Gino Paoli

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Gino Paoli nel 2010

Gino Paoli (1934 – vivente), cantautore e musicista italiano.

Citazioni di Gino Paoli[modifica]

  • "Censura" è una parola che ha evocazioni dittatoriali, eccetera, e con questo si elimina. Ma censura è anche una tua capacità di rispetto per la persona che hai davanti, di rispetto per tuo figlio, per tua moglie... Io in casa di mia madre non dico parolacce, perché? Per rispetto a mia madre.[1]
  • [...] distribuisco inquietudini, solletico dubbi, pongo domande. Perché il vero compito dell'artista è quello di attivare le idee e di dare un calcio in culo alle coscienze, affinché riprendano a muoversi autonomamente.[2]
  • [Su Genova] È una città dal carattere difficile da descrivere. Gelosa, riservata. Scoprirla è un'impresa ostica. Probabilmente tutti gli artisti hanno bisogno di avvertire una compressione, una forza che costringe ad accumulare e accumulare fino alla deflagrazione, e in questo Genova non si risparmia. Ti tiene a distanza, è antipatica: Paolo Conte nella canzone Genova per noi l'ha descritta benissimo da un punto di vista esterno, di «forestiero».[3]
  • Genova è una citta da dove si è sempre partiti, e da dove si continua a partire. Una volta si partiva per mare, adesso i genovesi partono con la fantasia. Diventare artisti, in qualche maniera, è la sola opportunità che resta al genovese per esprimersi, per cercare di realizzarsi e per avere una ragione di partire. Genova è una città priva di rapporti umani, dove anche i genovesi – se non fanno parte di certe caste – si sentono forestieri. Scrivere poesie, comporre musica è l'unico spazio a portata dei giovani che riserva questa assurda e nello stesso tempo bellissima città. Una città che si odia, ma che si fa anche amare![4]
  • Genova sarà una città che andrà avanti quando i genovesi non faranno più questione di quartiere, di Genoa e di Sampdoria. Non capisco il fanatismo e non me ne frega niente d'inimicarmi della gente dicendo così.[5]
  • [Su Piero Ciampi] Ho sempre creduto che fosse quello che valeva più di tutti noi, il più poeta, il più lirico, il più artista, il più folle.[6]
  • I genovesi sono brutta gente: mercanti, refiosi, diffidenti... [...]
    Il vecchio genovese aveva una tonnellata di difetti: non aveva capacità di rapporto, non sapeva trattare l'ospite ecc., ma aveva anche tanti pregi: adesso gli è rimasta soltanto quell'incapacità d'innovazione, d'imprenditoria; il genovese non tira fuori una lira neanche se l'ammazzi e questo gli è rimasto, è la cosa peggiore che aveva e gli è rimasto quello. [...]
    D'altra parte invece io sono profondamente genovese per quanto riguarda la parola data: del genovese ti potevi fidare, questo sicuramente, e mi sembra una cosa talmente positiva che copre tutti i difetti che ci sono... che c'erano e che ci sono. Questa è la cosa che mi manca di più; mi manca questa serietà vera: quando un genovese ti dà la sua parola, "a l'é quélla, e no gh'é nìnte da fâ".[7]
  • Il ricordo di Boccadaze e di quando ci vivevo in mezzo alla gente che preferisco, la gente chiusa e sincera, semplice e scorbutica che mi assomiglia. Ricordi di maccaja vissuta nei bar a giocare, o di libeccio, quando non si può andare a pescare e si diventa per forza gente di terra.[8]
  • [...] in una città immobile come Genova, la fantasia si muove con più violenza, ti viene voglia di fuggire incontro al mondo, per inventarti un dimensione esclusivamente tua.[9]
  • Io Genova la amo e la odio ed è giusto che sia così: se nell'amore non c'è una quota d'odio, vuol dire che qualcosa non funziona.[3]
  • Mia moglie mi dice di uscire, ma per incontrare in giro degli imbecilli preferisco starmene qui.[10]
  • Ogni suicidio è diverso, e privato. È l'unico modo per scegliere: perché le cose cruciali della vita, l'amore e la morte, non si scelgono; tu non scegli di nascere, né di amare, né di morire. Il suicidio è l'unico, arrogante modo dato all'uomo per decidere di sé. Ma io sono la dimostrazione che neppure così si riesce a decidere davvero. Il proiettile bucò il cuore e si conficcò nel pericardio, dov'è tuttora incapsulato. Ero a casa da solo. Anna, allora mia moglie, era partita; ma aveva lasciato le chiavi a un amico, che poco dopo entrò a vedere come stavo.[11]
  • [Perché proprio a Genova nasce la canzone d'autore italiana?] Perché è una città bellissima e avara, che ti comprime, non ti dà nulla. Sicché ti mette dentro una gran rabbia, una voglia matta di esplodere. E di andare altrove, per cercarvi i riconoscimenti che lei ti nega.[12]
  • Questa [Genova] è una città che se tu la mantenessi pulita, libera dalla porcheria di tutti i giorni, anche dalla porcheria umana, sarebbe una città dove veramente un turista – senza fare pubblicità – farebbe dei giri e soprattutto anch'io ci andrei volentieri. Così, se entri nei vicoli, vedi il degrado.[13]
  • [...] se lo sguardo del suo mare non finisce sul tuo corpo, se non dondola il tuo sonno sulla samba delle onde, Genova non è la mia città; non è più grigia come il vento che gonfia il cuore al marinaio... Genova non è la mia città: il ricordo delle squadre che da piccolo vedevo con mio padre, di Boccadasse, quando ci vivevo con la gente che preferisco, la gente chiusa e sincera, semplice e scorbutica, che mi assomiglia; ricordi di maccaja vissuta nei bar a giocare, o di libeccio, quando non si può andare a pescare e si diventa per forza gente di terra; degli amici che non conosco, perché se sono liguri, devono essere amici. Nostaglia di ritrovare il paese che hai amato e che non hai smesso di amare, di amare e di odiare, perché Genova è come un'amante bellissima e orribile, grigia e colorata, santa e puttana, tenera e crudele, viva e spenta, calda e gelida, acqua e vento, bianco e nero, amore e odio, e io non so dimenticarmela.[14]
  • Una volta avevamo politici che facevano affari. Oggi abbiamo affaristi che fanno politica.[15]
  • [Presentandolo durante A Gino Paoli del 19 agosto 1977] Vorrei presentarvi un amico che è venuto a trovarmi e che mi diverte. Mi diverte perché è l'erede di un certo tipo di nonsense, di marinetterie, del surrealismo più antico. Si chiama Rino Gaetano.[16]

Dall'intervista «Mancano cantautori ribelli»

di Gloria Pozzi, Corriere della sera, 28 ottobre 2001

  • [...] Il sistema dell'informazione e il mondo in generale che pompa chi va su per poi fare di tutto per buttarlo giù, e quindi gettarlo nella spazzatura facendo infine finta che non sia mai esistito.
  • Bindi e Lauzi, per esempio. Quando Lauzi sostiene d'essere stato dimenticato dal Premio Tenco perché vota a destra dice la verità. Prova ne è che litigai con gli organizzatori perché non volevano saperne di dare il premio alla carriera a Charles Trenet. Mi dissero che era impossibile perché Trenet aveva sostenuto il governo di Vichy. Eppure lui era e resterà il numero uno del cantautorato, il massimo assoluto per parole e musica. Meglio di Brassens e di Cole Porter. È come non leggere "Viaggio alla fine della notte" di Céline, opera fondamentale della letteratura moderna, perché era fascista. A me che uno sia comunista o musulmano della jihad non importa: mi interessa l'opera.
  • Elisa crede in quello che fa, è una testarda come noi cantautori che ci siamo fatti amare negli anni ' 60 sostenendo a tutti i costi le nostre idee.

Dall'intervista Gino Paoli: "Ci serve una dittatura illuminata"

di Stefano Mannucci, Il tempo.it, 22 gennaio 2009

  • [Riferendosi alla canzone Il cielo in una stanza] La storia della puttana non va giù ai romanticoni. Ma mica era come oggi. Quando ero ragazzo queste signorine ti svezzavano, ti coccolavano. Una di loro, un giorno, mi diede una sberla. Avevo rimediato brutti voti in pagella e si incazzò. Avrò avuto quindici anni.
  • L'importante è di non fingere di averle capite, le donne.
  • Sono rimasto fuori dal corteo. La ricerca della comodità, del benessere materiale, porterà la nostra società in un baratro definitivo. Non sappiamo più come alimentare il consumismo, mentre pian piano ci erodono la nostra individualità.
  • A Pegli c'era una scritta sul muro: "Anarchico e comunista". Io ridevo: che cazzo voleva dire? È una colossale contraddizione.
  • Il limite della democrazia è che tutti chiacchierano e nessuno governa davvero.
  • La società si fonda sulla paura, sui "mostri" immaginari che castrano la personalità.
  • [Su The X Factor] Per realizzare il sogno di uno si distruggono quelli di altri cento. È un gioco crudele, un'esecuzione di massa della speranza.

Dall'intervista «La cifra dell'esistenza? Le donne»

di Michela Proietti, Corriere della Sera, 18 giugno 2009

  • Dalle donne ho avuto molto perché quelle che ho amato erano tutte straordinarie, chissà se avessi incontrato una stronza...
  • È bello non rinnegare la vita vissuta. Prima pensavo che avrei fatto meglio a non drogarmi, oggi so che anche quello è servito, farsi non aiuta granché, ma l'ho capito solo più tardi.
  • Vivo pensando che c'è ancora tanto tempo davanti, Zavattini a 84 anni diceva di tenere i libri più belli da leggere per gli anni che sarebbero venuti.

Dall'intervista Paoli: «Questi miei 50 anni tra cieli e cadute»

di Andrea Pedrinelli, Avvenire, 23 novembre 2009

  • Un artista è anche uno che non riesce ad aprirsi.
  • L'arte è bisogno.
  • Condannare e basta implica che possa ripetersi.
  • Non credo affatto che tutto finisca con me. Perciò, mi batto per un mondo migliore di come l'ho trovato.
  • La cultura crea individui, l'industria vuole la massa.

Citazioni tratte da canzoni[modifica]

Gino Paoli[modifica]

Etichetta: Italdisc, 1960.

  • C'era una volta una gatta | che aveva una macchia nera sul muso | e una vecchia soffitta vicino al mare | con una finestra a un passo dal cielo blu. || Se la chitarra suonavo, | la gatta faceva le fusa ed una | stellina scendeva vicina, vicina | poi mi sorrideva e se ne tornava su. (da La gatta, lato B, n. 1)
  • Quando sei qui con me | questa stanza non ha più pareti | ma alberi, alberi infiniti. | Quando sei qui vicino a me | questo soffitto viola | no, non esiste più... | Io vedo il cielo sopra noi. (da Il cielo in una stanza[17], lato B, n. 7)
  • Suona un'armonica: | mi sembra un organo | che vibra per te e per me | su nell'immensità del cielo. (da Il cielo in una stanza[17], lato B, n. 7)

Basta chiudere gli occhi[modifica]

Etichetta: RCA, 1964.

  • Che cosa c'è... | c'è che mi sono innamorato di te, | c'è che ora non mi importa niente | di tutta l'altra gente, | di tutta quella gente che non sei tu. (da Che cosa c'è, lato A, n. 1)
  • Che cosa c'è... | c'è che mi sono innamorato di te, | c'è che ti voglio tanto bene | e il mondo mi appartiene, | il mondo mio che è fatto solo di te. (da Che cosa c'è, lato A, n. 1)
  • Come ti amo | non posso spiegarti, | non so cosa sento per te | ma se tu mi guardi | negli occhi un momento | puoi capire anche da te. (da Che cosa c'è, lato A, n. 1)
  • Sapore di sale, | sapore di mare, | che hai sulla pelle, | che hai sulle labbra, || quando esci dall'acqua | e ti vieni a sdraiare | vicino a me, | vicino a me. (da Sapore di mare, lato B, n. 1)
  • Qui il tempo è dei giorni | che passano pigri | e lasciano in bocca | il gusto del sale. (da Sapore di mare, lato B, n. 1)

Matto come un gatto[modifica]

Etichetta: WEA Speedway, 1991.

  • Eravamo quattro amici al bar | che volevano cambiare il mondo, | destinati a qualche cosa in più | che a una donna ed un impiego in banca. (da Quattro amici, n. 1)

Storie[modifica]

Etichetta: Sony BMG, 2009.

  • E il male lo afferrò proprio nel cuore | come succede con il primo amore | e lei allora lo prese tra le braccia | con le manine gli accarezzò la faccia | così per sempre si addormentò per riposare | come un bambino stanco di giocare. (da Il pettirosso, n. 4)

Sapore di note[modifica]

Incipit[modifica]

Alcuni anni fa uno dei pochi veri amici che ho, Arnaldo Bagnasco, mi chiamò per informarmi che voleva scrivere un libro su di me. «Dobbiamo vederci», fa, «e parlare un bel po'». «Passiamo notti intere e albe a raccontarci di tutto da che eravamo ragazzi, che cosa dirti che già non saprai?». Finii per dargli retta. Venne a cena a casa mia e cominciammo. Se io ricordavo un fatto vissuto insieme, lui interveniva raccontando un dettaglio che ne evocava un altro a me e avanti così, passandoci una palla che avrei creduto a scacchi bianchi e neri. Invece era di tanti colori, che cambiavano rotolando come fosse stata fotosensibile. Ricordavamo un'esperienza comune in due modi diversi, che parlando ne creavano un terzo, un quarto e avanti finché non finiva il whisky. Mi guardo le spalle, perché non so mai che cosa aspettarmi dal passato. E c'è chi vorrebbe leggere il futuro!

Citazioni[modifica]

  • A Genova non si corrono tanti pericoli quanto se si è, semplificando, «buoni». Lungo tutto l'arco sociale, dagli strati più popolari ai salotti migliori della Genova bene, si può star certi di restar tagliati fuori se si cerca di proporre un'alternativa morbida alla legge della giungla. È un mondo difficile, inasprito quanto irrobustito da una toponomastica che non lascia vie di fuga. Basta ascoltare i racconti dei ragazzi pestati a sangue al G8 per capirlo. (p. 14)
  • Genova è una città stramba, ti fa diventare ciclotimico se trascuri lo sfogo della fantasia. Diciamo il vero: crescere in un posto fatto come Genova mi ha reso «creativo» per necessità, l'arte per me è diventata un'esigenza come la traspirazione, il ricordo della faccia di mio padre quando il nonno gli strappava via la maschera coi suoi racconti, vivere vicino all'acqua. (p. 41)
  • [...] E quando il fato si accanisce Genova diventa un cul de sac, schiacciata com'è tra le montagne e il mare in un reticolato di carruggi, stradine talmente strette che non puoi nemmeno fare il Cristo in croce perché se allarghi le braccia ti graffi le mani contro i muri esterni delle case. (p. 42)
  • Lo scirocco, che in dialetto diciamo macaia – termine amabilmente usato da Paolo Conte in una canzone a noi diretta –, qua determina una condizione climatica estremamente fastidiosa. È un vento che altrove può portare sì una certa vischiosità dell'aria e una nebulosità diffusa, ma a Genova acquista un potere speciale. Ferma le cose. Genova diventa una città immobile. Cioè, la gente va in giro, guida, passeggia, lavora e mangia, sembra tutto normale, invece dentro è paralizzata. Surgelata. La cappa di umido ti trasforma la testa in un'incudine e il tuo riparo è abbassare le emozioni fino allo zero termico. Poi passa e ricominci a vivere davvero, ma l'effetto di quelle ore o giorni a bagnomaria ti è rimasto nel Dna e ti ha strutturato certi tratti del carattere. (pp. 42-43)
  • Genova è una città che ti comprime, ti chiude in cantina a fermentare fino a sentirti una bombola di gas surriscaldato, finisce che esplodi e diventi un Beppe Grillo o un Renzo Piano [...] (p. 43)

Citazioni su Gino Paoli[modifica]

  • Si era sparato, ma non era morto, Gino. Era cazzuto, ma all'improvviso faceva strani discorsi. Una volta, in macchina, a metà tra lo scherzo e l'intenzione seria, disse: "Quasi quasi sterzo e mi butto nel burrone". Lo guardai con preoccupata dolcezza: "Ma quale burrone? Al massimo gettiamoci nel burro". (Alfredo Cerruti)

Collaborazioni[modifica]

Note[modifica]

  1. Da un'intervista televisiva. Video disponibile su YouTube.com.  Data? Data?
  2. Citato in Flavio Brighenti, Io, Gino Paoli un eretico del consumismo, la Repubblica, 20 novembre 1994.
  3. a b Da un confronto con studenti a Colombario di Corte Franca dell'8 e 9 maggio 2004; riportato in Sapore di note, pp. 155-156
  4. Da un'intervista di Ernesto Baldo, Le città della canzone. Per esempio Genova, Radiocorriere TV n. 45, novembre 1977, pp. 34-38
  5. Citato in Giovanna Casadio, Tra Vip e Fininvest-Rai vince l'Ist: cento milioni, ne Il Lavoro, 14 novembre 1994, p. V.
  6. Citato in Nicola Berardinelli, Piero Ciampi è un artista che va riscoperto, lintellettualedissidente.it, 20 settembre 2019.
  7. Citato in Note genovesi, p. 180
  8. Da Il mio fantasma blu. Gino Paoli si racconta a C. G. Romana e L. Vavassori, Sperling & Kupfer, Milano, 1991, p. 90; citato in Alberto Nocerino (a cura di), Genova canta il tuo canto, Editrice ZONA, Lavagna (GE), 2015, pp. 19-20. ISBN 978-88-6438-574-7
  9. Da Cesare G. Romana e Liliana Vavassori, Il mio fantasma blu, Sperling & Kupfer, Milano, 1996; citato in Cinzia Comandè e Roberto Bellantuono, Genova per noi, Arcana Edizioni, Roma, 2014, p. 35
  10. Dall'intervista di Guido Andruetto, La prima volta di Gino Paoli: "Che paura quel Sanremo di sessant'anni fa", La Repubblica, 20 gennaio 2021.
  11. Citato in Aldo Cazzullo, Gino Paoli: i miei parenti finiti nelle foibe, Corriere della Sera, 12 dicembre 2005.
  12. Citato in Cesare G. Romana, Amico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, 1999, p. 33. ISBN 88-200-1214-6
  13. Citato in Note genovesi, p. 182
  14. Dalla prefazione all'album Ciao, salutime un po' Zena; citato in Cinzia Comandè e Roberto Bellantuono, Genova per noi, Arcana Edizioni, Roma, 2014, p. 38
  15. Dall'intervista di Aldo Cazzullo, «I miei parenti sono finiti nelle foibe», Corriere della Sera, 21 dicembre 2005, p. 15.
  16. Citato in Silvia D'Ortenzi, Rare tracce: ironie e canzoni di Rino Gaetano, Arcana, 2007, p. 74.
  17. a b Il brano venne pubblicato per la prima volta per l'interpretazione di Mina. Cfr. voce su Wikipedia.

Bibliografia[modifica]

  • Gino Paoli, Sapore di note, Laterza, Roma-Bari, 2005. ISBN 88-420-7655-4
  • Roberto Paravagna, Note genovesi, Il Piviere, 2013

Film[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]