942 – vivente), filosofo, scrittore e psicoanalista italiano.

Citazioni di Umberto Galimberti

  • L'amore è tra me e quel fondo abissale che c'è dentro di me, a cui io posso accedere grazie a te. L'amore è molto solipsistico; e tu, con cui faccio l'amore, sei quel Virgilio che mi consente di andare nel mio Inferno, da cui poi emergo grazie alla tua presenza (perché non è mica detto che chi va all'Inferno poi riesca a uscire di nuovo). Grazie alla tua presenza io emergo: per questo non si fa l'amore con chiunque, ma con colui/lei di cui ci si fida; e di che cos'è che ci si fida? Della possibilità che dopo l'affondo nel mio abisso mi riporti fuori. (da La casa di psiche)

Citazioni tratte da articoli

D la Repubblica delle Donne

Fede e ragione, 17 giugno 2006
  • A me non piace la definizione di "ateo" perché ad affibbiarmela sono coloro che credono in Dio e guardano il mondo esclusivamente dal loro punto di vista, dividendolo in quanti credono o non credono. In questa etichettatura c'è tutta la prepotenza del loro schema mentale, che fa della loro fede la discriminante tra gli uomini.
  • Prima della nascita della ragione, che è cosa recente essendo nata 2500 anni fa con la filosofia (la quale, per distinguersi dalla teologia ha sempre ragionato "come se Dio non fosse"), la religione era un tentativo di reperire dei nessi causali per difendersi dall'imprevedibile e dall'ignoto che ha sempre terrorizzato l'uomo e generato angoscia.
  • Quanto poi a una ragione senza fede, mi pare che ciò rientri nello statuto della ragione, che, come ci ricorda Kant, è un'isola piccolissima nell'oceano dell'irrazionale. Viste le sue dimensioni, mi conceda di essere tra quelli che si impegnano nella sua difesa.
Scienza e religione, 2 settembre 2006
  • In questo senso è possibile dire che sia la scienza, sia l'utopia, sia la rivoluzione sono animate da una visione del tempo e della storia profondamente religiosa, dove alla fine si realizza ciò che all'inizio era stato annunciato.
Siamo tutti omologati, 7 aprile 2007
  • Nessuna epoca storica, per quanto assolutistica o dittatoriale, ha conosciuto un simile processo di massificazione, perché nessun sovrano assoluto e nessun dittatore era in grado di creare un sistema di condizioni d'esistenza tali dove l'omologazione fosse l'unica possibilità di vita.
  • Siamo nell'età della tecnica, dove non è possibile vivere se non al prezzo di una completa omologazione al mondo dei prodotti che ci circonda, e da cui dipendiamo come produttori e consumatori, al mondo dello strumentario tecnico e amministrativo che serviamo e di cui ci serviamo, al mondo dei nostri simili retrocessi al secondo posto, perché ad essi ci rapportiamo in quanto rappresentanti delle loro funzioni.
Quando l'uomo è ridotto a capitale, 21 luglio 2007
  • Già il fatto che si parli dell'uomo come di un "capitale" o vi si faccia riferimento come a una "risorsa" (le cosiddette "risorse umane") la dice lunga in ordine al punto di vista che oggi si assume nel considerare l'uomo. Tramontato il principio che regolava l'etica kantiana secondo cui: "L'uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo", oggi vediamo che non solo l'immigrato, ma ciascuno di noi ha diritto di cittadinanza non in quanto esiste, non in quanto è un uomo, ma solo in quanto "mezzo" di produzione e di profitto.
Ripensare l'idea di lavoro, 8 settembre 2007
  • È evidente che più la società si fa tecnologica, più si riducono i posti di lavoro. E paradossalmente quello che è sempre stato il sogno più antico dell'uomo: la liberazionde dal lavoro si sta trasformando in un incubo.
  • I fini dell'economia sono anche i nostri fini? O siamo diventati semplici strumenti dell'apparato economico, il quale ci impiega come momenti della sua organizzazione, semplici anelli insignificanti della sua catena o, se preferiamo, mezzi imprescindibili, ma anche fra i più interscambiabili di qualsiasi altro mezzo, all'interno di un apparato economico-produttivo diventato fine a se stesso?
Scienza e fede, 22 settembre 2007
  • Mi occupo di questioni religiose perchè le religioni, tutte le religioni, con i loro comandamenti e le loro regole di condotta hanno rappresentato il più grande processo educativo che l'umanità, nel suo complesso, ha conosciuto prima che la ragione si enunciasse come regolatrice di rapporti umani.
  • La fede a sua volta non ha a che fare con la verità perché, lo dice Tommaso D'Aquino commentando Paolo di Tarso, la fede, a differenza della scienza espressa dalla ragione umana, conduce in captivitatem omnem intellectum, cioè rende l'intelletto prigioniero di un contenuto che non è evidente, e che quindi gli è estraneo (alienus), sicché l'intelletto è inquieto (nondum est quietatus) di fronte alla scienza nei cui confronti si sente in infirmitate et timore et tremore multo.
La sanità e i tributi, 3 novembre 2007
  • A causa di alcuni episodi di malasanità, di cui i telegiornali danno ampia enfasi, rischiamo di dimenticare che l'Italia gode di uno dei migliori sistemi sanitari nazionali esistenti nel mondo, come certificato, proprio nell'agosto del 2007, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel resto del mondo, infatti, si muore o perché mancano strutture e medicinali come nei Paesi poveri o perché la sanità rientra, al pari di tutte le altre attività, nell'area del profitto come nei Paesi ricchi d'oltreoceano.
Socrate e Gesù di fronte alla morte, 16 febbraio 2008
  • A differenza di Socrate, Gesù ha paura, non degli uomini che lo uccideranno, nè dei dolori che precederanno la morte, Gesù ha paura della morte in sé, e perciò trema davvero dinanzi alla "grande nemica di Dio" e non ha nulla della serenità di Socrate che con calma va incontro alla "grande amica".
  • Noi viviamo nell'ambito della tradizione giudaico cristiana e non sappiamo affrontare la morte se non affidandoci a speranza ultraterrene. Abbiamo un concetto molto alto di noi, meritevoli di immortalità. Ma questa credenza è rivelatrice di una verità o di uno spropositato amore di sé? Perché, nel secondo caso, forse varrebbe la pena di consegnarci con largo anticipo al nostro limite, seguendo la saggezza greca là dove insegna: "Chi conosce il suo limite non teme il destino".

L'Espresso

Facciamo un lifting alle nostre idee, 24 maggio 2007
  • La faccia è il primo segno da cui prende le mosse l'etica di una società. [...] La faccia della persona matura è un atto di verità, mentre la maschera dietro cui si nasconde un volto trattato con la chirurgia è una falsificazione che lascia trasparire l'insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi alla vista con la propria faccia. Preferire una velina a una persona matura significa preferire l'anonimato di un corpo a un corpo formato da un carattere, che nell'età matura appare nella sua unicità, facendoci finalmente conoscere quel che davvero una persona è nella sua specifica unicità. [...] Finisce per dar corda a quel mito della giovinezza che visualizza la vecchiaia come anticamera della morte. (p. 199)

la Repubblica

Smettiamo di crescere, 2 settembre 2005
  • E così ciascuno per sé sente il brivido della crescita zero a cui non sa con che strumenti reagire, soprattutto se ha il sospetto che la crescita zero sarà sempre più il nostro futuro, non solo perché non possiamo continuare a pensare che i quattro quinti dell'umanità continuino a sacrificarsi per la nostra crescita, ma perché quando la crescita non ha altro scopo che continuare a crescere, è l’uomo stesso del mondo privilegiato a divenire semplice «funzionario» di questa idea fissa che, se diventa lo scopo collettivo della vita di tutti, affossa e seppellisce il «senso» della vita, il suo sapore, il suo significato per noi.
  • Là infatti dove la produzione non tollera interruzioni, le merci «hanno bisogno» di essere consumate, e se il bisogno non è spontaneo, se di queste merci non si sente il bisogno, occorrerà che questo bisogno sia «prodotto». In una società opulenta come la nostra, dove l'identità di ciascuno è sempre più consegnata agli oggetti che possiede, i quali non solo sono sostituibili, ma «devono» essere sostituiti, può darsi che si cominci ad avvertire, sotto quel mare di pubblicità che ogni giorno ci viene rovesciato addosso, una sorta di appello alla distruzione, una forma di nichilismo dovuto al fatto, come scrive Gunther Anders, che: «L'umanità che tratta il mondo come un mondo da buttar via, tratta anche se stessa come un'umanità da buttar via».
  • La felicità, nonostante la pubblicità vi illuda, non ci viene dall'ultima generazione di telefonini o di computer, e più in generale di «prodotti», ma da uno straccio di «relazione in più».
  • Tutto ciò comporterà, come dicono gli economisti, un rallentamento della crescita, quando non addirittura una crescita zero. E qui siamo a quella parola subdola: «crescita», che gli economisti applicano sia ai paesi diseredati che raccolgono tra l'altro i quattro quinti dell’umanità, sia ai paesi già sviluppati che nonostante ciò «devono crescere». Fin dove? E a spese di chi? E a quali costi ambientali? Qui l'economia tace perché il problema non è di sua competenza, e con l’economia tacciono anche le voci degli uomini che alle leggi dell'economia si devono piegare.
Narcisisti e schizzati, così trionfa l'apparenza, 14 novembre 2006
  • E così, conferendo al nulla un potere semantico che si irradia a distanza fino a significare qualsiasi cosa, la moda risolve a buon prezzo problemi di identità che pongono fine all'angosciante interrogativo: «Chi sono?».
  • Se la vecchiaia non mostra più la sua vulnerabilità, dove reperire le ragioni della pietas, l'esigenza di sincerità, la richiesta di risposte sulle quali poggia la coesione sociale?
  • Sin da quando siamo nati ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere. E a questo dogma terribile abbiamo sacrificato il nostro corpo, incaricandolo di rappresentare quello che propriamente non siamo, o addirittura abbiamo evitato di sapere.
L’anima. Se la Chiesa impone la sua verità, 26 settembre 2007
  • A questo proposito voglio ricordare che Tommaso d’Aquino, commentando Paolo di Tarso, dice che la fede, a differenza della scienza espressa dalla ragione umana conduce in captivitatem omnem intellectum, cioè rende l’intelletto prigioniero di un contenuto che non è evidente, e che quindi gli è estraneo (alienus), sicché l’intelletto è inquieto (nondum est quietatus) di fronte alla scienza, nei cui confronti si sente «in infirmitate et timore et tremore multo». Dov’è finita questa prudenza tomista che non concede di identificare immediatamente la fede con la verità? E se i cattolici sono già in possesso della verità che senso ha per loro studiare e insegnare filosofia se la verità che la filosofia si propone di cercare già la possiedono? Cosa rispondono ad Heidegger là dove scrive che quando la filosofia è accompagnata da un aggettivo, come è il caso di una "filosofia cristiana" ci si trova di fronte a un circolo quadrato o, come vuole l’espressione di Heidegger a un "ferro ligneo"? E infine che tipo di dialogo è possibile con un cristiano, se questi è già convinto di possedere la verità?
  • «Il colpo di genio del Cristianesimo», che esorcizza la morte garantendo a ogni uomo l’immortalità, è diventato persuasione comune che neppure la scienza è riuscita a scalfire, anzi in un certo senso ha concorso a radicare definitivamente questa convinzione.
  • Io non sono un teologo, ma un filosofo della Storia che segue il metodo "genealogico" di Nietzsche, il quale, a differenza di Platone, non si chiede, ad esempio, «che cos’è l’anima», ma: «Come è venuto al mondo questo concetto, che storia ha avuto, che significati ha assunto, che effetti di realtà ha prodotto?», persuaso come sono che l’essenza di una cosa, il suo senso è nella sua storia.

MicroMega

Almanacco di filosofia. L'eredità di Martin Heidegger, marzo 2007
  • L'importanza di Heidegger sta nel fatto che egli qualifica la sua filosofia come «oltrepassamento della metafisica». Visto che con metafisica si intende tutto il pensiero filosofico da Platone in poi, ciò significa porsi in una posizione-cardine, di cui Heidegger ha piena consapevolezza. Che cosa significa metafisica? Nient'altro che la versione filosofica della visione religiosa del mondo. (p. 59)
  • Se è vero, infatti, che noi siamo in grado di capire il nostro tempo anche senza la parola «Dio», è altrettanto vero che non lo capiremmo se togliessimo la parola «Tecnica», il cui senso è stato puntualmente esplicitato da Sergio Givone. Heideggere ha detto in proposito cose essenziali. Ha illustrato a più riprese che la tecnica ha concluso l'era umanistica, per cui l'uomo non è più il soggetto della storia, ma il funzionario di apparati tecnici, dai quali è in qualche modo «im-piegato» (be-stellte). Addirittura, rischia di diventare materia prima, anzi la più importante delle materie prime (der Mensch der wichtigste Rohstoff ist), sotto il profilo dell'assoluta utilizzabilità. (p. 60)

Citazioni tratte da interviste

L'Espresso, a cura di Paolo Forcellini, 16 marzo 2006
  • Più il potere temporale è separato da quello spirituale e più i rapporti tra i due sono corretti.
  • La Chiesa si ritiene l'unica depositaria dell'etica. Un'etica prerogativa esclusiva della religione avvicina notevolmente il cristianesimo alla mentalità islamica. Per fortuna noi abbiamo avuto l'illuminismo e lo stato laico che ci hanno parzialmente immunizzati. Da parte della Chiesa, comunque, si tende a negare che l'etica sia una qualità dell'uomo, come diceva Kant, per affermarne invece la derivazione dalla dogmatica religiosa. Gli uomini sarebbero incapaci di produrre una morale. Di questo passo si finisce nello Stato teocratico. Ma le morali altro non sono che regole di convivenza volte a ridurre i conflitti. Queste regole gli uomini se le possono dare da sé: l'etica è una categoria antropologica.
  • Talvolta mi chiedo se la Chiesa crede ancora in Dio. È certo un'affermazione paradossale e provocatoria, ma ha una sua giustificazione: quando la Chiesa interviene massicciamente per promuovere una legislazione favorevole alla sua etica, allora ci possiamo chiedere se chi gestisce il potere ecclesiastico crede più agli strumenti del mondo o all'opera di Dio.
centomovimenti.com, a cura di Salvatore Viglia, 21 marzo 2007
  • Della disillusione dei giovani siamo responsabili noi adulti, abbiamo abbandonato ogni vincolo di solidarietà, abbiamo inaugurato una visione del mondo che guarda alla terra ed ai suoi abitanti solo nell’ottica del mercato.
  • Nella “La casa di psiche” si fa constatare che i problemi che oggi sono in circolazione non sono più affrontabili, come un tempo, attraverso la psicoanalisi. Gli strumenti psicoanalitici curavano il disagio dell’individuo, il disagio della civiltà nel senso che le condizioni miserabili in cui si viveva, in quella che io chiamo “la società della disciplina”, dove il gioco era tra il desiderio di colui che voleva infrangere la legge e chi desiderava comprimere questo desiderio. Oggi non è più questo lo scenario del dolore. Lo scenario del dolore, soprattutto su impulso della cultura americana che spinge a tutta andata a raggiungere nel tempo più breve gli obiettivi, produce situazioni di ansie determinate dalla domanda. Non più quella psicoanalitica tradizionale (cosa ci è permesso e cosa ci è proibito), ma cosa posso fare, cosa sono in grado di fare. Questa incapacità di raggiungere gli obiettivi quando l’asticella è posta sempre più in alto, crea un senso di inadeguatezza, di una mancanza di senso ed alla fine, al di là della tecnica che non ha scopi ma semplicemente funziona all’interno di una assoluta, radicale mancanza di orizzonti in vista di non si sa bene che.

Gli equivoci dell'anima

Incipit

In una civiltà scientifica la parola anima ci riporta agli albori della nostra storia quando religione e filosofia si contendevano il sapere. La psicologia, che sulla nozione di anima ha costruito se stessa, da tempo vuole emanciparsi da questo sfondo per essere accolta nel novero delle scienze ed entrare così a pieno titolo nella "nostra" storia. L'emancipazione avviene per rimozione dell'origine e quindi con la perdita di quella stratificazione di significati che fa dell'anima una parola a tal punto equivoca da renderla solidale con i più svariati sistemi di pensiero, che a questo punto devono chiarire le loro relazioni e svelare il contenuto semantico che coprono con questa parola.

Citazioni

  • Attraversato dalla sessualità, l'Io cede il suo limite per ribadirlo ad un livello superiore. Entrando in contatto con l'altra parte di se stesso l'Io va oltre la fascinazione e il desiderio per raggiungere quell'"immenso vuoto" dove si compie la decisione ontologica, dove l'essere raggiunge il suo limite e dove il limite definisce l'essere. (p. 233)
  • Il passaggio esplicito dall'interiorità all'esteriorità dell'anima, a cui la pratica cristiana aveva dato il suo contributo, avviene con Cartesio che, nel radicalizzare il dualismo platonico, finisce con l'abolirlo, risolvendo corpo e mondo in rappresentazioni dell'anima che così diventa l'orizzonte assoluto della presenza.

[Umberto Galimberti, Gli equivoci dell'anima, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2001]

I vizi capitali e i nuovi vizi

Incipit

Questo libro nasce da una riflessione che prende le mosse da un breve trattato scritto nel 1724 da Bernard de Mandeville e che ha per titolo Modesta difesa delle pubbliche case di piacere. Si calcola che nella prima metà del Settecento nella sola Londra le meretrici fossero più di cinquantamila; il diffondersi pestilenziale delle malattie veneree - il "mal gallico" come lo chiama Mandeville - aveva esasperato i pregiudizi contro l'incontinenza e la licenziosità sessuale. Per contrastare l'ondata proibizionista, approdata a una normativa severa che dichiarava fuorilegge la prostituzione, e al tempo stesso consapevole delle gravi implicazioni sociali del fenomeno, Mandeville, "per fronteggiare le cattive conseguenze dell'irreprimibile vizio", propone l'apertura di Pubblici Bordelli che garantiscono efficienza e buona organizzazione e siano tutelati alla stregua di Istituti di Servizio Pubblico.

[Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2004]

Il corpo

Incipit

Natura e cultura non sono gli estremi di un itinerario che l'umanità non ha mai percorso, ma semplicemente due nomi che qui impieghiamo per designare l'ambivalenza con cui il corpo si esprimeva nelle società arcaiche e l'equivalenza a cui oggi è stato ridotto nelle nostre società dai codici che le governano e dal corredo delle loro iscrizioni.
Sommerso dai segni con cui la scienza, l'economia, la religione, la psicoanalisi, la sociologia di volta in volta l'hanno connotato, il corpo è stato vissuto, in conformità alla logica e alla struttura dei vari saperi, come organismo da sanare, come forza-lavoro da impiegare, come carne da redimere, come inconscio da liberare, come supporto di segni da trasmettere. Mai l'impronta della sua vita solitaria, alla periferia dei codici strutturali, continua a passare inavvertita nella sua ambivalenza che, incurante del principio di identità e differenza con cui ogni codice esprime la sua specularità bivalente, dice di essere questo, ma anche quello.

Citazioni

  • Da centro di irradiazione simbolica nelle comunità primitive, il corpo è diventato in Occidente il negativo di ogni "valore", che il sapere, con la fedele complicità del potere, è andato accumulando.

[Umberto Galimberti, Il corpo, Giangiacomo Feltrinelli Editore]

Il gioco delle opinioni

Incipit

Di pagina in pagina, sfogliando cento libri, per renderne conto sulle pagine culturali dei nostri giornali, mi sono persuaso che la recensione è un genere letterario da abolire perché induce al riassunto, quindi alla chiusura del libro. I libri invece vanno aperti, sfogliati, dissolti nella loro presunta unità, per offrirli a quella domanda che non chiede "che cosa dice il libro?", ma "a che cosa fa pensare questo libro?". I libri non servono per sapere ma per pensare, e pensare significa sottrarsi all'adesione acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro significato abituale reso stabile dalla pigrizia dell'abitudine; è evitare che i testi divengano testi sacri per coscienze beate che, rinunciando al rischio dell'interrogazione, confondono la sincerità dell'adesione con la profondità del sonno.

Citazioni

  • Dunque il sesso come fonte di vita e la vita come riproduzione dell'armonia. Il gesto sessuale, come gesto di creazione dove non ci si impiglia, come da noi, in nascite o aborti, ma dove in un punto si celebra il senso del cielo, della terra e delle diecimila cose che in composta armonia abitano il cielo e la terra. Perchè noi occidentali crediamo nelle stelle e negli oroscopi che cadono dalle stelle e abbiamo dimenticato che i nostri gesti lenti, agili o violenti modificano le stelle, il loro equilibrio, la loro luce, il loro giro? Il gesto dell'uomo crea armonia o disarmonia nell'universo e il nostro sesso, da gesto che compone, può diventare dissolvenza non tanto di noi, ma del cosmo che non ci ignora. (p. 219)
  • La filosofia ama i dissidi, perché dai dissidi si produce, si genera, si alimenta, crea variazioni tematiche, giochi euristici, assolute novità. (p. 88)
  • La sessualità non appartiene al racconto dell'Io, perchè, in sua presenza, l'anima subisce una dislocazione che, spostando il regime delle sue regole, indebolisce il possesso di sé. La sua trama viene interrotta da qualcosa di troppo che, spezzando la continuità del dire e l'ordine del discorso, porta verso itinerari di fuga che l'Io e la ragione che lo governa non riescono a inseguire. Pulsioni e desideri, infatti, irrompendo come significanti incontrollati nell'ordine dei significati statuiti, portano alla luce altri nessi, altri orditi, altri intrecci i cui nodi affondano nell'altra parte di noi stessi. (p. 207)
  • Le case chiuse sono state veramente chiuse, non dalla legge Merlin ma dallo spostamento della domanda che non chiede più scambio sessuale, ma compra-vendita dell'immaginario. Nelle grandi città le prostitute sono state sostituite quasi per intero dai veados, travestisti per lo più brasiliani, importati per una stagione e poi rispediti alle loro favelas. Segno che ciò che per le strade si vende non è il sesso e tanto meno lo scambio sessuale, quanto la rappresentazione del sesso e lo sfavillio delle immagini che produce.
  • Poi venne il cristianesimo e con esso la maledizione della carne. Il cristianesimo ha spezzato il mandala, i quattro che compongono l'armonia. Tre si trovano raccolti e separati dal quarto, il diavolo, che l'iconografia prese a dipingere con i tratti di Pan, il dio greco del sesso che, nell'ora meridiana da lui preferita, rincorreva con i suoi zoccoli da capra e le sue corna mozze le ninfe del bosco. Il cristianesimo tenne le fila della sessualità in Occidente, dove il cielo era separato dalla terra e lo spirito dalla carne. Se un bel giorno si smettesse di esecrare la pornografia, che poi altro non è se non la carne nella sua solitudine, e si incominciasse a esecrare chi ha ridotto la carne in solitudine, separandola dal cielo per farne l'anticamera dell'inferno, il primo girone della Commedia. (p. 220)

[Umberto Galimberti, Il gioco delle opinioni, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2007]

L'ospite inquietante

Incipit

Un libro sui giovani: perché i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui.
Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa. Il presente diventa un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di seppellire l'angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume i contorni del deserto di senso.

Citazioni

  • Alla base dell'assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche del tabacco e dell'alcol, c'è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere. Se questo senso non si dà, se non c'è neppure la prospettiva di poterlo reperire, se i giorni si succedono solo per distribuire insensatezza e dosi massicce di insignificanza, allora si va alla ricerca di qualche anestetico capace di renderci insensibili alla vita. (p. 72)
  • Se il disagio giovanile non ha origine psicologica ma culturale, inefficaci appaiono i rimedi elaborati dalla nostra cultura, sia nella versione religiosa perchè Dio è davvero morto, sia nella versione illuminista perchè non sembra che la ragione sia oggi il regolatore dei rapporti tra gli uomini, se non in quella formula ridotta della "ragione strumentale" che garantisce il progresso tecnico, ma non un ampliamento dell'orizzonte di senso per la latitanza del pensiero e l'aridità del sentimento. (p. 13)
  • Un po' di musica sparata nelle orecchie per cancellare tutte le parole, un po' di droga per anestetizzare il dolore o per provare una qualcche emozione, tanta solitudine tipica di qull'individualismo esasperato, sconosciuto alle generazioni precedenti, indotto dalla persuasione che - stante l'inaridimento di tutti i legami affettivi - non ci si salva se non da soli, magari attaccandosi, nel deserto dei valori, a quall'unico generatore simbolico di tutti i valori che nella nostra cultura si chiama denaro. (p. 12)

[Umberto Galimberti, L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2007]

La terra senza il male

Incipit

Questo libro parla della terra e del suo male, del segno e del simbolo del linguaggio e del suo limite. Questo libro parla di Jung, perchè come Nietzsche, Jung raggiunge l'essenza violenta del discorso psicologico e quindi lorigine del discorso, che neppure la filosofia conosce perché, come "scienza umana", non dice che il limite.
Con Jung l'"umanesimo" è sospeso al filo sottilissimo dell'Io che narra di sé, perché, invece di lasciarsi ingannare dal Racconto, Jung domanda che cos'è il Racconto. Una domanda terribile perché assedia l'invulnerabilità del sapere. Che io sia "costruito" è la stessa storia del mio racconto che lo dice. Quindi io non sono costruito se non per un oblio della mia genesi. Ma chi mi narra il Genesi se non Dio?

Citazioni

  • A differenza di tutti gli essere che popolano la terra, infatti, l'uomo pensa, e ogni pensiero gli racconta la sua totale estraneità alla terra. "Gettato nell'infinita immensità degli spazi che ignoro e che non mi conoscono, provo spavento", dice Pascal, e non allude all'infinità degli spazi cosmici, ma alla loro ignoranza alla vicenda umana: "Non mi conoscono". L'indifferenza della terra, la sua estraneità all'evento umano che ospita a sua insaputa, e a cui invia solo un messaggio di solitudine. (pp. 13-14)
  • Tra Io e Sè il conflitto è violentissimo come lo è tra Dio e la terra. (p. 20)
  • Una virtù (areté) che è cammino verso il centro invisibile e indicibile (àrretos) da cui solamente è possibile il dispiegarsi di quelle armoniche circonferenze che sono il diritto, il rotondo, il bello e il giusto. Ma per questo ci vuole "altissima conoscenza" (méghiston mathémata)", quella conoscenza matematica per cui Platone fa scrivere sulla porta della sua scuola "Non si entra qui se non si è geometri". (p. 40)

[Umberto Galimberti, La terra senza il male. Jung dall'inconscio al simbolo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1988]

Le cose dell'amore

Incipit

Perchè un libro sull'amore? Perchè rispetto alle epoche che ci hanno preceduto, nell'età della tecnica l'amore ha cambiato radicalmente forma. Da un lato è diventato l'unico spazio in cui l'individuo può esprimere davvero se stesso, al di fuori dei ruoli che è costretto ad assumere in una società tecnicamante organizzata, dall'altro questo spazio, essendo l'unico in cui l'io può dispiegare se stesso e giocarsi la sua libertà fuori da qualsiasi regola e ordinamento precostituito, è diventato il luogo della radicalizzazione dell'individualismo, dove uomini e donne cercano nel tu il proprio io, e nella relazione non tanto il rapporto dell'altro, quanto la possibilità di realizzare il proprio sè profondo, che non trova più espressione in una società tecnicamnete organizzata, che declina l'identità di ciascuno di noi nella sua idoneità e funzionalità al sistema di appartenenza.

Citazioni

  • Amore è solo la chiave che ci apre le porte della nostra vita emotiva di cui ci illudiamo di avere il controllo, mentre essa, ingannando la nostra illusione, ci porta per vie e devianze dove, a nostra insaputa, scorre, in modo tortuoso e contraddittorio, la vitalità della nostra esistenza. (Amore e desiderio, p. 65)
  • Forse, dietro la vita a due non v'è nulla, e questo nulla che si cela suscita quella curiosità infinita che fa di noi un instancabile cercatore di amore, quasi sempre immemore che ogni evento d'amore è sempre decretato dal cielo. (inciso presente sul retro del libro)

[Umberto Galimberti, Le cose dell'amore, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2005]

Orme del sacro

Incipit

"Sacro" è parola indoeuropea che significa "separato". La sacralità, quindi, non è una condizione spirituale o morale, ma una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l'uomo, non potendo dominare, avverte come superiori a sé, e come tali attribuibili a una dimensione, in seguito denominata "divina", pensata comunque come "separata" e "altra" rispetto al mondo umano. Dal sacro l'uomo tende a tenersi lontano, come sempre accade di fronte a ciò che si teme, e al tempo stesso ne è attratto come lo si può essere nei confronti dell'origine da cui un giorno ci si è emancipati.
Questo rapporto ambivalente è l'essenza di ogni religione che come vuole la parola, recinge, tenendola in sé raccolta (re-legere), l'area del sacro, in modo da garantirne ad un tempo la separazione e il contatto, che restano comunque regolate da pratiche rituali capaci da un lato di evitare l'espansione incontrollata del sacro e dall'altro la sua inaccessibilità. Sembra che tutto ciò sia stato presentito dall'umanità prima di temere o invocare qualsiasi divinità. Dio, infatti, nella religione, è arrivato con molto ritardo.

Citazioni

  • Guardando l'uomo e guardando l'arte dobbiamo puntare gli occhi sulla loro coappartenenza, perchè isolare l'uomo dalla sua espressione spirituale significa ridurlo alla condizione animale, così come isolare l'arte dall'uomo significa farla volteggiare nel regno dello spirito, dimenticando lo spessore materiale in cui l'arte, come l'uomo, prendono forma e figura. (p. 140)
  • Il mito è ricerca dell'origine, sua ripresa e riproposizione, la religione è annuncio di redenzione, sue figure sono la speranza e la fede in ciò che ha da venire. [...] Dove la religione interseca il mito, il mito si estingue. (p. 65)

[Umberto Galimberti, Orme del sacro. Il cristianesimo e la desacralizzazione del sacro, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2001]

Psiche e techne

Incipit

1. L'uomo e la tecnica. Siamo tutti persuasi di abitare l'età della tecnica, di cui godiamo i benefici in termini di beni e spazi di libertà. Siamo più liberi degli uomini primitivi perchè abbiamo più campi di gioco in cui inserirci. Ogni rimpianto, ogni disaffezione al nostro tempo ha del patetico. Ma nell'assuefazione con cui utilizziamo strumenti e servizi che accorciano lo spazio, velocizzano il tempo, leniscono il dolore, vanificano le norme su cui sono state scalpellate tutte le morali, rischiamo di non chiederci se il nostro modo di essere uomini, non è troppo antico per abitare l'età della tecnica che non noi, ma l'astrazione della nostra mente ha creato, obbligandoci, con un'obbligazione più forte di quella sancita da tutte le morali che nella storia sono state scritte, a entrarvi e a prendervi parte.

Citazioni

  • L'etica, di fronte alla tecnica, diventa pat-etica: non si è mai visto che un'impotenza sia in grado di arrestare una potenza. Il problema è: non cosa possiamo fare noi con gli strumenti tecnici che abbiamo ideato, ma che cosa la tecnica può fare di noi.
  • La ragione non è più l'ordine immutabile del cosmo in cui prima la mitologia, poi la filosofia e infine la scienza si erano riflesse creando le rispettive cosmo-logie, ma diventa procedura strumentale che garantisce il calcolo più economico tra i mezzi a disposizione e gli obbiettivi che si intendono raggiungere. (p. 38)
  • La verità non è più conformità all'ordine del cosmo o di Dio perché, se non si dà più orizzonte capace di garantire il quadro eterno dell'ordine immutabile, se l'ordine del mondo non dimora più nel suo essere, ma dipende dal "fare tecnico", l'efficacia diventa esplicitamente l'unico criterio di verità. (p. 38)

[Umberto Galimberti, Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, , Milano 1999]

Bibliografia

  • Umberto Galimberti, La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2005.

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