Daniel Pennac

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Daniel Pennac

Daniel Pennac, pseudonimo di Daniel Pennacchioni (1944 – vivente), scrittore francese.

Citazioni di Daniel Pennac[modifica]

  • È proprio quando si crede che sia tutto finito, che tutto comincia. (da Il giro del cielo)
  • Il fumetto è l'arte dell'ellissi. Venti pagine di un romanzo possono essere concentrate in una tavola. In compenso, c'è una certa rigidità grafica.[1]
  • La verità non è qualcosa di dovuto. La verità è una conquista, sempre! (da Signori bambini)
  • Tornando a casa progettate un bel giallo con tanti omicidi: vi farà bene alla salute.[2]
Dall'intervista di Fabio Gambaro, Daniel Pennac: "La mia Sicilia? Un'isola letteraria", R.it Palermo, 17 ottobre 2014
  • Palermo mi sembrò una città al contempo splendida e decadente, il cui aspetto un po' in rovina mi affascinò moltissimo. Ebbi l'impressione di una città molto diversa dalle altre città italiane, con una sua identità molto particolare e una bellezza tutta sua.
  • Spero di ritrovare quelle forti sensazioni visive, linguistiche e culturali di cui ho un vago ricordo. Ma anche sensazioni gastronomiche, che per altro mi sono più familiari, visto che a Parigi frequento spesso un piccolo ristorante siciliano dove si mangia benissimo. Oltre a Palermo, vorrei scoprire un po' l'interno dell'isola. Spostandomi in macchina, viaggiando lentamente e lasciando andare lo sguardo per impregnarmi dei paesaggi, dei colori, delle luci, ma anche delle case e dei monumenti, magari ritrovando quell'universo del barocco che mi ha sempre affascinato.
  • La Sicilia è indubbiamente una delle due grandi isole letterarie del continente, l'altra è l'Irlanda. Entrambe hanno un'importantissima tradizione di scrittori e poeti, al punto che si dovrebbe riflettere sul legame specifico che esiste tra la condizione insulare e il bisogno di scrittura. Un bisogno spesso strettamente legato al tema della nostalgia, visto che, quando gli scrittori vivono lontani dall'isola natia, sublimano la nostalgia attraverso la scrittura.
Conferimento del Premio Chiara alla Carriera 2015, Luino (VA), Cinema Sociale, 1° novembre
  • Perché scrivo? È come se mi chiedessi perché mangio. Scrivo perché ho fame. [...] Sono un po’ come una balena che sta tutto il giorno sott’acqua a cibarsi di plancton, nel mio caso lessicale, e riemerge sputando fuori quello che non va, perché la balena ha un palato fine. Il che significa che dopo un’immersione scrivo quattro, cinque righe.[3]
  • Ci ho messo 5 anni per scrivere Diario di un corpo, il che significa che per quattro non ho scritto.[3]
  • I rifugiati non vengono visti come un insieme di individui, ma come massa, il che dà un’immagine terrificante del problema. I media si rivolgono al nostro istinto di conservazione, che è caratterizzato da due paure: la paura dell’altro e la paura del cambiamento. Scolleghiamoci dai giornali e riflettiamo: gli immigrati sono quelli che hanno creato la Francia di oggi. Quella di domani sarà fatta dai siriani. Diamoci una bella calmata.[3]
  • Nessun insegnante può fare il suo dovere senza aver presente che la principale paura di un alunno è quella di non capire.[4]
  • Il teatro è un’attività che ho intrapreso da quando sono andato in pensione. Lo faccio perché voglio incontrare le persone, conoscere la loro reazione. La scrittura è solitaria, mentre io volevo entrare in contatto con loro.[5]

Abbaiare stanca[modifica]

Incipit[modifica]

«Innanzitutto quando si è un randagio, non si fanno tante storie!»
È la Spepa che squittisce. Ha una voce terribilmente acuta. Le parole rimbalzano contro i muri, il soffitto e il pavimento della cucina. Si mescolano al tintinnio delle stoviglie. Troppo rumore. Il Cane non ci capisce un'acca. Si limita ad appiattire le orecchie aspettando che passi. E poi ne ha sentite di peggiori. Che gli dia del randagio non lo tocca poi tanto. Sì, è stato un randagio, e allora? Non se n'è mai vergognato. Le cose stanno così. Ma santo cielo, com'è acuta la voce della Spepa. E quanto parla! Se non avesse bisogno delle quattro zampe per reggersi dignitosamente in piedi, il Cane si tapperebbe le orecchie con le zampe davanti. Ma si è sempre rifiutato di scimmiottare gli uomini.

Citazioni[modifica]

  • Abbaiare stanca. La forza non conta niente nella vita. Saper schivare è quello che conta.
  • Il problema con la vita è che, anche quando non cambia mai, cambia continuamente.
  • A forza di riflettere, si finisce per arrivare a una conclusione. A forza di giungere a una conclusione, succede che si prende una decisione. E una volta presa la decisione, succede che si agisce per davvero.
  • Si può stare attenti finché si vuole, non si è mai al sicuro da un incidente. Si può essere al colmo della felicità, ma non si è mai al riparo dall'infelicità (e viceversa, per fortuna).

Come un romanzo[modifica]

Incipit[modifica]

Il verbo leggere non sopporta l'imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo "amare"... il verbo "sognare"...
Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: "Amami!" "Sogna!" "Leggi!" "Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!"
"Sali in camera tua e leggi!"
Risultato?
Niente.

Citazioni[modifica]

  • Che dei libri possano sconvolgere a tal punto la nostra coscienza e lasciare che il mondo vada a rotoli ha di che toglierci la parola.
  • Così procedono i nostri discorsi, eterna vittoria del linguaggio sull'opacità delle cose, silenzi luminosi che dicono più di quel che tacciono.
  • Il diritto di spizzicare. È la libertà che ci concediamo di prendere un volume a caso della nostra biblioteca, di aprirlo, dove capita e di immergercisi un istante, proprio perché solo di quell'istante disponiamo.
  • Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d'altronde, o il tempo per amare.) Rubato a cosa? Diciamo, al dovere di vivere.
  • Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.
  • Il verbo leggere non sopporta l'imperativo avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo "amare"... il verbo "sognare"... Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: "Amami!" "Sogna!" "Leggi!" "Leggi! Ma insomma, leggi diamine, ti ordino di leggere!" "Sali in camera tua e leggi!" Risultato? Niente.
  • Nella lettura, tutto questo bisogna immaginarselo... La lettura è un atto di creazione permanente.
  • Oh il ricordo di quelle ore di lettura rubate sotto le coperte alla luce di una torcia elettrica! Come correva Anna Karenina verso il suo Vronskij in quelle ore della notte! Si amavano, quei due, ed era già bello, ma si amavano contro la proibizione di leggere e questo era ancora più bello! Si amavano contro mamma e papà, si amavano contro i compiti di matematica da finire, contro l'esercizio di francese da consegnare, contro la stanza da mettere in ordine, si amavano invece di andare a tavola, si amavano prima del dolce, si preferivano alla partita di calcio e alla raccolta dei funghi... si erano scelti e si preferivano a tutto... Dio, che passione!
    E com'era corto il romanzo.
  • L'uomo che legge a viva voce si espone completamente agli occhi che lo ascoltano.
  • L'uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra potrebbe sostituire.
  • La lettura è, come l'amore, un modo di essere.
  • La libertà di scrivere non può ammettere il dovere di leggere.
  • Le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.
  • Ogni lettura è un atto di resistenza. Di resistenza a cosa? A tutte le contingenze.
  • Per sempre senza risposte... E ben presto senza domande.
  • Quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre ad una persona cara. Ed è a una persona cara che subito ne parleremo.
  • Il vero piacere del romanzo è tutto nella scoperta di questa intimità paradossale: l'autore e io... La solitudine della scrittura che invoca la resurrezione del testo attraverso la mia voce muta e solitaria.
  • Una lettura ben fatta salva da tutto, compreso da se stessi.
  • E soprattutto, leggiamo contro la morte.
  • Il tempo per leggere? Ce l'ho in tasca! [...] Sì... quando si compra una giacca, l'importante è che le tasche siano del formato giusto!

Diario di scuola[modifica]

  • Sì, è la prerogativa dei somari, raccontarsi ininterrottamente la storia della loro somaraggine: faccio schifo, non ce la farò mai, non vale neanche la pena provarci, tanto lo so che vado male, ve l'avevo detto, la scuola non fa per me... La scuola appare loro un club molto esclusivo di cui si vietano da soli l'accesso. Con l'aiuto di alcuni professori, a volte. (I, 4, p. 20)
  • La nascita della delinquenza è l'investimento segreto nella furbizia di tutte le facoltà dell'intelligenza. (I, 9, p. 30)
  • A tutti coloro che oggi imputano la formazione di bande al solo fenomeno delle banlieues, io dico: certo, avete ragione, la disoccupazione, certo, l'emarginazione, certo, i raggruppamenti etnici, certo, la dittatura delle marche, certo, la famiglia monoparentale, certo, lo sviluppo di un'economia parallela e di traffici di ogni genere, certo, certo... Ma guardiamoci bene dal sottovalutare l'unica cosa sulla quale possiamo agire personalmente e che risale alla notte dei tempi pedagogici: la solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono. (I, 11, p. 33)
  • A dire il vero tutte provano un po' di vergogna, e tutte sono preoccupate per il futuro del figlio. "Ma che cosa diventerà?" La maggior parte di loro si fa dell'avvenire una rappresentazione che è una proiezione del presente sullo schermo angosciante del futuro. Il futuro come una parete dove sono proiettate le immagini smisuratamente ingrandite di un presente senza speranza, ecco la grande paura delle madri! (II, 2, p. 42)
  • Ho sempre pensato che la scuola fosse fatta prima di tutto dagli insegnanti. In fondo, chi mi ha salvato dalla scuola se non tre o quattro insegnanti? (II, 4, p. 45)
  • In altri termini, una bugia. dal canto suo, il professore preferisce spesso questa verità ritoccata a una confessione troppo brutale che incrinerebbe la sua autorità. Lo scontro frontale è evitato, lo studente e l'insegnante trovano il loro tornaconto in questo passo a due diplomatico. Quanto al voto, la tariffa è nota: compito non consegnato uguale zero. (II, 15, p. 63)
  • Nel deserto il tentatore non è il diavolo, è il deserto stesso: tentazione naturale di tutti gli abbandoni. (II, 21, p. 83)
  • È la velocità di incarnazione a distinguere coloro che vanno bene da coloro che hanno qualche difficoltà. Questi, come viene rimproverato loro dai professori, sono spesso altrove. Si liberano più faticosamente dell'ora precedente, cincischiano in un ricordo o si proiettano in un qualsiasi desiderio di altro. (III, 5, p. 102)
  • Ogni studente suona il suo strumento, non c'è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l'armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un'orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all'insieme. Siccome il piacere dell'armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica. Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini (III, 7, p. 107-108)
  • E perché non imparare questi testi a memoria? In nome di che cosa non appropriarsi della letteratura? Forse perché non si fa più da tanto tempo? Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo perché non è più stagione? È davvero auspicabile non trattenere simili incontri? Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il resto della vita a morderci la mani per averli lasciati scappare via? Perché condannarci a conservarne solo una traccia che sbiadirà fino a essere solo il ricordo di una traccia... (III, 12, p. 122)
  • Se dovessi definire queste lezioni, direi che i miei presunti somari e io lottavamo contro il pensiero magico, quello che, come nelle fiabe, ci tiene prigionieri di un eterno presente. [...] Nessuno è condannato a essere per sempre una nullità, come se avesse mangiato una mela avvelenata! Non siamo in una fiaba, vittime di un incantesimo!
    Forse è questo insegnare: farla finita con il pensiero magico, fare in modo che a ogni lezione scocchi l'ora del risveglio. (III, 17; p. 137)
  • La risposta assurda costituisce l'ammissione diplomatica di una ignoranza che, nonostante tutto, cerca di mantenere un rapporto. [...] Rispondendo quello che capita alla domanda posta dall'insegnante, cesso di considerarlo in quanto insegnante, diventa un adulto che io lusingo o elimino mediante l'assurdo. (III, 18, pp. 140 sg.)
  • Sono parole pericolose, i pronomi complemento, mine antiuomo sepolte sotto il significato apparente che ti esplodono in faccia se non le disinneschi. (IV, 2, p. 157)
  • Poiché la sensazione di esclusione non riguarda solo le popolazioni respinte al di là dell'ennesima circonvallazione periferica, minaccia anche noi, maggioranza di potere, appena smettiamo di capire una briciola di ciò che ci circonda, appena il profumo dell'insolito infetta l'aria che tira. Che smarrimento proviamo, allora! E come ci spinge a designare i colpevoli. (IV, 2, p. 159)
  • Il somaro oscilla perennemente tra scusarsi di essere il desiderio di esistere nonostante tutto, di trovare il proprio posto, o addirittura di imporlo, fosse anche con la violenza, che è il suo antidepressivo. (V, 5, p. 183)
  • Se le loro marche fossero medaglie, i ragazzini delle nostre città tintinnerebbero come generali da operetta. (V, 6, p. 188)
  • Un tempo si rappresentava il somaro in piedi, dietro la lavagna, con in testa un cappello da asino. Questa immagine non stigmatizzava alcuna categoria sociale particolare, mostrava un bambino qualsiasi, messo nell'angolo perché non aveva studiato la lezione, non aveva fatto i compiti, oppure aveva fatto cagnara nell'ora di Daudet, alias Cosino. Oggi, e per la prima volta nella nostra storia, un'intera categoria di bambini e di adolescenti è quotidianamente, sistematicamente bollata come fatta da somari emblematici. [...] Non contenti di far loro subire qualcosa di molto simile a un apartheid scolastico, dobbiamo anche considerarli una malattia nazionale: sono tutti i giovani di tutte le 'banlieues. (V, 11, p. 198)
  • L'idea che si possa insegnare senza difficoltà deriva da una rappresentazione idealizzata dello studente. Il buon senso pedagogico dovrebbe rappresentarci il somaro come lo studente più normale che ci sia: quello che giustifica perennemente la funzione di insegnante poiché abbiamo tutto da insegnargli, a cominciare dalla necessità stessa di imparare! (VI, 6, p. 218)
  • Rendendo eccessivamente onore alla scuola, in realtà sotto sotto gratifichi te stesso, ponendoti più o meno consapevolmente come studente ideale. Così facendo, occulti gli innumerevoli parametri che ci fanno tanto ìmpari nell'acquisizione del sapere: circostanze, ambiente, patologie, temperamento... Ah! L'enigma del temperamento! (VI, 6, p. 220)
  • Poiché, a paragone dell'insegnamento gratuito ereditato da Jules Ferry, la scuola pubblica rimane oggi l'ultimo luogo della società di mercato in cui il bambino cliente debba pagare di persona, piegarsi al do ut des: sapere in cambio di studio, conoscenze in cambio di sforzi, accesso all'universalità in cambio dell'esercizio solitario della riflessione, una vaga promessa di futuro in cambio di una piena presenza in classe, ecco ciò che la scuola esige da lui. (VI, 11, p. 232)
  • Leggete! Scrivete! Insegnate!
  • Statisticamente tutto si spiega, personalmente tutto si complica.
  • Per il ragazzo [...] il futuro sta tutto nei pochi giorni a venire. Parlargli dell'avvenire significa chiedergli di misurare l'infinito con un decimetro.
  • Il tempo... non sapevo che avrei dovuto invecchiare per avere una percezione logaritmica del suo scorrere.
  • Quale che sia la materia insegnata, un professore scopre ben presto che, ad ogni domanda posta, lo studente interrogato ha a disposizione tre risposte possibili: quella giusta, quella sbagliata, quella assurda.
  • Oggi esistono cinque specie di bambini sul nostro pianeta: il bambino cliente da noi, il bambino produttore sotto altri cieli, altrove il bambino soldato, il bambino prostituto, e sui cartelli nella metropolitana il bambino morente la cui immagine, periodicamente, protende verso la nostra indifferenza lo sguardo della fame e dell'abbandono. Sono bambini, tutti e cinque. Strumentalizzati, tutti e cinque. - Capitolo 9, pagina 228.

Ecco la storia[modifica]

Incipit[modifica]

Sarebbe la storia di un dittatore agorafobico. Poco importa il paese. Basta immaginare una di quelle repubbliche delle banane con il sottosuolo abbastanza ricco perché si desideri prendervi il potere e abbastanza aride in superficie per essere fertili di rivoluzioni. Mettiamo che la capitale si chiami Teresina, come la capitale del Piauí, in Brasile. Il Piauí è uno stato troppo povero per poter mai servire da cornice a una favola sul potere, ma Teresina è un nome accettabile per una capitale.
E Manuel Pereira da Ponte Martins sarebbe un nome plausibile per un dittatore.
Sarebbe quindi la storia di Manuel Pereira da Ponte Martins, dittatore agorafobico. Pereira e Martins sono i due cognomi più diffusi nel suo paese. Da ciò la sua vocazione di dittatore; quando ti chiami due volte come tutti, il potere ti spetta di diritto. È quello che lui si dice da quando ha l'età per pensare.

Citazioni[modifica]

  • "Esercitazione con proiettili veri," avvertiva, "essere sosia è qualcosa che si desidera! E un sosia si sostituisce! Basta avere fiducia nella somiglianza".
    (Strano, come vanno le cose. Tutto ciò che seguì, fino alla conclusione tragica, è forse racchiuso in quest'unica frase.)
    Il sosia ha quindi imparato ad ascoltare. Per quanto insopportabili gli risultino quei crepuscoli da confessore, in essi ha scoperto la propria vera natura di attore: lui ascolta bene. [...]
    La scoperta del proprio talento lo esalta: non è più un sosia di fortuna, è un attore di genio. (I, 6)
  • Cosa, allora? Necessità romanzesca? Certo, era necessario che Pereira tornasse al suo paese affinché il suo destino si compisse, come l'autore annuncia alla fine del terzo capitolo. Ma non è una ragione sufficiente, le manca quel tanto di libertà che fa sì che il buon Dio, pur dandoci appuntamento a data certa, si diverta molto delle strade che noi crediamo di scegliere, e delle nostre ragioni. (I, 8)
  • È giunto il momento di richiudere la finestra del sosia. A questo stadio del racconto, lo sentiamo, la sua situazione non potrà migliorare. (III, 30)
  • Qui occorre che io apra un piccolo capitolo a parte, in forma di parentesi, poiché intuizioni del genere, che sono certezze (tu, ragazza, che asciughi le lacrime di quel morto e gli chiudi gli occhi nel cinema vuoto), non si impongono per caso alla fantasia di un romanziere.
    È un ricordo, in realtà, una visione che spunta senza preavviso alla superficie di questo racconto; un momento della mia giovinezza, risuscitato dallo sforzo che compio per immaginare la tua. (IV, 2)
  • [...] gli venne l'idea che tutte le lacrime che aveva versato su Valentino fossero in realtà destinate al proiezionista scomparso, tutta la sincerità spesa a piangere la morte di Valentino fosse per ornare la tomba del proiezionista, sotterrata così in profondità nella sua memoria, quella tomba, così poco percepibile nella notte della sua coscienza che, con un gioco di prestigio che non sapeva spiegarsi, qualcosa in lui aveva provato il bisogno di sfogarsi su un lutto di facciata, un dolore alla luce del sole, e aveva scelto di pagare per la morte umiliante di Rodolfo Valentino, si era accusato di questo! La sua reputazione di cazzomolle, era colpa mia! Si era addossato la responsabilità di quella cosiddetta infamia senza che nessuno glielo avesse chiesto, di propria iniziativa: espiazione! [...]
    oh! il senso del ridicolo...
    Un tarlo ben più vorace del rimorso!
    Non ti bastava essere un assassino, dovevi anche essere un assassino ridicolo?
    Per la prima volta, avvertì l'assoluto della propria solitudine, poiché nulla ci rende più soli, più sperduti in noi stessi della convinzione di essere ridicoli.
    Fu sorpreso dall'esplosione della propria risata. (IV, 20)
  • "Essere sosia è qualcosa che si desidera," spiegava Pereira, "te l'ho detto cento volte. La somiglianza è un atto di fede, come avrebbe detto il tuo gesuita. Ho voluto che tu mi assomigliassi, tu hai voluto assomigliarmi, ci siamo assomigliati, ecco tutta la nostra storia... Non c'è il minimo spazio per la tua innocenza, in tutto questo. Il barbiere, invece, non ha mai voluto assomigliare a Hynkel, che io sappia." (IV, 22)
  • Scriviamo per farla finita con noi stessi, ma con il desiderio di essere letti, non c'è modo di sfuggire a questa contraddizione. È come se annegassimo urlando: "Guarda, mamma, so nuotare!". Quelli che gridano più forte all'autenticità si gettano dal quindicesimo piano, facendo il tuffo d'angelo: "Vedete, sono soltanto io!". Quanto a sostenere di scrivere senza voler essere letti (tenere un diario, per esempio), significa spingere fino al ridicolo il sogno di essere contemporaneamente l'autore e il lettore. (V, 1)
  • Quando ero bambino credevo che mia nonna fosse immortale. La sua età avanzata era per me una garanzia della sua eternità. Non c'era alcuna ragione che si fermasse visto che era durata tanto a lungo! Gli altri, i più giovani, con tutta la loro vitalità, mi sembravano molto più vulnerabili. (V, 2)
  • Diciamolo, nella vita non sono i segni che mancano, quello che manca è il codice!
  • È vero ancora che Yasmina Melaouah, Manuel Serrat Crespo, Evelyne Passet e alcuni altri dei miei amici traduttori dubitano che "la finestra", "a janela", "das Fenster", "the window" o "la fenêtre" indichino esattamente la stessa cosa, poiché nessuna si affaccia sugli stessi rumori né si richiude sulle stesse musiche.
  • Ecco. Sicuro del suo potere all'interno, munito di conti sostanziosi nelle banche straniere, Pereira poté curare la propria agorafobia dedicandosi alla sua seconda passione: l'altrove.
  • Il caso ci offriva orecchie e uno sguardo nuovi, tanto valeva approfittarne. Altra cosa: era fondamentale fuggire dai cretini che cercavano di trattenerci sostenendo che lasciare Parigi equivaleva ad un suicidio sociale. Tagliare una buona volta il cordone, frapporre un oceano tra noi e quel presunto ombelico del mondo era l'igiene del momento. Altrove! Altrove! Rompere gli ormeggi, togliersi di torno e vedere che aspetto aveva da lontano la Francia di Giscard.
  • La questione del tono… Le parole sono soltanto parole, quasi nulla senza il loro intento, che affidiamo al tono e che trascende il significato per sempre prigioniero dei dizionari.
  • Le nuvole tanto attese si ammassano finalmente sopra la tua testa, il cielo nero si apre come un otre squarciato, la pioggia finalmente cade, ma avvicinandosi alla terra troppo bollente le gocce esplodono, esplodono appena sopra le tue mani tese, la tua bocca aperta, le tue labbra spellate, come se la Terra fosse diventata il sole in persona, e risalgono in getti di vapore per ricostituire le nuvole che il vento spinge altrove; allora sì, allora sai cos'è l'inferno...

La lunga notte del dottor Galvan[modifica]

Incipit[modifica]

"Sono vent'anni oggi, signore. Quasi un anniversario. Così viene voglia di raccontarlo a qualcuno... Ha un momento? Le dovrebbe interessare, visto che mi hanno detto che fa lo scrittore."
"..."
"No? Sì? Ma comunque fa lo stesso, lei o un altro... Un caffé?

"Come dicevo, era esattamente vent'anni fa. Ero di guardia al pronto soccorso della clinica universitaria Postel-Couperin. Era domenica ed eravamo nel pieno della classica frenesia notturna: incidenti domestici, infezioni eruttive, suicidi abortiti, aborti mancati, sbronze comatose, infarti, attacchi epilettici, embolie polmonari, coliche nefritiche, bambini bollenti come pentole, automobilisti a polpette, spacciatori fatti a colabrodo, barboni in cerca di alloggio, donne picchiate e mariti pentiti, adolescenti fumati, adolescenti catatonici... Insomma, la tipica domenica notte al pronto soccorso, e per giunta con la luna piena."

Citazioni[modifica]

  • La mia famiglia (tutti medici sin dall'epoca di Molière, la medicina è la più diffusa malattia ereditaria) mi trovava esemplare. (p. 8)
  • La maggior parte degli asmatici ha una madre, e la questione è tutta lì. L'asma è una vera e propria mamma. (p. 13)
  • Non solo ero bravo, ma mi piaceva. I pazienti di solito si fanno chissà quali idee. È la puntura babau per eccellenza. Un ago nella colonna vertebrale... poche immaginazioni sanno resistervi. Eppure basta trovare un buon punto di riferimento: tra la quarta e la quinta vertebra lombare, oplà! La leggera resistenza del legamento... poi l'ago penetra nel canale spinale come in un sogno. Non si sente niente. La prima volta ero rimasto incantato dall'afflusso di quel raggio di sole nella siringa – sì, il liquido cerebro-spinale è giallo sole. Perciò le prime volte mi ero detto, stoltamente: "Eccola qua la vita, allora siamo pieni di sole!". E di tutti gli atti medici era diventato il mio preferito." (p. 37)

Il paradiso degli orchi[modifica]

Incipit[modifica]

La voce femminile si diffonde dall'altoparlante, leggera e piena di promesse come un velo da sposa.
– Il signor Malaussène è desiderato all'Ufficio Reclami.
Una voce velata, come se le foto di Hamilton si mettessero a parlare. Eppure, colgo un leggero sorriso dietro la nebbia di Miss Hamilton. Niente affatto tenero, il sorriso. Bene, vado. Arriverò probabilmente la settimana prossima. È il 24 dicembre, sono le 16 e 15, il Grande Magazzino è strapieno. Una fitta folla di clienti gravati dai regali ostruisce i passaggi. Un ghiacciaio che cola impercettibilmente, in un cupo nervosismo. Sorrisi contratti, sudore lucente, ingiurie sorde, sguardi pieni d'odio, urla terrorizzate di bambini acciuffati da Babbi Natale idrofili.
– Non aver paura, tesoro, è Babbo Natale!
Rapidi flash.

Citazioni[modifica]

  • Troppo pagato per quello che faccio, ma non abbastanza per quanto mi rompo. (Benjamin: IV; p. 23)
  • (Se davvero volete sognare, svegliatevi...) (V; p. 26)
  • Toglietemi il mondo dalle orecchie, mi piacerà. Tappatemi gli occhi, morirò. (IX; p. 46)
  • [...] a qualsiasi uomo verrebbe duro, se non sapesse che agli altri uomini viene duro. (zia Julia: X; p. 50)
  • Non sono emotivo, sono un uccello implume, appollaiato su una linea ad alta tensione, che ritrare la coda tra le zampe per non toccare il filo di fronte. (XII; p. 56)
  • Aspirava con una cannuccia un latte rosato, probabilmente il segreto della sua carnagione di petalo translucido. (XV; p. 70)
  • Lecyfre che passava dietro di lei ha buttato lì il mio cognome: – Malaussène.
    La ragazza ha sgranato gli occhi.
    – Ah! È lei?
    Sì, ero io già allora. (XV; p. 71)
  • Non sono in grado di descrivere Sainclair. È bello, fine, dolce. È arrivato, lo si direbbe un nuovo filosofo, un nuovo romantico, un nuovo after-shave. È nuovo eppure allevato nella tradizione ruspante. Mi infastidisce. (XV; p. 73)
  • Eppure il cuore batte. Rimbomba in una gabbia vuota. Un cuore innestato da Edgar Allan Poe. (XVI; p. 75)
  • [...] l'epilessia è una malattia comune, benigna, che colpisce persone come si deve, guarda Dostoevskij... (Benjamin: XVI; p. 76)
  • Si torna naturalmente al trucido feuilleton del Grande Magazzino dove finzione e realtà copulano allegramente. (XVI; p. 79)
  • Allora ho tentato di riaddormentarmi. Devo esserci riuscito, perché stamattina mi sono risvegliato. (XVII; p. 80)
  • Quel che mi vien da dire è semplice come la disperazione. (XVII; p. 82)
  • Per parlare solo del giudaismo, per esempio, o del cristianesimo, il suo fratellino perbene! Malo, ti sei mai chiesto come faceva Jahvé, il Sublime Paranoico, per far funzionare le sue innumerevoli creature? Indicava loro il Capro Espiatorio, in ogni fottuta pagina del suo fottuto Testamento, tesoro mio! (zia Julia: XVIII; p. 84)
  • E noi, che crediamo che non si debba credere in niente, come pensi che riusciamo a non sentirci delle merde? Annusando l'odore di capro del vicino, Malo (di nuovo Malo!) e se non ci fosse il vicino ci si taglierebbe in due per farci un capro tutto nostro, portatile, che puzzerebbe al posto nostro! (zia Julia: XVIII; p. 85)
  • Il postino Cheval. Ha installato il cantiere neo-medievale ai piedi di una scala mobile. Troppo presi da quello che vengono a comprare, i clienti in arrivo non lo notano; troppo ansiosi di provare il loro nuovo materiale, nemmeno quelli che se ne vanno lo notano. Lui stesso non nota né gli uni né gli altri. Dolce autismo del fai-da-te che rende l'uomo pacifico e la donna disponibile. (XIX; p. 94)
  • È un vecchio alto e freddo, che mi trova simpatico, con il pretesto che so leggere. Il nonno che a volte ho sognato, quando l'infanzia si faceva lunga. (XX; p. 96)
  • (Clara! Clara, sei tu, la mia Clarinette! Perché mai mi piace così tanto la tua voce, raggomitolarmi nella tua vocina tranquilla, senza uno strappo, delicato tappeto da biliardo dove scivola la precisione delle tue parole... Ok, basta così, Benjamin, niente incesti! E poi, raggomitolarsi in un tappeto da biliardo...) (XX; p. 99)
  • Perché i conquistatori perdono l'impero se si addormentano sui sofà, signor Malaussène. (Rabdomant: XXI; p. 103)
  • Vede, il Capro Espiatorio non è solo quello che, all'occorrenza paga per gli altri. È soprattutto, e anzitutto, un principio esplicativo, signor Malaussène. (Rabdomant: XXI; p. 105)
  • Le lingue evolvono nel senso della pigrizia. (XXII; p. 110)
  • Quale istinto ci dice che un orologio è fermo, anche se segna l'ora giusta? (XXII; p. 112)
  • L'umorismo, irriducibile espressione dell'etica. (XXIV; p. 124)
  • Da quanti anni non piango, io? (Voce della mamma: "tu non hai mai pianto, Ben, in ogni caso non ti ho mai visto piangere, nemmeno quando eri piccolo. Ti è già successo di piangere?" – No, mammina, mai fuori dal lavoro.) (XXVII; p. 139)
  • (Non ti lascerò sola in questo bianco e nero.) (XXVII; p. 140)
  • In poesia i silenzi hanno lo stesso ruolo che in musica. Sono una respirazione, ma sono anche l'ombra delle parole, o il loro riflesso, dipende. Per non parlare dei silenzi annunciatori. Ci sono infiniti tipi di silenzi, Clara. Per esempio, prima che tu ti mettessi a recitare, stavi fotografando il gatto bianco sulla tomba di Victor Noir. Supponi che dopo che avrai recitato noi tacciamo. Sarà forse lo stesso silenzio? (Benjamin: XXXI; p. 158)
  • Cos'è questo tremito di tutti i nervi, questo sisma, questi cortocircuiti? (Benjamin: XXXI; p. 159)
  • La peggior mostruosità è sempre figlia di una bambinata. (Gimini: XXXIV; p. 174)
  • Tutte le fiammelle della Pentecoste si sono improvvisamente accese nei suoi occhi. (XXXIV; p. 178)
  • Gli orari della vita dovrebbero prevedere un momento, un momento preciso della giornata, in cui ci si potrebbe impietosire sulla propria sorte. Un momento specifico. Un momento che non sia occupato né dal lavoro, né dal mangiare, né dalla digestione, un momento perfettamente libero, una spiaggia deserta in cui si potrebbe starsene tranquilli a misurare l'ampiezza del disastro. Con queste misure davanti agli occhi, la giornata sarebbe migliore, l'illusione bandita, il paesaggio chiaramente delineato. Ma se si pensa alla propria sventura tra due forchettate, con l'orizzonte ostruito dall'imminente ripresa del lavoro, si prendono delle cantonate, si valuta male, ci si immagina messi peggio di come si sta. Qualche volta, addirittura, ci si crede felici! (XXXV; p. 182)
  • [...] si immagini da qualche parte in un romanzo, questo la aiuterà a lottare contro la paura. (il vecchietto killer : XXXVII; p. 192)
  • I vigilantes serviranno da monumento ai Morti (il primo dovere di un monumento ai morti è di essere vivo). (XXXVIII; p. 201)

La fata Carabina[modifica]

Incipit[modifica]

Era inverno a Belleville e c'erano cinque personaggi. Sei contando la lastra di ghiaccio. Sette, anzi, con il cane che aveva accompagnato il Piccolo dal panettiere. Un cane epilettico, con la lingua che gli penzolava da un lato.

Citazioni[modifica]

  • Bisogna pagare una tassa sull'amore, ragazzo mio. La felicità individuale ha il dovere di produrre delle ripercussioni collettive senza le quali la società è soltanto un sogno da predatori.
  • "Invecchiare, che orrore" diceva mio padre "ma è l'unico modo che ho trovato per non morire giovane".
  • La città è il cibo preferito dei cani.
  • Proverbio taoista [...]: "Se domani, dopo la vittoria di stanotte, contemplandoti nudo allo specchio scoprirai un secondo paio di testicoli, che il tuo cuore non si gonfi di orgoglio, figlio mio, vuol semplicemente dire che ti stanno inculando".
  • I giovani amano la morte. A dodici anni si addormentano sentendo racconti di guerra, a vent'anni la fanno. [...] Sognano di dare una morte giusta o di ricevere una morte gloriosa, ma in entrambi i casi è la morte che amano.
  • Siccome nessuno reagisce, il Piccolo si avvicina a me e Stojilkovicz.
    "È vero, zio Stojil, ho visto una fata che ha trasformato un tizio in fiore."
    "Meglio così che il contrario," risponde Stojil senza togliere gli occhi dalla scacchiera.
    "Perché?"
    "Perché il giorno in cui le fate trasformeranno i fiori in tizi, la campagna diventerà infrequentabile." (cap. 2)
  • Uno crede di portare fuori il cane a fare pipì mezzogiorno e sera. Grave errore: sono i cani che ci invitano due volte al giorno alla meditazione.
  • Se Dio esiste, spero che abbia una scusa valida.
  • Ma così è la vita: se incontri un essere umano nella folla, seguilo... seguilo.
  • (Così è la vita: ci sono i conosciuti e gli sconosciuti. I conosciuti ci tengono a farsi riconoscere, gli sconosciuti vorrebbero rimanere tali, e a tutti e due va male.)
  • Vorrei appartenere alla grande, bella "anima umana", quella che crede, vero come l'oro, al carattere esemplare della pena, quella che sa da che parte stanno i buoni, da che parte stanno i cattivi, vorrei essere il fortunato possessore di un'intima convinzione, cazzo come mi piacerebbe! Perdio se mi semplificherebbe la vita!
  • È strano, l'uomo. In quel momento facevo ancora in tempo a defilarmi ringraziando il buon dio Caso. Ma una delle innumerevoli caratteristiche che distinguono l'uomo dalla bestiola è di volerne di più. E anche quando la quantità è sufficiente, reclama la qualità. I fatti brutti non gli bastano più, vuole anche i "perché", i "come" e i "fino a che punto".
  • Ci sono quelli che vengono schiantati dal dolore, quelli che diventano pensosi. Ci sono quelli che parlano del più e del meno sull'orlo della tomba, e continuano in macchina, del più e del meno, neanche del morto, di piccole cose domestiche; ci sono quelli che dopo si suicideranno e non glielo si vede in faccia, ci sono quelli che piangono molto e cicatrizzano in fretta, quelli che annegano nelle lacrime che versano, quelli che sono contenti, sbarazzati da qualcuno; ci sono quelli che non riescono più a vedere il morto, tentano, ma non ce la fanno, il morto ha portato con sé la propria immagine, ci sono quelli che vedono il morto ovunque, vorrebbero cancellarlo, vendono i suoi tre stracci, bruciano le sue foto, traslocano, cambiano continente, ci riprovano con un vivo, ma niente da fare, il morto è sempre lì, nel retrovisore; ci sono quelli che fanno il pic-nic al cimitero e quelli che lo evitano perché hanno una tomba scavata nella testa, ci sono quelli che non mangiano più, ci sono quelli che bevono, quelli che si domandano se il loro dolore è autentico o costruito; ci sono quelli che si ammazzano di lavoro e quelli che finalmente si prendono una vacanza, ci sono quelli che trovano la morte scandalosa e quelli che la trovano naturale con-l'età-per-cui, circostanze-che-fanno-sì-che; è la guerra, è la malattia, è la moto, la macchina, l'epoca, la vita; ci sono quelli che trovano che la morte sia la vita.

La prosivendola[modifica]

Incipit[modifica]

Prima c'è stata quella frase che mi ha attraversato la mente: "La morte è un processo rettilineo". Il genere di dichiarazione poco sfumata che uno si aspetta piuttosto di trovare in inglese: "Death is a straight on process"... o giù di lì.

Citazioni[modifica]

  • Gli stronzi rinsaviscono giusto il tempo che dura la paura.
  • Il peggio, nel peggio, è l'attesa del peggio.
  • La pazienza del consolatore deriva dal fatto che anche lui ha le sue rogne.
  • La vendetta è il territorio infinito delle conseguenze indesiderate, Julie. Tuo padre governatore non te l'ha spiegato abbastanza? Il trattato di Versailles ha prodotto dei tedeschi vessati che hanno prodotto degli ebrei erranti che fabbricano dei palestinesi erranti che fabbricano delle vedove incinte dei vendicatori di domani.
  • La vita non è un romanzo, lo so... lo so. Ma solo lo spirito del romanzo può renderla vivibile.
  • Ma c'è qualcosa di peggio dell'imprevisto, [...] le certezze!
  • Quando la vita è appesa ad un filo, è incredibile il prezzo del filo!
  • La famiglia? La famiglia Malaussène? Meglio non parlarne, della famiglia! Una tribù di rompicoglioni mezzi arabi, sempre tra i piedi dal mattino alla sera, simpatica la famiglia Malaussène!
  • – Lo sai che finirai per farmi ingelosire? -Te, io ti amerò fino alla fine dei miei giorni. -Accontentati di amarmi ogni giorno.
  • R: Mi dica, Thian, fin dove può arrivare una donna che ha deciso di vendicare l'uomo che ama?
  • – Ha violentato una bambina. E sai cos'ha fatto la bambina, Loussa? -No. -L'ha minacciato con un dito. -Tutto qua? -Secondo te cosa può fare di più una bambina? -Non lo so. -Si è impiccata.
  • La morte è un processo rettilineo. C'è della lentezza nella parola "processo", una lentezza fatale, il destino insomma, il fatto che ci dobbiamo passare tutti, anche quelli che corrono più in fretta, ma questa lentezza è controbilanciata dall'aggettivo "rettilineo" che dà rapidità alla frase... lentezza rapida...

Signor Malaussène[modifica]

Incipit[modifica]

Il bambino era inchiodato alla porta come un uccello del malaugurio. I suoi occhi plenilunio erano quelli di una civetta.
Loro erano sette e salivano le scale quattro a quattro. Naturalmente ignoravano che questa volta gli avevano inchiodato un moccioso alla porta. Pensavano di avere già visto tutto e quindi correvano verso la sorpresa. Ancora due piani e un piccolo Gesù di sei o sette anni avrebbe sbarrato loro la strada. Un bimbo-dio inchiodato vivo a una porta. Chi può immaginare una cosa simile?

Citazioni[modifica]

  • Giovani delle generazioni future, ascoltatemi: non sappiate niente, ma abbiate una risposta a tutto. Dio è nato da questa preferenza! Dio e la Statistica! Dio e la Statistica sono risposte che godono di ottima salute.
  • Quando la vita è quello che è, il romanzo ha il dovere di essere quello che vuole.
  • "Zio Stojil" ho detto stupidamente, "Stojil, Stojil, tu che mi avevi giurato di essere immortale!"
    "È vero, ma non ti ho mai giurato di essere infallibile... Del resto io non muoio, arrocco."
  • Mi piacerebbe conoscere il direttore d'orchestra dei temporali. Maneggia la macchina dell'acqua a una velocità... dal frastuono delle cateratte al mormorio delle fontane...
  • Aveva intenzione di non frequentare più nemmeno se stesso.
  • Non c'è mica solo la felicità nella vita, c'è la vita!
  • Non ha solo occhi che vedono, ha occhi che fanno vedere.
  • Vedrai, non c'è scampo, al giorno d'oggi anche i ciechi hanno uno schermo acceso dentro gli occhi, oggi non si vede più niente, si passa il tempo a riconoscere.
  • Gervaise aveva risposto che non si sorveglia l'inferno dal paradiso, e che se gli angeli possono cadere, allora gli angeli caduti possono salvarsi.
  • La trasparenza è un concetto imbecille, figliolo. O quanto meno inefficace, se applicato alla ricerca della verità. [...] La verità umana è opaca.
  • È il bastardo che fa l'uomo, a pensarci bene. Il meticcio è l'incrocio del futuro.
  • L'uomo non si nutre di verità, l'uomo si nutre di risposte!
  • L'inno imbecille del successore. Che crede alla propria modernità. E ignora che la modernità risale alla notte dei tempi.
  • Un errore giudiziario è sempre un capolavoro di coerenza.
  • Dovresti sapere, Benjamin, che il dramma di una zia è di non svegliarsi mai mamma.
  • Eh sì, la verità non sta ad alta quota, ma in basso, in una tana. Bisogna scendere, bisogna scavare.
  • Ci sono quelli che cancellano e quelli che ricordano.
  • A nascere son buoni tutti! Persino io sono nato! Ma poi bisogna divenire! divenire! crescere, aumentare, svilupparsi, ingrossare (senza gonfiare), accettare i mutamenti (ma non le mutazioni), maturare (senza avvizzire), evolvere (e valutare), progredire (senza rimbambire), durare (senza vegetare), invecchiare (senza troppo ringiovanire), e morire senza protestare, per finire... un programma enorme, una vigilanza continua... perché a ogni età l'età si ribella contro l'età, sai! E se fosse solo questione di età... ma c'è anche il contesto!
  • L'amore è sempre stato di bocca buona riguardo ai suoi primi alimenti. Le prime conversazioni d'amore assomigliano agli omogeneizzati dei bambini. Non importano gli ingredienti, tanto è d'altro che si parla. L'amore sfida le leggi della dietetica, si nutre di tutto e nulla lo nutre. Si son viste autentiche passioni nascere da conversazioni così povere di proteine da reggersi a stento in piedi. A questo assistiamo, a questo becchettio amoroso tra Clara e Clèment. Né l'uno né l'altra sanno davvero di cosa stiano parlando, ma la mamma capisce benissimo che tutto ciò che sboccia dalle labbra di Clèment – verso chiunque sia rivolta – vola in realtà verso Clara, aquiloni variopinti, piccoli emissari d'amore che Clara afferra al volo senza batter ciglio.

La passione secondo Thérèse[modifica]

Incipit[modifica]

Bisognerebbe vivere a posteriori. Decidiamo tutto troppo presto. Non avrei mai dovuto invitare quel tizio a cena. Una resa affrettata, dalle conseguenze disastrose. È vero che la pressione era fortissima. Tutta la tribù si era accanita a convincermi, ognuno nel proprio registro, una potenza di fuoco spaventosa:
«Come sarebbe?» sbraitava Jérémy, «Thérèse è innamorata e tu non vuoi vedere il suo tipo?»
«Non ho mai detto questo.»
Subentrava Louna:
«Thérèse trova un signore che si interessa a lei, fenomeno altrettanto improbabile di un tulipano su Marte, e a te non frega niente?»
«Non ho detto che non me ne fregava niente.»
«Nemmeno un briciolo di curiosità, Benjamin?»

Citazioni[modifica]

  • L'amore uccide, come i giochi d'azzardo: la certezza che non potremo mai rifarci.
  • La conseguenza è infatti l'atterraggio di fortuna di una conclusione tratta male. (cap. 2)
  • Strano, lo sguardo del cane che spinge. È sempre una faccenda che lo assorbe molto. Preferirebbe non essere visto, vorrebbe tanto guardare altrove, ma la cosa richiede tutta la sua concentrazione. Si tratta di ottenere un equilibrio pendolare del treno posteriore, di calcolare un'esatta verticale, di non farsela sulle zampe e di non caderci seduto dentro. Un gran numero di parametri da valutare contemporaneamente. Si vorrebbe fare in fretta e con discrezione, ma l'evento richiede lentezza, esige applicazione. La fronte si corruga, il sopracciglio si aggrotta. Se c'è una circostanza della sua vita in cui il cane sembra pensare, un momento di pura introspezione, è quando spinge.
  • «Therésè cara, dormi?» – Aveva gli occhi spalancati nel buio. – «Therésè, cos'hai?» – Mi ha detto: «Amo.»
  • La specie umana è una decisione di donna, Benjiamin. Nemmeno Hitler ha potuto opporvisi.
  • No, Malausséne, quando si ha una piccola tana tutta per sé non bisogna cercare di ingrandirla. Bisogna trarre profitto dai propri limiti.
  • Ho fotografato quello che mi capitava sott'occhio, senza ricerca né distinzione; i ricordi sono figli del caso, solo gli imbroglioni hanno la memoria in ordine.

Ultime notizie dalla famiglia[modifica]

  • Ciò che Dio non può più fare, una donna, a volte, lo può fare.
  • Se oggi l'uomo non mangia più l'uomo, è unicamente perché la cucina ha fatto dei progressi!
  • Tanto vale che ti ci abitui subito, sarai esaminato per tutta la vita. Bisogna rendere i conti, dall'inizio alla fine. E che siano giusti! Il medico legale farà il totale dell'addizione.

Incipit di Signori bambini[modifica]

"Immaginazione non significa menzogna."
Crastaing lo urlava senza alzare la voce.
"Immaginazione non significa menzogna!"
La sua cartella vomitava i nostri compiti sulla cattedra.
"Lo fate apposta?"
Nessuno lo faceva apposta. Bisognava essere dementi per farlo apposta.
"Quante volte dovrò ripetervelo?"
Trent'anni dopo, lo ripeteva ancora:
"Immaginazione non significa menzogna!".

Note[modifica]

  1. Dall'intervista di Anais Ginori, Daniel Pennac: “Se sono uno scrittore lo devo ai fumetti”, Rep.repubblica.it, 27 gennaio 2018.
  2. Citato in Il Messaggero, 27 maggio 1997.
  3. a b c Citato in Pennac: “Scrivo perché ho fame”, VareseNews, 1° novembre 2015.
  4. Citato in La Prealpina, 2 novembre 2015.
  5. Citato in “Premio Chiara alla Carriera”, Daniel Pennac: “Combattendo le paure si possono aprire le porte della conoscenza”, Luino Notizie, 1° novembre 2015.

Bibliografia[modifica]

  • Daniel Pennac, Abbaiare stanca, traduzione di Cristina Palomba, Salani, 1998. ISBN 887782607X
  • Daniel Pennac, Come un romanzo, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 2000. ISBN 8807816059
  • Daniel Pennac, Diario di scuola, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 2008. ISBN 9788807017445
  • Daniel Pennac, Ecco la storia, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 2003. ISBN 8807016354
  • Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 2006. ISBN 880781210X
  • Daniel Pennac, La fata Carabina, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli. ISBN 8807812576
  • Daniel Pennac, La lunga notte del dottor Galvan, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 2013 (2005). ISBN 978-88-07-88319-4
  • Daniel Pennac, La passione secondo Thérèse, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli. ISBN 8807816296
  • Daniel Pennac, La prosivendola, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 2002. ISBN 8807812444
  • Daniel Pennac, Signor Malaussène, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli. ISBN 8807814331
  • Daniel Pennac, Signori bambini, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 2008. ISBN 9788807815744
  • Daniel Pennac, Ultime notizie dalla famiglia, a cura di Isabella Santacroce, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 1997.

Voci correlate[modifica]

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