Vittorio Zucconi

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Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944 – 2019), giornalista e scrittore italiano.

Citazioni di Vittorio Zucconi[modifica]

  • A riprova della mia ormai totale obsolescenza culturale e irrecuperabile arretratezza senile rispetto a "noi giovani", nel leggere delle ultime polemiche sulla politica di privacy di "Facebook", un pensiero osceno mi folgora: ma a che cazzo serve Facebook, a parte riempire di soldi quel "nerd" irritante del suo inventore Zuckerberg?[1]
  • Come primo segretario di Stato di sangue africano, Colin Powell sentì la responsabilità di onorare la propria gente, di essere davvero un esempio di impeccabile correttezza a ogni costo, in una nazione ancora oppressa, come tutte, da stereotipi razziali e razzista. Non è riuscito a impedire la guerra, ma ha reso possibile d'ora in poi qualunque orizzonte politico per chi fu schiavo.[2]
  • E' caduto ai piedi della villa che doveva essere il monumento alla sua vita e sarà invece, per sempre, il mausoleo della sua morte. E' stato ucciso come un principe che stramazza nel suo stesso sangue a un passo dai suoi ori, dai suoi broccati, dai suoi vasellami, con la mano tesa verso il cancello mentre il sicario già gli punta alla nuca l'arma che l'ucciderà. Gianni Versace è stato assassinato ieri alle 9.06, nella mattina già morbida di umidità tropicale a Miami, da un giovanotto di pelle chiara, in maglietta bianca, shorts neri e cappelluccio bianco, di cui la polizia pensa di conoscere anche il nome: Andrew Cunanan, un prostituto gay, ex modello, che ha già massacrato quattro persone.[3]
  • [Parlando dei Mondiali 2002] Hanno dato una festa mondiale, ma il mondo non c'è andato. Hanno promesso ai coreani e ai giapponesi una fortuna e gli hanno consegnato un bidone. Il football dei grandi marpioni si sgonfia malinconicamente nella sera di Yokohama, soffiando l'aria di conti immensi da pagare, di promesse non mantenute e di stadi stupendamente inutili. Il "Mondial Flop" che intravvedemmo nelle ore dell'entusiasmo iniziale, si disegna ora, mentre Collina fischia la fine, in tutta la sua dimensione e se anche l'Italia fosse oggi in campo, non cambierebbe nulla. Lo scandalo vero non è stato l'arbitraggio di Moreno o il catenaccio di Trapattoni, sono le palate di miliardi che i contribuenti coreani e giapponesi hanno buttato nella caldaia delle loro illusioni e delle truffe del pallone.[4]
  • Il sentimento dell' "autogol" mondiale che in Asia avevamo avvertito nell'aneddottica quotidiana, si compone nei dati che escono dal pallone ormai sgonfio. Le 64 partite del torneo, fino a Brasile - Germania, hanno "riempito le casse della Fifa", scrive tra gli altri il Washington Post, ma "i contribuenti che si ritrovano oggi con miliardi di dollari di conto per impianti largamente inutili e con altri, ancora incalcolabili costi di sicurezza e organizzazione non hanno visto uno yen o un won dei benefici promessi".[4]
  • La finzione del rifare l'America Grande si rivela per quello che è sempre stata: rifare l'America Bianca e cancellare l'onta di quel Presidente che per anni proprio Trump accusò di essere un falsario immigrato e non americano. Per ora, la sua Grande America è soltanto una Non America, consumata dall’odio e dal risentimento.[5]
  • [Su Bobby Fischer] La sua arma era la memoria. Assoluta. Il suo segreto era la solitudine. Assoluta. La sua morte è stata la follia. Assoluta.[6]
  • [Su Bobby Fischer] Nella estrema frontiera dei quozienti di intelligenze raggiunta soltanto da personaggi come Einstein, della memoria assoluta, della arroganza infinita del divo timido, Bobby Fischer si perdette. La sua mente costruita per calcolare le variazioni e le combinazioni possibile di pedoni, torri, regine e re arrivando a ridicolizzare il primo «computer scacchista» costruito dal Mit di Boston, si rivoltò contro di lui, come in una malattia autoimmunitaria del genio, cacciandolo in un labirinto di paranoia dal quale neppure lui avrebbe saputo più uscire. Si convinse di essere perseguitato dal governo americano, nonostante il Congresso avesse votato addirittura una legge «ad personam» per riconoscerlo come unico vero campione del mondo di scacchi. Sprofondò nel «complottismo» più torvo, vedendo la mano dello «sporco ebreo» dietro ogni catastrofe della storia e dietro ogni sua avversità.[6]
  • [Ultime parole famose] Non diventerà mai presidente degli Stati Uniti [Donald Trump] (lo scrivo sperando che non mi quereli), perché il pensiero di avere il dito di Donald sul bottone rosso dell'arsenale nucleare spegnerà le fiamme della sua chioma.[7]
  • Non so se è il caso di dirlo ai bambini ma Candy Candy non è più vergine, e anche sull'orfana-pastora svizzera Heidi, è lecito a questo punto nutrire qualche sospetto. Il sesso irrompe nei cartoni animati giapponesi: sconvolge le caste dive d'un tempo, turba i robots più ferrei, inquina la mente degli scienziati più ascetici. [...] C'è tutto, nel menu di questi cuochi d'immagini: pruriti adolescenziali e pedofilia gay, sussurri e occhiate, desideri e frustrazioni. L'erotocartoon, come lo chiamano i giapponesi, ha ridato vita e vigore commerciali a un genere che dopo l'indigestione della robotica e delle cenerentole rivisitate, cominciava a perdere pubblico e soldi. [8]
  • Per essere eletti, si devono sparare promesse. Per governare, si deve scendere al compromesso con la realtà. [Commentando la strategia militare di Barack Obama] E questo vale per i migliori, figuriamoci per i magliari e i cialtroncelli che mentono appena si alzano ogni mattina.[9]
  • Se davvero sapessimo che cosa è la pazzia, potremmo dire che Bobby Fischer era pazzo. Ma lui avrebbe riso di noi, come rideva di sé stesso quando si autosconfiggeva, nella stanzetta di Brooklyn giocando da solo.[6]
  • Tutto ritorna dove tutto cominciò, in Alabama, nella Sweet Home Alabama come era cantata dalla band Lynyrd Skynyrd, nella dolce e crudele casa di Rosa Parks la ribelle dell’autobus, del sangue nero sparso per i diritti civili, della rivoluzione morale e pacifica che mezzo secolo fa cambiò per sempre il volto dell’America. Come lo ha cambiato ora la sbalorditiva vittoria di un candidato democratico contro il campione repubblicano, proprio grazie al voto dei pronipoti degli schiavi.[10]
  • Vaiolo: in italiano arcaico "vaiuolo", in inglese moderno "terrore", come quello scatenato dalla campagna di vaccinazione lanciata da George Bush in un'America che da 30 anni ne aveva dimenticato l'esistenza, come tutti noi. Vaiolo, parola che una generazione di uomini e donne porta scritta nella cicatrice sul braccio o sulle gambe, come il tatuaggio indelebile di un tempo malato di grandi illusioni ottimistiche, vaccini contro ogni malattia e lunghe file di bambini in mutande, pennicillina e posto di lavoro sicuro, tutte le promesse di quell'avvenire sano e pacifico che ci sta crollando davanti, lasciandoci le pustolette dell'angoscia di un futuro contro la quale nessuno Jenner potrà produrre nessun vaccino efficace.[11]

Dal profilo Twitter[modifica]

  • [Commentando l'invito di Luigi Di Maio alla trasmissione DiMartedì] Grillo prova a rimandare Giggi DiMail in campo dopo i noti infortuni. Accertarsi che abbia capito bene di non presentarsi dimercoledì. (11 ottobre 2016)
  • L'odio e la rabbia sono come le famose baionette di Napoleone: li puoi usare per vincere, ma poi è scomodo sedercisi sopra per governare. (3 novembre 2016)
  • Obama manda email a Trump per invitarlo a preparare la successione. Quando DiMaio succederà a Renzi, per evitare equivoci inviare disegnini. (9 novembre 2016)
  • [Commentando l'articolo Beppe Grillo: "Il direttorio M5s non c'è più" de L'Huffington Post] Dopo il non voto della non Rete il non proprietario del non Movimento abolisce il non direttorio che non c'era. (11 novembre 2016)
  • Delusione alla Guardia di Finanza: gli scatoloni sequestrati in Campidoglio che contengono i sei mesi di attività della Sindaca erano vuoti. (19 dicembre 2016)
  • La finzione della "diversità" rivoluzionaria finisce quando si usano gli errori degli altri per coprire i propri. Sic transit boria mundi. (21 dicembre 2016)
  • Niente sconvolge il fanatico quanto la vista di una persona felice. Tutti devono soffrire come lui. (1 gennaio 2017)
  • [Commentando l'articolo M5S, sul blog di Grillo il codice per gli eletti: "L'avviso di garanzia non implica gravità" de la Repubblica] Contrordine Grillini: la coerenza non va più di moda. La non sospensione è stata non sospesa dal non partito. (2 gennaio 2017)
  • Nuove scoperte in zoologia grazie al M5S: i grilli stanno imparando a inghiottire i rospi. (2 gennaio 2017)
  • Il Vangelo 2.0 secondo i chierici militanti: "Non fate a noi quello che noi facciamo agli altri". (2 gennaio 2017)
  • No €, sì €, sì EU, no EU, pro casta, no casta, pro Alde, pro Ukip, giustizialisti, garantisti, attendisti...la Casaleggio Dissociati srl. (11 gennaio 2017)
  • Per evitare sospetti di "conflitto di interessi", President Trumpski affida i propri affari ai figli. Dove l'avevo già sentita questa? (11 gennaio 2017)
  • Se mai Crozza scoprirebbe DiMail e le "Spremute di Umanità" (sic) del Diba potesse anche smettere di scriversi i testi degli sketch. (13 gennaio 2017)
  • I grillini che si indignano per gli insulti volgari sembrano salumieri che si scandalizzino per le salsicce. (10 febbraio 2017)

Parola di giornalista[modifica]

  • In cronaca imparavamo cose che nessuno dovrebbe imparare.
  • Un giornalista in buone condizioni di salute fisica e mentale non trova mai belli gli articoli di un altro, neppure se è suo figlio. Anzi, specialmente se è suo figlio.
  • Viaggiare in America è come affondare un coltello caldo in un pane di burro.
  • Sergio Lepri, direttore dell'agenzia nazionale di notizie Ansa, ha combattuto per tutti i venticinque anni della sua direzione contro la gramigna della frase fatta che impera nel nostro linguaggio, conciliato dalla pigrizia mentale del giornalista che preferisce prendere dallo scaffale un'espressione già pronta e logora, anziché riflettere. Lepri ha compilato anche una serie di manuali e saggi, purtroppo mai diffusi su larga scala, di lettura insieme esilarante e tristissima nel quale ha raccolto tutti i più frequenti luoghi comuni da evitare, prendendo a esempio il settore nel quale la mala pianta è più rigogliosa, quasi una foresta tropicale: lo sport .
  • Forse per questo tanti giornalisti diventano arroganti e presuntuosi da vecchi: per le umiliazioni che hanno dovuto ingoiare all'inizio del mestiere.

Si fa presto a dire America[modifica]

Incipit[modifica]

Raccontare l'America è come essere una zanzara in un campo di nudisti: vedi benissimo che cosa fare, ma non sai da che parte cominciare. C'è troppa carne per un pungiglione solo, e bisogna sapersi accontentare.

Citazioni[modifica]

  • Alla confluenza del Monongahela con il fiume Allegheny, sul vertice del triangolo dove i due corsi d'acqua formano l'Ohio, sta Pittsburgh, la città che fino a 40 anni fa succhiava polvere, fumo, puzza e dollari dalle acciaierie circostanti.
    Al culmine della sua fortuna, nel 1947, Pittsburgh era una cosa orrenda, asfissiante, dove il buio a mezzogiorno non era una metafora, ma la realtà quotidiana da smog. Quando i Mellon, i feudatari che stavano a Pittsburgh come gli Agnelli stanno a Torino, chiesero a Frank Lloyd Wright che cosa si potesse fare per la loro città, l'architetto rispose seccamente: «Si può solo evacuarla». (cap. 1, p. 16)
  • Oggi, mentre il suo vecchio sistema circolatorio le muore intorno, Pittsburgh rinasce, tutta modernità e high tech, fra grattacieli, risanamenti, sventramenti, sgravi fiscali e parchi pubblici, nel segno del terziario e dell'aria pulita. (cap. 1, p. 16)
  • Montagne! Bellissime, frastagliate, alte, finalmente arrivano le Montagne Rocciose a dire che il mare della prateria è finito, e il cervello intontito da una settimana di campi e di cieli senza fine si abbevera alla vivacità del paesaggio come un cammello all'oasi. (cap. 1, p. 32)
  • Da quarant'anni, Denver è una sorta di carta moschicida demografica. È la città americana cresciuta più in fretta nel dopoguerra, da 400.000 persone ai 2 milioni e mezzo che oggi popolano queste prealpi di cemento armato. (cap. 1, p. 34)
  • Denver non fa distinzioni di censo e di razza nel suo magnetismo. Sulle sue strade ho visto giocare bambini messicani e vietnamiti, neri e filippini, inseguendosi con la palla e i bastoni, allenandosi di giorno alle guerre per bande che i loro fratelli maggiori praticano di notte. Tutti così piccoli e a fianco a fianco, neri, rossi, gialli, bruni sembrano un francobollo commemorativo dell'Onu [...]. (cap. 1, p. 34)
  • Sono venuti qui più neri, più chicani che in ogni altra città del West, ma soprattutto più vietnamiti, che hanno fatto di Denver la più importante città indocinese a est di Saigon e sono divenuti la Frontiera alla rovescia, la linea della controemigrazione proveniente dal Pacifico verso l'Atlantico. (cap. 1, p. 35)
  • Quasi tutto è vietato nello Utah, quasi tutto è permesso nel Nevada. Nello stato dei mormoni, il liquore è razionato, e i clienti che non vogliono pasteggiare a latte e gazosa si portano al ristorante il vino e la birra nascosti in sacchetti di carta marrone. Nello stato dei casinò, kellerine in microgonne girano fra i giocatori degli alberghi-casinò offrendo generose vedute delle loro natiche e i liquori gratis per far dimenticare i 45.000 miliardi di lire l'anno che i polli perderanno. (cap. 1, p. 40)
  • [...] San Francisco è sempre stata l'antenna che ha captato e trasmesso per prima tutti i messaggi più estremi della natura umana e della storia americana. Se oggi il grido che proviene dal resto del paese è l'Aids, San Francisco è la prima a far eco. Se l'America ha paura di morire di Aids, San Francisco morirà di Aids. (cap. 1, p. 52)
  • In questa nazione [gli Stati Uniti] dove tutto sembra provvisorio e costruito ieri sera, San Francisco è l'unica città che sappia d'antico e di permanente, ed è invece appesa a un filo. Il magnifico villaggio medievale californiano sta seduto sulla più grande fossa sismica del mondo, la fossa di San Andrea, che secondo i geologi minaccia a ogni istante di aprirsi e inghiottirla. (cap. 1, p. 52)
  • Se i sogni non vi interessano, non vi interessa il Texas. Nella sua dimensione tangibile, il Texas è vuoto, grande, brutto, cafone, ed è sempre qualche cosa di troppo. Troppo caldo, troppo freddo, troppo chiacchierone, troppo ricco o povero. (cap. 2, p. 62)
  • Il Texas non è un luogo, ma un'illusione. È America allo stato primordiale, un vuoto che la colonizzazione yankee ancora tenta di riempire e non ha ben deciso come. (cap. 2, p. 62)
  • Houston era la terra promessa, la città di latte, miele e dollari verso la quale si rovesciavano gli ambiziosi, i malati, gli irrequieti di tutta una nazione e dal mondo. A Houston, la più grande metropoli del Texas, il sognatore poteva ricomporsi con l'affarista, e il ragazzo del cinema di periferia alla ricerca di emozioni poteva fare finalmente la pace con l'adulto in caccia di fortuna. (cap. 2, p. 74)
  • La città [di Houston] aveva tutto: il nome altisonante ed eroico, preso da Sam Houston, il Garibaldi dell'indipendenza texana. Aveva il clima, fra tropicale e temperato sul balcone del golfo del Messico, la posizione strategica che già aveva colpito a metà del Cinquecento Cabeza de Vaca, il primo viaggiatore spagnolo. Poi l'acqua, la terra, il sole, lo spazio agricolo e addirittura lo spazio extraterrestre spalancato dalla Nasa portata qui da Lyndon Johnson. E, appena sotto la crosticina friabile del suolo sabbioso, petrolio a barili, a fiumi, i più grandi giacimenti americani. (cap. 2, pp. 74-75)
  • «Se Dio avesse voluto creare una città, avrebbe creato Houston», proclamava un predicatore evangelista a metà degli anni Settanta, e se vi sembra un po' esagerato si capisce subito che non siete texani. (cap. 2, p. 75)
  • Ma questa è Fifth Avenue, ragazzi, mica via Garibaldi. Tutto il mito, l'assurdità, il sogno, la leggenda di New York sono spalmati qui, lungo i sei chilometri di asfalto butterato che vanno dal fiume Harlem fino al Village che il mondo ha trasformato nella strada maestra dei suoi desideri e delle sue illusioni. (cap. 3, p. 81)
  • [...], la Quinta è una sinfonia alla gloria e alla miseria prodotte dalla civiltà del secondo Novecento, un paradiso del superfluo dove è più facile trovare un venditore di diamanti da mezzo miliardo che un fruttivendolo. (cap. 3, p. 81)
  • [...], se la Fifth Avenue è divenuta lo stradone del mondo, il «Liston» dove strusciano i piedi insieme il presidente del Nicaragua socialista e l'ex capitano della guardia somozista in esilio, dove il diplomatico sovietico con la lista delle spese segrete per le matrone del Comitato Centrale sarà probabilmente servito da un commesso ebreo appena scappato dall'URSS, dove il tassinaro iraniano esiliato dallo scià porta in giro l'ex generale della Savak, è perché il mondo ha trasformato questi palazzi nel totem alzato all'unica religione che ci accomuna tutti: l'acquisire. (cap. 3, p. 82)
  • Più che una strada il Sunset Boulevard è «una fogna» di 20 chilometri, come Raymond Chandler fa dire al suo Philip Marlowe, dove scolano tutti i santi, i dannati e i visitatori della divina commedia di Los Angeles. (cap. 3, p. 93)
  • Appena esce dal centro, il viale del Tramonto affonda in una delle grandi paludi umane popolate da messicani, qualche coreano, altri passeggeri in transito sul «sogno americano». Qui Sunset Boulevard diventa Città del Messico, l'inglese scompare o diventa lingua di supporto per gli «stranieri» anglofoni che vi si avventurassero [...]. (cap. 3, p. 93)
  • In Alabama, tutto accade nel segno della croce. La croce stellata di sant'Andrea su campo rosso che portò i confederati sudisti alla sconfitta contro le agnostiche stelle e strisce del Nord. La croce di fuoco del Ku Klux Klan che bruciò per decenni nelle campagne per tenere mansueti nel terrore gli schiavi liberati da Abramo Lincoln. Le croci delle migliaia di chiese battiste dove il popolo nero dell'Alabama si riunisce a scrivere la sua storia. (cap. 4, p. 127)
  • Se il Sud degli Stati Uniti è la «cintura della Bibbia», l'Alabama è la fibbia che chiude insieme tutta la fede e i rancori, la storia e l'antistoria di questa fetta d'America arroccata in una religiosità che nasconde la ribellione politica contro il Nord «ateo e di sinistra». (cap. 4, p. 128)
  • [...] [Atlanta] la più ricca, la più brutale, la più moderna, la più paradossale città del profondo Sud americano. Quella che più accanitamente ha difeso la segregazione razziale, che si ritrova proprio con un sindaco nero e che ha dato al candidato alla presidenza Jesse Jackson il più potente dei viatici nel 1988. (cap. 5, pp. 135-136)
  • Stella del Sud, capitale del New South, Manhattan del meridione, speranza e paradigma della rinascita di Dixie[12], Atlanta è stata esaltata ed esecrata in mille modi dal resto dell'America. Sicuramente nessuna città americana può eguagliare la sua storia, che è un ciclo continuo di esplosioni e catastrofi. (cap. 5, p. 136)
  • Atlanta è l'unica città americana che possa dire di aver conosciuto il destino di Dresda, di Berlino e di Tokyo: la distruzione di guerra[13]. (cap. 5, p. 136)
  • Proprio Bill Bradley, il magnifico giocatore di basket con il Simmenthal degli anni Sessanta e oggi politico in grande avanzata, è l'esempio per assurdo di questo paradosso: troppo bravo per non essere citato fra i possibili leader, troppo brillante per poter attraversare i campi minati di una campagna che è fatta per tendere imboscate, Bradley sembra il ritratto di quel che potrebbe essere la politica e non è. Ma chi può dire che cosa diverrebbe Bradley se dovesse candidarsi alla Casa Bianca? Resterebbe vivace com'è, o invece la «balcanizzazione» costringerebbe anche lui a diventare un uomo per tutte le stagioni, omogeneizzato e blando come uno yogurt? (cap. 7, p, 169)
  • L'Arkansas d'inverno non è precisamente il paradiso terrestre e nemmeno d'estate è una goduria. Il reddito medio è il più basso fra la popolazione bianca del paese, battuto solo dai miserabili Oglala Sioux del South Dakota. Il panorama è monotono e deprimente, sciolto in una serie di basse ondulazioni tutte eguali. L'attività economica è marginale e ricordo ancora con un brivido la vetrinetta nell'atrio di un albergo Holiday Inn di Fort Smith dove erano in mostra i migliori prodotti dell'industria locale ed era esibita una serie di dentiere odontoiatriche, reminiscenze di musei di antropologia. (cap. 8, p. 179)
  • Se il Congresso degli Stati Uniti – l'insieme di Senato e Camera dei rappresentanti – è l'esempio al quale guardano i parlamentari italiani come al traguardo di efficienza, democrazia e funzionalità legislativa, forse sarà opportuno che guardino meglio. Certo è difficile essere meno efficienti e più desolanti della Camera e del Senato italiani, ma nei quarant'anni trascorsi dalla legge del 1947 che consentì la crescita dello staff congressuale, il parlamento USA è letteralmente esploso fino a diventare uno dei più costosi, affollati e vituperati carrozzoni burocratici americani. (cap. 11, p. 257)
  • Alla fine degli anni Settanta, la carriera dell'uomo più potente della Camera, il deputato Wilbur Mills, fu stroncata in pochi giorni dalle rivelazioni di una segretaria, una bionda platinata che risultava nei ruoli come «dattilografa». Quando la donna perse i favori del deputato per raggiunti limiti di età, rivelò tutto sulla sua lunga relazione col boss e l'onorevole Mills fu costretto a dimettersi. La sua colpa non era «morale», ma amministrativa: aveva stipendiato con fondi pubblici un'amante privata. (cap. 11, p. 262)
  • Piccolino e nervoso, insignito dell'onorificenza di Grand'Ufficiale al merito della Repubblica italiana quando era ancora in auge e gli ambasciatori lo corteggiavano a colpi di banchetti e di onorificenze, Michael Deaver era uno di quei personaggi che le grandi cronache ignorano finché sono importanti e che scoprono solo quando si mettono nei guai. Eppure Deaver è stato per la storia americana di questo decennio un uomo più decisivo di Shultz, più autorevole di Weinberger, più potente di Volcker.
    Per 6 anni, dal 1980 all'85, egli è stato il regista di quel grande show politico chiamato «presidenza Reagan». (cap. 11, p. 271)
  • Per almeno sei mesi dopo l'abbandono di un incarico pubblico, la legge vieta ogni attività di lobby e Michael Deaver, un anno dopo aver cominciato il suo nuovo lavoro, venne incriminato da un tribunale di Washington per falsa testimonianza, per aver mentito alle autorità inquirenti. «È vero», si scusò Deaver, «ma mentii perché all'epoca bevevo troppo ed ero quindi un malato.» Peggio per lei, gli rispose il giudice, chiudendo la pratica con l'incriminazione, e tutta Washington rise. [...] La gente rise dell'ingenuità di Deaver, della sua dabbenaggine nel farsi pizzicare in maniera così grossolana. (cap. 11, p. 272)

Storie dell'altro mondo[modifica]

  • A Las Vegas c'è sempre il sole. Mica per niente i gangster la costruirono in un deserto.
  • Come vorrei, certi giorni, che davvero i giornali raccontassero soltanto balle.

Citazioni su Vittorio Zucconi[modifica]

  • Comunque, grazie: per l’intensità; ogni pagina di Zucconi era "realtà aumentata", e io non posso dimenticare, e devo dirlo, dirlo da lettore, che mi manca molto, che ci mancherà sempre quella firma — Vittorio Zucconi — stampata su questo giornale [la Repubblica]. (Paolo Di Palo)

Note[modifica]

  1. Citato in Alla faccia, La Repubblica, 23 agosto 2010.
  2. Da ARCHIVIO/Colin Powell, il soldato nemico della guerra che prestò la faccia ai falchi, Repubblica.it, 18 ottobre 2021. L'articolo fu scritto nel novembre 2004.
  3. Da Versace, morte a Miami, Repubblica.it, 14 luglio 2021 (articolo pubblicato il 16/07/1997 da la Repubblica).
  4. a b Da Biglietti, stadi e turisti, il Mondiale è stato un flop Repubblica.it, 30 giugno 2002.
  5. Da L'ossessione dell'America bianca verso l'ex presidente nero, Repubblica.it, 31 maggio 2017
  6. a b c Da Fischer Il genio degli scacchi che sconfisse l'Urss, la Repubblica, 19 gennaio 2008.
  7. Da Il ciclone Trump infiamma l'America. Così il magnate fa tremare i Bush, Repubblica.it, 9 agosto 2015.
  8. Da La Stampa, 1984, citato in Marco Pellitteri, 1978-1981: arrivano i giapponesi. Prima che li chiamassimo "anime", Anime Cult n. 1, Sprea, Cernusco sul Naviglio, novembre 2022. ISBN 9788862671002
  9. Da Promesse, promesse, Tempo reale, Repubblica.it, 2 dicembre 2009.
  10. Da La rivincita afroamericana dell’Alabama: oltre la siepe non c’è più solo il buio, Rep.repubblica.it, 14 dicembre 2017.
  11. Da Vaiolo, la Repubblica, 31 dicembre 2002.
  12. Termine usato per indicare gli abitanti e, più in generale, le regioni del sud degli Stati Uniti.
  13. Nel 1864, nell'epilogo della guerra di secessione americana.

Bibliografia[modifica]

  • Vittorio Zucconi, Parola di giornalista, Rizzoli, 1990.
  • Vittorio Zucconi, Si fa presto a dire America, Mondadori, Milano, 1989. ISBN 88-04-32662-7
  • Vittorio Zucconi, Storie dell'altro mondo. La faccia nascosta dell'America, Mondadori, 1997.

Voci correlate[modifica]

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