Diogene Laerzio
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Diogene Laerzio (180 – 240), storico greco antico.
Vite dei filosofi
[modifica]- Dicono pure che, incitandolo la madre a prendere moglie, [Talete] abbia risposto: «Non è ancora tempo»; insistendo ancora, quando egli aveva oltrepassato la giovinezza: «Non è più tempo». (I, 26; 2009, p. 11)
- Era solito dire [Talete] che in nulla la morte differisce dalla vita. «E tu allora perché non muori?» gli si diceva; la sua risposta era: «Perché non vi è differenza».
A chi chiedeva che cosa fosse nato prima, la notte o il giorno, «La notte» rispondeva «prima di un giorno». Gli si chiese pure se l'uomo che commette ingiustizie sfugga agli dèi. «No, neppure colui che le pensa soltanto», rispose. Ad un adultero che gli chiedeva se dovesse giurare di non aver commesso adulterio, rispondeva: «Lo spergiuro non è peggiore dell'adulterio». Interrogato che cosa fosse difficile, rispose: «Conoscere se stesso», che cosa fosse facile, «Dar consigli ad un altro», che cosa più dolce, «Ottenere quel che si desidera», che cosa fosse la divinità, «Quel che non ha principio né fine», che cosa di strano avesse mai visto, «Un tiranno vecchio», quale il modo più facile di sopportare una disgrazia, «Vedendo i nemici nel peggio», in qual modo si possa vivere una vita ottima e giustissima, «Non facendo quel che ad altri rimproveriamo». (I, 35-36; 2009, pp. 14-15) - Sul suo tumulo [di Talete] è stato scritto così:
Ecco, questo piccolo tumulo che vedi è del saggissimo Talete, la cui gloria altissima si leva nel cielo.
V'è anche un nostro epigramma a lui dedicato [...]. Eccolo:
Il saggio Talete rapisti dallo stadio, o Elio Zeus, mentre ad un ginnico agone assisteva. Ti lodo per averlo condotto vicino; ché il vecchio ormai più non poteva vedere dalla terra gli astri.
Di lui è il motto «Conosci te stesso». Antistene nelle Successioni dei filosofi lo attribuisce a Femonoe, ma dice che se ne appropriò Chilone. (I, 39-40; 2009, pp. 15-16) - Primeramente ei [Talete] si occupò ne' negocij, & vfficij della Repubblica, diedesi poscia per via di lungo studio alla contemplatione delle cose naturali & in fine veduto ogni suo sforzo vano, s'ei non abbandonaua il patrio suolo, di Fenicia con Neelao suo caro si partì, portatoui da quel suo ggrandissimo desio di sapere. Calimaco lo fa inuentore dell'Orsa minore, & come quello ch'era di sottilissimo ingegno, passando all'intorno dell'Astrologia, mostrò varij secreti rari; predisse ecclissi di Sole, & di Luna, manifestò i futuri Tremoti, & le ragioni di cotai conuersioni, & mutationi celesti molto facilmente spiegò. Senofane, & Erodoto stupirono del suo raro ingegno, & Cherillo Poeta innalza sino al Cielo quella sua santa opinione, nella quale fuori del volgo de gl'altri Filosofanti si trasse a dire, che l'anima nostra è immortale. (I; 1611, carte 1r, 1v)
- Damone di Cirene, che ha scritto Dei filosofi, critica tutti i sapienti, ma specialmente i Sette. Anassimene dice che attesero tutti alla poesia; Dicearco afferma che non furono né sapienti né filosofi, ma uomini di senno pratico e legislatori. (I, 40; 2009, p. 16)
- In Anassimandro, che fu di Prassiade figliuolo, dà Laertio principio alla filosofia Zonica, della qual fu Talete il capo, che fu anco maestro di esso Anassimandro. Hebbe strana opinione intorno a i principij, ponendo quest'elemento immenso, & infinito per principio, senza diffinire aria, acqua, od altra cosa; però costituita la terra soda nel mezo, a somiglianza di centro, globosa, e rotonda. Nomaua falso il lume de la Luna, come quella che ne'l toglieua dal Sole. il Gnomone non era in vso & egli primo lo fece veder in Lacedemonia, o Sparta, in luogo atto à prender l'ombra, col qual mostraua le conuersioni del Sole, e gli equinotij. Il giro della terra non era stato auanti di lu nè men quello del mare; in che sudò egli molto ne die vna sua misura. Fabricò gli Horoscopij, & fece la sfera. (II, 1; 1611, carta 8r)
- [Socrate] nulla sapeva eccetto che nulla sapeva. (II, 32; 2009, p. 59)
- Dicono che Eschine andò in Sicilia presso Dionigi a motivo della mancanza di mezzi, e che fu disprezzato da Platone, mentre fu presentato da Aristippo; e, siccome regalò a Dionigi alcuni suoi dialoghi, ricevette dei doni. (II, 61; 2005, pp. 207-209)
- Poi mentre si accingeva [Platone] a partecipare con una tragedia all'agone, udita la voce di Socrate, dinanzi al teatro di Dioniso, bruciò l'opera esclamando:
Efesto, avanza così: Platone ha ora bisogno di te.
Da allora, dicono, – e aveva vent'anni – fu discepolo di Socrate [...]. (III, 5; 2009, p. 102) - [Platone] Per tre volte si è recato in Sicilia per nave. La prima volta per vedere l'isola e i crateri. E fu allora che Dionigi, figlio di Ermocrate, che era tiranno, lo costrinse a frequentarlo. (III, 18; 2005, p. 323)
- Ma quando Platone conversando sulla tirannide affermò che il suo diritto del più forte aveva validità solo se fosse stato preminente anche in virtù, allora il tiranno [Dionisio I di Siracusa] si sentì offeso e, adirato, disse: "Le tue parole sono degne di un vecchio", e Platone: "Invece le tue sono parole di un tiranno". (III, 18; 2005, p. 323)
- Una seconda volta Platone venne in Sicilia presso Dionigi il Giovane per chiedergli un po' di terra e alcuni uomini che vivessero secondo la sua costituzione. E Dionigi, benché avesse promesso, non mantenne fede. (III, 21; 2005)
- [Platone] Lacrime per Ecuba e per le donne troiane | filarono già le Moire, quando esse nacquero; | a te, invece, Dione, che per le tue belle opere | celebravi la vittoria, versarono le dèe ampie speranze. | Nella tua grande patria, dai concittadini onorato, giaci, O Dione, | tu che con follia d'amore mi hai stravolto l'animo. (III, 3; 2005, pp. 334-335)
- Dionisio disse una volta a Platone che gli avrebbe tagliato la testa; Senocrate che era presente rispose: «Nessuno taglierà la gola a Platone, prima di avere tagliato la mia. (IV, 11; 2005, p. 423)
- Aristotele prencipe de' Peripatetici, nacque nella città di Stagira, & suo padre fu Nicomaco il qual traheua l'origine sua da Esculapio, & fu medico di Aminta Re di Macedonia, & suo amico molto stretto. Questi tra tutti i discepoli di Platone fu il più eccellente. Fu di voce alquanto sottile, gli occhi hauea piccioli, le gambe pur sottili, & il corpo non troppo ben formato. Ma a quanto si trouò mancheuole per natura, egli supplì assai bene con l'arte, percioche con le vestimenta honoreuoli, & lunghe, corpiua molti difetti, senza che le dita delle mani portava cariche d'annacella, & si lasciaua crescer giù stessa vna bella zazzera. (V, 1; 1611, carta 27r)
- [Stratone] Fu uomo molto insigne e si ebbe il soprannome di Fisico per essersi dedicato con estrema cura, più di qualsiasi altro, allo studio della natura. (V, 58; 2009, pp. 187-188)
- Lo stesso Stratone, come già è stato sopra mostrato, fu uomo degno di molta considerazione, si distinse in ogni ramo della cultura, e specialmente nella fisica, che è scienza più antica e più grave di tutte le altre. (V, 64; 2009, p. 190)
- [Antistene] da Socrate attinse la sua tolleranza e fu emulo della sua impassibilità: diede così inizio al Cinismo. (VI, 2; 2009, p. 203)
- [Diogene di Sinope] una volta vide un topo correre qua e là, senza mèta (non cercava un luogo per dormire né aveva paura delle tenebre né desiderava alcunché di ciò che si ritiene desiderabile) e così escogitò il rimedio alle sue difficoltà. (VI, 22; 2009, p. 211)
- Era solito anche dire [Diogene di Sinope] che bisogna tendere le mani agli amici con le dita aperte e non contratte. (VI, 29; 2009, p. 214)
- [...] una volta Diogene gridò: «Ehi, uomini!» e convenne della gente che egli picchiò col bastone, dicendo: «Uomini chiamai, non canaglie!»
Si narra anche che Alessandro abbia detto che se non fosse nato Alessandro, avrebbe voluto nascere Diogene. (VI, 32; 2009, p. 215) - Una volta incontrò l'oratore Demostene che faceva colazione in una taverna. Quando si ritirò, Diogene disse: «Almeno per un pezzo sarai in taverna!» Volendo una volta alcuni stranieri vedere Demostene, egli tese il dito medio e disse: «Eccovi il demagogo degli Ateniesi». (VI, 34; 2009, p. 215)
- Diceva [Diogene di Sinope] d'imitare gli istruttori dei cori: questi infatti danno il tono più alto, perché tutti gli altri diano il tono giusto. (VI, 35; 2009, p. 216)
- Diceva [Diogene di Sinope] che oggetti di gran valore si vendono a minimo prezzo, e viceversa: così una statua è venduta per tremila dracme, un quarto di farina per due centesimi. (VI, 35; 2009, p. 216)
- Una volta [Diogene di Sinope] vide un fanciullo che beveva nel cavo delle mani e gettò via dalla bisaccia la ciotola, dicendo: «Un fanciullo mi ha dato lezione di semplicità». Buttò via anche il catino, perché pure vide un fanciullo che, rotto il piatto, pose le lenticchie nella parte cava di un pezzo di pane. (VI, 37; 2009, p. 216)
- Mentre una volta prendeva il sole nel Craneo, Alessandro sopraggiunto disse: «Chiedimi quel che vuoi». E Diogene, di rimando: «Lasciami il mio sole». (VI, 38; 2009, p. 217)
- A Megara [Diogene di Sinope] vide le pecore protette da pelli di cuoio e i figli dei Megaresi nudi, e soggiunse: «È meglio essere montone che figlio di un Megarese». (VI, 41; 2009, p. 218)
- Trovava da ridire [Diogene di Sinope] sulle preghiere degli uomini, osservando che essi non chiedono i veri beni, ma ciò che a loro sembra bene. (VI, 42; 2009, p. 218)
- Godeva l'affetto degli Ateniesi. Così quando un giovinetto gli ruppe la botte, gli Ateniesi batterono il giovinetto e diedero a Diogene un'altra botte. Lo stoico Dionisio racconta che dopo Cheronea fu catturato e condotto a Filippo. A Filippo che gli chiese chi fosse, replicò: «Osservatore della tua insaziabile avidità». Per questa battuta fu ammirato e rimesso in libertà. (VI, 43; 2009, p. 218)
- Una volta Perdicca minacciò che se non fosse andato da lui, l'avrebbe ucciso. E Diogene: «Nulla di straordinario: anche uno scarafaggio e una tarantola saprebbero far questo». Egli invece si sarebbe aspettato piuttosto quest'altra minaccia: che sarebbe vissuto felicemente, anche lontano da Diogene. (VI, 44; 2009, p. 219)
- A chi riteneva beato Callistene perché godeva della sontuosa magnificenza di Alessandro, [Diogene di Sinope] replicò: «È certo infelice, perché fa la colazione e il pranzo quando fa comodo ad Alessandro». (VI, 45; 2009, p. 219)
- Durante un convito alcuni gli gettavano le ossa come ad un cane. Diogene andandosene ci orinò sopra, come un cane. (VI, 46; 2009, p. 220)
- Un grosso citaredo era disprezzato da tutti e lodato dal solo Diogene. Gliene fu chiesta la ragione e Diogene rispose: «Perché, pur così grosso, fa il citaredo e non il ladro». (VI, 47; 2009, p. 220)
- A chi gli rimproverava l'esilio, [Diogene di Sinope] rispose: «Ma è per questo, o disgraziato, che mi diedi alla filosofia». Dicendogli un altro che il popolo di Sinope l'aveva condannato all'esilio, «Ed io — replicò — lui a rimanere a casa». (VI, 49; 2009, p. 220)
- [Diogene di Sinope] Definì l'avarizia la metropoli di tutti i mali. (VI, 50; 2009, p. 221)
- Interrogato qual vino bevesse volentieri, [Diogene di Sinope] rispose: «Quello degli altri». A chi gli disse: «Molti ti deridono», replicò: «Ma io non mi derido». (VI, 54; 2009, pp. 222-223)
- Giunto a Mindo, vedendo grandi le porte, piccola la città, [Diogene di Sinope] esclamò: «Uomini di Mindo, chiudete le porte; altrimenti la vostra città se ne esce». (VI, 57; 2009, p. 223)
- [Diogene di Sinope] Paragonava le magnifiche etere ad una mortale miscela di miele. (VI, 61; 2009, p. 225)
- [Diogene di Sinope] Definiva le etere regine dei re, perché i re danno tutto ciò che vogliono le etere. (VI, 63; 2009, p. 226)
- [Diogene di Sinope] Vedendo un arciere inetto, si sedette vicino al bersaglio, dicendo: «Perché non mi colpisca». Diceva che gli amanti chiedono le loro gioie alle pene ed ai disinganni. (VI, 67; 2009, p. 227)
- Alessandro incontratosi con lui gli domandò: «Non hai paura di me?» E Diogene a sua volta: «Che cosa sei? Un bene o un male?» Alessandro: «Un bene». Diogene: «Chi mai dunque ha paura del bene?» La buona educazione, secondo Diogene, per i giovani è moderazione, per i vecchi conforto, per i poveri ricchezza, per i ricchi ornamento. (VI, 68; 2009, p. 227)
- Interrogato quale fosse la cosa più bella tra gli uomini, [Diogene di Sinope] disse: «La libertà di parola». (VI, 69; 2009, p. 228)
- Era solito [Diogene di Sinope] masturbarsi in luogo pubblico e considerare: «Magari potessi placare la fame, stropicciandomi il ventre». (VI, 69; 2009, p. 228)
- L'unica retta costituzione politica secondo Diogene era quella che regola l'universo. (VI, 72; 2009, p. 229)
- [Ipparchia] S'innamorò delle teorie e della vita di Cratete, sprezzando tutti i pretendenti e rimanendo indifferente alla loro ricchezza o nobiltà o bellezza: per lei Cratete era tutto. (VI, 96; 2009, p. 238)
- [...] il Cinismo fu una scuola filosofica vera e propria, e non semplicemente un modo di vivere, come sostengono alcuni. Essi [...] bandirono la logica e la fisica e si dedicarono solo all'etica. (VI, 103; 2009, p. 241)
- Diogene, a chi gli mostrava una meridiana, disse: «È uno strumento utile per non andare tardi a pranzo». (VI, 104; 2009, p. 241)
- Dicono [gli stoici] che il suo primo impulso l'animale lo indirizzi verso la cura di sé, dal momento che sin dal principio la natura lo spinge ad appropriarsi di sé. Come sostiene Crisippo nel primo libro del trattato Sui fini, la prima cosa di cui ogni animale si appropria è la propria struttura e la consapevolezza della stessa. (VII, 85-86; 2015, p. 153)
- Che il cosmo sia un essere animato razionale, dotato di anima e di intelletto lo dicono anche Crisippo nel primo libro del trattato Sulla provvidenza, Apollodoro nella Fisica e Posidonio. Dal momento che è un essere animato, ha una sostanza munita di anima e ha facoltà di sentire. Un essere animato è meglio di un essere inanimato, e niente è meglio del cosmo. Dunque il cosmo è un essere animato. È munito di anima, e lo si capisce con ogni evidenza dal fatto che la nostra anima è un frammento di esso. (VII, 142-143; 2015, p. 147)
- Erillo nacque a Calcedonia. Sostenne che il fine è la scienza, cioè vivere riportandosi sempre al vivere con scienza, senza lasciarsi ingannare dall'ignoranza. (VII, 165; 2009, p. 300)
- Successivamente [Pitagora] venne nel corpo di Euforbo e fu ferito da Menelao. Ed Euforbo diceva che una volta era stato Etalide e che da Ermes aveva avuto quel dono e raccontava le peregrinazioni della sua anima, in quante piante e in quanti animali era migrata e quante sofferenze aveva sofferte nell'Ade e quali le altre anime soffrivano. (VIII, 4; 2009, p. 322)
- Ché Pitagora proibiva non solo di uccidere, ma anche di mangiare gli animali che hanno comune con noi il privilegio dell'anima. Questo fu il pretesto; in realtà, comandava di astenersi dalla carne degli animali, volendo educare ed abituare gli uomini ad un sostentamento frugale, sì che agevolmente si potessero alimentare con cibi che non hanno bisogno di fuoco e soddisfare la sete con acqua semplice; da ciò derivano la sanità del corpo e l'acutezza dell'anima. (VIII, 13; 2009, p. 325)
- Fu un uomo [Pitagora] tanto prodigioso che i suoi discepoli erano detti voci molteplici del dio [...]. (VIII, 14; 2009, p. 325)
- Ahi! Ahi! Perché tanto Pitagora venerò le fave? E morì insieme con i suoi discepoli. V'era un campo di fave: per non calpestarle fu ucciso dagli Agrigentini, in un trivio. (VIII, 45; 2009, p. 335)
- Ippaso, anch'egli pitagorico, nacque a Metaponto. Diceva che il tempo del mutamento dell'universo è definito e che l'universo intero ha confini determinati ed è in perpetuo moto. (VIII, 84; 2009, p. 349)
Citazioni su Diogene Laerzio
[modifica]- Mi dispiace molto che non abbiamo una dozzina di Laerzi, ovvero che egli non sia o più esteso o più inteso. Poiché non guardo con minor interesse le vicende e la vita di quei grandi maestri dell'umanità che la varietà dei loro precetti e delle loro idee. (Michel de Montaigne)
Bibliografia
[modifica]- Aristotele, frammenti stoici, Plutarco, Porfirio, L'anima degli animali, a cura di Pietro Li Causi e Roberto Pomelli, Einaudi, Torino, 2015. ISBN 978-88-06-21101-1
- Diogene Laerzio, Delle vite de' filosofi, a cura di Giovanni Felice Astolfi, Grazioso Percacino, Venezia, 1611.
- Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, a cura di Marcello Gigante, Mondadori, Milano, 2009.
- Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2005. ISBN 88-452-3301-4
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