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Saʿdi

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Miniatura che illustra l'opera di Saʿdi Il roseto (Golestan)

Saadi, nome completo Abu Muhammad Muslih ibn ʿAbd Allāh, noto come Saʿdi di Shirāz, o Shirāzi (1184 – 1291), poeta e mistico persiano.

Il roseto

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Omaggio a Dio possente e glorioso! L'obbedirgli è cagione di avvicinamento a Lui; nell'animo grato inverso a Lui è augumento di favore. Ogni alito che discende in noi è prolungamento di vita, e quando ne ascende, è cagione di gaudio all'esistenza. Poiché in ogni alito due favori si trovano, per ogni favore un rendimento di grazie è necessario.

Citazioni

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  • Io dissi allora: "La rosa d'un giardino, come tu sai, non ha vita lunga, e la promessa di un roseto fede non trova. Ora, i savi hanno detto: Ad ogni cosa che lungamente non dura, non si deve avvincere il cuore." Disse l'amico: "Che modo adunque s'ha da tenere?" "Per divertimento di chi ci sta osservando," io risposi, "e per sollievo di chi sta qui con noi, io potrei comporre il libro del Roseto, sulle foglie del quale il vento autunnale non avrà alcun potere, mentre il volgere del tempo non muterà la gaiezza della sua primavera nella tristezza dell'autunno."
    Che ti giova pien di rose | un cestino? || Togli un petalo da questo | mio giardino! || Dura cinque giorni e sei | quella rosa, || ma gli è sempre il mio verziere vaga cosa! (da Perché fu composto il libro del Roseto, vol I, pp. 29-30)
  • L'uom ch'è facondo, allievo d'un provetto | dottor, medita prima, indi favella. || Nulla dir d'impensato, e non crucciarti di tardiva parola, ove sia bella. || Meditato che avrai, parla, ma cessa, | cessa prima che alcun: Basta! ti dica. || Supera i bruti l'uom per la parola, | ma ti supera il bruto ove non giusta ti suoni sulle labbra essa parola. (da Scusa per la pochezza dell'omaggio reso al principe e motivo dell'aver scelto la vita solitaria, vol I, p. 33)
  • A Loqman[1]il sapiente fu domandato un giorno: "Da chi hai tu appresa la sapienza?" Rispose: "Dai ciechi, i quali, finché non hanno riconosciuto il luogo, non muovono il piede." Prima di entrare, prepàrati l'uscita.[2](da Scusa per la pochezza dell'omaggio reso al principe e motivo dell'aver scelto la vita solitaria, vol I, p. 34)
  • "Ora i savi sogliono dire: – Menzogna che procaccia il bene, migliore di verità che suscita malanni!"
    Meglio è del ver che ti agita e conturba, | la menzogna che il cor ti rende lene. || Tale, al cui dir conformasi un sovrano, | guai se altro attesterà fuor che del bene! (da Fatti di regnanti, vol. I, cap. I, p. 38)
  • Nella volta del palagio di Fredun[3] era già scritto questo motto leggiadro:
    Eterna appo nessuno, o fratel mio, | non rimane la vita! Oh! non fidarti, | non ti fidar del posseder di cose | che sono di quaggiù, ché molti il Fato | uguali a te allevò, molti altri uccise. || Quando a partir di qui l'anima buona | di noi s'appresta, che val mai sul trono o sul nudo terren gustar la morte? (da Fatti di regnanti, vol. I, cap. I, p. 38)
  • [...] spegnere il fuoco e lasciar la brace, uccidere la vipera e custodirne i figli, non è impresa da saggi.
    Se acqua di vita piovesser le nuvole, | mai non côrresti alcun frutto dal salice. || Con gente vile il tempo tuo non perdere, | ché da canne da stuoie | mai non potresti aver sapor di zucchero. (da La natura non si cancella, vol I, p. 43)
  • Ottima spada con un tristo ferro | come foggiar si può? Deh! sapïente, | se tale allevi che non ha valore, | mai non sarà che facciasi valente! || La pioggia che non ha di sua natura | nella eccellenza qualità diverse, | crescere in un giardin fe' i tulipani, | ma ortiche, in un suol salmastro, al cielo aderse. (Da La natura non si cancella, vol. I, p. 45)
  • Regnar non può l'uom vïolento e reo, | ch'esser pastor non può lupo rapace. || Tal re che ingiusto prendasi costume, | scrolla del regno suo le fondamenta. (da Malvagità di re punita, vol I, p. 48)
  • Addetti servi alla celeste corte | sono poveri e ricchi. Oh! bisognosi | quelli ne son di più che han miglior sorte.[4] (da Ciò che va detto ad un principe tiranno e bacchettone, vol I, p. 52)
  • Sono quai membri e per l'uno e per l'altro | d'Adamo i figli. Quando fûr creati, | d'un sol germe son nati. || Quando la sorte uno de' membri affligga | di qualche doglia, tutti gli altri insieme | scossi vanno e turbati. || Se tu per altrui doglia non ti turbi, | che d'Adamo figliuol nessun più mai | ti appelli, in pena avrai. (da Ciò che va detto ad un principe tiranno e bacchettone, vol I, p. 53)
  • Mai non restano fermi oro od argento | in mano ai generosi, | non l'acqua in un crivel, non pazïenza | in core agli amorosi. (da Il re gaudente e l'accattone petulante, vol I, p. 56)
  • Quello stolto che accende in giorno chiaro | un cero sfavillante, | tosto vedrai che non avrà la notte | nella lucerna sua olio bastante. (da Il re gaudente e l'accattone petulante, vol I, p. 56)
  • L'essere singolarmente faceti, è il pregio dei cortigiani, ma è la vergogna dei sapienti. (da Noia delle pubbliche e alte cariche, vol I, p. 59)
  • [...] "due sono gli aspetti del servire un re: la speranza del pane e il timore per la vita. Ora, è cosa contraria al parere dei saggi per la speranza di quello cadere nel timore per questa." (da Difficoltà del servire un principe, vol I, p. 60)
  • Integro sii, fratello, e di nessuno | nessun timore avrai, | ché sol le vesti lorde | battono sulla pietra i lavandai. (da Difficoltà del servire un principe, vol I, p. 61)
  • Pel volgere dei giorni, e triste e grave | non sarai tu, ché amara è pazïenza, | ma reca frutto di sapor soave. (da Difficoltà del servire un principe, vol I, p. 63)
  • [...] servire il principe è come un viaggio di mare, giovevole e pericoloso. O peschi un tesoro, o muori fra lo sbattersi delle onde. (da Difficoltà del servire un principe, vol I, p. 64)
  • Se del giardin del popolo | mangia una mela il re, | i paggi suoi di svellerne | l'arbor dalle radici son capaci. || Per cinque ova che il principe | di furto si mangiò, | mille galline infilzano | nello spedo i suoi militi rapaci. (da Piccolo principio di gran male, vol. I, p. 68)
  • Non ti doler se a te vien dalla gente | o rancuna o malanno, | ché dalla gente non procedon mai | gioia dell'alma o affanno. || Sappi che l'atto sol da Dio procede | d'amico e di nemico, | ché di questo e di quello in poter suo | l'anima e il cor si stanno. || Se dall'arco si schiava una saetta, | che dall'arcier procede e non dall'arco, | i sapïenti sanno. (da Fedeltà alla prova, vol. I, pp. 75-76)"
  • Guárdati dal dolor d'un'alma offesa, | ché l'offesa d'un'alma alfine alfine | si parrà manifesta. || Fin che tu puoi, non affliggere un core | ché il lamento d'un cor d'un mondo intero | il turbamento appresta. (da Immancabile punizione dell'ingiustizia, vol I, pp. 77-78)
  • Sulla corona del re Key Kusrev[5]era scritto:
    "Molti saranno secoli e saranno | etadi lunghe, e calcheran sul capo | il suolo a noi le genti! || Così, dall'una all'altra man passando, | a noi pervenne il regno, e fia che passi | ad altre parimenti." (da Immancabile punizione dell'ingiustizia, cap. I, p. 78)
  • Custode ai poverelli è un re sovrano | anche se dal poter di sua grandezza | vengon grazie e favori. || Non son gli armenti a pro del guardïano, | ché solo a guardia e a servitù d'armenti | fûr creati i pastori. (da Per chi regnano i re?), vol. I, p. 80)
  • Intendi che or che hai tu beni e ricchezze, | sempre passan da questa a quella mano | tutte dell'uom quaggiù posse e grandezze. (da Per chi regnano i re?, vol. I, p. 81)
  • Mostrar contrario avviso a opinïone | di regnante signor gli è a sé medesmo | apprestar rea fortuna. || Se in giorno chiaro dice il re: Gli è notte!, | dir si debbe così: Tra l'altre stelle | ecco brillar la luna! (da Deferenza al parere di un sovrano, vol I, p. 83)
  • Appo i saggi uom non è chi con furente | belva cerca la pugna! | uomo invece è colui più giustamente | che se furore il prende subitano, | motto non dice che sia stolto e vano. || Volse ad un tale un uom protervo e reo | ingiurïoso un motto, | e quei pazïentò così dicendo: | "Possa tu aver buon giuoco! Io son peggiore | di quanto pensi ch'io mi sia. Conosco | ogni difetto mio | meglio che tu non sai chi mi son io." (da Non trasmodare nella vendetta, vol. I, p. 85)
  • [Fu chiesto a Iskender di Grecia[6] come avesse conseguito vittorie mai ottenute da re più ricchi, potenti, longevi e al comando di armate più grandi.] "Con l'aiuto di Dio altissimo, perché in ogni reame che conquistai non offesi mai i sudditi, e non pronunciai se non in bene il nome dei monarchi che mi hanno preceduto." (da Non far male ad alcuno, non dir male d'alcuno, vol I, p. 92)
  • Nulla l'uom che presume intorno vede | fuor che sé stesso, ch'egli di superbia | un vel dinanzi tiene; || che se l'occhio di Dio mai gli donasse | la vista sua, nessuno ei scorgerebbe | di sé più vile e indegno. (da Sciocca presunzione di devoto, vol. I, p. 100)
  • "[...] la visione che gli uomini pii hanno di Dio, sta tra il rivelarsi e il dileguarsi. Iddio ora si mostra, ora s'invola."
    Tu mostri il viso e poi lungi ten vai. | Il tuo traffico avvivi, indi la nostra | intima brama più pungente fai. (da Né Iddio assiste sempre l'uomo, né l'uomo è sempre presente a se stesso, vol. I, p. 102)
  • Un re domandò ad un religioso: "Ti viene mai in mente nulla di noi?" "Sì!" rispose,; "ogni qual volta mi dimentico di Dio." (da Immunità del religioso mendico, vol. I, p. 106)
  • "Da chi hai tu imparato l'educazione?" fu domandato un giorno a Lokman[1]. Ed egli rispose: "Dagli ineducati. Io mi son sempre astenuto dal fare ciò che da parte loro dispiaceva agli occhi miei." (da Da chi può aversi l'educazione, vol. I, p. 113)
  • Del pentir con la scusa è ben possibile | scampo trovar dal castigo di Dio; | ma della lingua della gente scampo | trovar non potrai tu dal cicalío. (da Come evitare la maldicenza altrui, vol. I, p. 114)
  • Nell'orecchio dell'anima ricevi | la parola del savio anche se l'opra | dal suo dir n'è disforme. || È vano il dir dell'uom presuntüoso: | "L'addormentato come mai potría | altri destar che dorme?" || Fosse scritto sui muri,[7] un buon consiglio | sempre è d'uopo cacciarsi entro gli orecchi | da chi al giusto è conforme. (da Badare all'insegnamento, non alla persona, vol. I, p. 131)
  • Beneficando spendi il tuo! Superfluo | ramo che il vignaiolo ha risecato, | d'uva copia maggior gli apporterà. (da Merito e valore della generosità, vol. I, p. 140)
  • Quanto è dolce all'orecchio degli amici, | ebbri della bevanda mattutina, | voce ascoltar soave e mesta e calma! | Più val canto leggiadro che di bella | fanciulla il viso, ché piacer del senso | è questo, e quello è il conforto dell'alma. (da Il lottatore e la smania del viaggiare, vol. II, p. 29)
  • Non stimarti mai sicuro da chiunque abbi tu offeso, anche d'un solo affronto, nel cuore, nemmeno se gli farai cento favori, dopo quell'unica offesa. Una freccia può uscire da una ferita, ma l'offesa rimane sempre confitta nel cuore. (da Il lottatore e la smania del viaggiare, vol. II, p. 32)
  • Se pensasse il palombaro | alla strozza dei caimani, | una perla di valore | non avria mai tra le mani.[8] (da Il lottatore e la smania del viaggiare, vol. II, p. 37)
  • Ogni tuo merto è il maggior dei difetti | del tuo nemico agli occhi. | Saadì gli è una rosa, ed è uno spino | del suo nemico agli occhi. || L'invidïoso mai non viene innante | ad uomo onesto senza che gli apponga | accusa del peggior d'ogni furfante.[2] || La sorgiva del sol ch'è luce al mondo, | è trista cosa e bieca | per la talpa che è cieca. (da Malvagità dell'invidioso, vol. II, p. 41)
  • Un astrologo, rientrando un giorno in casa, vi scorse là seduto uno sconosciuto e la sua moglie con lui. Si diede a imprecare e a ingiuriare, sì che ne nacque scompiglio e baruffa. Un uom di senno quand'ebbe inteso tutto ciò, disse:
    Come saper puoi tu che rechi mai | del ciel la volta | se nulla sai di ciò che in casa tua | avvien talvolta? (da Astrologo da nulla, vol. II, p. 47)
  • Poter non resta d'esser scrupoloso | in chi digiuno sta; | toglie di man della pietà le redini | la trista povertà. (da Disputa di Saadi con un presuntuoso intorno alla definizione della ricchezza e della povertà, vol II, p. 102)
  • Il denaro dell'avaro esce di sotterra in quell'ora soltanto in cui l'avaro va sotterra. (da Disputa di Saadi con un presuntuoso intorno alla definizione della ricchezza e della povertà, vol II, p. 103)
  • Dietro alla dolcezza del vivere di quaggiù viene il morso della morte, davanti ai godimenti del Paradiso si rizza la parete degli affanni di quaggiù. (da Disputa di Saadi con un presuntuoso intorno alla definizione della ricchezza e della povertà, vol II, p. 106)
  • Quelli che veramente son gli amici di Dio altissimo, sono quei ricchi che tengono il costume dei poverelli, e quei poverelli che hanno l'indole dei ricchi. Il maggiore dei ricchi è colui che prende a cuore gli affanni dei poverelli, e il migliore dei poverelli è colui che meno importuna i ricchi. Iddio altissimo ha detto: "Per chi si confida interamente in Dio, basterà tale sua confidenza[2][9]" (da Disputa di Saadi con un presuntuoso intorno alla definizione della ricchezza e della povertà, vol II, p. 106)
  • Gli Arabi sogliono dire: "Sii generoso, ma non rimproverare ad alcuno la tua generosità, perché certamente ne riverrà a te il frutto![2]" che vuol dire: Sii liberale e fa' dei doni, e non muoverne rimprovero ad alcuno, perché il frutto del tuo donare si ritornerà a te. (da Fine infelice degli avari, vol. II, p. 110)
  • Uno scienziato inconsiderato è come un cieco che regge una lampada. Guida gli altri con la lampada, ed egli rimane senza guida. (da Scopo della scienza, vol. II, p. 111)[2]
  • Vi son tre cose che non si sostengono senza altre tre; ciò sono: ricchezza senza traffico, scienza senza indagine, regno senza norma di governo. (da Tre cose bisognose d'altre tre, vol. II, p. 112)
  • Meglio il tacer che l'intimo pensiero | rivelare ad alcun pur v'aggiungendo: | "A nessun non lo dire!" || Arresta, o sciocco, l'acqua alla sorgente, | ché quando è gonfio del torrente il corso, | più nol puoi impedire! || In segreto non dir parola alcuna | che poi dir non si deggia | in ogni loco ove gente s'aduna. (da Valore della segretezza, vol. II, p. 114)
  • L'intento d'un nemico debole che ti si sottometta e ti dimostri amicizia, non è altro se non quello di fartisi più fortemente nemico. Ora, è stato detto che non c'è da fidarsi nell'amicizia degli amici! Che mai, adunque, può toccarci dalle carezze dei nemici? Chi disprezza un nemico dappoco, somiglia a colui che trascura un fuoco quando è piccolo. (da Prudenza coi nemici!, vol. II, p. 114)
  • Finché certa briga si può accomodar con l'oro, non bisogna affannarsi. Gli Arabi sogliono dire: La spada è l'ultima delle ragioni![2](da Rimedio estremo, vol. II, p. 116)
  • Non aver pietà della sconfitta d'un nemico, perché, quand'egli avrà vittoria su di te, non avrà di te pietà nessuna.
    Prostrato quando vedi il tuo nemico, | non ti vantar con voglia altera e matta; | in ogni osso nascondesi un midollo, | e dentro ogni camicia un uom s'appiatta. (da Pietà dannosa, vol. II, p. 116)
  • Severità che passa i limiti, apporta irritazione, e bontà intempestiva fa perdere il rispetto. Non mostrarti tanto duro e severo che la gente abbia da stancarsi di te, ma non mostrarti tanto dolce che la gente tenti poi di sopraffarti. (da Né soverchia severità, né soverchia bontà, vol. II, p. 117)
  • Quando un nemico è frustrato in ogni arte o astuzia sua, ricorre all'amicizia. Allora, come si sarà fatto amico, farà contro di te quanto nessun altro nemico potrebbe fare! (da Finta amicizia di nemico, vol. II, p. 120)
  • Non lasciarti prendere dagl'inganni dei nemici e nemmeno dalle trappole degli adulatori, perché quelli ti hanno già teso ipocritamente un laccio, e questi disiosamente hanno spalancato la bocca. Piace allo stolto la lode, ma egli è come un animale morto che par grasso per vento che il beccaio gli ha introdotto soffiando. (da Inganni di nemici e insidie di adulatori, vol. II, pp. 121-122)
  • D'un asino maestro erasi fatto | un uom di poco senno, e in ciò passava | il suo tempo migliore. | Dissegli un savio: " A che t'affanni, o stolto, | in cotesto tuo intrigo? Abbi di tale | che biasima, timore! | Mai non apprenderan l'arte del dire | da te le bestie, ma da lor tu apprendi | del silenzio il valore." || Di chi non pensa bene alla risposta, | stupide per lo più e dissennate | tutte parole vanno | O adorna di saggezza il tuo parlare | come fa l'uom di senno, o statti muto | come le bestie fanno. (da Quale sia il rimedio dell'ignoranza, vol. II, p. 126)
  • Chi impara una scienza e non la mette in pratica, somiglia a chi guida i bovi sotto l'aratro e non va seminando. (da Scienza inutile, vol. II, p. 128)
  • Chi si rissa coi grandi, versa il proprio sangue. (da Follia del contrastare ai grandi, vol. II, p. 129)
  • Non è azione di persone savie il venir a pugni con un leone e stender la mano al filo d'una lama. (da Ardire temerario, vol. II, p. 129)
  • Non ti meravigliare se la parola d'un saggio, nell'assemblea dei villani ignoranti, non ha effetto alcuno, poiché il suono d'un liuto non può vincere il fracasso dei tamburi e la fragranza dell'ambra rimane vinta sempre dal fetore dell'aglio. (da Superiorità falsa, vol. II, p. 134)
  • Una perla, anche se cade in un pantano, è pur sempre cosa preziosa; la polvere, anche se monta al cielo, è pur sempre vile. (da Superiorità falsa, vol. II, p. 134)
  • Capacità naturale senza insegnamento è pur cosa misera, e l'insegnare a chi non è capace, è opera perduta. (da Superiorità falsa, vol. II, p. 134)
  • La cenere, quantunque sia di origine illustre poiché il fuoco è di natura eccelsa, da che in se stessa non ha pregio alcuno, in grado è simile alla terra. (da Superiorità falsa, vol. II, p. 134)
  • Il pregio della zucchero non procede dalla canna, ma quel pregio consiste nella sua stessa qualità particolare. (da Superiorità falsa, vol. II, p. 134)
  • Il muschio è quello che di per sé odora, non quello di cui va ciarlando il droghiere. (da Superiorità falsa, vol. II, p. 134)
  • Il sapiente è come il desco del droghiere che tace e pur fa conoscere il proprio valore, e l'ignorante è come il tamburo che ha una gran voce, ma dentro è vuoto e non manda che inutile fracasso. (da Superiorità falsa, vol. II, p. 134)
  • Discepolo svogliato è un amante senza denaro. Viaggiatore inesperto è un uccello senz'ali. Sapiente inoperoso è un albero che non fa frutti. Religioso ignorante è un palagio senza porta. (da Gente inutile, vol. II, p. 142)
  • Persona dotta che non mette in pratica il proprio sapere è un'ape che non dà miele. (da Dottrina inutile, vol. II, p. 142)
  • Fu domandato, un giorno, al sant'uomo che fu guida spirituale alle persone pie (che Iddio gli abbia misericordia!) Muhammed ibn Muhammed al Ghazzali, così: "Come sei tu giunto a così alto grado nelle scienze?" Rispose: "In questo modo, ch'io non ebbi mai onta né vergogna di domandare agli altri ciò che io non sapevo." (da Non ti vergognare di ricorrere a chi è più dotto di te, vol. II, p. 144-145)
  • Due tali son morti, e altro che affanno non hanno provato in tutta la vita: Chi era ricco, e non godette; chi molto seppe e nulla fece. (da Osservazione, vol. II, p. 158)
  • Essi interrogarono un saggio dicendogli: "Delle molte celebri piante che l'Altissimo Iddio ha creato ombrose e rigogliose, nessuna è chiamata azad, o libera, eccetto il cipresso, che non porta frutti; che mistero è questo?". Rispose: "Ognuno ha i suoi frutti alla propria stagione, durante la quale è fresco e fiorito, e nella cui assenza è sterile e secco; il cipresso non è soggetto a queste condizioni, essendo sempre in fiore; e di questa natura sono pure gli azad o religiosi indipendenti. Non legare il tuo cuore a ciò che è passeggero, poiché il Dijalah (il Tigri) continuerà a scorrere attraverso Bagdad anche dopo che la razza dei califfi sarà estinta; se la tua mano è calma, sii munifico come l'albero di datteri; ma se non hai nulla in più da dar via, sii un azad, o uomo libero, come il cipresso".[10][11]
  • L'usignuolo affamato venne per elemosina nella presenza della formica e disse: Generosità è segno di fortezza e capitale di contentezza. Io, la mia dolce vita, la passai nella spensieratezza, ma tu usasti del senno e radunasti provvigione. Che sarebbe mai se oggi per un poco tu me ne facessi larghezza? – Disse la formica: Tu notte e giorno fosti in discorsi, e io in faccende; tu ora andavi pensando alla freschezza della rosa, ora eri affascinato dall'ammirazione per la primavera, e non sapevi intanto che ad ogni primavera sta dietro l'autunno e ad ogni via un termine?
    Ascoltate, o cari, la storia dell'usignuolo e comparate nostro stato a quello di lui, e sappiate intanto che ad ogni vita sta dietro la morte, che ad ogni connubio sta dietro la separazione! Non è senza feccia il liquor della vita, e anche il raso ha le sue strie.[12]
  • Per quanto umiliato sia il tuo nemico, sappi che esso è sempre da temere.[13]
  • Prestate ai poveri, e domandate prestito ai ricchi, e voi sarete subito abbandonati dagli uni e dagli altri.[14]

Citazioni su Saʿdi

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  • Tra i santuari fuori città[15] [...] ricordiamo il mausoleo del pio shaykh conosciuto come al-Sa‘dī, il maggior poeta di lingua persiana del suo tempo che talvolta si espresse anche in lingua araba, con annessa una bella zāwiya fornita di un grazioso giardino interno, che egli stesso aveva fatto costruire nei pressi della sorgente del grande fiume Rukn Abād. Sempre lui aveva voluto in questo posto anche una serie di piccoli lavabi in marmo per lavare i panni: cosí gli abitanti di Shīrāz escono di città e rendono visita al santuario, mangiano il pasto che trovano alla zāwiya, fanno il bucato nel fiume e poi tornano a casa – e lo stesso feci anch'io quando vi andai. (Ibn Battuta)

Note

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  1. a b Antico sapiente arabo, anteriore a Maometto, supposto autore di favole morali. (Nota di Italo Pizzi a p. 34)
  2. a b c d e f Il testo in corsivo è in arabo nell'originale. Cfr. Il roseto, nota a p. 19.
  3. Antico monarca dell'epopea persiana. Vedi il Libro dei Re di Firdusi. (Nota di Italo Pizzi a p. 38)
  4. I più ricchi e potenti quaggiù. (Nota di Italo Pizzi a p. 52)
  5. Uno dei re del tempo eroico della Persia antica; v. Firdusi, il libro dei Re, e l'Avesta (Nota di Italo Pizzi a p. 78).
  6. Alessandro il Macedone, Cfr. Il roseto, p. 92.
  7. Cioè: se anche provenisse da origine vilissima. Nota di Italo Pizzi a p. 131 de Il roseto
  8. In Anthony Clifford Grayling, Il significato delle cose, traduzione di Isabella C. Blum, Il Sole 24 Ore, 2007, p. 32, la citazione viene riportata così: «Se il tuffatore pensasse sempre allo squalo, non metterebbe mai le mani sulla perla.»
  9. Passo del Corano, LXV, 3. Nota di Italo Pizzi a p. 106 de Il roseto.
  10. Da Il roseto; citato in Henry David Thoreau, Walden o Vita nei boschi, traduzione di Piero Sanavio, La Biblioteca ideale Tascabile, Milano, 1995, cap. I, p. 83. ISBN 88-8111-102-0
  11. Con diversa traduzione in Saadi, Il roseto, traduzione di Italo Pizzi, vol. II, Lanciano Carabba, 1917, pp. 157-158.
  12. Da La favola dell'usignuolo e della formica, in Il roseto, Traduzione di Italo Pizzi, volume primo, Carabba, Lanciano, 1917, appendice all'introduzione, p. 15.
  13. Da Il roseto; citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013, § 105. ISBN 978-88-58-65464-4
  14. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  15. Shiraz.

Bibliografia

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  • Saadi, Il roseto, traduzione di Italo Pizzi, volume primo, Carabba, Lanciano, 1917.
  • Saadi, Il roseto, traduzione di Italo Pizzi, volume secondo, Carabba, Lanciano, 1917.

Altri progetti

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