Adalberto Bortolotti

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Adalberto Bortolotti (1936 − vivente), giornalista sportivo italiano.

Citazioni di Adalberto Bortolotti[modifica]

Guerin Sportivo[modifica]

Citazioni tratte da articoli[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • [Sul campionato di Serie A 1980-1981] La Juventus, adusa in passato a marce trionfali, questa volta si è guadagnata la conquista con sudore proletario. Il suo finale tutto in salita giustifica l'esultanza: questa squadra ha saputo ripetutamente risorgere dalle proprie ceneri, annullare svantaggi apparentemente incolmabili, sotto il profilo tecnico e psicologico. Al traguardo è giunta stremata [...]. Ma proprio l'irriducibilità degli avversari regala toni autentici al trionfo di Trapattoni e soci. Un campionato così accanitamente disputato lascia fatalmente rimpianti e veleni. La Roma, che ha a lungo accarezzato il sogno e se lo è visto svanire nelle battute conclusive, può legittimamente agganciarsi a episodi sfavorevoli. Cosa sarebbe stato se il guardalinee di Bergamo non avesse colto il fuorigioco quanto meno opinabile che ha condotto all'annullamento del gol di Turone, nel rissoso testa-a-testa di Torino? E se il Perugia non avesse lanciato il solo acuto del suo campionato a Fuorigrotta, dove sarebbe arrivato il Napoli-miracolo di Krol e di Marchesi? Gli interrogativi sono leciti, ma è pericoloso giudicare un campionato intero da circostanze singole, sganciate dal contesto. La Juventus ha chiuso il torneo avendo segnato più di tutte [...] e subìto meno di ogni altra [...]. Nel gioco dei confronti diretti ha raccolto cinque punti [...] contro i quattro del Napoli [...] e i tre della Roma [...]. Anche applicando alla testa della classifica il metodo per stabilire la retrocessione (la famosa «classifica avulsa») il risultato non sarebbe cambiato.[2]
  • [Sul campionato di Serie A 1980-1981] [...] la Juventus ha guadagnato questo stressante scudetto con una grandiosa prova di carattere. Già in partenza, presentava una formazione squilibrata, nel senso che le difettava, in organico, una punta di propensioni esclusivamente offensive. Le lunghe rinunce a Bettega hanno poi esasperato la lacuna, costringendo la squadra a stroncanti manovre di aggiramento per portare il maggior numero possibile di uomini in zona-gol. Se, malgrado questo, alla fine è risultata la squadra più prolifica, ciò depone a favore della qualità dei suoi difensori e centrocampisti [...] e della preparazione atletica davvero eccezionale nel complesso. Grande merito di Trapattoni, al quale vogliamo aggiungerne subito un altro. La capacita di tenere in perfetto ordine la sua panchina «lunga». Volta a volta sono mancati Bettega, Causio, Tardelli, Furino, alla fine anche l'inossidabile Cuccureddu: sempre i sostituti sono stati all'altezza del compito. Marocchino, una volta immesso in pianta stabile, è stato forse l'elemento decisivo per freschezza e fantasia. Verza ha risolto la fondamentale partita di Napoli. Prandelli ha surrogato un po' tutti a turno, con esemplare costanza di rendimento.[2]
  • [Sul campionato di Serie A 1985-1986] Mi dicono che l'Olimpico, al novantesimo di Roma-Lecce, ricordava il Maracanà del Cinquanta, quando il Brasile vi aveva appena perduto un Mondiale già vinto [...]. Lo stesso sbigottimento, attonito e silente. Una incredula pietrificazione, dove prima erano entusiasmo e calda attesa del trionfo. La lunga, sbalorditiva rincorsa, le prime timide illusioni, l'aggancio infine concretato giusto al fin della licenza, la prospettiva del sorpasso [...]: i sogni della Roma si erano d'improvviso fatti coriandoli e il ponentino li disperdeva lontano. Così il calcio andava celebrando l'ennesima sublimazione dell'irrazionale. Tutto poteva capitare alla Roma, meno che inciampare su un Lecce rassegnato.[3]
  • Nella brutale, ma ormai inevitabile e irreversibile, logica del calcio, i rapporti sportivi sono andati sfumando in dissolvenza. C'è un imprenditore che investe in modo massiccio e affida questa sua operazione finanziaria a un tecnico, l'allenatore appunto, pretendendo risultati pari alle risorse impiegate. Ove ciò non avvenga, è nel suo pieno diritto procedere a un ricambio al vertice, esattamente come un editore sostituisce il direttore di giornale che non è in grado di assicurare il successo del prodotto. Gli allenatori sanno così bene quello che li aspetta, che hanno ormai portato i loro compensi a limiti irreali, in ogni caso sicuramente sproporzionati alla loro possibilità di incidere, nel bene e nel male, sul destino delle squadre avute in consegna. Quei favolosi, o scandalosi, stipendi sono in realtà un'assicurazione contro i capricci dei dirigenti; o, se preferite, la copertura per un eventuale ruolo di capro espiatorio, liberamente sottoscritto all'inizio del rapporto.[4]
  • Le grandi squadre nascono attorno ai grandi attaccanti e il dilagante Gianluca Vialli [...] può veramente diventare il Riva degli Anni Novanta. Così sia.[5]
  • [Su Claudio Garella] [...] portiere discusso soltanto da chi confonde il ruolo con le leggiadre movenze degli efebi. Garella non si libra con grazia, né recita a beneficio della telecamera: ma oppone ogni parte del corpo alle ingiurie nemiche [...] senza la consolazione di aver debellato la diffidenza dei critici. Ma credo che se ne crucci il giusto, cioè poco più di niente.[6]
  • [Sulla Juventus Football Club 1949-1950] Stagione 1949-50, la prima dopo la scomparsa del Grande Torino. La Juventus eredita l'ideale testimone dai cugini granata e prolunga il dominio della città. È un campionato straordinario, nel quale al Milan non bastano i 118 gol segnati, né la clamorossa vittoria per 7-1 in casa della capolista, per artigliare lo scudetto. La Juventus, sotto la guida tecnica dell'inglese Jesse Carver, abbina la perfezione nordica dei danesi John Hansen e Praest con il talento latino di Rinaldo Martino, fuoriclasse d'Agentina, con le qualità emergenti di un campione nostrano, il biondo ventunenne Giampiero Boniperti. Senza dimenticare i Parola e i Muccinelli: un autentico squadrone. [...] Quella Juve vinse lo scudetto con 62 punti, 100 gol segnati [...], tutti i cinque attaccanti in doppia cifra.[7]
  • [Sulla Juventus Football Club 1964-1965] Nel campionato 1964-65 [...] Madama è affidata al ruvido paraguagio Heriberto Herrera e non pratica certo uno scintillante gioco offensivo. Il grande e bizzoso Sivori è sovente escluso dall'inflessibile tecnico, che a fine stagione imporrà la partenza di Omar [...]. È la Juve proletaria, ben simboleggiata dall'instancabile Luis Del Sol, detto il postino.[7]

Signora si alzi!

Guerin Sportivo nº 10 (684), 9-15 marzo 1988, pp. 12-16.

  • [Sulla Coppa Italia] [...] puntuale refugium peccatorum per chi ha fallito la stagione, sul fronte interno e internazionale.
  • [...] il calcio italiano non può fare a meno di una Juventus di vertice. Il resto è favola.
  • L'unica reale colpa della Juventus sta nei suoi [...] scudetti vinti, nell'abituale leadership esercitata sui campionati, sicché quella che per ogni altra squadra di vertice è una normalissima pausa di riflessione, un'annata di transizione fra vecchi e futuri successi, nel caso della Juventus diventa un'accusa infamante. Condannata a vincere sempre e comunque – salvo poi ad essere crocefissa dalla critica per questa sua tendenza razziatrice – la Juventus non può concedersi un solo attimo di respiro È il destino dei forti, e la Juve serenamente lo accetta.

Juve rischiatutto

Guerin Sportivo nº 21 (1047), 24-30 maggio 1995, pp. 6-7.

[Sulla Juventus Football Club 1994-1995]

  • [...] una Juve spericolata, non tanto nella disposizione tattica, ma piuttosto nella mentalità. È uno dei segreti di questo scudetto, non proprio scontato [...] in sede di pronostico. Marcello Lippi, al suo primo tricolore, ha modellato una squadra atipica, dal punto di vista delle strategie di gioco. Difesa tradizionale, con un libero staccato alle spalle dei compagni di reparto, due marcatori e un fluidificante. Centrocampo a tre e tridente in attacco. Ne sarebbe sicuramente derivato un fatale sbilanciamneto senza la dedizione di tutti al sacrificio e al mutuo soccorso. In particolare le due punte di movimento, Vialli e Ravanelli, si sono sfiancate in un massacrante lavoro di appoggio, iniziando esse stesse il pressing sui propri controllori. Il terzo attaccante, che potremmo definire di fantasia, prima del Piero poi Roberto Baggio, ha rifinito con tranquillità, a favore di compagni così solleciti e abili nello smarcamento.
  • L'arma segreta è stata la panchina lunga e il suo formidabile rendimento. [...] In linea col calcio moderno, la Juventus si è articolata non su undici, ma su diciotto-venti giocatori: anche così si spiega la sua straordinaria freschezza al termine di una stagione impegnativa su tutti i fronti.
  • Certo, non si vince senza i fuoriclasse. E questa Juve ne ha avuti almeno tre, lo splendido Paulo Sousa, sublime orchestratore, nonché Vialli e Baggio riportati agli antichi splendori (specie il primo, che si temeva perduto). Ma il genio dei solisti è sempre stato posto, diligentemente, al servizio della squadra e non viceversa. Questo è stato il decisivo capolavoro di Marcello Lippi.

Qual è la Juve più bella?

Guerin Sportivo nº 22 (1048), 31 maggio – 6 giugno 1995, pp. 12-15.

  • [Sulla Juventus Football Club 1949-1950] La prima Juve che ho in mente è quella che raccolse il testimone dal Grande Torino, all'inizio degli Anni Cinquanta. Proprio il rogo di Superga, che nel 1949 cancellò l'invincibile squadra granata, indusse Gianni Agnelli a costruire una formazione in grado di mantenere a Torino la supremazia calcistica nazionale. C'erano già campioni affermati in maglia bianconera: l'acrobatico centromediano Carlo Parola, il giovanissimo centravanti Giampiero Bonierti, la guizzante aletta romagnola Muccinelli, il solido terzino Manente. Dalla Lucchese arrivarono il portiere Viola e il terzino Bertuccelli, ai lati di Parola vennero collocati il cremonese Mari e il romano Alberto Piccinini; in attacco il fuoriclasse danese John Hansen, stella delle Olimpiadi del '48 a Londra, fu raggiunto dal connazionale Praest e dal talento argentino Rinaldo Martino [...]
  • [Sulla Juventus Football Club 1949-1950] A quei tempi non ci si badava, ma era una Juventus all'avanguardia anche in chiave tattica, sotto la guida dell'inglese Jesse Carver. In fase difensiva, infatti, il mediano Mari retrocedeva in copertura consentendo a Parola di fungere da battitore libero e quindi da ultimo baluardo. Era soprattutto una Juventus spettacolare e dalle devastanti potenzialità offensive. John Hansen, uno dei più grandi colpitori di testa di ogni tempo, era un attaccante nato, goleador dalle terrificanti medie realizzative e anche il primo Boniperti col gol ci andava a nozze. Muccinelli pendolava sulla destra, ricamando cross al bacio, mentre Praest era un tipico attaccante esterno, dal dribbling irresistibile e dal sinistro bruciante. Quella squadra vinse lo scudetto del Cinquanta segnando cento gol in trentotto partite [...]. Calcio d'altri tempi, certamente, ma anche calcio sopraffino, con quei due danesi che univano il nerbo atletico alla grande padronanza dei fondamentali tecnici e con Martino, purtroppo presto vinto dalla nostalgia, in grado di deliziare con numeri da funambolo. Il ricordo, si sa, ingigantisce i contorni, ma ancor oggi quella Juve mi appare una squadra di marziani.
  • [Sulla Juventus del Trio Magico] Dieci anni dopo, Boniperti era una mezzala di grande carisma e dalla perfetta visione di gioco, il padrone di una formazione in grado di vincere due titoli consecutivi ('60 e '61) segnando rispettivamente 92 e 80 gol in 34 partite [...] Charles era un gallese grande e grosso, una forza della natura, buono come il pane. Sivori un genio perverso del pallone, un Maradona ante litteram, con il piede sinistro toccato dalla grazia. Un campione beffardo, istrionico, malizioso, ma grandissimo. Un goleador straordinario. In coppia, quei due stranieri, sotto lo sguardo vigile di un Boniperti sacro custode degli equilibri tattici, fecero meraviglie. Forse la squadra era un po' sbilanciata, nel senso che la difesa non valeva l'attacco, come valori individuali. Ma poteva consentirsi di prendere qualche gol in più del dovuto, i conti tornavano sempre. E poteva consentirsi anche di cambiare allenatori come i fazzoletti, tanto erano loro, i fuoriclasse in campo, a risolvere i problemi.
  • [Sulla Juventus Football Club 1976-1977] Erano scomparse le vedettes straniere, consunte dalla lunga autarchia imposta dalla federazione. Una Juventus che aveva rinunciato anche alla sacra figura del regista centrale [...] per affidarsi a un centrocampo di cursori e di guerrieri. Il mitico Dino Zoff in porta, il magico Gaetano Scirea libero e poi Morini detto Morgan stopper, Cuccureddu e Gentile terzini di fascia, Furino, Benetti e Tardelli a formare un centrocampo temprato nell'acciaio, il fantasioso «barone» Causio a inventare calcio per i due terminali dell'attacco, il ringhioso Boninsegna, avanti negli anni ma più che mai irriducibile, e l'elegante Bettega, il principe dei palloni alti, finissimo equilibratore tattico in grado di sdoppiarsi nelle funzioni di goleador e di rifinitore avanzato. È la Juventus più equilibrata che io ricordi, certamente meno spettacolare [...], senza primedonne condizionanti, però con un tasso medio elevatissimo, senza punti deboli. Con meccanismi perfetti, la copertura di Furino per le avanzate di Scirea, gli interscambi fra Benetti e Tardelli. E se c'era da battersi in trincea, nessuno tirava indietro il piede, potete scommetterci.
  • [Sulla Juventus Football Club 1983-1984] Dopo il vittorioso Mundial dell'82, cui aveva in gran parte contribuito, la Juventus formò una squadra stellare. Non vinse subito, perché il calcio non è matematica, è piuttosto chimica, cioè fusione di elementi diversi, che non sempre riesce al primo colpo. Ma certo, quella squadra regalò momenti di grandissimo calcio, dentro e fuori i confini. Ripassiamola. Il moschettiere Tacconi in porta, [...] Scirea libero [...] in coppia col granatiere Brio; la premiata ditta Gentile-Cabrini sulle fasce; il maratoneta Bonini a sorreggere, col suo inesausto podismo, un centrocampo che aveva le sue stelle in Tardelli, Platini e Boniek. Paolino Rossi al centro dell'attacco, in coppia [...] col lungo Penzo. Squadra dai valori non omogenei, concentrato di stelle (il divino Platini su tutti) più che collettivo granitico, però irresistibile nelle giornate di vena [...]

L'angelo diabolico

Guerin Sportivo nº 34 (1059), 23-29 agosto 1995, pp. 40-43.

[Su Omar Sívori]

  • [...] il geniale monello, l'uomo dal colpo decisivo e vincente, un irresistibile narciso. Quando seppe far coincidere i suoi personali interessi con quelli della squadra, Sivori si innalzò fra i più grandi di ogni tempo e paese, perché nulla gli mancava, sul piano della tecnica, e in più aveva grinta e presunzione sufficienti per non tollerare angherie. Un numero dieci ideale anticipatore di Maradona, ma ancor più di Diego vocato al gol.
  • Sivori gioca per vincere, ovviamente, ma non soltanto. Vuol divertire il pubblico, i cui applausi sono la sua droga, e vuole mortificare l'avversario. Per questo il suo numero preferito, il suo insuperabile pezzo di bravura, è il tunnel. Quei difensori truculenti e massicci che gli si piazzano davanti a gambe larghe, per intimorirlo, vengono umiliati dal pallone che lo svelto argentino fa loro filtrare fra i due piedi, per poi raccoglierlo alle loro spalle.
  • Non gli basta il gol qualsiasi, lo vuole sempre memorabile. Piomba davanti al portiere e finge di allungarsi troppo il pallone, sino a farlo arrivare davanti alla mano protesa; poi, fulmineo, con la suola della scarpa lo richiama a sé e lo fa entrare, lentissimo, in porta. I suoi gol sono sberleffi irriverenti, che mandano in sollucchero gli ammiratori e imbestialiscono gli avversari.
  • Sivori è stato [...] il re dell'eccesso, il fuoriclasse sempre sopra le righe. Come goleador, pochi hanno avuto la sua fantasia, al limite del perverso, la sua freddezza e la sua precisione. Quando il gol è arte, una frase fatta e banale che con Sivori diventò concreta realtà.

Editoriali[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • [Sulla Coppa Italia 1982-1983] La Coppitalia, ribellandosi al ghetto dove ci si ostina a confinarla, auscipe anche una formula scopertamente commerciale, ha proposto una fase conclusiva densa di fremiti. Ne è stato protagonista il Verona, che ha eliminato prima Milan e poi Torino grazie a esaltanti rimonte in campo esterno. Quando ormai si approssimava ad assaporare l'inedito trionfo, ha dovuto inchinarsi alla rabbia di rivincita della Juventus, ferocemente protesa all'ultimo traguardo – sia pure di consolazione, rispetto a quelli mancati – che la stagione le proponeva. I centoventi minuti di Torino sono stati la totale distruzione di un vecchio luogo comune, che voleva il calciatore italiano negato agli sforzi prolungati, vuoto di energie fisiche e nervose quando gli impegni tendono ad assommarsi. Centoventi minuti da incorniciare, un Verona bello e coraggioso, una Juventus spaventosamente concentrata, un Platini inimitabile mattatore.[8]

Roma stregata

Guerin Sportivo nº 23 (492), 6-12 giugno 1984, p. 3.

[Sulla finale della Coppa dei Campioni 1983-1984]

  • Ad Atene fu la tempratissima Juventus a squagliarsi davanti all'Amburgo; aveva già archiviato mentalmente la vittoria, quel gol di Magath fu un affronto che la lasciò attonita e incapace di una reazione adeguata.
  • All'Olimpico, sul prato di casa, [...] la Roma ha subito un sollecito oltraggio: alla botta di Neal [...] ha saputo però replicare con una splendida prodezza combinata di Conti e Pruzzo. Ma lì l'incontro si è congelato. Gli inglesi, a parer mio, erano cotti [...] e mascheravano una condizione atletica calante con grande spavalderia di palleggi e meline, un gioco pieno di sussiego quasi a dire: non stuzzicatemi, se no vi travolgo. La Roma mancava dell'uomo che sapesse sospingerla all'iniziativa con il suo carisma e il suo superiore senso tattico. Falcao era in vacanca [...] nel momento più importante della stagione. Non è un'accusa ma una doverosa constatazione.
  • Quando la partita approdava alla roulette russa dei calci di rigore, esattamente là dove il Liverpool l'aveva condotta ([...] non avendo la forza di metter sotto l'avversario, gli inglesi avevano scelto questo malizioso «bluff» e la Roma non se l'era sentita di andare a scoprirlo), soltanto un miracolo poteva salvare i giallorossi. Dei loro rigoristi abituali, ben tre erano fuori causa. [...] Restava Di Bartolomei, restava il prode Righetti, e poi? Falcao declinava l'incarico, né Liedholm poteva assumersi la tremenda responsabilità (è facile parlare a cose fatte) di mandare sulla piazzuola di tiro un giocatore mentalmente già predisposto all'errore. Ha preferito affidarsi al cuore di Ciccio Graziani e al sinistro tante volte fatato di Bruno Conti. L'uno e l'altro hanno ciccato e il Liverpool si è cinto del suo quarto titolo europeo.
  • Quella stessa critica che con una buona dose di incoscienza, unita alla cronica disinformazione per quanto accade fuori dei confini, aveva eletto la Roma a favorita indiscutibile del confronto, si è poi segnalata in una feroce stroncatura della prova dei giallorossi, a mio avviso ammirevoli [...] per essersi battuti alla pari contro rivali incomparabilmente più attrezzati al clima particolare di questi appuntamenti. [...] C'era poi chi scopriva, il 30 maggio 1984, che il Liverpool non pratica il tradizionale gioco all'inglese. Ma, amici miei, è proprio per questo che in patria, da anni, vince tutto o quasi. Perché alla scontata furia britannica oppone una strategia raffinata, soluzioni tattiche d'avanguardia, capacità di cambiar volto a seconda dell'avversario. Liedholm lo aveva ben radiografato e, sapendo di non poterlo spezzare, lo aveva intanto bloccato. Il destro di giocarlo [...] doveva offrirglielo o il genio di una superiore individualità o la fortuna. Invece, Falcao lo ha «tradito» e la sorte gli si è addirittura voltata contro. Così [...] Roma paga il suo amaro tributo a una Coppa stregata.

Lettere al direttore – rubrica[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Io credo che uno dei segreti dei successi juventini, sia proprio questa «demonizzazione» che dei bianconeri fanno le tifoserie avversarie. La Juve può essere battuta [...] se la si affronta senza complessi. Ma quando è lei a vincere, non si può liquidare la questione, dicendo che era tutto prestabilito nelle alte sfere. (Viola delusa)[9]
  • Ci sono sport la cui popolarità e il cui gradimento presso il pubblico si misurano con dati di fatto incontrovertibili: il numero degli spettatori paganti, l'entità dell'incasso. [...] Il ciclismo fa eccezione. Le sue manifestazioni più importanti e più amate si svolgono su strade aperte, in linea con l'anima popolare di questa disciplina antica. Strade normalmente affollate, e non credo soltanto per la gratuità dello spettacolo. C'è chi si sobbarca a impervi trasferimenti e a una notte all'adiaccio per assistere alle fasi decisive, in montagna, del Giro d'Italia: penso che non sarebbe frenato da un eventuale prezzo d'ingresso. [...] Il ciclismo avrà sempre un «suo» pubblico, affezionato e ostinatamente fedele. (Il ciclismo)[10]
  • [Sullo sport nella Repubblica Democratica Tedesca] [...] la Germania Est è stata la prima nazione ad affrontare i problemi dello sport su basi scientifiche, ponendosi chiaramente all'avanguardia per sistemi di allenamento, di alimentazione, di selezione. D'altra parte il suo «miracolo sportivo» si esprime nelle discipline in cui è possibile «costruire» il campione. Mentre in certi giochi di squadra (il calcio, per esempio) malgrado sforzi massicci e continuati, non è ancora riuscita a sfondare al massimo livello, a parte saltuari exploits. (RAI e atletica)[11]
  • Ormai siamo al punto che la sconfitta della squadra «odiata» arreca esultanza assai maggiore che la vittoria di quella del cuore: e sollecita a cortei, a pubbliche dimostrazioni, a improvvisi proselitismi per gli stranieri di turno che hanno avuto il gran merito di battere una formazione italiana. Si passa dal «Danke schön, Magath» al «Thank you, Liverpool» e io ho l'impressione che, fuori dei confini, ridano assai di queste italiche stranezze, perché non mi risulta che a Manchester, per dire, i fans del City abbiano sfilato con cartelli di «Grazie, Juve» dopo che i bianconeri avevano eliminato l'United; o che a Lisbona i tifosi del Benfica abbiano ugualmente inneggiato a Vignola e Boniek per la sconfitta del Porto in Coppa delle Coppe. Ma ormai così va il mondo del calcio, qui da noi. Trasmissioni televisive ipocrite, col proclamato intento di pacificare gli animi, in realtà distillano il germe perverso della discordia, accentuando le divisioni, alimentando i rancori. Chi si presta al gioco, cosciente o no, contribuisce a questa anomala situazione, per cui in Italia ogni incontro internazionale di club vede ormai massicce correnti di tifo convogliarsi in partenza sulla squadra straniera. [...] è troppo pretendere un ritorno all'equilibrio da parte dei rispettivi sostenitori? (Il contro-tifo)[12]

Note[modifica]

  1. Citato in Marco Sappino (a cura di), Dizionario del calcio italiano, Baldini & Castoldi, Milano, 2000, p. 108.
  2. a b Da Juve. E così sia, Guerin Sportivo nº 22 (339), 27 maggio – 2 giugno 1981, p. 7.
  3. Da Ci resta la Juve, Guerin Sportivo nº 17 (588), 23-29 aprile 1986, p. 3.
  4. Da Incredibile ma Verona, Guerin Sportivo nº 16 (638), 15-21 aprile 1987, pp. 6-9.
  5. Da La speranza fa Novanta, Guerin Sportivo nº 25 (647), 17-23 giugno 1987, pp. 6-7.
  6. Da La padrona in rosso, Guerin Sportivo nº 9 (683), 2-8 marzo 1988, pp. 6-10.
  7. a b Da Scopa di sette, Guerin Sportivo nº 6 (932), 10-16 febbraio 1993, pp. 22-23.
  8. Da Gli ultimi fuochi, Guerin Sportivo nº 26 (444), 29 giugno – 5 luglio 1983, p. 3.
  9. Guerin Sportivo nº 31 (449), 3-9 agosto 1983, p. 4.
  10. Guerin Sportivo nº 36 (454), 7-13 settembre 1983, p. 4.
  11. Guerin Sportivo nº 36 (454), 7-13 settembre 1983, pp. 4-5.
  12. Guerin Sportivo nº 26 (495), 27 giugno – 3 luglio 1984, pp. 4-5.

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