Fëdor Dostoevskij

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Ritratto di Fëdor Dostoevskij (Vasilij Perov, 1872)

Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821 – 1881), scrittore e filosofo russo.

Citazioni di Fëdor Dostoevskij[modifica]

  • [Da una lettera al fratello Michail] Che m'importa la gloria, quando io scrivo per il pane?[1]
  • Col chiudere un altro in manicomio, non proverai la tua saviezza.[2]
  • [Su Raffaello] Dalle sue mani sono uscite cose divine.[1]
  • Di recente è tornato da Parigi il poeta Turghèniev [...] e sin dal primo giorno mi ha manifestato una tale amicizia, che Bielinskij, per giustificarla, dice che colui è innamorato di me. [...] Egli è un poeta, un grande ingegno, un aristocratico, un uomo bello fisicamente, ricco, intelligente, colto, ha venticinque anni; veramente non saprei che cosa la natura gli abbia negato.[1]
  • È chiaro ed evidente che il male si insinua nell'uomo più profondamente di quanto suppongano i medici-socialisti. In nessun ordine sociale si sfuggirà al male e l'anima umana non muterà: l'aberrazione e il peccato scaturiscono da lei stessa.[3][4]
  • [Su Anna Karenina] È un'opera d'arte perfetta, che arriva assai a proposito; un libro assolutamente diverso da ciò che si pubblica in Europa: la sua idea è completamente russa.[5]
  • Firenze è bella, ma molto umida. Ma le rose fioriscono ancora nel giardino di Boboli all'aria aperta. E quali tesori nelle gallerie! Dio mio, guardai la Madonna della Seggiola nel '63; la guardai una settimana e soltanto ora l'ho vista. Ma oltre ad essa quanto ancora di divino.[6]
  • [Da una lettera al fratello Andreij] Ho sempre pensato che non v'è nessuna felicità maggiore di quella della famiglia.[1]
  • I sogni, sappiamo, sono davvero strani: qualcosa magari ci appare straordinariamente chiara, minuziosa come la cesellatura di un orafo, su altre cose invece si passa sopra senza notarle neppure come ad esempio lo spazio ed il tempo. Credo che i sogni nascano non dalla ragione, ma dal desiderio, non dalla testa, ma dal cuore, anche se la mia ragione in sogno si è esibita qualche volta in ingegnosi voli non da poco. Certo è che in sogno accadono cose del tutto incomprensibili. Mio fratello, ad esempio, è morto cinque anni fa, qualche volta lo sogno: egli prende parte alle cose della mia vita, siamo molto interessati l'uno all'altro, ma intanto, durante tutto lo svolgimento del sogno, io sono pienamente cosciente che mio fratello è morto e sepolto. [...] E va bene, ammettiamolo pure, è un sogno, ma questa vita che viene tanto esaltata, io volevo finirla suicidandomi, invece il mio sogno, oh! Esso mi ha indicato una vita nuova.[7]
  • Il poeta, quando è rapito dall'ispirazione, intuisce Dio.[1]
  • Il tuo amore è sceso su di me come un dono divino, inatteso, improvviso, dopo tanta stanchezza e disperazione.[8]
  • Io non ho mai smesso di considerarmi più intelligente di tutti e, qualche volta, credetemi, me ne sono sentito un po' imbarazzato. Almeno, guardavo sempre in tralice, non ho mai potuto guardare la gente dritto negli occhi.[9]
  • L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui.[10]
  • [In relazione alla modestia dello stato unitario italiano rispetto alla sua storia] L'unico grande diplomatico del secolo XIX è stato Cavour e anche lui non ha pensato a tutto.[11]
  • La bellezza salverà il mondo.[12][4]
  • La fede e le dimostrazioni matematiche sono due cose inconciliabili.[3][4]
  • La malattia e l'umore morboso stanno alla radice della nostra stessa società, e intanto chi osa notarlo e indicarlo ha subito contro di sé lo sdegno generale.[13]
  • La tragedia e la satira sono sorelle e vanno di pari passo; tutte e due prese insieme si chiamano verità.[4]
  • Le parole "contadino" e "Rus' ortodossa" sono le nostre radici fondamentali. Un russo che rinneghi lo spirito del popolo (e ce ne sono tanti) è immancabilmente un ateo o un indifferente. [...] La questione principale ora è questa: come obbligare la nostra intellighenzia ad ammettere ciò? Provata a dirlo, a quelli: e subito o vi sbraneranno, o vi considereranno un traditore. Ma traditore di chi? Di loro medesimi, ovverosia di un qualche cosa di campato in aria.[14]
  • [Riferito ad Apollinarija Suslova] Mio tesoro, non è a una dozzinale felicità obbligatoria che ti invito. Ho stima di te (e ne ho sempre avuta) per il tuo spirito esigente, ma so che il tuo cuore non può non esigere la vita, e tu consideri gli uomini o infinitamente fulgidi o subito disonesti e triviali. Giudico in base ai fatti. A te le conclusioni.[15]
  • Noi siamo tutti fino all'ultimo altrettanti Fëdor Pávlovič.[16]
  • Pascal ha detto una volta: filosofo è colui il quale si ribella alla filosofia. Che meschina filosofia![1]
  • Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più forti mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! Cionostante Iddio mi manda talora degl'istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegl'istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri, e appunto in quegl'istanti io ho concepito un simbolo della fede, un Credo, in cui tutto per me è chiaro e santo. Questo Credo è molto semplice, e suona così: credete che non c'è nulla di più bello, di più profondo, più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c'è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità.[17]
  • Tiutcev è assai notevole [...] molte delle sue poesie sono eccellenti.[1]
  • Tutte le cose e tutto nel mondo è incompiuto, per l'uomo, e nel frattempo il significato di tutte le cose del mondo è racchiuso nell'uomo stesso.[18]
  • Vita e menzogna sono sinonimi.[19]
  • Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L'uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l'uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo.[20]

Delitto e castigo[modifica]

Incipit[modifica]

Serena Prina[modifica]

All'inizio di un luglio straordinariamente caldo, verso sera, un giovane scese per strada dallo stanzino che aveva preso in affitto in vicolo S., e lentamente, come indeciso, si diresse verso il ponte K.
Sulle scale riuscì a evitare l'incontro con la padrona di casa. Il suo stanzino era situato proprio sotto il tetto di un'alta casa a cinque piani, e ricordava più un armadio che un alloggio vero e proprio. La padrona dell'appartamento, invece, dalla quale egli aveva preso in affitto quello stambugio, vitto e servizi compresi, viveva al piano inferiore, in un appartamento separato, e ogni volta che egli scendeva in strada gli toccava immancabilmente di passare accanto alla cucina della padrona, che quasi sempre teneva la porta spalancata sulle scale. E ogni volta, passandole accanto, il giovane provava una sensazione dolorosa e vile, della quale si vergognava e che lo portava a storcere il viso in una smorfia. Doveva dei soldi alla padrona, e temeva d'incontrarla.

[Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, traduzione di Serena Prina, Mondadori, 1994.]

Costantino Di Paola[modifica]

C'era un caldo insopportabile in quei primi giorni di luglio. Era quasi sera quando un giovane uscì dalla misera stanza che aveva preso in affitto in vicolo S. e, sceso in strada, s'incamminò lentamente, come fosse indeciso, in direzione del ponte K.
Per sua fortuna, sulla strada non aveva incontrato la padrona di casa. La stanza del giovane si trovava nel sottotetto di un caseggiato di cinque piani e assomigliava più a un armadio che a una stanza. La donna che gliel'aveva affittata, compresi il vitto e il servizio, abitava da sola nell'appartamento un piano più in basso, per cui il giovane, quando usciva di casa, doveva inevitabilmente passare davanti alla cucina la cui porta era quasi sempre spalancata. E ogni volta che passava davanti a quella porta avvertiva una sensazione di malessere e di profondo fastidio di cui provava vergogna e che gli contraeva il volto in una smorfia. Dovendole dei soldi faceva di tutto per non incontrarla.

[Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, traduzione di Costantino Di Paola, Marsilio Editore, 1999]

Damiano Rebecchini[modifica]

Ai primi di luglio, dopo giornate caldissime, verso sera, un giovane uscì dal buco che aveva in subaffitto nel vicolo S. e a passi lenti, come se fosse indeciso, si diresse verso il ponte K.
Era riuscito a non incontrare la padrona di casa sulle scale. Il suo buco, più simile a un armadio che a un alloggio, si trovava nel sottotetto di un alto edificio a cinque piani. La donna che glielo aveva affittato, con pasto e servizio inclusi, alloggiava in un appartamento al piano di sotto e ogni volta che egli usciva doveva passare inevitabilmente davanti alla sua cucina, che aveva la porta quasi sempre spalancata sulle scale. E ogni volta che passava davanti a quella porta avvertiva una sensazione di fastidio, quasi di vigliaccheria, che gli faceva provare un senso di vergogna e lo faceva incupire. Le doveva molti arretrati e temeva di incontrarla.

[Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, traduzione di Damiano Rebecchini, Feltrinelli Editore, 2013]

Citazioni[modifica]

  • Era rimasto un tipo un poco brillo, un piccolo borghese, seduto davanti a una birra, e un suo compagno, grosso, enorme, con addosso una sibirka e con la barba canuta, molto sbronzo, che dormiva sulla panca e che di tanto in tanto, all'improvviso, come nel dormiveglia, cominciava a schioccare le dita, allargava le braccia, e sussultava con la parte superiore del tronco, senza sollevarsi dalla panca, e al tempo stesso cantilenava una qualche scempiaggine, sforzandosi di rammentarne le parole, del tipo:
    Un anno intero la moglie ho accarezzato,
    un an-no intero la mo-glie ho accarezzato...
    O all'improvviso, ridestatosi, riattaccava:
    Per la Pod'jàčeskaja andai,
    quella di prima ritrovai... (I, I; 1994, p. 13)
  • A dispetto del recente e momentaneo desiderio di una qualsiasi forma di contatto con gli altri uomini, alla prima parola rivolta direttamente a lui all'improvviso avvertì il solito, spiacevole e irascibile, sentimento di repulsione nei confronti di qualsiasi individuo estraneo che lo sfiorasse o che anche solo tentasse di farlo. (I, II; 1994, p. 16)
  • La povertà non è un vizio, questa è una verità. So che anche l'ubriachezza non è virtù, e questo è ancor più vero. Ma la miseria, egregio signore, la miseria è un vizio. In povertà riuscite ancora a conservare la nobiltà di sentimenti in voi innati, ma in miseria invece mai nessuno ci riesce. Quando si è in miseria gli altri non prendono nemmeno il bastone per scacciarvi, ma con la scopa vi spazzan via dalla compagine umana, perché l'offesa risulti ancor più oltraggiosa: e a ragione, in quanto nella miseria io per primo son pronto a oltraggiarmi. (funzionario; I, II; 1994, p. 17)
  • Ah, la brava Sonja! Però che pozzo si son saputi scavare! E ne approfittano! Come ne approfittano! E vi si sono abituati. Han pianto un poco, poi si sono abituati. A tutto si abitua quel vigliacco ch'è l'uomo. (Raskòl'nikov; I, II; 1993, p. 34)
  • La cosa è chiara: per se stessa, per il proprio benessere, e anche per salvarsi dalla morte, non si venderebbe, ma per un altro ecco che si vende! Per una persona cara, per la persona che adora si venderebbe! Ecco in che consiste tutta la faccenda: per il fratello, per la madre si venderebbe! Tutto venderebbe! Oh, allora soffocheremo, all'occorrenza, anche il senso morale; e la libertà, la tranquillità, perfino la coscienza, tutto, tutto porteremo al mercato degli stracci. Sia pure rovinata la nostra vita! Purché quelle creature da noi tanto amate siano felici! Non basta: inventeremo una casistica nostra, andremo a scuola dai gesuiti, e per un po' di tempo, magari, tranquillizzeremo anche noi stessi, ci convinceremo che è necessario per un buon fine. (Raskòl'nikov; I, IV; 1993, p. 54)
  • Nello stato morboso i sogni spesso si distinguono per un'insolita espressività, chiarezza e per la straordinaria somiglianza con la realtà. A volte viene a comporsi un quadro mostruoso, ma in tal modo la situazione e l'intero processo di rappresentazione risultano a tal punto verosimili e con particolari così minuti, inattesi e al tempo stesso artisticamente rispondenti all'insieme del quadro, che lo stesso sognatore non avrebbe nemmeno potuto immaginarli da sveglio, nemmeno fosse stato un artista quale Puškin o Turgenev. Simili sogni, sogni morbosi, restano sempre impressi per molto tempo nella mente, e producono una forte impressione sull'organismo scosso e già eccitato. (I, V; 1994, p.65)
  • Noteremo una particolarità a proposito di tutte le ferme decisioni ch'egli già aveva prese in quella faccenda. Esse avevano una strana qualità: quanto più diventavano definitive, tanto più assurde, insensate si facevano immediatamente ai suoi occhi. Nonostante tutta la sua tormentosa lotta interiore, egli non aveva mai potuto, in tutto quel tempo, aver fede nemmeno per un istante nell'attuabilità dei suoi disegni. (I, VI; 1993, p. 86)
  • Dapprincipio, e d'altronde si trattava ormai di parecchio tempo addietro, l'aveva interessato una questione: perché quasi tutti i delitti vengono a galla e si risolvono così facilmente, e perché quasi tutti i delinquenti lasciano delle tracce così manifeste? A poco a poco era giunto alle conclusioni più svariate e curiose, e, a parer suo, la causa principale in assoluto era racchiusa non tanto nell'impossibilità materiale d'occultare un delitto, quanto nel delinquente stesso: lo stesso delinquente, infatti, e praticamente qualsiasi delinquente, nel momento del delitto è soggetto a una sorta di decadimento della volontà e della ragione, alle quali viene a sostituirsi una fenomenale leggerezza infantile, e questo avviene precisamente nel momento in cui sarebbero maggiormente necessarie la ragione e la prudenza. Secondo questa sua convinzione, ne veniva fuori che una sorta di eclissi della ragione e di decadimento della volontà s'impossessano dell'essere umano come una malattia, si sviluppano con regolarità e raggiungono il momento culminante poco prima del compimento del delitto; perdurano nella stessa forma nel corso del delitto e ancora per il breve lasso di tempo successivo, a seconda degli individui; quindi passano, come passa una qualsiasi malattia. La questione quindi era: è la malattia che genera il delitto o è il delitto, per una sua natura particolare, che sempre s'accompagna a quella specie di malattia? (I, VI, 1994, p. 91)
  • Una cupa sensazione di tormentosa, sconfinata solitudine e di distacco da ogni cosa si fece d'un tratto chiara all'animo suo. Non la bassezza delle sue effusioni sentimentali davanti a Il'jà Petrovič, e nemmeno la bassezza del trionfo riportato su di lui dal tenente, gli aveva così cambiato il cuore. Oh, che gli importava ora della propria abiezione, di tutte quelle vanità, dei tenenti, delle tedesche, delle cambiali, degli uffici di polizia, eccetera, eccetera! Se in quel momento lo avessero condannato anche a esser bruciato, neppure in tal caso egli si sarebbe mosso, e forse non avrebbe nemmeno ascoltato con attenzione la condanna. Gli succedeva qualcosa di affatto sconosciuto, di nuovo, di subitaneo e d'inaudito. [...] E, cosa più tormentosa di tutte, era quella piuttosto una sensazione che una consapevolezza, che un concetto; una sensazione immediata, la più tormentosa di quante mai ne avesse fin allora provate nella sua vita. (II, I; 1993, p. 126)
  • Gli apparvero ora in una specie di voragine, appena visibile in basso, sotto ai suoi piedi, tutto quel passato e i pensieri di una volta, i problemi e gli argomenti e le impressioni di un tempo, e tutto quel panorama, e lui stesso, e tutto, tutto... Gli sembrava di volar via in alto, chissà dove, e che tutto dileguasse ai suoi piedi... Avendo fatto un movimento involontario con la mano, ebbe improvvisamente la sensazione del ventino che stringeva nel pugno. Disserrò la mano, guardò fisso la monetina, levò il braccio e la gettò nell'acqua; poi si volse e andò a casa. Gli parve di essersi in quel momento staccato, come con un colpo di forbici, da tutti e da tutto. (II, II; 1993, p. 140)
  • Io invece per te una sola! Fa' pur dello spirito! Zamëtov è ancora un ragazzetto, e io lo piglierò ancora per gli orecchi, perché bisogna tirarlo con noi, e non allontanarlo. Allontanando un uomo, non lo correggi, tanto meno, un ragazzo. Con un ragazzo bisogna essere doppiamente guardinghi. Ma voi, zucconi di progressisti, non ci capite nulla! Non rispettate le persone, offendete voi stessi... E se lo vuoi sapere, abbiamo anche per le mani una faccenda in comune... (Razumichin; II, IV; 1993, p. 162)
  • — Storie! Iniziativa non ce n'è — si attaccò Razumichin. — L'iniziativa si acquista faticosamente, e non vola giù gratis dal cielo. E noi son quasi duecento anni che siamo disavvezzi a qualsiasi attività pubblica... Idee, magari, ne fermentano, — disse rivolgendosi a Pëtr Petrovič, — e un desiderio di bene esiste, per quanto infantile; e perfino dell'onestà si può trovare, nonostante che qui di imbroglioni ne sia piovuta una quantità strabocchevole, ma iniziativa non ce n'è! L'iniziativa è salata. (II, V; 1993, p. 179)
  • Tutt'attorno si spandeva la voce stridula del cantante:
    Tu, sogno della mia mente,
    non mi pestar così per niente! (II, VI; 1994, p. 198)
  • Dove mai ho letto che un condannato a morte, un'ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così stretto da poterci posare soltanto i due piedi, – avendo intorno a sé dei precipizi, l'oceano, la tenebra eterna, un'eterna solitudine e una eterna tempesta –, e rimanersene così, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d'anni, l'eternità –, anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma vivere!... Quale verità! Dio, che verità! È un vigliacco l'uomo!... Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco. (Raskòl'nikov; II, VI; 1993, p. 192)
  • Ti dichiaro che voi tutti, fino all'ultimo, siete dei parolaie dei fanfaroni! Appena vi viene un doloruccio, ve lo covate come fa la gallina coll'uovo! Perfino in questo plagiate gli autori stranieri. Non c'è in voi nemmeno un briciolo di vita indipendente! Siete fatti di spermaceti e invece di sangue avete del latte annacquato! Io non credo a nessuno di voi! Il vostro primo pensiero, in tutte le circostanze, è quello di rassomigliare il meno possibile ad un uomo. (Razumichin; II, VI; 1993, p. 202)
  • «Oh, eccome se sappiamo pregare! Da un pezzo ormai: e io che sono grande prego da sola, mentre Kolja e Lìdočka insieme alla mamma, a voce alta; prima recitano l'Ave Maria, e poi ancora un'altra preghiera: "Dio mio, perdona e benedici nostra sorella Sonja", e poi ancora: "Dio mio, perdona e benedici l'altro nostro papà", perché il nostro vecchio papà ormai è morto, e questo qui per noi è un altro papà, e noi preghiamo anche per quello.»
    «Pòlen'ka, io mi chiamo Rodiòn; pregate qualche volta anche per me: "per il servo Rodiòn", e nient'altro.» (Pòlen'ka e Raskòl'nikov; II, VII; 1994, pp. 235-236)
  • Basta! — disse risoluto e solenne, — via i miraggi, via i terrori artificiali, via i fantasmi!... Esiste la vita! Forse che or ora non ho vissuto? La mia vita non è ancora morta insieme con quella vecchia decrepita! A lei il regno dei cieli e... basta, màtuška, è tempo di riposare in pace! Ora viene il regno della ragione e della luce! e... della volontà, e della forza... e ora la vedremo! Ora ci misureremo! — aggiunse con spavalderia, come se si rivolgesse a una qualche forza oscura e la sfidasse. — Ho pure già accettato di vivere su un metro quadrato di spazio! (Raskòl'nikov; II, VII; 1993, p. 227)
  • La menzogna è l'unico privilegio dell'uomo nei confronti di tutti gli altri organismi viventi. Se menti, raggiungerai la verità! Io sono un uomo proprio perché mento. (Razumichin; III, I; 1994, p. 250)
  • Mentire alla propria maniera è quasi meglio che dire una verità che appartiene ad altri; nel primo caso, tu sei una persona, ma nel secondo sei solo un pappagallo! (Razumichin; III, I; 1993, p. 250)
  • E il falansterio è pronto, ma in voi la natura non è ancora pronta per il falansterio, essa vuole la vita, non ha compiuto ancora il suo processo vitale, è troppo presto per il cimitero! Con la sola logica non si può scavalcare d'un salto la natura! La logica prevede tre casi, mentre ce n'è un milione! Tutto questo milione lo si lascia fuori e si riduce ogni cosa ad una questione di comfort! È la più facile soluzione del problema! È d'una chiarezza seducente, non occorre nemmeno pensare! Soprattutto: non occorre pensare! Tutto il mistero della vita trova posto in due fogli stampati! (Razumichin; III, V; 1993, p. 307)
  • No, quegli uomini non son fatti così; il vero dominatore, al quale tutto è permesso, saccheggia Tolone, compie il macello di Parigi, dimentica un'armata in Egitto, spreca mezzo milione di uomini nella campagna di Mosca e se la cava con un gioco di parole a Vilna; e a lui, dopo morte, innalzano statue, e quindi tutto gli è permesso. No, uomini siffatti, si vede, non sono di carne, ma di bronzo! (Raskòl'nikov; III, VI; 1993, p. 327)
  • La vecchiarella è una bazzecola! – pensava con foga ed a scatti. – La vecchia sarà stata un errore, ma non è di lei che si tratta! La vecchia è stata soltanto una malattia... io volevo al più presto scavalcare l'ostacolo... io non ho ucciso una persona, io, io ho ucciso un principio! Il principio, sì, l'ho ucciso, ma quanto a scavalcare, non ho scavalcato, son rimasto da questa parte... soltanto uccidere ho saputo. E anche quello non l'ho saputo fare, si vede... Un principio? Per che cosa quello stupidello di Razumichin poco fa criticava i socialisti? Sono gente laboriosa e trafficante; si occupano della "felicità generale"... no, a me la vita è data una volta sola e poi non l'avrò mai più: io non voglio aspettare la "felicità universale". Voglio vivere anch'io, se no è meglio non vivere addirittura. [...] Oh, che ignobiltà! Oh, che viltà!... Oh, come io comprendo il "profeta", con la spada, a cavallo: Allah lo vuole, e obbedisci, "tremante" creatura! Ha ragione, ha ragione, il "profeta" quando pianta in mezzo alla strada una b-b-buona batteria e tira sugli innocenti e sui colpevoli, senza nemmeno degnarsi di una spiegazione! Obbedisci, tremante creatura, e... non aver desiderî, perché non è affar tuo!... Oh, per nulla, per nulla al mondo perdonerò a quella vecchia! (Raskòl'nikov; III, VI; pp. 328-9)
  • Non voglio con questo dire che alle donne piaccia trovarsi in certe situazioni, nelle quali è molto, molto piacevole essere umiliate, nonostante l'apparente indignazione. Ci vanno a finir tutte in situazioni simili; l'uomo in genere arriva persino ad amare molto d'essere umiliato, l'avete notato? Ma per le donne la cosa è particolare... Si può dire che campino solo per questo! (Svidrigajlov; IV, I; 1993, pp. 347-8)
  • All'estero c'ero già stato anche prima, e m'aveva sempre nauseato. Non che ci fosse qualcosa di particolare, ma, ecco, guardi l'alba, il golfo di Napoli, il mare, e ti senti triste. La cosa più disgustosa è che diventi triste davvero! No, è molto meglio in patria: qui almeno puoi dar la colpa a tutti gli altri, e assolvere te stesso. (Svidrigajlov; IV, I; 1994, p. 351)
  • – Io non credo nella vita futura.
    – E se laggiù non vi fossero che ragni, o qualcosa del genere?
    – "È pazzo!", pensò.
    – Noi ci rappresentiamo sempre l'eternità come un'idea che non possiamo comprendere, come una cosa immensa, immensa. Ma perché dovrebbe essere immensa? E se lassù non ci fosse altro che una stanzetta, simile ad una rustica stanza da bagno affumicata, e in tutti gli angoli ci fossero tanti ragni? Se l'eternità non fosse altro che questo?
    – Possibile, possibile che non riusciate a figurarvi qualcosa di più consolante e giusto di questo?, esclamò Raskòl'nikov con un sentimento doloroso. (Raskòl'nikov e Svidrigajlov; IV, I; 1993, p. 356)
  • Non vuole confessare che il suo destino è di fare del bene! Oh, che caratteri meschini! Anche se amano, è come se odiassero. Oh, come... come li odio tutti! (Raskòl'nikov sulla sorella; IV, III)
  • Poi capirai. Forse che tu non hai fatto la stessa cosa? Anche tu sei passata oltre... hai potuto passar oltre. Tu hai portato le mani contro di te, hai rovinato la vita... tua (fa lo stesso!) Avresti potuto vivere con lo spirito e con la ragione, e finirai in piazza Sennaja... Ma tu non puoi reggere e, se rimarrai sola, impazzirai, come me. Già adesso sei come pazza; dobbiamo quindi andare insieme, per la stessa strada! Andremo! (Raskòl'nikov a Sonja; IV, IV; 1993, p. 391)
  • [...] il potere si dà unicamente a colui il quale osa chinarsi a raccoglierlo. (Raskòl'nikov; V, IV; 1994, p. 516)
  • Se per tanti giorni mi son tormentato a pensare se Napoleone ci sarebbe andato o no, è che sentivo già chiaramente di non essere un Napoleone... Tutta, tutta la tortura di quelle lunghe ciance io sopportai, Sonja, e mi venne il desiderio di sbarazzarmene di colpo: io volli, Sonja, uccidere senza tante casistiche, uccidere per me, per me solo! Non volevo mentire a quel riguardo neppure a me stesso! Non per aiutare mia madre ho ucciso, sciocchezze! Non ho ucciso per farmi, acquistata ricchezza e potenza, il benefattore dell'umanità. Sciocchezze! Ho ucciso semplicemente; per me stesso ho ucciso, per me solo [...] Altro avevo bisogno di sapere, altro mi spingeva: avevo allora bisogno di sapere, e di sapere al più presto, se io fossi un pidocchio, come tutti, o un uomo. Avrei potuto passar oltre o non avrei potuto? Avrei osato chinarmi e prendere, o no? Ero una creatura tremante o avevo il diritto... [...] allora fu il diavolo a trascinarmi, ma poi mi spiegò che io non avevo il diritto di andar là, perché anch'io ero un pidocchio così come tutti! Si fece beffe di me, ed ecco che ora son venuto qui! Accogli il tuo ospite! Se non fossi un pidocchio, sarei venuto da te? Ascolta: quando andai dalla vecchia, vi andai soltanto per provare... Sappilo dunque! (Raskòl'nikov; V, IV; 1993, p. 498)
  • ...ma era già uno scettico, era giovane, un amante delle astrazioni, e, dunque, crudele... (su Raskòl'nikov; V, IV; 1993, p.)
  • -"Ma dopotutto ho ucciso solo un pidocchio, Sonja, inutile, ripugnante, nocivo." -"Ma come può una creatura umana essere un pidocchio!"
  • Vedi, allora continuavo a chiedermi: perché sono così stupido, perché se gli altri sono stupidi, ed io so per certo che lo sono, perché non cerco d'essere più intelligente? Poi scoprii, Sonja, che se si vuole aspettare che tutti divengano intelligenti, bisogna attendere troppo a lungo... Quindi venni anche a scoprire che una cosa del genere non sarebbe mai successa, che la gente non cambia e che nessuno la può cambiare in alcun modo, e che non val la pena di perderci energie!
  • Una certa angoscia speciale aveva cominciato a farglisi sentire negli ultimi tempi. Essa non aveva nulla di caustico, di bruciante; ma ne spirava un non so che di continuo, di eterno, il presentimento di anni di quella fredda e assiderante angoscia senza uscita, il presentimento di non so quale eternità da passare sopra «un metro quadrato di spazio». Di solito nelle ore serali questa sensazione cominciava a torturarlo con più forza ancora. (V, V; 1993, p. 507)
  • Un uomo evoluto in senso moderno, vedete, preferirà il carcere, piuttosto che vivere con degli stranieri come sono i nostri contadini... (Porfirij: 1993)
  • Già, me ne infischio! Avete e perduto ogni fiducia, e credete che io vi lusinghi grossolanamente; ma quanto avete già vissuto? Quanto capite? Ha inventato una teoria e poi si vergogna che abbia fatto cattiva prova, che sia riuscita una cosa ben poco originale! È riuscita un'infamia, è vero, ma voi tuttavia non siete un infame che non lasci più speranza. Siete tutt'altro che infame a tal punto! Tutt'altro che infame a tal punto! Per lo meno, non vi siete illuso a lungo, siete subito arrivato agli estremi limiti. Sapete come vi giudico io? Vi giudico uno di quelli a cui si potrebbero anche strappar le budella, e continuerebbero a stare in piedi e a guardare con un sorriso i loro torturatori, – purché trovassero una fede o un Dio. Ebbene, trovatelo e vivrete. Voi, anzitutto, già da molto tempo avete bisogno di cambiar aria. Eh, via, anche la sofferenza è una buona cosa. Soffrite. Mikolka forse ha ragione nel volere la sofferenza. Lo so, che vi manca la fede, ma non state a sottilizzare scaltramente; abbandonatevi alla vita senz'altro, senza ragionare; non abbiate timore: vi porterà direttamente sulla riva e vi rimetterà in piedi. Su quale riva? Che ne so io? Io credo soltanto che abbiate ancora molto da vivere. (Porfirij a Raskòl'nikov; VI, II; 1993, p. 546)
  • Ecco com'è fatta tutta questa gente! – si mise a rider forte Svidrigajlov, – anche se nell'intimo credesse al miracolo, non lo confesserebbe! Ma se dite voi stesso che «forse» è soltanto un caso! E come qui tutti siano vigliacchetti per ciò che riguarda la propria opinione, non ve lo potete immaginare, Rodiòn Romanyč! Non parlo di voi. Voi avete un'opinione propria ed essa non vi ha fatto paura. Con questo appunto avete attirato la mia curiosità. (VI, III; 1993, p. 554)
  • Raskòl'nikov: Ma dopotutto ho ucciso solo un pidocchio, Sonja, solo un inutile, ripugnante, nocivo pidocchio!
    Sonja: Ma come può una creatura umana essere un pidocchio! (VI, IV; 1993, p. 514)
  • Ma com'è possibile, com'è possibile vivere senza gl'altri uomini! (Sonja; VI, IV; 1993, p. 519)
  • È però un furfante quel Raskòl'nikov. S'è caricato di un bel peso! Col tempo, quando gli usciranno di testa le ubbìe, potrà diventare un gran furfante, ma adesso ha troppa voglia di vivere! Riguardo a questo punto qui quella gente è vigliacca. (Svidrigajlov; VI, VI; 1993, p. 600)
  • Ah! È la forma che non va, la forma non è abbastanza estetica! Ebbene, io non capisco assolutamente: perché ammazzar la gente con le bombe, con un assedio in regola, sarebbe una maniera più rispettabile? La paura dell'estetica è il primo indizio dell'impotenza!... (Raskòl'nikov; VI, VI; 1993, p. 616)
  • Non capisco per quali ragioni è origine di tanta gloria il fatto di aver sottoposto al bombardamento una città assediata e non quello d'aver dato la morte a qualcuno con dei colpi d'ascia... (Raskòl'nikov; VI, VI)
  • È una prova necessaria per me, dicono! A che scopo, a che scopo tutte queste prove insensate? A che scopo? forse che allora, distrutto dai patimenti, rimbambito, ridotto a una senile impotenza dopo vent'anni di lavori forzati, avrò una più chiara consapevolezza di adesso? e allora perché vivere? Perché adesso acconsento a vivere a quel modo? Oh, lo sapevo di essere un vile, quando stamane, all'alba, guardavo giù nella Nevà! [...] Ma perché loro mi vogliono tanto bene, se io non lo merito! Oh, se fossi solo e nessuno mi amasse, se io stesso non avessi mai amato nessuno! Tutto questo non ci sarebbe! Ma è curioso, chissà se in questi futuri quindici-venti anni la mia anima si ammansirà al punto che io mi riduca a piagnucolare, pieno di umiltà, davanti alla gente, dandomi ad ogni piè sospinto del malfattore? (Raskòl'nikov; VI, VI; 1993, p. 617)
  • Una trepidazione senza oggetto e senza scopo nel presente, e nel futuro un sacrificio incessante, col quale però nulla avrebbe ottenuto; ecco quel che gli rimaneva al mondo. E che importava che, di lì a otto anni, ne avrebbe avuti soltanto trentadue ed avrebbe potuto ricominciare la vita? Perché doveva vivere? Quale scopo proporsi? A che tendere? Vivere per esistere? Ma un migliaio di volte egli era stato pronto anche prima a dare la sua esistenza per un'idea, per una speranza, anche per un capriccio. La semplice esistenza era sempre stata poca cosa per lui, aveva sempre voluto di più. Forse soltanto per la forza dei suoi desideri egli si era allora creduto un uomo a cui più che ad altri fosse permesso. (Epilogo, II; 1993, p. 646)
  • Li aveva risuscitati l'amore, il cuore dell'uno racchiudeva infinite fonti di vita per l'altro.
    Si prefissero di aspettare e di aver pazienza. Restavan loro ancora sette anni di attesa; e nel frattempo quanto intollerabile dolore e quanta felicità sconfinata! Ma egli era risuscitato, e lo sapeva, lo sentiva pienamente con tutto il suo essere rinnovato, e lei, lei non viveva che della vita di lui! (Epilogo, II; 1993, p. 653)
  • A volte l'uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza.
  • "Povera Lizavèta! Perché mi è venuta tra i piedi? [...] strano, però, che io non pensi a lei se non di rado – come se non l'avessi uccisa!" (Raskol'nikov; trad. Polledro, 1947, p. 282)
  • È una cosa lunga, Avdot'ja Romànovna. Si tratta... come posso spiegarvelo?... Si tratta di una specie di teoria, secondo la quale io ritengo, per esempio, che un delitto sia lecito, se lo scopo essenziale è buono. Una sola cattiveria e cento buone azioni! Naturalmente, per un giovane con molti meriti e con un amor proprio smisurato è anche spiacevole sapere che, per esempio, se avesse solo tremila rubli, tutta la sua carriera, tutto il suo avvenire e lo scopo della sua vita assumerebbero un aspetto diverso; e intanto quei tremila rubli non ci sono. Aggiungete, poi, l'esasperazione provocata dalla fame, da un'abitazione angusta, dagli stracci, dalla chiara consapevolezza della sua bella posizione sociale e anche di quella della sorella e della madre. Ma soprattutto la vanità, l'orgoglio e la vanità, accompagnati magari, lo sa Iddio, da inclinazioni buone.... Io non lo accuso, non pensatelo nemmeno, vi prego; e poi, non è affar mio. C'entrava anche una sua teoria personale, una teoria così e così, secondo la quale gli uomini si dividono in materiale grezzo e individui speciali, cioè individui per i quali, data la loro posizione elevata, la legge non vale; anzi, sono loro che fanno le leggi per gli altri uomini, per il materiale, per la spazzatura. Non c'è male, una teoria così e così: une thèorie comme une autre. Napoleone lo ha terribilmente affascinato; cioè, con più precisione, lo ha affascinato l'idea che moltissimi uomini geniali non abbiano badato a una cattiveria singola e siano passati oltre, senza stare a pensarci. A quanto sembra, si è immaginato di essere anche lui un uomo geniale, ossia ne è stato convinto per un certo tempo. Ha sofferto molto e soffre ancora, pensando che ha saputo formulare la teoria, ma che non è riuscito a passare oltre senza stare a pensarci, e che, quindi, non è un uomo geniale. [...] oggi tutte le cose si sono arruffate; del resto, non sono mai state molto in ordine. I russi, in generale, hanno una mentalità molto larga, Avdot'ja Romànovna, larga come il loro paese, e sono molto inclini alle fantasticherie, al disordine; però, è un guaio avere una mentalità larga senza essere particolarmente geniali.
  • Ma, più d'ogni altra cosa, amava e aveva in pregio il suo denaro, guadagnato col lavoro, e anche con altri mezzi, poiché il denaro lo innalzava al livello di tutto ciò che era superiore a lui. (su Ližni)
  • Tutto è nelle mani dell'uomo, e tutto esso si lascia portar via sotto il naso, solamente per vigliaccheria. [...] Sarei curioso di sapere che cosa gli uomini temono più di tutto. Fare un passo nuovo, dire una parola propria li spaventa al massimo grado.
  • Eccoli gli uomini: vanno avanti e indietro per la strada: ognuno è un mascalzone e un delinquente per natura, un idiota. Ma se sapessero che io sono un omicida e ora cercassi di evitare la prigione, si infiammerebbero tutti di nobile sdegno.
  • Il criminale, nel momento in cui compie il delitto, è sempre un malato.
  • Io, quella vecchia maledetta, l'ammazzerei e la svaligerei, e senza nessuno scrupolo di coscienza, te l'assicuro [...]. Se l'ammazzassimo e ci prendessimo e suoi soldi, per dedicarci poi con questi mezzi al servizio di tutta l'umanità e della causa comune, non credi che un solo piccolo delitto sarebbe cancellato da migliaia di opere buone? Per una vita, migliaia di vite salvate dallo sfacelo e dalla depravazione. Una morte sola, e cento vite in cambio: ma questa è aritmetica! E poi, che cosa conta sulla bilancia generale la vita di quella vecchiaccia tisica, stupida e cattiva? Non più della vita di un pidocchio, di uno scarafaggio; anzi, vale meno, perché quella vecchia è dannosa. Distrugge la vita altrui [...].
  • Eroe o pezzo di fango, non c'era via di mezzo per me, per l'uomo comune, dico, è vergogna infangarsi, ma l'eroe sta troppo in alto perché si possa infangare del tutto, per conseguenza si può stare nel fango.
  • La povertà non è un vizio; ma la miseria, l'indigenza è vizio. Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati; nella miseria, invece, nessuno mai la conserva.
  • Ogni delinquente va soggetto, nel momento del delitto, a una specie di prostrazione della volontà e della ragione, alle quali subentra invece una puerile, fenomenale leggerezza, e ciò proprio nel momento in cui più dispensabili sono il ragionamento e la prudenza.
  • Non gli piace esternare i suoi sentimenti, ed è capace di commettere una crudeltà piuttosto che esprimerli con parole.
  • Non c'è al mondo nulla di più difficile della franchezza e nulla di più facile dell'adulazione. Se nella franchezza anche solo una centesima parte suona falso, subito ne nasce una dissonanza, e poi uno scandalo. Se nell'adulazione invece è anche tutto falso fino all'ultima nota, anche allora essa è gradevole si ascolta non senza piacere; sarà un piacere grossolano ma pur sempre un piacere. E per quanto grossolana sia la lusinga, almeno metà di essa sembra assolutamente verità.
  • Uomo, uomo, non si può vivere del tutto senza pietà.
  • Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.
  • Conosco Rodiòn soltanto da un anno e mezzo: è cupo, tetro, altero e superbo; in questi ultimi tempi – ma l'inclinazione, forse, covava in lui già da un po'– era diffidente e nevrastenico. Però è generoso e buono. Non gli piace ostentare i suoi sentimenti, e preferisce mostrarsi disumano anziché esibire a parole i segreti del suo cuore. Qualche volta, tuttavia, non è affatto nevrastenico, ma freddo e insensibile fino ad essere disumano sul serio, proprio come se in lui si avvicendassero due caratteri opposti.
  • Raskòlnikov guardava tutto con una strana sensazione di indifferenza e di apatia.
  • Il fatto è che non ama nessuno; e forse non amerà mai nessuno.

Vittoria De Gavardo-Carafa[modifica]

Tu sai che mia madre non possiede quasi nulla. Mia sorella, per caso, ha avuto un'educazione accurata e il suo destino la condanna a fare l'istitutrice. Tutte le loro speranze erano poste su di me. Io ho studiato, ma non potendo mantenermi all'università, ad un certo punto sono stato costretto a interrompere i miei studi.[..]avrei potuto sperare di diventare un insegnante o un impiegato con mille rubli di stipendio.[..] C'è gusto a passare per tutta la vita davanti alle cose più belle, dovervi rinunciare, trascurare la madre, tollerare rispettosamente, per esempio, il disonore di una sorella? E perché? Forse solamente per fondare, dopo aver sotterrato quelle due, una nuova famiglia, per prendere moglie e mettere al mondo dei figli, e lasciare poi anche loro senza denari, senza un boccone di pane?. [Volume II, parte quarta, pag. 487]

[Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, traduzione di Vittoria De Gavardo-Carafa, Edizioni Paoline (Famiglia Cristiana), Nuovi Stampa Mondadori (Cles), 1992.]

Explicit[modifica]

Ella pure tutto quel giorno fu agitata e la notte anzi tornò a star male. Ma a tal punto era felice, a tal punto inaspettatamente felice, che quasi ne ebbe paura. Sette anni, solo sette anni! Al principio della loro felicità, in certi istanti, eran pronti tutt'e due a considerare quei sette anni come sette giorni. Egli ignorava perfino che la nuova vita non gli si concedeva per nulla, che bisognava ancora acquistarla a caro prezzo, pagarla con una grande opera nell'avvenire...
Ma qui già comincia una nuova storia, la storia del graduale rinnovarsi di un uomo, la storia della sua graduale rigenerazione, del suo graduale passaggio da un mondo in un altro, dei suoi progressi nella conoscenza di una nuova realtà, fino allora completamente ignota. Questo potrebbe formare argomento di un nuovo racconto; ma il nostro racconto odierno è finito. (1993)

Citazioni su Delitto e castigo[modifica]

  • È il rendiconto psicologico di un delitto. Un giovane, che è stato espulso dall'Università e vive in condizioni di estrema indigenza, suggestionato, per leggerezza e instabilità di concezioni, da alcune strane idee non concrete che sono nell'aria, si è improvvisamente risolto a uscire dalla brutta situazione. Ha deciso di uccidere una vecchia che presta denaro a usura...

[Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo.]

  • "Raskol'nikov" è facilmente il più gran libro che abbia letto negli ultimi dieci anni [...]. Molti lo trovano noioso; Henry James non riusciva a finirlo; io posso solo dire che a momenti questo libro mi stava per finire. Come avere una malattia. James se ne disinteressa perché il carattere di Raskol'nikov non sarebbe oggettivo; e qui si apre un bel golfo tra me e lui e, a veder bene, l'esistenza di una certa impotenza in molte menti, oggigiorno, che le trattiene dal vivere dentro un libro o un personaggio, e le blocca in lontananza – spettatori davanti alle marionette. Davvero, immagino che il libro possa apparire vuoto al centro; per altri è una stanza, una stanza della vita, dove entrano e sono torturati e purificati. Il Giudice istruttore, credevo, è meraviglioso, osceno, toccante – una creazione ingegnosa. Il padre ubriaco, Sonia, l'amico studente e l'umanità di Raskol'nikov – non circoscritta, protoplasmica – sta su tutt'un altro livello che mi ha meravigliato. Anche l'esecuzione, meravigliosa in alcuni punti. (Robert Louis Stevenson)
  • Raskolnikov è Montecristo «criticato» da un panslavista-cristiano. (Antonio Gramsci)

Diario di uno scrittore[modifica]

Incipit[modifica]

Per duemila anni l'Italia ha portato in sé un'idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un'idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l'idea dell'unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un 'idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l'arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l'Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second'ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, ... un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un'unità meccanica e non spirituale (cioè non l'unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second'ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!

Citazioni[modifica]

  • A me sembra fuor di dubbio che, se lasciaste a tutti questi alti maestri contemporanei la piena possibilità di distruggere la vecchia società e ricostruirla di nuovo, ne verrebbe fuori una tale tenebra, un tale caos, qualcosa di talmente volgare, cieco e inumano, che tutto l'edificio crollerebbe sotto le maledizioni dell'umanità prima di essere compiuto.[21]
  • Bisogna dunque essere impersonale per essere felice? La salute sta dunque nel sopprimersi? Nient'affatto, dico io, non solo non bisognerebbe sopprimersi, ma bisognerebbe anzi diventare una personalità in un grado maggiore di quello in cui si diviene nell'Occidente. Mi capite? Il sacrificio volontario, con piena coscienza e libero di ogni sforzo, il sacrificio di se stesso per il bene di tutti è secondo me l'indice di un maggiore sviluppo della personalità, della sua superiorità, di un possesso completo di se stesso, di un maggiore libero arbitrio... Una personalità fortemente sviluppata, convinta perfettamente del suo diritto d'essere una personalità, non avendo nulla a temere per sé stessa, non può fare nulla per sé stessa, cioè non può servire nessun altro scopo che quello di sacrificarsi per gli altri affinché tutti gli altri diventino delle personalità ugualmente libere e felici.
    Questa è la legge della natura.[22]
  • Chiunque voglia sinceramente la verità è sempre spaventosamente forte.[23]
  • Diventa ricco e tutto sarà tuo e tutto potrai: non vi può essere un pensiero più corrotto di questo.[24]
  • Il segreto del primo passo è questo: dominare se stessi e agire senza attendere.[23]
  • Il socialismo politico, la cui essenza, nonostante tutti gli scopi annunciati, consiste per ora soltanto nel desiderio di un saccheggio generale di tutti i proprietari da parte delle classi povere, e poi "sarà quel che sarà".[21]
  • In tutto il mondo non c'è nulla di più profondo e forte di questa opera poetica. Per ora, è l'ultima parola detta dal pensiero. E se finisse la terra, e lassù da qualche parte chiedessero alla gente: "Avete capito la vostra terra, e che cosa ne avete concluso?". Allora uno potrebbe porgere in silenzio il Don Chisciotte: "Ecco le mie conclusioni sulla vita: potete per questo giudicarmi?"[25]
  • L'ipocrisia è il tributo che il vizio è obbligato di pagare alla virtù: una cosa assai importante. Per l'uomo che desidera rimanere praticamente corrotto, senza però rompere nell'anima con la virtù.[26]
  • L'Università senza dubbio dovrebbe essere accessibile a tutte le donne e a tutti i futuri scienziati e alle persone semplicemente colte, ma poi dopo l'università bisogna sposarsi e avere figli. Nel mondo finora non è stato inventato nulla di più intelligente che il fare dei figlioli e perciò quanto più tu avrai preparato per questo la tua intelligenza, tanto meglio sarà.[27]
  • La coscienza della nostra completa impotenza di aiutare o di essere in qualche modo utile a sollevare l'umanità sofferente e nello stesso tempo la nostra completa convinzione di questa sofferenza dell'umanità può perfino cambiare nel cuore nostro l'amore per l'umanità in odio verso di essa! I signori delle idee di "ferro" non ci crederanno, ma io dichiaro che l'amore per l'umanità non è neppure concepibile né comprensibile ed è impossibile senza la fede nella immortalità dell'anima umana.[26]
  • La guerra è un processo per mezzo del quale si raggiunge la tranquillità internazionale e si stabiliscono almeno approssimativamente le relazioni alquanto normali fra le nazioni, versando la minore quantità di sangue, colla minor tristezza e colla minima perdita di forze. Certo questo è triste; ma che fare se così dev'essere? È meglio levare una volta la spada dal fodero che soffrire senza fine.[28]
  • La libertà, nella sua più alta espressione consiste nel dare tutto e nel servire gli altri. L'uomo capace di questo, capace d'essere padrone di sé sino a tal punto, è libero come nessun altro. È questa la più elevata manifestazione del libero arbitrio.[23]
  • La lite è una forza tremenda per sé stessa; la lite, dopo una lunga rottura, porta gli uomini fino all'assurdo, fino all'oscurarsi e al corrompersi dell'intelligenza e dei sentimenti. Nella lite l'offensore, avendo coscienza di aver offeso, non va a far la pace con colui che è stato offeso, ma dice: l'ho offeso, dunque, debbo vendicarmi.[24]
  • Milioni di uomini si muovono sulla terra, soffrono e se ne vanno senza lasciare traccia, predestinati a non capire mai la verità. Vivono nel pensiero altrui, cercano la parola bella e pronta e l'esempio pronto, s'aggrappano all'idea suggerita. Gridano che hanno dietro a sé le autorità, che l'Europa è per loro. Fischiano coloro che non sono con loro d'accordo e tutti coloro che disprezzano i pensieri servili e che credono sia bene l'indipendenza propria e quella del loro popolo. Ebbene, in realtà queste masse d'uomini che gridano sono predestinate a servire soltanto come mezzo indiretto. Ogni tanto un singolo uomo s'avvicina in qualche modo alla verità o ne ha almeno l'intuizione.
    Sono appunto questi individui unici, che poi tirano tutti gli altri dietro a sé, s'impadroniscono del movimento, fanno nascere l'idea e la lasciano in eredità a queste masse irrequiete di uomini. Tali individui ci sono anche fra noi.[29]
  • Nel mondo attuale per libertà s'intende la licenza, mentre la vera libertà consiste in un calmo dominio di se stessi. La licenza conduce soltanto alla schiavitù.[23]
  • Prima di predicare altrui, date voi stessi l'esempio. Sarete seguiti.[23]
  • Questi idealisti, questi uomini migliori, si ravvisano subito. L'uomo migliore – secondo l'idea del popolo – è quello che non si è inchinato dinanzi la tentazione materiale, colui che senza tregua cerca il lavoro per Dio, che ama la verità e, quando occorre, si alza per servirla, abbandonando la casa e la famiglia e sacrificando la vita.[27]
  • Senza un'idea superiore non può esistere né un uomo né una nazione. E vi è una sola idea superiore sulla terra: l'idea della immortalità dell'anima umana, perché tutte le altre idee superiori di cui può vivere l'uomo sorgono soltanto da questa idea.[30]
  • Siate sinceri e semplici, questo è l'essenziale.[23]
  • Una volta ripudiato Cristo, l'intelletto umano può giungere a risultati stupefacenti.[21]
  • Un vero uomo d'azione vede subito dinanzi a sé tante cose da fare che il lavoro non gli mancherà mai e riuscirà.[23]

Dostoevskij inedito. Quaderni e taccuini 1860-1881[modifica]

  • Ama t u t t o come te stesso.
  • Amare l'uomo come se stessi, secondo il comandamento di Cristo, non è possibile. [...] L'io è di ostacolo. Cristo soltanto poteva farlo, ma Cristo era l'ideale eterno sin dall'inizio dei tempi, quell'ideale al quale tende, e deve tendere per legge di natura, l'uomo. Invece, dopo la comparsa di Cristo come ideale dell'uomo incarnato, è diventato chiaro come il giorno che lo sviluppo supremo, l'evoluzione ultima della personalità deve appunto arrivare (nell'ultimo stadio dello sviluppo, nel momento stesso in cui il fine sia raggiunto), a far sì che l'uomo trovi, riconosca e con tutta la forza della sua natura si convinca che l'uso più elevato che egli può fare della propria personalità, della pienezza di sviluppo del proprio io, consiste quasi nell'annientare l' io stesso, nel consegnarlo a tutti e a ciascuno indivisibilmente e senza riserve. E questa è la massima felicità. [...] Questo appunto è il paradiso di Cristo. Tutta la storia, sia dell'umanità sia, in parte, di ciascuno singolarmente è soltanto evoluzione, lotta, perseguimento e conseguimento di questa meta.
  • Che cos'è la preghiera? La preghiera è un'ascensione dell'intelletto.
  • Cristo è Dio in quanto la Terra poté manifestare Dio.
  • Il comunismo derivò dal cristianesimo, da un'alta concezione dell'uomo, ma invece di un amore autonomo e spontaneo, i non amati danno di piglio ai bastoni e vogliono portare via ciò che non hanno dato loro quelli che non li hanno amati.
  • La Bibbia appartiene a tutti, agli atei e ai credenti in uguale misura. È il libro dell'umanità.
  • La consapevolezza e l'amore, forse, sono la stessa cosa, perché non conoscerete niente senza l'amore, mentre con l'amore conoscerete molto.
  • La vita è bella, e bisogna fare in modo che chiunque possa affermarlo sulla terra.
  • Ma com'è strano: noi, forse, vediamo Shakespeare. Mentre lui fa il vetturino; quest'altro forse è Raffaello, mentre fa il fabbro; questo è un attore, ma coltiva la terra. Possibile che solo un piccolo vertice di uomini giunga a dar prova di sé, mentre gli altri debbono perire [...].
  • La lussuria genera la lascivia, la lascivia la crudeltà.
  • Manifestare la personalità è un'esigenza di autoconservazione.
  • Nel realismo puro non c'è verità.
  • Noi non siamo la società. Il popolo semplice è la società, mentre noi siamo il pubblico.
  • Non sempre siamo peccatori, al contrario, sappiamo anche essere santi. E chi mai potrebbe vivere, se fosse diversamente?
  • Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita [...] e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà.[31]
  • Ogni moralità trae la sua origine dalla religione, perché la religione è soltanto la formula della moralità.
  • Pietà quanta se ne vuole, ma non lodate le cattive azioni: date loro il nome di male.
  • Proprio perché si esige da me una parte del mio libero arbitrio, io non voglio darla.

I demoni[modifica]

Incipit[modifica]

Francesca Gori[modifica]

Nell'accingermi a descrivere i recenti e tanto strani avvenimenti, svoltisi nella nostra città, in cui finora non è mai accaduto nulla di speciale, sono costretto, per la mia inesperienza, a cominciare un po' da lontano, e precisamente da certi particolari biografici sul molto rispettabile e dotato di talento Stepan Trofimovich Verchovenskij. Questi particolari serviranno soltanto da introduzione alla presente cronaca; la storia poi, che intendo narrare, seguirà più avanti.
Diciamolo subito: tra di noi Stepan Trofimovich recitava sempre una parte speciale, civile, per così dire, e amava questa parte appassionatamente, tanto che senza di essa, credo non potesse neanche vivere. Non che io lo voglia paragonare a un attore di teatro: Dio me ne guardi, tanto più che anch'io lo stimo.

[Fëdor Dostoevskij, I demoni, traduzione di Francesca Gori, Garzanti, 1994.]

Rinaldo Küfferle[modifica]

Nell'accingermi alla descrizione degli avvenimenti tanto strani svoltisi or non è molto nella nostra città, in cui finora non era accaduto nulla di notevole, sono costretto, per la mia inesperienza, a rifarmi alquanto da lontano; e precisamente da alcuni particolari biografici intorno a Stepan Trofimovic Verchovenski, uomo rispettabilissimo e di molto ingegno. Questi particolari non serviranno che d'introduzione, mentre la storia che mi propongo di scrivere seguirà poi.
Lo dirò schiettamente: Stepan Trofimovic ha sempre rappresentato fra noi una certa parte speciale; la parte, per così dire, del cittadino ragguardevole, e amava questa parte fino alla passione, tanto che senza di essa non avrebbe potuto nemmeno vivere, credo. Non già che lo paragoni a un attore sulla scena: Dio me ne guardi, tanto più che personalmente io lo stimo.

[Fëdor Dostoevskij, I demoni, traduzione di Rinaldo Küfferle, Arnoldo Mondadori Editore, 1987]

Gianlorenzo Pacini[modifica]

Accingendomi alla narrazione di quei così singolari avvenimenti prodottisi recentemente in questa nostra città, che sinora non s'era mai distinta per alcunché di speciale, mi vedo costretto – a causa della inesperienza che m'è propria – a risalire alquanto indietro nel tempo, e, precisamente, all'epoca di certi particolari eventi verificatisi nella vita di Stepàn Trofìmovic Verchovènskij, persona oltremodo rispettabile e dotata d'indubbio talento. Tali eventi vanno considerati come una semplice introduzione alla presente cronaca, mentre la vera e propria storia che intendo esporre s'inizierà più avanti.
Bisogna dire anzitutto che Stepàn Trofìmovic ha da sempre rivestito tra noi il ruolo d'una personalità particolare, dotata di un rilievo, per così dire, civile, un ruolo che egli amava alla follia, privo del quale – mi sembra – non avrebbe potuto neppure sopravvivere. Non che io, con ciò, intenda equipararlo a un qualsiasi attore di teatro, Dio me ne guardi! Tanto più che egli ha tutto il mio rispetto. Si trattava piuttosto di una sorta di abitudine o, per meglio dire, di una costante, nobile inclinazione, presente in lui sin dall'infanzia, a nutrire il sogno lusinghiero di rivestire una posizione civile significativamente bella. Ad esempio, egli amava straordinariamente la sua condizione di "perseguitato" e, per così dire, di "esiliato". Queste due parole avevano, ai suoi occhi, un prestigio, in un certo modo, classico, che lo aveva affascinato una volta per tutte e aveva continuato poi, per molti e molti anni, a sollevarlo sempre più nella sua propria opinione, finché l'aveva innalzato su un piedistallo notevolmente elevato ed estremamente gradevole per il suo amor proprio.

[Fëdor Dostoevskij, I demonî, traduzione di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli, 2000.]

Alfredo Polledro[modifica]

Nell'accingermi alla descrizione dei recenti e così strani avvenimenti accaduti nella nostra città, che nulla ha mai fatto distinguere finora, sono costretto, per la mia inesperienza, a cominciare un po' da lontano, e precisamente da certi particolari biografici sul geniale molto riverito Stepan Trofimovič Verchovenskij. Valgano questi particolari solo d'introduzione alla presente cronaca; la storia poi, che intendo narrare, verrà in seguito.
Lo dirò senz'altro: Stepan Trofimovich rappresentava costantemente fra noi una certa parte speciale, e, per così dire, civica, e amava questa parte fino alla passione; tanto anzi che senza di essa mi pare che non potesse nemmeno vivere. Non già che io lo paragoni ad un attore sulla scena: me ne guardi Iddio, tanto più che lo stimo anch'io.

[Fëdor Dostoevskij, I demoni, traduzione di Alfredo Polledro, Einaudi, 1994.]

Citazioni[modifica]

  • ... non ardono soltanto i tetti, ma anche i cervelli... (Von Lembke sull'incendio dell'Oltrefiume appiccato dalla cinquina rivoluzionaria di Verchovènskij).
  • L'uomo non ha fatto altro che inventare Dio per vivere senza uccidersi. (Kirillov)
  • Kirillov: "La vita è dolore, la vita è paura e l'uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura. Ora l'uomo ama la vita, perché ama il dolore e la vita. E così hanno fatto. La vita si concede oggi in cambio di dolore e paura, e qui sta l'inganno. Oggi l'uomo non è ancora quell'uomo. Vi sarà l'uomo nuovo, felice, superbo. Colui al quale sarà indifferente vivere o non vivere, quello sarà l'uomo nuovo. Colui che vincerà il dolore e la paura, sarà lui Dio. E quell'altro Dio non ci sarà più".
    Grigoreiev: "Quindi l'altro Dio esiste secondo voi?"
    "Non c'è, ma c'è. Nella pietra non c'è dolore, ma nella paura della pietra c'è dolore. Dio è il dolore della paura della morte. Chi vincerà il dolore e la paura, quello diventerà Dio. Allora ci sarà una nuova vita, allora ci sarà un uomo nuovo, tutto sarà nuovo... Allora divideranno la storia in due parti: dalla scimmia fino alla distruzione di Dio, e dalla distruzione di Dio fino..."
    "Alla scimmia?".
    "...alla trasformazione fisica della terra e dell'uomo...".
  • Kirillov: "Chi insegnerà che tutti sono buoni, colui compirà il mondo".
    Stavrogin: "Colui che lo ha insegnato è stato crocefisso".
    "Egli verrà e il suo nome sarà uomo-Dio".
    "Dio-uomo?"
    "Uomo-Dio, in questo sta la differenza".
  • Sei una scimmia; annuisci solo per conquistarmi. Taci; non capiresti nulla. Se non c'è Dio, io sono Dio. (Kirillov a Petr Verchovènskij.)
  • Formulai per la prima volta in vita mia questo greve pensiero: che non conosco e non sento né il bene né il male, e che non solo ne ho perduto il senso, ma so anche che il bene e il male, in realtà, non esistono nemmeno (riflessione che mi arrecava piacere), e non sono altro che pregiudizi. Stava in me l'esser libero da qualsiasi pregiudizio, ma, raggiunta quella libertà, mi sarei perduto. (Stavrogin)
  • La verità reale è sempre inverosimile [...]. Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi della menzogna. La gente ha sempre fatto così.
  • Bisogna essere davvero un grand'uomo per saper resistere anche contro il buon senso.
  • Ma non siete stato voi a dirmi che se vi dimostrassero matematicamente che la verità è al di fuori di Cristo, preferireste restare con il Cristo, piuttosto che con la verità? Lo avete detto voi questo? Lo avete detto? (Satov a Stavrogin).
  • Nell'Apocalisse l'angelo giura che il tempo non esisterà più. È molto giusto, preciso, esatto. Quando tutto l'uomo raggiungerà la felicità, il tempo non esisterà più, perché non ce ne sarà più bisogno. È un'idea giustissima. Dove lo nasconderanno? Non lo nasconderanno in nessun posto. Il tempo non è un oggetto, è un'idea. Si spegnerà nella mente. (Discorso di Kirillof; V, 3)
  • Tutto è buono... Tutto. L'uomo è infelice perché non sa di essere felice. Solo per questo. Questo è tutto, tutto! Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante. [...] Tutto è bene per colui che è consapevole che tutto è bene. Se sapessero di stare bene, starebbero bene; ma, finché non sapranno di stare bene, staranno male. Ecco tutta l'idea! Tutto! E non ce n'è un'altra. (Discorso di Kirillov; V, 3)
  • «Avrei voluto esporre all'assemblea il mio libro nella forma più concisa possibile; ma vedo che occorrerà aggiungere una quantità di spiegazioni orali, e perciò tutta l'esposizione richiederà per lo meno dieci serate, tante quanti sono i capitoli del mio libro. (S'intesero delle risate.) Oltre a ciò, dichiaro fin d'ora che il mio sistema non è affatto concluso. (Altre risate.) Mi sono ingannato coi dati, e la mia conclusione è in diretta contrapposizione con l'idea iniziale, dalla quale sono partito. Partendo dalla libertà illimitata, concludo con un illimitato dispotismo. Aggiungerò, nondimeno, che all'infuori della mia soluzione della 'formula sociale', non può esservene un'altra!»
    Le risa crescevano, diventavano sempre più forti; ma ridevano soprattutto gli ospiti più giovani, poco iniziati, per così dire... (Discorso di un ideologo nichilista, Sigalëv; VII, 2)
  • Approva lo spionaggio. Ogni membro della società vigila l'altro ed è obbligato alla delazione. Ognuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ognuno. Tutto sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c'è la calunnia e l'omicidio, ma l'essenziale è l'uguaglianza. Come prima cosa si abbassa il livello delle scienze e degli ingegni. Si può raggiungere un alto livello delle scienze e degli ingegni solo con doti superiori, e non ci devono essere doti superiori! Gli uomini di doti superiori si sono sempre impadroniti del potere e sono stati dei despoti. Gli uomini di doti superiori non possono non essere despoti e hanno sempre fatto più male che bene, perciò vengono scacciati e giustiziati. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato, ecco lo šigalëvismo! Gli schiavi devono essere uguali: senza dispotismo non c'è ancora stata né libertà né uguaglianza, ma nel gregge deve esserci uguaglianza, questo è lo šigalëvismo! Ah, ah, ah, vi sembra strano? Io sono per lo šigalëvismo! (Petr Verchovènskij; 7)
  • ...capisci che se mettete in primo piano la ghigliottina e con tanto entusiasmo è semplicemente perché tagliar teste è la cosa più facile, mentre avere un'idea è la più difficile! (Stepàn Verchovènskij)
  • Io sono un furfante, non un socialista... Un delinquente, un delinquente. Vi preoccupa chi io sia? Vi dirò subito chi sono, voglio dirvelo: il mio intento è proprio questo. (...) Bisogna che il popolo creda che noi soli sappiamo quello che vogliamo... Noi proclameremo la distruzione... perché quest'idea è così affascinante!... Appiccheremo incendi. Diffonderemo delle leggende... Avrà inizio la sommossa... S'inizierà uno sconquasso quale il mondo non ha mai veduto. (Petr Verchovènskij; 8)
  • E un dolore autentico, indiscutibile, è capace di rendere talvolta serio e forte, sia pure per poco tempo, anche un uomo fenomenalmente leggero; non solo, ma per un dolore vero, sincero, anche gli imbecilli son diventati qualche volta intelligenti, pure, ben inteso, per qualche tempo; il dolore ha una tale potenza...
  • Non si può amare ciò che non si conosce. (Sàtov, 1)
  • Ma chi non ha popolo, non ha Dio! Siate certi che tutti quelli che smettono di capire il proprio popolo e perdono i legami con lui, perdono subito, nella stessa misura, anche la fede patria, diventano o atei, o indifferenti. (Sàtov, 1)
  • Nell'elemosina c'è qualcosa che deprava per sempre. (Pëtr Stepanovič, parte I, capitolo 4, 2)
  • Eppure il piacere dell'elemosina è un piacere altezzoso e immorale, il piacere del ricco che si compiace della propria ricchezza, del potere, e del confronto tra la propria importanza e quella del mendico. L'elemosina deprava sia colui che dà, e sia colui che prende, e per di più non raggiunge lo scopo, perché non fa che rafforzare la mendicità.
  • E la paura del nemico distrugge il rancore al suo riguardo. (parte II, cap. 1, 1)
  • La pseudoscienza è un despota tale che fino ad oggi non se n'erano ancora conosciuti. Un despota che ha i suoi sacerdoti e i suoi schiavi. (Sàtov, 2000, p. 342)
  • L'assoluto ateismo si trova sul penultimo gradino della scala verso la fede perfetta (che faccia o no l'ultimo passo), mentre l'indifferenza non ha nessuna fede, ma soltanto una stolida paura. (Tìchon, 2000, p. 554)
  • Mai la ragione è stata in grado di definire il bene e il male, od anche separare il bene dal male, sia pure approssimativamente; al contrario li ha sempre confusi in modo meschino e vergognoso; mentre la scienza ha dato soluzioni brutali.
  • Ma lo sapete, lo sapete voi che senza l'Inghilterra l'umanità potrebbe ancora vivere, senza la Germania pure, senza l'uomo russo potrebbe vivere e vivrebbe anche troppo bene; potrebbe vivere senza la scienza, senza il pane...; solo senza la bellezza non si potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe nulla da fare al mondo?
  • Sebbene nulla potesse ormai meravigliare, la realtà evidente ha sempre in sé qualcosa che scuote.
  • Tutti sono infelici perché tutti hanno paura di proclamare il loro libero arbitrio.
  • Se avete la fede di poter perdonare da voi a voi stesso e di raggiungere questo perdono con la sofferenza in questo mondo, se vi proponete con fede un simile scopo, è segno che siete un vero credente.
  • Dio vi perdonerà l'assenza di fede perché onorate lo Spirito Santo pur ignorandolo.

Dagli appunti preparatori[modifica]

  • I demoni hanno fede, ma tremano. (citato in G. Steiner, Tolstoj o Dostoevskij, Garzanti, 2005, p. 176)
  • Cristo non capiva le donne! (ibidem)
  • La fede si riduce a questo problema angoscioso: un colto, un europeo del nostro tempo può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio Gesù Cristo? (da Taccuini per I Demoni, a cura di Ettore Lo Gatto, 1958)

Explicit[modifica]

Rinaldo Küfferle[modifica]

Il cittadino del cantone di Uri era appiccato là dietro la porticina. Sul tavolino c'era un pezzetto di carta con queste parole scritte a matita: "Non accusar nessuno; io stesso". Sempre sul tavolino c'era anche un martello, un pezzo di sapone e un grande chiodo, certo preparato per riserva. Il forte cordone di seta, evidentemente, scelto e preparato in precedenza, con cui s'era impiccato Nikolaj Vsevolodovic, era abbondantemente insaponato. Tutto attestava la premeditazione e la lucidità fino all'ultimo istante.
I nostri medici, dopo l'autopsia, esclusero in modo assoluto e reciso l'alienazione mentale.

[Fëdor Dostoevskij, I demoni, traduzione di Rinaldo Küfferle, Arnoldo Mondadori Editore, 1987]

Gianlorenzo Pacini[modifica]

Il cittadino del cantone di Uri penzolava lì, subito dietro la porta. Sul tavolino c'era un foglietto con su scritto, a matita: "Non incolpate nessuno, sono stato io". Sul tavolino c'era anche un martello, un pezzo di sapone e un grosso chiodo, evidentemente preparato come riserva. Il robusto cordone di seta, anch'esso chiaramente scelto e preparato in anticipo, con cui Nikolàj Vsèvolodovic si era impiccato, era abbondantemente insaponato. Tutto stava ad indicare la premeditazione e la perfetta lucidità sino all'ultimo istante. Dopo l'autopsia del cadavere, i nostri medici esclusero del tutto e nel modo più tassativo la pazzia.

[Fëdor Dostoevskij, I demonî, traduzione di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli, 2000.]

Citazioni su I demoni[modifica]

  • Alcuni libri che [Stalin] lesse negli anni formativi tratteggiano le sue azioni future. Di uno, in particolare, si dice a ragione che abbia convalidato i principi della dittatura rivoluzionaria: si tratta de I demoni di Dostoevskij. [...] Grigol Robakidze sostiene che la copia de I demoni della biblioteca del seminario di Tbilisi recasse numerose scritte di Stalin. Il romanzo più clamorosamente controrivoluzionario della letteratura russa era approvato dalle autorità del seminario. La trama [...] deve aver suggerito a Stalin il modo in cui organizzare una rivoluzione. Uno dei personaggi di Dostoevskij, un teorico secondo il quale devono cadere cento milioni di teste affinché le future generazioni siano felici per sempre, non deve essergli sembrato macabro quanto invece sembrò all'autore. (Donald Rayfield)
  • Nei Demonî la poesia si innesta sul tronco originario del libello politico, che ne viene profondamente modificato, ma non certo trasformato per intero: a Dostoevskij premeva soprattutto di potersi sfogare contro gli inconcludenti liberali della sua generazione e contro i rivoluzionari senza scrupoli che, di venti o trent'anni più giovani, intorno al 1870 stavano sostituendo i suoi coetanei sulla scena politica russa; e in quell'epoca gli sembrava di non trovare mai parole abbastanza forti per svalutare e rimpicciolire, con la foga di autodenigrazione propria di certi suoi personaggi, le opinioni che aveva professate un tempo e gli uomini che gliele avevano ispirate. (Leone Ginzburg)

I fratelli Karamazov[modifica]

Per approfondire, vedi: I fratelli Karamazov.

Il giocatore[modifica]

Incipit[modifica]

Elsa Mastrocicco[modifica]

Finalmente ero di ritorno dopo un'assenza di due settimane. Già da tre giorni i nostri si trovavano a Roulettenburg. Credevo di essere atteso con chi sa quale ansia, e invece mi sbagliavo. Il generale mi accolse con una disinvoltura eccessiva, mi parlò squadrandomi dall'alto in basso e mi mandò da sua sorella. Era evidente che in qualche luogo erano riusciti a procurarsi del denaro.
[Fëdor Dostoevskij, Il giocatore, traduzione di Elsa Mastrocicco, Fabbri.]

Giacinta De Dominicis Jorio[modifica]

Sono finalmente tornato dopo un'assenza di due settimane. I nostri si trovavano già da tre giorni a Rulettenburg. M'immaginavo che mi aspettassero con chissà quale ansia, ma invece mi ero sbagliato. Il generale aveva un'aria estremamente indipendente, mi ha parlato guardandomi dall'alto in basso e mi ha spedito direttamente dalla sorella. È chiaro che sono riusciti a scroccare dei soldi da qualche parte.
[Fëdor M. Dostoevskij, Il giocatore, traduzione di Giacinta De Dominicis Jorio, BUR, 2001. ISBN 8817150800]

Alfredo Polledro[modifica]

Finalmente tornai dopo la mia assenza di due settimane. I nostri già da tre giorni erano a Ruletenburg. Io pensavo che mi avrebbero atteso Dio sa come, invece m'ingannai. Il generale aveva un'aria molto disinvolta, parlò con me un momento dall'alto in basso e mi mandó dalla sorella. Era chiaro che in qualche posto avevano preso denaro a prestito. [Fëdor M. Dostoevskij, Il giocatore, traduzione di Alfredo Polledro, Mondadori, 1951. ISBN 9788804477884]

Citazioni[modifica]

  • La cosa più antipatica, che saltava agli occhi alla prima occhiata in tutta quella marmaglia di giocatori di roulette, era l'ostentato rispetto per l'occupazione a cui si dedicavano, l'aspetto serio e perfino rispettabile che assumevano tutti coloro che circondavano i tavoli. (II; 1977, p. 16)
  • Mi è parso che in realtà il calcolo significhi molto poco e comunque non abbia affatto tutta l'importanza che gli attribuiscono molti giocatori. Certi se ne stanno lì seduti davanti a dei pezzi di carta rigata, segnano tutti i colpi, li contano, ne deducono le probabilità, fanno i loro calcoli e alla fine puntano e perdono proprio come noi, semplici mortali che giochiamo senza calcolare niente. (IV; 1977, p. 29)
  • Ma il piacere è sempre utile, e il sentimento di disporre di un potere assurdo e sconfinato su qualcuno — fosse pure su una mosca — ci dà un certo piacere. L'uomo è un despota per natura e ama infliggere tormenti. (Aleksej Ivanovič: V; 1977, p. 44)
  • È un fatto che all'uomo fa piacere vedersi davanti umiliato anche il suo migliore amico; è proprio sull'umiliazione che si fonda in gran parte l'amicizia, e questa è una vecchia verità, ben nota a tutte le persone intelligenti. (mister Astley ad Aleksej Ivanovič: XVII; 1977, p. 195)
  • Lei vegeta, lei non soltanto ha rinunciato ai suoi interessi personali e a quelli sociali, non soltanto ai suoi doveri di uomo e di cittadino, non soltanto ai suoi amici (eppure ne aveva), non soltanto ha rinunciato a qualsiasi fine nella vita, eccettuato quello di vincere, ma perfino ai suoi ricordi. Io ricordo di averla conosciuta in un momento forte e ardente della sua vita, ma sono convinto che lei adesso ha dimenticato tutte le sue migliori inclinazioni di allora; i suoi sogni di adesso, anche quelli più urgenti ed essenziali, ormai non vanno oltre al pair e impair, rouge, noir, la dozzina di mezzo e così via; ne sono assolutamente convinto! (mister Astley ad Aleksej Ivanovič: XVII; 1977, p. 196)
  • Domani, domani tutto finirà! (XVII; 1977, p. 203)
  • Possibile che allora sia uscito di senno e sia stato rinchiuso, per tutto questo tempo, in un qualche manicomio? E, forse, ci sono rinchiuso anche adesso, cosicché mi è soltanto sembrato che mi sia accaduto tutto ciò e ancor oggi mi sembra soltanto.
  • Vorrei penetrare il suo segreto, vorrei che lei venisse da me e mi dicesse: "Io ti amo", e se non è così, se questa follia non è pensabile, allora... allora che cosa desiderare? Forse so io stesso quel che desidero? Sono anch'io come sperduto: vorrei soltanto starle accanto, essere nella sua aura, nella sua luce, eternamente, per tutta la vita. Altro non so! Potrei forse allontanarmi da lei?
  • E adesso mi ponevo per l'ennesima volta la domanda: ma io l'amo? E per l'ennesima volta non sapevo rispondere, cioè, per meglio dire, nuovamente, per la centesima volta, mi risposi che l'odiavo.
  • Gli uomini, non soltanto alla roulette ma ovunque, non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa reciprocamente.
  • Ci si può perfino confondere nella folla, ma sempre con l'assoluta convinzione di essere soltanto un osservatore e di non appartenere a essa. (cap. 2)

Il villaggio di Stepànčikovo[modifica]

  • Un'anima meschina, sottrattasi all'oppressione, opprimerà a sua volta. (p. 22)
  • La gioventù ha a volte uno smisurato amor proprio, e l'amor proprio giovanile è quasi sempre pusillanime. (p. 83)
  • Colto! Ma quello che sai tu, io l'ho dimenticato almeno sette volte! Ecco che colto che sei! (Fomà Fomìč a Sergèj, p. 155)
  • Io con calore presi a dire che anche in chi è caduto si possono mantenere vivi sentimenti umani altissimi, che la profondità dell'animo umano è insondabile, che non bisogna disprezzare chi è caduto, ma al contrario bisogna andare loro incontro e risollevarli, che è falsa la misura universalmente accettata del bene e della moralità, e così via, e così via. (p. 335)
  • È vero che per Eževikin era tremendamente importante dare marito a Nàsten'ka, ma se egli si faceva passare per buffone, la ragione di ciò era semplicemente ch'egli aveva un intimo bisogno di sfogare la rabbia accumulata. L'impulso a schernire e la lingua lunga li aveva nel sangue. Egli, per esempio, faceva la caricatura di sé stesso come dell'adulatore più abietto e servile, ma nello stesso tempo faceva capire chiaramente che si trattava solo di un'apparenza, e quanto più avvilente era la sua lusinga, tanto più sarcastico e trasparente appariva lo scherno. (p. 348)

L'adolescente[modifica]

Incipit[modifica]

Luigi Vittorio Nadai[modifica]

Non ho resistito e mi sono messo a scrivere questa storia dei miei primi passi nell'arena della vita, anche se avrei potuto farne a meno. Di certo so una cosa sola: non mi metterò mai più a scrivere la mia autobiografia, nemmeno dovessi campare cent'anni. Bisogna essere troppo bassamente innamorati di sé per scrivere senza vergogna della propria persona. La mia sola scusante è che non scrivo per il motivo per cui tutti di solito lo fanno, cioè per le lodi del lettore. Se a un tratto mi è saltato in mente di scrivere parola per parola tutto ciò che mi è accaduto dall'anno scorso a questa parte è stato a causa di un'esigenza interiore: a tal punto mi ha colpito tutto ciò che è avvenuto.

[Fëdor Dostoevskij, L'adolescente, traduzione di Luigi Vittorio Nadai, Garzanti]

Eva Amendola Kühn[modifica]

Spinto da un impulso irresistibile, mi misi a scrivere questa storia dei miei primi passi sul cammino della vita; anche se, in fondo, avrei potuto farne a meno. Una sola cosa so di sicuro: mai più mi metterò a scrivere la mia autobiografia, anche se dovessi vivere fino a cent'anni. Bisogna essere troppo volgarmente innamorati della propria persona per scrivere senza ritegno di se stessi. L'unico argomento che possa addurre a mia discolpa è che non scrivo allo scopo per cui scrivono tutti gli altri, non scrivo cioè per avere elogi dal lettore. Se così, all'improvviso, mi venne l'idea di scrivere parola per parola tutto ciò che m'accadde l'anno scorso, fu per un mio intimo bisogno, tanto fui colpito da quel che avvenne.

[Fëdor Dostoevskij, L'adolescente (Podrostok, 1875), traduzione di Eva Amendola Kühn, prefazione di Angelo Maria Ripellino, Einaudi, Torino, 1957. ISBN 8806144545]

Citazioni[modifica]

  • A un suo personaggio, Versilov, Dostoevskij mette in bocca un'idea simile: che basti rinunciare agli assoluti, disfarsi di qualsiasi pretesa all'immortalità, perché gli uomini imparino a riconciliarsi con la terra, cioè con la loro finitezza e la loro fragilità, finalmente amandosi gli uni gli altri, perché non c'è amore se non là dove c'è condivisione d'un destino comune e sentimento di pietà per chi muore, cioè per tutti. Quest'idea nel romanzo dostoevskiano non viene confutata, ma semplicemente messa sulla bocca del diavolo, e smontata col più amaro dei sorrisi. (Sergio Givone)
  • Io annoto solamente i fatti, evitando a ogni costo tutto il resto e, principalmente, gli abbellimenti letterari; un letterato scrive per trent'anni e alla fine non sa nemmeno lui perché sia stato tanti anni a scrivere. Io non sono un letterato, non voglio esserlo, e trascinare l'intimo del mio animo e una bella descrizione di sentimenti alla loro fiera letteraria, lo riterrei un'indecenza e una bassezza. (1987, p. 25)
  • No, la segreta coscienza del potere è assai più piacevole dell'aperto dominio. (I, III, I; 1957, p. 43)
  • L'epoca attuale, l'epoca attuale è il tempo della mediocrità aurea e dell'insensibilità, della passione per l'ignoranza, della pigrizia, dell'incapacità al lavoro e dell'aspirazione a trovar tutto già bell'e pronto. Nessuno pensa; di rado si trova qualcuno che concepisca un'idea. (Kraft: I, IV, I; 1957, pp. 64-65)
  • Non tutte le nature sono identiche; in molti una deduzione logica si trasforma talvolta in un sentimento fortissimo, che pervade tutto il loro essere e che è molto difficile scacciare o trasformare. Per guarire uno così bisogna, in questo caso, cambiare quello stesso sentimento, e ciò è possibile solo sostituendolo con un altro di pari forza. Questo è sempre difficile, e in molti casi, impossibile. (1987, p. 78)
  • Per tutta la vita, in tutti i miei sogni su come avrei trattato la gente, me la cavavo sempre molto bene, ma poi, alla prova dei fatti, ero sempre molto stupido. E questo lo ammetto con indignazione e sinceramente, mi sono sempre tradito con le parole e ho sempre avuto fretta, e perciò ho deciso di farla finita con la gente. Come premio: indipendenza, tranquillità di spirito, chiarezza dello scopo. (1987, p. 111)
  • C'è anche una legge universale per le idee: le idee volgari, immediate, vengono capite con insolita rapidità, e sempre dalla folla, da tutta la piazza; non basta, vengono considerate grandiose e geniali, ma solo il giorno dopo la loro apparizione. Quel che vale poco dura poco. Una rapida comprensione è solo il segno della volgarità di quel che si è compreso. L'idea di Bismarck è diventata di colpo geniale, e Bismarck stesso un genio; ma è sospetta proprio questa rapidità: voglio vedere Bismarck tra dieci anni e vedremo allora cosa sarà rimasto della sua idea e, magari, dello stesso signor cancelliere. (1987, p. 123)
  • Quando si ha in testa qualcosa di fisso, costante, forte, da cui si è tremendamente presi, è come se ci si ritirasse in un deserto, lontano dal mondo intero, e tutto quel che succede oltre l'essenziale, passa solo di sfuggita. Anche le impressioni vengono percepite in modo sbagliato. Inoltre, il fatto importante è che si ha sempre un pretesto. Quanto ho tormentato mia madre tutto questo tempo, come ho vergognosamente abbandonato mia sorella: "Eh, io ho l''idea', e queste sono tutte sciocchezze", ecco più o meno cosa dicevo a me stesso. Io stesso venivo offeso e dolorosamente; me ne andavo offeso e dopo, all'improvviso, mi dicevo: "Eh, sarò vile, e tuttavia ho l''idea', e loro non lo sanno". L'"idea" mi consolava nella vergogna e nella viltà; ma erano tutte le mie bassezze che si nascondevano sotto l'idea; questa, per così dire, alleviava tutto, ma anche offuscava tutto davanti a me. Ma è certo che capire così male i fatti e le cose può nuocere anche all'"idea" stessa, per non dire del resto. (1987, p. 126)
  • È sufficiente un granello di sabbia o un peluzzo per disperdere il buono e cambiarlo in cattivo. Le cattive impressioni, invece, con mio rammarico, non mi si dissipano così alla svelta, sebbene non serbi rancori. (1987, p. 130)
  • [Detto di Makar Ivanovic] La sua onestà gli impediva ogni perspicacia. (1987, p. 164)
  • Un realismo delimitato dalla punta del proprio naso è più pericoloso del più folle fantasticare, perché è cieco. (1987, p. 178)
  • È sorprendente quanti pensieri estranei possano balenare in mente proprio quando uno è tutto scosso da qualche enorme notizia la quale, in effetti, sembrerebbe dover schiacciare gli altri sentimenti e disperdere tutti i pensieri estranei, specialmente quelli futili; e invece sono proprio quelli futili che si insinuano. (1987, p. 198)
  • Io non ho mai avuto un amico, e ritengo anzi che quest'idea sia una sciocchezza. (1987, p. 240)
  • Amare le persone così come sono è impossibile. E tuttavia si deve. E per questo fa loro del bene. (1987, p. 262)
  • – Un grande pensiero è più che altro un sentimento che a volte rimane molto a lungo senza una definizione. So solo che è sempre stato quel qualcosa da cui scaturiva la vita viva, cioè non intellettuale e non inventata, ma al contrario, non noiosa, allegra; così che un'idea elevata, dalla quale quella scaturisce, è decisamente necessaria, a dispetto di tutti, s'intende.
    – Perché a dispetto?
    – Perché vivere con le idee è noioso, e senza le idee è sempre allegro. – Il principe ingoiò la pillola.
    – Ma cos'è questa vita viva, secondo voi? – Si stava visibilmente irritando. – Anche questo non lo so, principe; so solo che dovrebbe essere qualcosa di tremendamente semplice, assai comune e che salta agli occhi, ogni giorno e ogni minuto, e semplice fino al punto che non riusciamo in nessun modo a credere che sia così semplice e, naturalmente, le passiamo accanto già da molte migliaia di anni senza farci caso e senza riconoscerla. (1987, p. 268)
  • Tutti i consigli salutari dati in anticipo, non sono altro che un'ingerenza a spese altrui nella coscienza altrui. Io ho fatto abbastanza incursioni nella coscienza degli altri, e alla fin fine ne ho riportato solo mortificazioni e beffe. Delle mortificazioni e delle beffe, certo, non mi importa niente, ma l'essenziale è che con questa tattica non si ottiene proprio niente: nessuno ti ascolterà, per quanto tu ti intrometta... e tutti ti disarmeranno. (1987, pp. 319-20)
  • E poi pensate soltanto a questo: predicano, dacché mondo è mondo, e che cosa hanno insegnato di buono per rendere il mondo più bello e più gaio e pieno di gioia? Per me, non hanno virtù, e neanche la cercano: tutti vanno alla perdizione, e se ne vantano, invece di rivolgersi all'unica Verità; ma vivere senza Dio non è che una tortura. E si finisce col maledire la stessa luce che c'illumina senza rendersene conto. L'uomo non può vivere senza inchinarsi dinanzi a qualcosa; un uomo simile non sopporterebbe se stesso e nessuno lo sopporterebbe. E chi nega Iddio, finirà coll'inchinarsi dinanzi a un idolo di legno o d'oro, o magari a un idolo astratto. Sono idolatri, non atei: ecco come bisogna definirli. (Makar Ivanovič: III, II, III; 1957, pp. 371-372)
Vivere senza Dio è solo un tormento. E ne vien fuori che malediciamo proprio quel che ci illumina, e non lo sappiamo nemmeno. E qual è il senso? È impossibile per un uomo esistere senza inchinarsi; un uomo simile non sopporta se stesso né gli altri uomini. E rifiuterà Dio, ma si inchinerà a un idolo, che sia di legno, o d'oro o di pensiero. Idolatri, ecco tutto, non senzadio, ecco come bisogna chiamarli. (1987, p. 441)
  • [Citando il giudizio di Katerina Nikolaevna su Versilov] [...] «poiché un idealista, quando si urta contro la realtà, è subito, prima degli altri, incline a supporre ogni sorta di bassezze». (III, VIII, II; 1957, p. 470)
Un idealista che ha sbattuto la testa contro la realtà è sempre più incline degli altri a supporre qualunque infamia. (1987, p. 557)
  • La stupidità e l'arroganza unite sono una grande forza. (1987, p. 526)
  • È oltremodo raro che le fotografie risultino somiglianti, e questo è comprensibile: è oltremodo raro che l'originale stesso, cioè ciascuno di noi, sia simile a se stesso. Solo in rari momenti un viso umano esprime il suo tratto fondamentale, il suo pensiero più tipico. L'artista studia un viso e intuisce questo pensiero fondamentale, anche se nel momento in cui dipinge non c'è affatto su quel viso. (1987, p. 537)
  • Le donne russe imbruttiscono alla svelta, la loro bellezza appare solo per un attimo, e, davvero, non è solo per le caratteristiche etnografiche del viso, ma anche perché sanno amare senza riserva. La donna russa dà tutto di colpo, quando ama: e l'istante, e il destino, e il presente, e il futuro; non sanno economizzare, non nascondono per far provvista e la loro bellezza la rovinano rapidamente per colui che amano. (1987, p. 537)
  • Tutta una vita di vagabondaggi e dubbi, e a un tratto, la loro soluzione, il giorno tale, alle cinque del pomeriggio! È perfino offensivo, non è vero? (1987, p. 540)
  • L'Europa ha creato nobili tipi di francesi, inglesi e tedeschi, ma ancora non sa quasi niente del suo uomo futuro. E sembra che ancora non ne voglia nemmeno sapere. Ed è comprensibile: non sono liberi, mentre noi siamo liberi, mentre noi siamo liberi. [...] Osserva, amico mio, una stranezza: ogni francese può servire non solo la sua Francia, ma addirittura anche l'umanità, solo alla condizione di rimanere soprattutto francese; lo stesso l'inglese e il tedesco. Solo il russo, perfino nel nostro tempo, cioè molto prima di quando verrà tirato un bilancio totale, ha già avuto la capacità di diventare soprattutto russo solo quando è diventato soprattutto europeo. Ed è proprio questa la nostra più essenziale diversità dagli altri, e a questo riguardo, da noi tutto si presenta diversamente. Io in Francia sono francese, con un tedesco, tedesco, con un antico greco, greco, e con tutto ciò sono soprattutto russo. In questo sono un vero russo, e servo soprattutto la Russia, in quanto evidenzio il suo pensiero principale. Sono un pioniere di questo pensiero. Allora io emigrai, ma abbandonavo forse la Russia? No, continuavo a servirla. Anche se non facevo niente, in Europa, anche se andavo solo vagabondando (e lo sapevo che sarei andato solo vagabondando), ma era sufficiente anche solo che fossi andato là con il mio pensiero e con la mia consapevolezza. Avevo portato là la mia malinconia russa. Oh, non era solo il sangue di allora che mi aveva spaventato cosi, e nemmeno le Tuileries, ma tutto quel che doveva seguire. È destino che debbano azzuffarsi ancora a lungo, perché... sono ancora troppo tedeschi e troppo francesi, e non hanno ancora terminato loro compito in questi ruoli. E ancora mi dispiace per le distruzioni. Per un russo l'Europa è preziosa quanto la Russia: ogni sua pietra gli è dolce e cara. L'Europa è stata la nostra patria come la Russia. Oh, di più! Non si può amare la Russia più di quanto l'ami io, ma non mi sono mai rimproverato perché Venezia, Roma, Parigi, i tesori delle loro scienze e delle loro arti, tutta la loro storia, mi sono cari più della Russia. Oh, ai russi sono care quelle antiche pietre altrui, quelle meraviglie del vecchio mondo di Dio, quei frammenti di sacri prodigi; e questo è più caro a noi che a loro! Loro hanno altri pensieri e sentimenti, e hanno smesso di aver care le vecchie pietre... Là un conservatore si batte solo per l'esistenza, e un pétroleur si dà da fare solo per il diritto a un pezzo di pane. Solo la Russia non vive per sé, ma per il pensiero, e devi ammettere, amico mio, è notevole che già da quasi un secolo la Russia non viva per sé, ma per l'Europa! E loro? Oh, loro sono destinati a terribili sofferenze, prima di raggiungere il regno di Dio. (Versilov, III, VII, III, 1987, pp. 546-7)
  • [Versilov, riguardo il trionfo della dottrina dell'ateismo] Gli uomini a un tratto capiscono di essere rimasti assolutamente soli e di colpo sentono una grande povertà. Mio caro ragazzo, io non sono mai riuscito a immaginare gli uomini ingrati e istupiditi. Gli uomini rimasti orfani prenderebbero subito a stringersi l'un l'altro con più forza e amore; si afferrerebbero per la mano, comprendendo di esser rimasti soli l'uno per l'altro. La grande idea di immortalità sarebbe svanita e la si dovrebbe sostituire; e tutto quel precedente eccesso di amore per colui che era anche l'immortalità, in tutti si rivolgerebbe verso la natura, verso il mondo, verso la gente, verso ogni erbetta. Prenderebbero ad amare la terra e la vita irresistibilmente e nella misura in cui si renderanno gradualmente conto della propria transitorietà e caducità, e di un amore particolare, diverso dal precedente. Si metterebbero a osservare e scoprirebbero nella natura fenomeni tali e tali segreti che prima non avevano neppure supposto giacché guarderebbero la natura con nuovi occhi, con lo sguardo dell'innamorato verso l'amata. Svegliandosi correrebbero a baciarsi I'un l'altro, affrettandosi ad amare, coscienti che i giorni sono brevi e che ciò è tutto quel che rimane loro. Lavorerebbero l'uno per l'altro, e ognuno darebbe a tutti il suo, e sarebbe felice solo di questo. Ogni bambino saprebbe e sentirebbe che ciascuno sulla terra è per lui come un padre e una madre. "Sia pure domani mio ultimo giorno" penserebbe ciascuno guardando il sole al tramonto "fa lo stesso: morirò io, ma rimarranno tutti loro, e dopo di loro i loro figli", e questo pensiero, che rimarranno gli altri a continuare ad amarsi e a trepidare l'uno per l'altro, sostituirebbe quello dell'incontro dopo la morte. Oh, si affretterebbero ad amare per soffocare la grande tristezza dei loro cuori. Sarebbero orgogliosi e audaci per se stessi, ma diventerebbero timorosi l'uno dell'altro; ognuno trepiderebbe per la vita e la felicità dell'altro. Diventerebbero dolci l'uno con l'altro, senza vergognarsene, come ora, e si accarezzerebbero l'un l'altro come bambini. Incontrandosi si guarderebbero l'un l'altro con uno sguardo profondo e comprensivo, e nei loro sguardi ci sarebbe amore e tristezza... (III, VII, III, 1987, pp. 549-50)
  • Strana sensazione, quando ti decidi e non riesci a deciderti. (1987, p. 577)

L'eterno marito[modifica]

Incipit[modifica]

Alfredo Polledro[modifica]

Venne l'estate, e Velciàninov, contro ogni attesa, restò a Pietroburgo. Il suo viaggio nel sud della Russia era andato a monte, e della causa neppur si prevedeva la fine. Questa causa – una lite per la proprietà – stava prendendo una pessima piega. Ancora tre mesi addietro aveva un aspetto tutt'altro che complicato, poco meno che in controverso; ma, chi sa come, improvvisamente tutto era mutato. "E in generale tutto ha preso a mutarsi in peggio!": questa frase Velciàninov aveva cominciato a ripeterla tra sé con acredine e di frequente.

Serena Prina[modifica]

Venne l'estate, e Vel'čaninov, contro ogni sua aspettativa, si fermò a Pietroburgo. Il viaggio nel Sud della Russia era andato a monte e per il suo processo non si vedeva una conclusione. Questo processo, una lite per una proprietà, aveva preso una piega delle peggiori. Ancora solo tre mesi prima sembrava del tutto privo di complicazioni, quasi indiscutibile; ma all'improvviso era come tutto mutato. "E in generale tutto ha cominciato a volgere al peggio!" era questa la frase che Vel'čaninov aveva cominciato a ripetere tra sé spesso e con gioia maligna.

Clara Coïsson[modifica]

Venne l'estate e Vel'čaninov, contro la sua aspettativa, rimase a Pietroburgo. Il suo viaggio nel Sud della Russia era andato a monte, e del processo non vedeva la fine. Questo processo - una lite per una tenuta - aveva preso una bruttissima piega. Soltanto tre mesi prima sembrava una faccenda per nulla complicata, quasi incontestabile; ma di colpo tutto pareva cambiato. «E, del resto, tutto sta cambiando in peggio!» - questa frase Vel'čaninov si era messo a ripeterla fra sé con gioia maligna e di frequente.

Citazioni[modifica]

  • Un tal uomo nasce e si sviluppa unicamente per prender moglie e, ammogliatosi, immediatamente si trasforma in un accessorio della moglie, perfin nel caso in cui gli accadesse di avere un suo proprio, incontestabile carattere. Principale connotato di un tal marito è il noto ornamento. Non essere cornuto egli non può, esattamente come il sole non può non risplendere; ma egli di questo non soltanto non sa mai nulla, ma non può nemmeno mai venir a sapere per le leggi stesse della natura. (p. 45)
  • "È una di quelle donne," pensava, "che sembrano nate apposta per essere delle mogli infedeli. Queste donne non cadono mai in fallo quando sono fanciulle; la legge della loro natura vuole che per farlo siano immancabilmente sposate. Il marito è il primo amante, ma soltanto dopo le nozze. Nessuna riesce a sposarsi in modo più abile e facile di loro. Per il primo amante la colpa è sempre del marito. E tutto avviene nella massima sincerità; fino alla fine si sentono in sommo grado nel giusto e, naturalmente, del tutto innocenti." (IV, 2019, pp. 46-47)
  • Secondo la sua opinione [di Vel'čaninov], l'essenza di questi mariti stava proprio nell'essere, per così dire, degli «eterni mariti» o, meglio, di essere, nella vita, soltanto mariti e niente di più. "Uomini di questo genere vengono al mondo e si sviluppano unicamente per prendere moglie e, ammogliati, per trasformarsi in accessori della moglie, anche nel caso che essi abbiano un proprio incontestabile carattere. Il distintivo principale di tali mariti è l'ornamento che tutti conoscono. Non possono non essere cornuti, come non può il sole non splendere; essi non solo non lo sanno mai, ma neppure potranno mai venirlo a sapere per le leggi stesse della natura." (IV, 2000, pp. 75-76)
  • Tutto lo scopo della sua vita, che gli era balenata davanti in una luce così gioiosa, all'improvviso era sprofondato nella tenebra eterna. Questo scopo consisteva precisamente – pensava adesso ogni momento – nel far sì che Liza ogni giorno, ogni ora e per tutta la vita senza interruzione avvertisse l'amore di lui nei suoi confronti. "Nessun uomo può né potrebbe mai avere uno scopo più elevato!" meditava in preda a cupa esaltazione. "Se anche esistessero altri scopi, nessuno di essi potrebbe essere più sacro di questo!" "L'amore di Liza," fantasticava, "avrebbe purificato e posto rimedio a tutta la mia vita precedente, fetida e inutile; invece che pensare a me, ozioso, vizioso e ormai finito, avrei allevato per la vita un essere puro e meraviglioso, e per questo essere tutto mi sarebbe stato perdonato, e tutto avrei perdonato a me stesso." (X, 2019, p. 107)
  • I pensieri elevati vengono non tanto da un ingegno elevato, quanto da sentimenti elevati. (XIII, 2019, p. 150)

Explicit[modifica]

Serena Prina[modifica]

Pavel Pavlovič tornò in sé, allargò le braccia e si diede a correre a rotta di collo; il treno già si stava muovendo, ma in qualche modo fece in tempo ad aggrapparsi e saltò al volo sul suo vagone. Vel'čaninov rimase alla stazione e solo verso sera si rimise in viaggio, dopo aver atteso un nuovo treno e seguendo il percorso di prima. A destra, dalla conoscente del distretto, non andò, non era affatto dell'umore giusto. E come ebbe a dolersene in seguito!

L'idiota[modifica]

Per approfondire, vedi: L'idiota.

Le notti bianche[modifica]

Incipit[modifica]

Giovanni Faccioli[modifica]

Era una notte meravigliosa, una notte come forse ce ne possono essere soltanto quando siamo giovani, amabile lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso che, gettandovi uno sguardo, senza volerlo si era costretti a domandare a se stessi: è mai possibile che sotto un cielo simile possa vivere ogni sorta di gente collerica e capricciosa? Anche questa è una domanda da giovani, amabile lettore, molto da giovani, ma voglia il Signore mandarvela il più sovente possibile nell'anima! ... Parlando d'ogni sorta di signori capricciosi e collerici, non ho potuto fare a meno di rammentare anche la mia saggia condotta in tutta quella giornata.

[Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche, traduzione di Giovanni Faccioli, Rizzoli.]

Luigi Vittorio Nadai[modifica]

Era una notte meravigliosa. Una di quelle notti come forse possono essercene soltanto quando si è giovani, egregio lettore. Il cielo era così stellato e così luminoso che, guardandolo, involontariamente veniva fatto di chiedersi: possibile che sotto un cielo come questo possano vivere persone adirate e lunatiche di vario genere? Anche questa è una domanda giovanile, caro lettore, molto giovanile, ma volesse Dio che essa sorgesse più spesso nella vostra anima!... Accennando alle persone lunatiche e adirate di vario genere non potrei fare a meno di pensare anche alla nobile condotta da me tenuta durante tutta quella giornata.

[Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche, traduzione di Luigi Vittorio Nadai, Garzanti, 2014.]

Citazioni[modifica]

  • Io sono un sognatore; ho vissuto così poco la vita reale che attimi come questi non posso non ripeterli nei sogni. (San Paolo 1999, p. 12)
  • Sono completamente senza una storia. Come si dice da noi, ho vissuto per me stesso, cioè completamente solo... [...] (San Paolo 1999, p. 16)
  • Ho amato idealmente. Ci sono figure di donne che non si scorgono altro che nei sogni. I miei sogni costituiscono interi romanzi. (1944)
  • Esistono a Pietroburgo, Nasten'ka, alcuni strani cantucci, anche se voi non li conoscete. In quei luoghi sembra che non giunga quel sole che rifulge per tutti gli abitanti di Pietroburgo, ma un altro sole, come ordinato appositamente per quei cantucci, e risplende di una luce diversa, particolare. In quei cantucci, cara Nasten'ka, sembra svolgersi una vita diversa, non somigliante affatto a quella che ribolle intorno a noi, una vita come potrebbe svolgersi nel trentesimo regno di fiaba e non da noi, nella nostra epoca così seria e così dura. Ecco, questa vita è un miscuglio di elementi puramente fantastici, ardentemente ideali e, ahimé, Nasten'ka, di elementi banalmente prosaici e abitudinari, per non dire inverosimilmente volgari. (San Paolo 1999, pp. 18-19)
  • Allora senti che la fantasia, quella inesauribile fantasia, alla fine si stanca, si esaurisce in quella tensione permanente perché maturata, abbandona gli ideali presognati: essi cadono in polvere, si spezzano in frammenti; e se non esiste un'altra vita, allora ci tocca di costruirla con questi frammenti. (San Paolo 1999, p. 27)
  • Quanto più siamo infelici, tanto più profondamente sentiamo l'infelicità degli altri; il sentimento non si frantuma, ma si concentra... (San Paolo 1999, p. 41)
  • [...] quanto rendono meravigliosa una persona la gioia e la felicità! Come ferve un cuore innamorato! Sembra che tu voglia riversare tutto il tuo cuore in un altro cuore, vuoi che tutto sia allegro, che tutto rida. E quanto è contagiosa questa gioia![32]
  • [...] perché non ci comportiamo tutti come fratelli? Perché anche l'uomo migliore è come se nascondesse sempre qualcosa all'altro e gli tacesse qualcosa? Perché non dire subito, direttamente, quel che si ha nel cuore, se sai che non parlerai al vento? Altrimenti ognuno appare più severo di quanti in effetti sia, come se tutti temessero di offendere i propri sentimenti palesandoli molto velocemente...[33]

Explicit[modifica]

  • Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! È forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?...

Memorie dalla Casa dei morti[modifica]

Incipit[modifica]

Duchessa d'Andria[modifica]

La nostra casa di pena stava all'estremità della cittadella, proprio sotto alle fortificazioni. Se a caso guardi dalle fessure della palizzata il mondo di Dio — per scoprire almeno qualcosa — vedrai soltanto un pezzettino di cielo e un alto rincalzo di terra dove crescono le erbe della steppa e le sentinelle che ivi passeggiano notte e giorno; e pensi che là tu dovrai passare anni interi e potrai soltanto guardare a traverso le fessure della palizzata e vedrai sempre quel rincalzo di terra, quelle sentinelle e quel pezzettino di cielo, non del cielo che è sopra alla casa di pena, ma di un altro cielo lontano e libero.

[Fedor M. Dostoievski, Ricordi della casa dei morti, a cura della Duchessa d'Andria, UTET, Torino, 1935.]

Fruttero & Lucentini[modifica]

La nostra prigione era dietro la fortezza, tra questa e i bastioni. E se da una fessura della palizzata cercavi di guardare fuori, nel mondo creato da Dio, vedevi forse qualcosa? Tutto quello che vedevi era un lembo di cielo e l'alto bastione coperto da erbacce, in cima al quale le sentinelle andavano giorno e notte su e giù.

[Fëdor Dostoevskij, Memorie da una casa di morti, citato in Fruttero & Lucentini, ìncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni[modifica]

  • Nelle remote regioni della Siberia, fra steppe, monti e foreste impraticabili, ci si imbatte, di tanto in tanto, in piccole città di mille, spesso duemila abitanti, dall'aspetto misero, costruite in legno, con due chiese – una all'interno dell'abitato, l'altra al cimitero – città più simili ai grossi borghi di Mosca che a città vere e proprie. Esse, di solito, sono molto ben fornite di capi distrettuali di polizia, di assessori e di rappresentanti di tutti gli altri gradi subalterni. In generale, malgrado il freddo, un lavoro statale in Siberia è un posticino molto caldo. (prefazione, Giunti, 1994)
  • L'uomo è un essere che si abitua a tutto e, credo, che questa sia la sua migliore definizione. (parte I, cap. I; 1935, p. 22)
  • Mi venne una volta in mente che se si volesse distruggere, annientare completamente un uomo, punirlo col più spaventevole dei castighi, tanto che il più tremendo assassino tremasse dinanzi a questo castigo e se ne spaventasse anticipatamente, basterebbe soltanto dare al lavoro un carattere di assoluta, completa inutilità e assurdità. (parte I, cap. II; 1935, pp. 38-39)
  • Forse sbaglio, ma mi pare che dal suo riso si possa conoscere un uomo, e se, al primo incontro, il riso di una persona totalmente sconosciuta vi riesce simpatico, dite pure arditamente che quella persona è buona. (parte I, cap. III; 1935, p. 65)
  • V'erano certi tali che non avevano ucciso nessuno eppure erano più terribili di altri che erano stati condannati per sei assassinî. (parte I, cap. VIII; 1935, p. 151)
Vi sono uomini che non hanno mai ucciso, eppure sono mille volte più cattivi di chi ha assassinato sei persone.[34]
  • Vi sono persone che sono simili a tigri avide di leccare il sangue. Chi ha provato una volta questo potere, questa signoria illimitata sul corpo, sul sangue, sull'anima di chi è come loro, di creature umane, di fratelli, secondo la legge di Cristo; chi ha provato il potere e la piena possibilità di umiliare con la peggiore umiliazione un altro essere che ha in sé l'immagine di Dio, colui è incapace di signoreggiare i suoi sentimenti. (parte II, cap. III; 1935, pp. 265-266)
  • Un essere umano non vive senza avere uno scopo, una mira. Quando ha perduto il suo scopo, la sua speranza, l'uomo spesso, per la noia, diventa un mostro! (parte II, cap. VII; 1935, p. 338)
  • La realtà è infinitamente diversa, sicché sfugge anche alle più sottili deduzioni del pensiero astratto e non sopporta classifiche precise e assolute. La realtà tende sempre alla divisione. (parte II, cap. VII; 1935, p. 338)
  • Spesso in una certa categoria di persone, anche molto intelligenti, si trovano delle idee addirittura paradossali. Ma queste persone hanno tanto sofferto nella loro vita per queste idee, a così caro prezzo le hanno serbate, che sarebbe crudele e quasi impossibile toglierle loro. (parte II, cap. VIII; 1935, p. 371)
  • Appena è stato permesso a questa povera gente di vivere a modo suo, di divertirsi da uomini, di passare anche solo un'ora di vita non da reclusi, ecco che l'uomo si trasforma moralmente, non fosse che per pochi minuti soltanto... (1950, p. 202)
  • Forse si mettono a un uomo i ferri ai piedi solo perché non fugga o ciò gli impedisca di correre? Niente affatto. I ferri non sono altro che un ludibrio, una vergogna e un peso, fisico e morale. Così almeno si presuppone. Essi non potranno mai ad alcuno impedire di fuggire. Il più inesperto, il meno abile dei detenuti saprà ben presto, senza gran fatica, segarli o farne saltare la ribaditura con un sasso. (1950, p. 220)
  • Il tenente invece era qualcosa come un raffinatissimo gastronomo in materia punitiva. Egli amava, amava con passione, l'arte del punire e l'amava unicamente in quanto arte. Egli se ne deliziava e, come uno svanito patrizio, consumato dai piaceri, dei tempi dell'Impero Romano, inventava varie raffinatezze, vari mezzi contro natura per rimescolare un poco e stuzzicare piacevolmente la sua anima sommersa dal grasso. (1950, p. 233)
  • A dir vero, la nostra gente, come forse tutta la gente russa, era disposta a dimenticare lunghi tormenti per una sola parola affettuosa. (1950, p. 237)

Explicit[modifica]

Le catene caddero. Io le sollevai... Volevo tenerle in mano, guardarle per l'ultima volta. Ora mi meravigliavo pensando che un momento prima stringevano le mie gambe.
— Su! Dio vi accompagni, Dio vi accompagni! — dissero i forzati con le loro voci ruvide, affannose, ma che avevano un accento di soddisfazione.
Sì, Dio ci accompagni! La libertà, una vita nuova, la risurrezione d'in fra i morti... È un momento magnifico!
1861-1862

[Fedor M. Dostoievski, Ricordi della casa dei morti, a cura della Duchessa d'Andria, UTET, Torino, 1935.]

Memorie dal sottosuolo[modifica]

Incipit[modifica]

Igor Sibaldi[modifica]

Io sono una persona malata... sono una persona cattiva. Io sono uno che non ha niente di attraente. Credo d'avere una malattia al fegato. Anche se d'altra parte non ci capisco un'acca della mia malattia, e non so che cosa precisamente ci sia di malato in me. Non mi curo e non mi sono mai curato, anche se la medicina e i dottori io li rispetto. Per di più sono anche superstizioso al massimo grado; o perlomeno quanto basta per rispettare la medicina. (Sono abbastanza istruito da non essere superstizioso, ma sono superstizioso). Nossignori, non mi voglio curare, e non lo voglio appunto per cattiveria. Ecco, forse questa cosa voialtri non vi degnerete di capirla. Be' io invece la capisco. Ovviamente non so spiegarvi a chi di preciso intenda far dispetto in questo caso specifico, con la mia cattiveria; so benissimo che nemmeno ai dottori medesimi potrò in alcun modo" farla sporca", col mio non andar da loro a curarmi; e so meglio di chicchessia che così sto danneggiando unicamente me stesso e nessun altro. Cionondimeno, se non mi curo è giustappunto per cattiveria. Il mio fegatuccio soffre? Bene, che soffra pure, e ancora di più!
[Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, traduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, 1987.]

Milli Martinelli[modifica]

Sono un uomo malato... Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. Credo di avere mal di fegato. Del resto, non capisco un accidente del mio male e probabilmente non so di cosa soffro. Non mi curo e non mi sono mai curato, anche se rispetto la medicina e i dottori. Oltretutto sono anche estremamente superstizioso; be', almeno abbastanza da rispettare la medicina. (Sono abbastanza colto per non essere superstizioso, ma lo sono.) Nossignori, non voglio curarmi per cattiveria. Ecco, probabilmente voi questo non lo capirete. Be', io invece lo capisco. Io, s'intende, non saprei spiegarvi a chi esattamente faccia dispetto in questo caso con la mia cattiveria; so perfettamente che neppure ai medici potrò "farla" non curandomi da loro; so meglio di chiunque altro che con tutto ciò nuocerò unicamente a me stesso e a nessun altro. E tuttavia, se non mi curo, è per cattiveria. Il fegato mi fa male, e allora avanti, che faccia ancor più male!
[Fëdor M. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, traduzione di Milli Martinelli, BUR, 1995. ISBN 8817170305]

Alfredo Polledro[modifica]

Sono un uomo malato... Sono un uomo maligno. Non sono un uomo attraente. Credo che mi faccia male il fegato. Del resto, non me n'intendo un'acca della mia malattia e non so con certezza che cosa mi faccia male. Non mi curo e non mi sono curato mai, sebbene la medicina e i dottori li rispetti. Inoltre, sono anche superstizioso all'estremo; be', almeno abbastanza da rispettare la medicina. (Sono sufficientemente istruito per non essere superstizioso, ma sono superstizioso). Nossignori, non mi voglio curare per malignità. Voi altri questo, di sicuro, non lo vorrete capire. Ebbene, io lo capisco. S'intende che non saprei spiegarvi a chi precisamente io faccia dispetto in questo caso con la mia malignità; so benissimo che anche ai dottori non posso in nessuna maniera «fargliela» col non curarmi da loro; so meglio d'ogni altro che con tutto questo danneggio unicamente e solo me stesso e nessun altro. Ma tuttavia, se non mi curo, è per malignità! Se mi fa male il fegato, ebbene, mi faccia pure ancora più male!
[Fëdor M. Dostoevskij, Memorie del sottosuolo (Zapiski iz podpol'ja), traduzione di Alfredo Polledro, Einaudi, 2010. ISBN 9788806177096]

Gianlorenzo Pacini[modifica]

Sono un uomo malato... Sono un uomo cattivo. Un uomo che non ha nulla di attraente. Credo di essere malato di fegato. Del resto di questa mia malattia non ne capisco niente, e in verità non so nemmeno io di cosa soffra. Non mi curo e non mi sono mai curato, sebbene nutra il massimo rispetto per la medicina e per i dottori. Per giunta, sono anche estremamente superstizioso; o per lo meno lo sono abbastanza da rispettare la medicina. (Sono abbastanza colto da non essere superstizioso, eppure lo sono ugualmente.) No, io non voglio curarmi per cattiveria. Questo probabilmente voi non lo capirete, ma io invece lo capisco. Naturalmente non sarei mai capace di spiegarvi a chi esattamente voglio far dispetto in questo caso con le mie ripicche; so benissimo che non sono assolutamente in grado di nuocere nemmeno ai dottori per il fatto che non vado a farmi curare da loro; anzi, so meglio di chicchessia che con ciò faccio del male unicamente a me stesso e a nessun altro. Ciononostante, se non mi curo lo faccio proprio per cattiveria: il fegato mi duole, ebbene che mi faccia ancora più male!
[Fëdor M. Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo (Zapiski iz podpol'ja), traduzione di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli. ISBN 9788807821202]

Tommaso Landolfi[modifica]

Sono un malato... Sono un malvagio. Sono un uomo odioso. Credo d'aver male al fegato. Del resto non so un corno della mia malattia e non so con precisione dove ho male. Non mi curo e non mi son mai curato, sebbene tenga in gran conto la medicina. (Son colto quanto occorre per non esser superstizioso, ma lo sono). No, non voglio curarmi per malvagità. Ecco una cosa che certo voi non vi degnerete di capire. Be' ma io la capisco. S'intende che non vi so spiegare a chi appunto faccia dispetto in questo caso colla mia malvagità; so perfettamente che non faccio un torto ai medici col non andarmi a curare da loro; so meglio di chiunque che in questo modo faccio male soltanto a me stesso e a nessun altro. Tuttavia se non mi curo è ugualmente per malvagità. Ho male al fegato; ci ho gusto, possa venirmi male ancora di più!
[Fëdor M. Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo, traduzione di Tommaso Landolfi, BUR, 1984. ISBN 8817130540]

Luisa De Nardis[modifica]

Sono un uomo malato... Sono un uomo cattivo. Non sono un uomo attraente. Penso di soffrire di fegato. Del resto non ci capisco un fico secco della mia malattia e probabilmente non so di cosa soffro. Non mi curo e non mi sono mai curato, sebbene rispetti la medicina e i dottori. In più, sono anche superstizioso all'estremo: be', almeno tanto da rispettare la medicina. (Sono abbastanza istruito per non essere superstizioso, ma sono superstizioso). Nossignore, non voglio curarmi per cattiveria. Voi questo, probabilmente, non potete capirlo. Ma io lo capisco, sissignore. S'intende, non saprei spiegarvi a chi in effetti darò fastidio in questo caso con la mia cattiveria; so perfettamente bene che non potrò "danneggiare" in nessun modo nemmeno i dottori, per il fatto che non mi curo da loro; so meglio di chiunque altro che così facendo nuocerò esclusivamente a me stesso e a nessun altro. Eppure, se non mi curo, è proprio per cattiveria. Mi fa male il fegato, e allora che mi faccia male ancora di più!
[Fëdor M. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, traduzione di Luisa De Nardis, Biblioteca Economica Newton, 2008. ISBN 978-88-8183-907-0]

Citazioni[modifica]

  • Io, non dico malvagio, ma niente sono riuscito a diventare: né cattivo, né buono, né ribaldo, né onesto, né eroe, né insetto. E ora trascino la mia vita nel mio angolo, tenendomi su la maligna e magrissima consolazione che un uomo intelligente non può in verità diventar nulla e che solo gli sciocchi diventano qualcosa. (Il sottosuolo, I)
  • Ho quarant'anni, e quarant'anni sono una vita intera; sono la più fonda vecchiaia. Vivere oltre i quarant'anni è indecoroso, volgare, immorale. Chi vive oltre i quarant'anni? Rispondetemi sinceramente, onestamente. Ve lo dico io, chi vive: gli stupidi e i furfanti. (Il sottosuolo, I; 1995, p. 23)
  • Il godimento in questione veniva per l'appunto dalla troppa vivida consapevolezza della mia umiliazione; dal fatto che lo sentivo bene di avere ormai toccato il fondo; è che questa era si una cosa turpe, ma che non avrebbe potuto essere altrimenti; che non avevo più nessuna via di scampo, che ormai non sarei più riuscito a diventare un altro uomo; che anche se mi fossero rimasti tempo e fede abbastanza per poter diventare qualcos'altro, molto probabilmente non avrei avuto nessuna voglia di cambiare; e se anche me ne fosse venuta la voglia non avrei fatto nulla lo stesso, perché in realtà non vi sarebbe stato probabilmente nulla da poter diventare, una volta che fossi cambiato. (Il sottosuolo, II)
  • Vi giuro, signori, che aver coscienza di troppe cose è una malattia, una vera e propria malattia. (Il sottosuolo, II)
  • Mi inventavo avventure, mi creavo una vita fittizia, tanto per vivere in un mondo qualunque. (Il sottosuolo, V)
  • Un'altra volta mi volli innamorare per forza, anzi due volte. E soffrivo, signori, ve ne assicuro! Nel profondo dell'animo non sembra di soffrire, spunta un risolino, eppure io soffro, e per di più in modo vero, autentico; sono geloso, vado fuori di me... e tutto per noia, signori, tutto per noia; l'inerzia mi aveva oppresso. (Il sottosuolo, V)
  • Ma che ci posso fare io se non sono neppure cattivo? La mia cattiveria, a causa ancora una volta delle dannate leggi della coscienza, è continuamente sottoposta ad una sorta di scomposizione chimica. (Il sottosuolo, V)
  • Il fatto, signori miei, è che io mi considero una persona intelligente forse soltanto perché in tutta la mia vita non sono stato capace né di cominciare né di portare a termine mai nulla. Ammettiamo che io sia soltanto un chiacchierone, un innocuo e fastidioso chiacchierone come tutti quanti. Ma che possiamo farci se il più diretto, anzi l'unico compito di ogni persona intelligente consiste appunto nel chiacchierare, cioè nel travasare il vuoto nel vuoto? (Il sottosuolo, V)
  • "Fannullone!": ma questo è un titolo e un destino, è una carriera, signori. Non scherzate, è così. (Il sottosuolo, VI; 2011)
  • Ma l'uomo è tanto incline alla sistematicità e alla deduzione astratta che è pronto a deformare premeditatamente la verità, pronto a chiudere occhi ed orecchi, pur di giustificare la propria logica. (Il sottosuolo, VII; 2010, p. 24)
  • [...] il sangue scorre a fiumi, ma allegramente, come se fosse champagne; eccovi il nostro diciannovesimo secolo [...].[35] (VII)
  • L'uomo è fatto così. E tutto ciò per un insulsissimo motivo che apparentemente non varrebbe neppure la pena di menzionare: e cioè perché l'uomo, sempre e ovunque, chiunque fosse, ha amato agire così come voleva, e non come gli ordinavano la ragione e il tornaconto; infatti si può volere anche contro il proprio tornaconto, anzi talvolta decisamente si deve (questa è già una mia idea). La propria voglia, arbitraria e libera, il proprio capriccio, anche il più selvaggio, la propria fantasia, eccitata a volte fino alla follia: tutto ciò è proprio quel vantaggio supremo e tralasciato, che sfugge a qualsiasi classificazione e per colpa del quale tutti i sistemi e le teorie vanno costantemente a farsi benedire. (Il sottosuolo, VII)
  • Per effetto della civiltà l'uomo è diventato, se non più sanguinario, certamente sanguinario in modo peggiore, più abietto di prima. (Il sottosuolo, VII; 2011)
  • Vedete: la ragione, signori, è una bella cosa, è indiscutibile, ma la ragione non è che la ragione e non soddisfa che la facoltà raziocinativa dell'uomo, mentre il volere è una manifestazione di tutta la vita, cioè di tutta la vita umana, con la ragione e con tutti i pruriti. E sebbene la nostra vita, in questa manifestazione, riesca sovente una porcheriola, pur tuttavia è la vita, e non è soltanto un'estrazione di radice quadrata. (Il sottosuolo, VIII; 2002, p. 29)
  • Cospargetelo di tutti i beni del mondo, sprofondatelo nella felicità finché non gli arrivi fin sopra la testa, così che non se ne veda più se non qualche bollicina sulla superficie della felicità, come fosse la superficie dell'acqua; dategli una tale tranquillità economica, che non gli rimanga proprio nient'altro da fare se non dormire, mangiare pasticcini e adoperarsi perché la storia universale non finisca: bene, anche così l'uomo, da quel bel tipo che è, e unicamente per ingratitudine, unicamente per farvi una pasquinata vi combinerà una qualche porcheria. Metterà a repentaglio perfino i suoi pasticcini, e a bella posta desidererà le più rovinose sciocchezze, la più antieconomica delle assurdità, all'unico scopo di poter mescolare a tutta questa positiva ragionevolezza il proprio rovinoso elemento fantastico. (Il sottosuolo, VIII)
  • Il volere umano, molto spesso e anzi il più delle volte si trova assolutamente e cocciutamente in contrasto con il raziocinio. (Il sottosuolo, VIII)
  • Credo che la migliore definizione che si possa dare dell'uomo sia questa: creatura bipede ed ingrata! (Il sottosuolo, VIII)
  • Signori, mi tormentano dei problemi; risolvetemeli. Voi, per esempio, un uomo lo volete disavvezzare dalle vecchie abitudini e volete correggere la sua volontà, conformemente alle esigenze della scienza e del buon senso. Ma come fate a sapere che l'uomo non solo si può, ma si deve anche trasformarlo così? Da che cosa concludete che al volere umano così indispensabilmente occorra correggersi? Insomma, come fate a sapere che una siffatta correzione arrecherà effettivamente vantaggio all'uomo? E, per dire proprio tutto, perché siete così sicuramente convinti che non andare contro gli autentici e normali vantaggi garantiti dagli argomenti forniti dalla ragione e dall'aritmetica sia effettivamente sempre vantaggioso per l'uomo e sia una legge per tutta l'umanità? Perché questa per intanto non è ancora che una vostra supposizione. Mettiamo che sia una legge della logica ma forse non è per niente una legge dell'umanità. (Il sottosuolo, IX; 2002, pp. 33-34)
  • Dunque l'uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico. Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos? (Il sottosuolo, IX)
  • Ma l'uomo dove va? Quanto meno, ogni volta si nota in lui un che d'impacciato nel momento in cui raggiunge cosiffatti fini. Il fatto di raggiungerli gli piace, ma averli raggiunti non proprio, e questo, certo, è straordinariamente ridicolo. (Il sottosuolo, IX; 2002, p. 35)
  • E perché voi siete così fermamente, così solennemente sicuri che soltanto quello che è normale e positivo, in una parola, soltanto la prosperità sia vantaggiosa all'uomo? La ragione non s'inganna nei vantaggi? Può darsi che l'uomo non ami la sola prosperità. Può darsi che ami esattamente altrettanto la sofferenza. Può darsi che proprio la sofferenza gli sia esattamente altrettanto vantaggiosa quanto la prosperità. E l'uomo a volte ama immensamente la sofferenza, fino alla passione, anche questo è un fatto. (Il sottosuolo, IX; 2002, pp. 35-36)
  • La sofferenza è l'unico motivo della coscienza. E sebbene abbia dichiarato che secondo me la coscienza è per l'uomo la più grande disgrazia, so però che l'uomo l'ha cara e non le scambierebbe colle maggiori soddisfazioni. (Il sottosuolo, IX)
  • Annullate i miei desiderî, cancellate i miei ideali, mostratemi qualcosa di meglio, e io vi andrò dietro. Magari direte che non mette conto nemmeno di legarsi; ma in tal caso io posso rispondervi allo stesso modo. Noi ragioniamo seriamente; e se non mi volete degnare della vostra attenzione, non vi farò certo degli inchini. Io ho il sottosuolo. (Il sottosuolo, X; 2002, p. 37)
  • Meglio una cosciente inerzia! E dunque, evviva il sottosuolo! (Il sottosuolo, XI)
  • Ci sono fra i ricordi d'ogni uomo, cose che non si raccontano a tutti, ma appena agli amici. Ce ne sono altre che neanche agli amici si raccontano, ma appena a se stessi, e per di più sotto suggello di segreto. Ce ne sono, infine, altre ancora che persino a se stessi si ha paura di raccontare, e di tali ricordi ogni uomo, anche ammodo, ne mette insieme parecchi. (Il sottosuolo, XI)
  • Un uomo evoluto e perbene non può essere vanitoso senza un'illimitata severità con se stesso e senza disprezzarsi fino all'odio in certi momenti. (A proposito della neve bagnata, I; 2002, p. 46)
  • Io sono solo, e loro invece sono tutti. (A proposito della neve bagnata, I)
  • A casa, in primo luogo, più che tutto leggevo. Avevo voglia di soffocare con sensazioni esteriori tutto ciò che ribolliva incessantemente dentro di me. E fra le sensazioni esteriori rientrava nelle mie possibilità soltanto la lettura. La lettura, naturalmente, mi aiutava molto: mi agitava, mi dilettava e mi tormentava. Ma di tempo in tempo mi veniva tremendamente a noia. Avevo pur sempre voglia di muovermi, e tutt'a un tratto mi affondavo in un'oscura, sotterranea, disgustosa, non dico depravazione, ma depravazionucola. Quelle passionucole in me erano acute, cocenti, per via della mia perpetua morbosa irritabilità. Avevo degli slanci isterici, con lacrime e convulsioni. Oltre la lettura, non avevo dove andare, cioè non c'era nulla che allora io potessi rispettare nel mio ambiente e verso di cui mi sentissi attratto. Per di più, mi ribolliva dentro la malinconia; mi veniva un'isterica sete di contraddizioni, di contrasti, così mi buttavo alla depravazione. (A proposito della neve bagnata, I; 2002, p. 50)
  • Mi davo alla depravazione solitariamente io, di notte, di nascosto, pavidamente, sudiciamente, con una vergogna che non mi lasciava nei momenti più ripugnanti e che anzi in quei momenti giungeva fino alla maledizione. Già allora portavo nell'anima mia il sottosuolo. Avevo una tremenda paura che in qualche modo mi vedessero, m'incontrassero, mi riconoscessero. E giravo per vari luoghi molto oscuri. (A proposito della neve bagnata, I; 2002, p. 51)
  • Ancora sedicenne, li osservavo con cupa meraviglia; già allora mi stupivano la grettezza del loro pensiero, la stupidità delle occupazioni, dei giochi, dei discorsi loro. Non capivano certe cose così indispensabili, non s'interessavano di argomenti così suggestivi e impressionanti che per forza presi a considerarli inferiori a me. Non era la vanità offesa che mi ci spingeva, e, per amor di Dio, non venitemi avanti con le obiezioni convenzionali, rancide fino alla nausea, che io non facevo che sognare, mentre essi già allora capivano la vita reale. Nulla essi capivano, nessuna vita reale, e vi giuro che questo, appunto, era ciò che più m'indignava in loro. Al contrario, la realtà più evidente, più abbagliante la percepivano in modo fantasticamente sciocco e già allora si abituavano ad inchinarsi nient'altro che al successo. Di tutto ciò che era giusto, ma umiliato e oppresso, ridevano crudelmente e vergognosamente. La posizione la consideravano ingegno; a sedici anni discorrevano già di comodi posticini. Naturalmente, in questo molto derivava dalla stupidità, dal cattivo esempio che aveva sempre circondato la loro infanzia e adolescenza. Erano depravati fino alla mostruosità. S'intende che anche qui c'era soprattutto esteriorità, soprattutto cinismo ostentato, s'intende che la giovinezza e una certa freschezza trasparivano anche in loro perfino attraverso la depravazione; ma in loro non era attraente nemmeno la freschezza e si manifestava come una specie di bricconeria. Io li odiavo tremendamente, sebbene fossi magari peggio di loro. Essi mi ripagavano della stessa moneta, e non nascondevano la propria ripugnanza per me. Ma io non desideravo più il loro affetto; al contrario, avevo sempre sete della loro umiliazione. (A proposito della neve bagnata, III; 2002, p. 70)
  • [...] E proprio non capii che lei si stava mascherando apposta dietro a quel suo tono di beffa, giacché appunto questo è di solito l'ultimo ripiego di coloro che hanno un cuore pudico e casto, quando si cerca di penetrare nell'anima loro in modo rozzo e importuno: giacché essi non si danno fino all'ultimo, per il grande orgoglio che hanno dentro, e hanno paura di mostrarvi i loro sentimenti. Già dalla timidezza con cui ella si era accinta a più riprese a quella sua piccola beffa, senza riuscire a dirla che alla fine, avrei dovuto intuire come stessero realmente le cose. Ma non lo intuii, e mi ritrovai così nelle grinfie di un sentimento cattivo. (A proposito della neve bagnata, VI)[36]
  • Io sapevo che forse lei si sarebbe imbrogliata e non avrebbe capito i particolari, ma sapevo anche che avrebbe capito benissimo la sostanza. E così accadde. Ella impallidì come un cencio, voleva dire qualche cosa, le sue labbra si storsero in una smorfia dolorosa; ma cadde sulla sedia, come recisa con un'accetta. E per tutto il tempo poi mi ascoltò con la bocca spalancata, con gli occhi aperti e tremando di un terribile spavento. Il cinismo, il cinismo delle mie parole l'aveva schiacciata... (A proposito della neve bagnata, IX; 2002, pp. 123-124)
  • Per tutta la vita non mi sono neppure potuto figurare un altro genere d'amore, e sono arrivato adesso al punto di pensare talvolta che l'amore consista proprio nel diritto spontaneamente concesso dall'oggetto amato di tiranneggiarlo. Nelle mie fantasie del sottosuolo non mi sono mai figurato l'amore se non come una lotta, che facevo cominciare sempre dall'odio e finire con l'asservimento morale. (A proposito della neve bagnata, X)
  • Del resto, non la odiavo più tanto, mentre correvo per la camera e dalla fessura gettavo delle occhiate dietro il paravento. Mi era solo intollerabilmente penoso che fosse lì. Volevo che sparisse. Desideravo la «tranquillità», desideravo rimaner solo nel sottosuolo. La «vita vivente», per la mancanza di abitudine, mi aveva schiacciato al punto che provavo difficoltà perfino a respirare. (A proposito della neve bagnata, X; 2002, p. 128)
  • Lasciateci soli, senza libri, e ci confonderemo subito, ci smarriremo: non sapremo dove far capo, a che cosa attenerci; che cosa amare e che cosa odiare, che cosa rispettare e che cosa disprezzare. (A proposito della neve bagnata, X; 2002, p. 132)

Citazioni su Memorie dal sottosuolo[modifica]

  • In maniera paradossale, si potrebbe affermare che appunto perché Dostoevskij nelle Memorie ha il coraggio di parlare di se stesso, proprio per questo, egli attinge a una zona profonda nella quale così se stesso come gli altri non esistono più, annullati da qualche cosa di non individuale e non sociale, ossia da ciò che Dostoevskij chiama il «sottosuolo». L'importanza diciamo così storica delle Memorie dal sottosuolo sta tutta qui. Per la prima volta, riprendendo la metafora del titolo del racconto, Dostoevskij prende una lampada e discende dall'appartamento al primo piano, in cui è sinora vissuto, giù nel sottosuolo della casa. Dostoevskij, per dirla con un famoso verso di Baudelaire, scende nel sottosuolo per «au fond de l'inconnu chercher du nouveau», Dostoevskij troverà nel sottosuolo, cioè nell'«inconnu», il nuovo, cioè «le nouveau» in tale quantità che non ne uscirà più. Tutti i libri dopo le Memorie dal sottosuolo sono stati scritti da quelle latebre tenebrose. E Dostoevskij è morto alla fine nel sottosuolo, senza mai più risalire alle stanze superiori. (Alberto Moravia)

Note invernali su impressioni estive[modifica]

  • E così sono a Parigi... Non pensiate però che io voglia raccontarvi molto proprio riguardo alla città di Parigi. Ritengo infatti che ne abbiate già letto tanto in russo, che leggerne vi sia persino venuto a noia. Per di più ci siete stati voi stessi e probabilmente avete esaminato tutto molto meglio di me. [...] E quindi non vi racconterò che cosa esattamente io non abbia esaminato con attenzione, ma ecco quello che in compenso vi dirò: che ho creato una definizione di Parigi, che le ho consegnato un epiteto, e che ho intenzione di difendere quest'epiteto. E cioè: che Parigi è la città più morale e virtuosa di tutto il globo terrestre. Quale ordine, infatti! Che sensatezza, che rapporti ben definiti e solidamente stabiliti: com'è tutto garantito e messo in riga: come son tutti soddisfatti, e come tutti quanti si sforzano di convincersi d'essere soddisfatti ed effettivamente felici, come tutti, infine, si sono a tal punto sforzati, da essere realmente convinti della propria soddisfazione ed effettiva felicità, e... e... lì si son fermati. (p. 49)
  • [Su Londra] Questa città sconfinata come un mare e colma giorno e notte di movimento; i fischi e gli urli delle macchine; queste ferrovie edificate al di sopra delle case (e tra breve anche sotto di esse); quest'audace spirito d'iniziativa, quest'apparente disordine che in sostanza è invece l'espressione dell'ordine borghese nella sua forma più elevata; questo Tamigi avvelenato, quest'aria pregna di carbon fossile, questi stupendi giardinetti, e i parchi, e questi angoli orribili della città, come Whitechapel, con la sua popolazione stracciona, selvaggia e affamata. E la City, coi suoi milioni e col commercio mondiale, il palazzo di cristallo, l'esposizione universale... (pp. 51-52)
  • Sì, l'esposizione è qualcosa di sbalorditivo. Vi percepite una forza tremenda che ha lì riunito in un unico gregge tutto quell'incalcolabile numero di persone giunte da ogni parte del mondo. Voi avete coscienza d'un pensiero immane: percepite che lì qualcosa è già stato raggiunto, che lì è la vittoria, lì è il trionfo. Cominciate persino come a temere qualcosa. Per quanto siate indipendenti, pure per un qualche motivo sarete assaliti dal timore. "Non è forse questo, realmente, l'ideale raggiunto?" così vi vien da pensare. "Non è questa la fine? E non è già questo, in effetti, l''unico gregge'?" E non bisognerà dunque accettare tutto ciò come la completa verità, e tacere per sempre? Tutto questo è a tal punto solenne, vittorioso e fiero, che cominciate a sentir un peso sul cuore. Guardate queste centinaia di migliaia, questi milioni di persone che docili sono affluite fin qui da tutte le parti del globo terrestre: persone giunte con un unico pensiero, che si affollano tranquillamente, con ostinazione e in silenzio in questo palazzo colossale, e percepite che lì si è realizzato qualcosa di definitivo, si è realizzato e si è concluso. È una sorta di quadro biblico, un'evocazione di Babilonia, una specie di profezia dell'Apocalisse quella che si va realizzando davanti ai vostri occhi. (pp. 52-53)
  • [...] a Londra si può vedere una massa umana di tali dimensioni e in tali condizioni, come non vi capiterà di vedere da svegli in alcun'altra parte del mondo. Mi avevano detto, per esempio, che ogni sabato, di notte, mezzo milione di operai e di operaie coi loro bambini si riversano come un mare per l'intera città, raggruppandosi per lo più in certi quartieri, e che per tutta la notte fino alle cinque del mattino festeggiano il riposo dal lavoro, cioè si ingozzano e si ubriacano come bestie per tutta la settimana. Quest'intera moltitudine porta là le sue economie settimanali, tutto quello che ha faticosamente messo insieme a forza di duro lavoro e di maledizioni. Nelle botteghe di carne e di generi alimentari arde il gas in ampi fasci di luci, che illuminano a giorno le vie. Parrebbe un vero e proprio ballo, organizzato per questi negri bianchi. Il popolo si affolla nelle taverne all'aperto e nelle strade. E qui si mangia e si beve. Le birrerie sono addobbate come palazzi. Questa moltitudine è ubriaca, ma senz'allegria, è cupa, opprimente, e in un certo suo modo, stranamente silenziosa. Solo di tanto in tanto le bestemmie e le risse sanguinose infrangono questo silenzio sospetto, che agisce tristemente su di voi. Tutti si sforzano di ubriacarsi quanto prima possibile, fino a perdere coscienza... Le mogli non si staccano dai mariti e si sbronzano insieme a loro: i bambini corrono e strisciano tra i loro genitori. (pp. 53-54)

Umiliati e offesi[modifica]

Incipit[modifica]

La sera del ventidue marzo dell'anno scorso mi è accaduta un'avventura assai strana. Avevo passato la giornata a girare per la città in cerca d'un alloggio. Quello nel quale abitavo era molto umido, ed io fin da allora cominciavo ad avere una tosse preoccupante. Già dall'autunno prima mi ero proposto di cambiar casa, ma ad onta di questo divisamento ero arrivato fino alla primavera senza farne nulla.
Avevo girato tutto il giorno senza riuscire a trovare qualcosa di adatto. Il mio desiderio era di avere un appartamento libero, non in subaffitto; mi sarei accontentato anche di una stanza sola, purché fosse molto grande, e, nello stesso tempo, costasse poco.

[Fëdor Dostoevskij, Umiliati e offesi, traduzione di Ossip Felyne, Lia Neanova e C. Giardini, Mondadori, 2003.]

Citazioni[modifica]

  • Dicono che chi è sazio non può capire chi è affamato; io aggiungo che un affamato non capisce un altro affamato.
  • Voglio scoprirvi un segreto della mia natura, che a quanto pare ignorate nel modo più assoluto. Sono convinto che in questo momento voi mi definiate un mostro di dissolutezza. Ebbene, ecco quello che voglio dire: se soltanto potesse avvenire, dico, che ciascuno uomo fosse obbligato a rivelare l'intimo fondo di sé stesso, ma in modo da non temere di dire non solo ciò che egli non direbbe mai agli altri uomini, non solo ciò che avrebbe paura di confessare ai suoi migliori amici, ma anche ciò che non osa confessare neppure a sé stesso, ebbene, in tal caso si spargerebbe nel mondo un tal fetore da soffocare tutti quanti. Ecco perché, detto fra parentesi, le nostre convenienze e leggi mondane sono tanto benefiche; c'è in esse un pensiero molto profondo, non dirò morale, ma semplicemente preservativo, comodo, il che importa certamente di più, giacché in sostanza la morale non è che una comodità, una cosa escogitata per rendere la vita più confortevole.
  • Mi accusate di avere dei vizi, di essere dissoluto, immorale, mentre io forse sono colpevole solo di essere più sincero degli altri e basta; di non nascondere ciò che gli altri nascondono persino a sé stessi. Facendo così faccio male, ma ora voglio così. C'è un godimento tutto speciale in quell'improvviso smascherarsi, in quel cinismo col quale un uomo si svela davanti ad un altro, senza neppure vergognarsi di fronte a lui. Che posso fare se so con sicurezza che alla base di tutte le virtù umane c'è il più terribile egoismo?... e più un'azione è virtuosa, più grande è l'egoismo. "Ama te stesso", ecco l'unica regola che riconosco. Sono d'accordo con tutto, purché io stia bene, e ce ne sono a legioni di uomini che la pensano come me, e tutti stiamo veramente bene... Tutto può andare in rovina in questo mondo, soltanto noi esisteremo sempre. Esistiamo da quando esiste il mondo.
  • Mi sembrava che lei stessa a bella posta stuzzicasse la propria ferita, sentendo nel farlo una sorta di necessità, la necessità della disperazione, della sofferenza...[37]

Incipit di alcune opere[modifica]

Il sosia[modifica]

Pietro Zveteremich[modifica]

Erano quasi le otto del mattino quando il consigliere titolare Jàkov Petròvič Goljàdkin si svegliò dopo un lungo sonno, sbadigliò, si stiracchiò e infine aprì del tutto gli occhi. Per un paio di minuti rimase però a giacere immobile nel letto come uno che non è ben sicuro se è desto o dorme ancora, se tutto ciò che gli succede intorno è veglia e realtà o non piuttosto la continuazione delle disordinate visioni del sogno. Ben presto, tuttavia, i sensi del dottor Goljàdkin cominciarono a recepire in modo più chiaro e netto le loro abituali, quotidiane impressioni.

[Fëdor Dostoevskij, Il sosia, traduzione di Pietro Zveteremich, Garzanti, 1966.]

Giacinta De Dominicis Jorio[modifica]

Mancava poco alle otto del mattino allorché il consigliere titolare Jakòv Petrovic Goljadkin si svegliò da un lungo sonno, fece uno sbadiglio, si stiracchiò e aprì finalmente del tutto gli occhi. Per due minuti, però, rimase a giacere immobile nel suo letto come un uomo non completamente sicuro se sia sveglio o se ancora dorma e se tutto ciò che accade intorno a lui sia realtà o non piuttosto la continuazione di un fantastico sognare. Ma ben presto i sensi del signor Goljadkin ripresero ad accogliere, più chiare e più precise, le consuete, abituali impressioni.

[Il sosia, traduzione di Giacinta De Dominicis Jorio, Biblioteca Universale Rizzoli.]

Gianlorenzo Pacini[modifica]

Mancava poco alle otto del mattino quando il consiglie­re titolare Jàkov Petròvic Goljàdkin si ridestò da un lungo sonno, sbadigliò, si stiracchiò e infine aprì completamente gli occhi. Tuttavia, ancora per un paio di minuti egli se ne restò disteso immobile nel suo letto, come se non fosse tut­tora pienamente certo di essersi destato o di non stare an­cora dormendo, e come in dubbio se tutto ciò che lo cir­condava gli apparisse nella veglia della realtà o non fosse piuttosto il prolungamento delle sue sconclusionate fanta­sie notturne. Ben presto, tuttavia, i sensi ridesti del signor Goljàdkin cominciarono a percepire in modo più chiaro e distinto le abituali, quotidiane impressioni.

[Il sosia, traduzione di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli, 2003.]

La mite[modifica]

... D'accordo, fintanto che lei è ancora qui va tutto bene: vado lì e la guardo in ogni momento; ma domani la porteranno via, e io come farò a restare solo? Per il momento lei è lì nella sala, sulla tavola – due tavoli da gioco fatti combaciare; la bara è per domani, una bara tutta bianca con gros de Naples bianco; ma no, ma cosa sto...? Cammino e cammino cercando di chiarirmi la cosa. Sono già sei ore che cerco di chiarirmi, ma non riesco a riordinare i pensieri in un punto.

[Fëdor Dostoevskij, La mite, traduzione di Pier Luigi Zoccatelli, Newton & Compton.]

Memorie di un'orfana[modifica]

Mi svegliai in un lettuccio bianco nel quale il mio piccolo corpo mollemente si sprofondava, e attorno a me, nella camera, scorsi ricchi tappeti e mobili magnifici. Dalle tende, a metà calate, della finestra immensa, la luce dell'alba si insinuava, colorando tutte le cose di un'aria fantastica e misteriosa.
Non sognavo per caso?
No, era la realtà, quale la morte me l'aveva fatta; e quella dimora principesca aumentava l'amarezza e il dolore della mia anima.
Ero proprio orfana, sola al mondo ed in casa di persone a me estranee.

[Fëdor Dostoevskij, Memorie di un'orfana, Edizioni S.A.C.S.E. - Milano 1936]

Povera gente[modifica]

Mia impagabile Varvara Alexeevna!
ieri sono stato felice, smisuratamente, inimmaginabilmente felice!
[citato in Fruttero & Lucentini, ìncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni su Fëdor Dostoevskij[modifica]

  • Come può un uomo scrivere così male, così spaventosamente male, e comunicarti delle sensazioni così profonde? (Ernest Hemingway)
  • Davanti a questa Europa trionfante che tiene nei suoi pugni i due terzi del globo, si alza un uomo, un russo, piccolo, magro, povero e malato che emette questo verdetto: ‘L'Europa è condannata a morte'. (Paul Morand)
  • Dostoevskij a me ha dato più di qualunque scienziato, più di Gauss. (Albert Einstein)
  • Dostoevskij chiamava le cose con il loro nome, è forse il solo che l'abbia fatto tra i moderni. E tuttavia ha anche detto, proprio lui: «Mir spastët krasota»: «la bellezza salverà la terra». E Solženicyn ha fondato su queste tre parole il suo meraviglioso discorso di Upsala. (Cristina Campo)
  • Dostoevskij è la sola persona che mi abbia insegnato un po' di psicologia. (Friedrich Nietzsche)
  • Dostoevskij non diceva di essere un romanziere cristiano. Tuttavia è fra coloro che hanno fatto compiere un incredibile passo avanti alla sensibilità, al pensiero e, aggiungerei anche, alla teologia cristiana. (Olivier Clément)
  • Dostoievskii credeva o voleva credere che la sua religione fosse ortodossia. E pure la sua vera religione, anche se non coscientemente, certo nelle sue più profonde esperienze incoscienti, non era affatto ortodossia, e neppure il cristianesimo storico, ma ciò che sarà dopo il cristianesimo, dopo il nuovo testamento, l'apocalissi, il terzo testamento, la rivelazione della terza persona, della trinità di Dio, la religione dello spirito santo. (Dmitrij Sergeevič Merežkovskij)
  • Dostojevskij non è solo un grande artista, un artista psicologo, e non in questo si deve ricercare la singolarità della sua opera, Dostojevskij è un grande pensatore. (Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev)
  • E nessuno ha mai detto che Dostoevskij era un modello di virtù; ma penso che si sia ampiamente guadagnato il paradiso scrivendo L'idiota. (Harlan Ellison)
  • Fëdor Dostoevskij visse in tante case e in tanti luoghi diversi – non si fermò mai per più di tre anni nello stesso posto – ed ebbe sempre l'ossessione di avere appartamenti ad angolo, con le finestre affacciate sulle due strade e vicino a una chiesa, in modo da poter ascoltare le campane, una musica che acquietava il suo spirito. (Mario Vargas Llosa)
  • In Dostojevschij c'è potente il sentimento nazionale-popolare, cioè la coscienza di una «missione degli intellettuali» verso il popolo, che magari è «oggettivamente» costituito di «umili» ma deve essere liberato da questa «umiltà», trasformato, rigenerato. (Antonio Gramsci)
  • In Dostoevskij c'erano cose da credere e cose da non credere, ma alcune così vere da cambiarti mentre le leggevi; fragilità e follia, cattiveria e santità e l'insania del gioco, ti balzavano agli occhi come il paesaggio e le strade in Turgenev, e il movimento delle truppe, il terreno e gli ufficiali e gli uomini e i combattimenti in Tolstoi. (Ernest Hemingway)
  • L'epilessia è una malattia comune, benigna, che colpisce persone come si deve, guarda Dostoevskij... (Daniel Pennac)
  • La classicità del Dostoevskij dimostra d'essere creazione non solo equilibrata, ma anche, e soprattutto, unitaria, quando si pensi che le sue qualità «filosofiche» e «psicologiche», che sono come i simboli d'un «contenuto» e d'una «forma» violentemente scissi e contrapposti, sfociano allo stesso modo nell'interesse per la personalità umana, nel proposito d'indagarla e di ricostruirla poeticamente. Tutta l'opera del Dostoevskij è pervasa di questa poesia della personalità umana, che assume atteggiamenti diversi, ma non eterogenei, i quali per metafora si possono qualificare come i tre momenti della tesi, dell'antitesi e della sintesi. (Leone Ginzburg)
  • La donna di Dostoevskij (altrettanto singolare di quella di Rembrandt), con il suo volto misterioso, di una bellezza piena d'incanto che si trasforma d'improvviso, come se lei avesse recitato la commedia della bontà, in un'insolenza terribile (sebbene, in fondo, essa piuttosto sembri buona) non è forse sempre la stessa sia che si tratti di Nastasja Filippovna, che scrive lettere d'amore ad Aglaja e le confessa di odiarla, oppure in una visita perfettamente identica a questa – nonché a quella durante la quale Nastas'ja Filippovna insulta i genitore di Ganja – di Gruscenka, prima così gentile con Caterina Ivanovna, la quale l'aveva creduta terribile, e che poi svela d'improvviso la sua cattiveria insultandola (pur essendo in fondo, buona)? (Marcel Proust)
  • Nelle opere del sig. Dostoevskij ritroviamo un tratto comune, presente in una certa misura in quasi tutte le sue opere: è la sofferenza di fronte all'uomo che non si riconosce abbastanza forte o, addirittura, non si ritiene a volte neanche in diritto di essere uomo, uomo vero, completo, indipendente. (Nikolaj Dobroljubov)
  • Non ha fornito né una teologia né una metafisica, ma oggi la teologia e la metafisica non possono fare a meno di lui. (Luigi Pareyson)
  • Poi accadde. Una sera, mentre la pioggia batteva sul tetto spiovente della cucina, un grande spirito scivolò per sempre nella mia vita. Reggevo il suo libro tra le mani e tremavo mentre mi parlava dell'uomo e del mondo, d'amore e di saggezza, di delitto e di castigo, e capii che non sarei mai più stato lo stesso. Il suo nome era Fëdor Michailovič Dostoevskij. Ne sapeva più lui di padri e figli di qualsiasi uomo al mondo, e così di fratelli e sorelle, di preti e mascalzoni, di colpa e di innocenza. Dostoevskij mi cambiò. L'idiota, I demoni, I fratelli Karamazov, Il giocatore. Mi rivoltò come un guanto. Capii che potevo respirare, potevo vedere orizzonti invisibili. (John Fante)
  • Quello che scrive Dostoevskij e che ripetono i monaci metropoliti mi ripugna. Essi pretendono che fare la guerra sia un dovere di legittima difesa. Ho sempre risposto: difendere gli altri con il proprio petto, sì; ma sparare col fucile sui nostri simili non è difesa, ma assassinio. (Lev Tolstoj)
  • Se mi venisse chiesto di indicare nell'arte moderna dei [...] modelli dell'arte superiore, religiosa, proveniente dall'amore di Dio e del prossimo, indicherei nella sfera della letteratura [...] Dostoevskij, soprattutto la sua Casa dei morti [...]. (Lev Tolstoj)
  • Tolstoj l'ha molto imitato. In Dostoevskij c'è, concentrato, ancora contratto e scontroso, molto di ciò che troverà sviluppo in Tolstoj. C'è in Dostoevskij quella tetraggine anticipata dei primitivi che i discepoli rischiareranno. (Marcel Proust)

Eva Kühn[modifica]

  • Il «debole» di Dostoievsky, e Dostoievsky il debole, sono appunto di quelli che, coscienti della loro debolezza e stanchezza, si rivolgono con umiltà all'Unica sorgente di forza, a Colui che ha detto: «La mia forza è potente nei deboli»: e questa forza trasfigura i deboli in eroi. Eroi sono la povera prostituta Sonia nel Delitto e Castigo, l'Alioscia nei Fratelli Karamasoff; il principe Mischkine, il povero idiota; il padre dell'Adolescente, questo umile contadino colla sua vita vivente; il piccolo Iliuscia che vendica l'onore del padre; e poi tanti, tanti altri, un esercito vittorioso di forti.
  • I suoi eroi favoriti hanno tutti la purezza, l'incoscienza dei bambini, quella incoscienza e quella sincerità che, secondo Carlyle, è la prima qualità di ogni «eroe» cioè di ogni genio; essi sono tutti single-minded, bella parola inglese che non ha un equivalente nella lingua italiana e che significa lo sforzo dell'anima di riunire tutte le forze verso una sola mèta.
  • Dostoievsky era il vero tipo del filosofo, se non diamo a questa parola un significato tecnico e pressoché esterno, ma intendiamo l'uomo col sentimento intenso e costante del mistero della vita. È nella posizione e nella formulazione dei problemi che prima di tutto si vede se un uomo è filosofo o no. [...] Nel Sogno di un uomo ridicolo vi è tutta l'intuizione della filosofia kantiana; le sue opere sono illustrazioni per la filosofia schopenhaueriana e nietzschiana. È appunto grazie a questa mente lucida, filosofica, che Dostoievsky non è diventato dogmatico, benché sia stato credente. Egli è morto col quesito sulle labbra. In lui poi il pensiero filosofico non era riflessione fredda, giacché s'innalzava fino a diventare un sentimento, il sentimento il più potente, che determinava tutto il resto.
  • Dostoievsky unisce in sé i due atteggiamenti del Cristo verso la vita: la più profonda tristezza per il male nel mondo e la più sublime gioia, perché non perdeva mai di vista lo sfondo dell'infinito, dell'«armonia universale», colla fede salda che essa sarà «l'ultimo accordo dell'universo».

Nicola Moscardelli[modifica]

  • Collerico, invidioso, orgoglioso: non è così che ce lo hanno dipinto la maggior parte dei suoi cari amici? Perfino dell'orgoglio aveva colui che non possedeva nulla fuorché il genio.
    Povero tutta la vita, non imparò mai a fare il povero.
  • Descrisse l'ateismo come nessun ateo mai aveva fatto, e rimase fedele a Dio.
    Enumerò fino all'ultimo i motivi per i quali l'uomo può togliersi la vita, e rimase fedele alla vita.
  • Dostoievski poteva capire Tolstoi: Tolstoi non poteva capire Dostoievski. Il cristiano può capire qualunque forma di vita e di pensiero: il pagano, anche se è un Tolstoi, non può capire che le forme di vita e di pensiero delle quali egli abbia già un germe entro di sé.
  • Se mi si chiedesse: qual è[38] lo scrittore nella letteratura universale, più diverso ed anzi opposto a Dostoievski, risponderei immediatamente: Tolstoi.

Note[modifica]

  1. a b c d e f g Da Lettere, traduzione di Olga Resnevic, Carabba Editore, 2011.
  2. Da Bobòk, in Racconti e romanzi brevi, vol. III, p. 595.
  3. a b Dai Diari.
  4. a b c d Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Citato in AA.VV., I giganti – Lev Tolstoj, Periodici Mondadori, 1970, pp. 127-128.
  6. Da una lettera ad Apollon Majkov del dicembre 1968, in Epistolario, vol II, Napoli, ESI, 1951, p. 169, citato in Renato Risaliti, Viaggiatori russi e dell'Est europeo; in Emanuele Kanceff, Attilio Brilli, Giorgio Cusatelli, Renato Risaliti, Silvia Meloni Trkulja, Mara Miniati e Maurizio Bossi, Firenze dei grandi viaggiatori, a cura di Franco Paloscia, Edizioni Abete, Roma, 1993, pp. 129 130. ISBN 88-7047-053-9
  7. Dal racconto Il sogno di un uomo ridicolo.
  8. Da una lettera a Apollinarija Suslova; citato in Corriere della Sera, 22 agosto 2003.
  9. Da Memorie del Sottosuolo, traduzione di Milli Martinelli, Rizzoli, 1995.
  10. Citato in Benedetto XVI, Incontro con gli Artisti nella Cappella Sistina, 21 novembre 2009.
  11. Citato in Francesco Cossiga, Pasquale Chessa, Italiani sono sempre gli altri: controstoria d'Italia da Cavour a Berlusconi, Mondadori, 2007.
  12. Da Discorso su Puškin.
  13. Dalla lettera a E. A. Štakenštejner, 15 giugno 1879; citato in Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, introduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, 1994.
  14. Dalla lettera a A. F. Blagongarov, 19 dicembre 1880; citato in Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, introduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, 1994.
  15. Citato in Corriere della Sera, 1° agosto 2001.
  16. Dal quaderno di appunti per i Karamàzov, 1880; citato in Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, introduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, 1994.
  17. Dalla lettera a N.D. Fonvizina, 1854, in Lettere sulla creatività, traduzione di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli, 1994, p. 51.
  18. Dal quaderno di appunti per il secondo libro dei Karamàzov; citato in Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, introduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, 1994.
  19. Da Bobòk, in Racconti e romanzi brevi, vol. III, p. 609.
  20. Citato in Francesco Agnoli, Perché non possiamo essere atei: Il fallimento dell'ideologia che ha rifiutato Dio, Piemme, 2009.
  21. a b c Fëdor Dostoevskij, Diario di uno scrittore, periodo maggio-giugno 1877, traduzione di E. Lo Gatto, Bompiani, 2007.
  22. Citato in Amendola, p. 41.
  23. a b c d e f g Fëdor Dostoevskij, La soluzione russa del problema (febbraio 1877), in Diario di uno scrittore, traduzione di Evelina Bocca e Gian Galeazzo Severi, Garzanti, Milano, 1943.
  24. a b Citato in Amendola, p. 22.
  25. Marzo 1876; citato in Pietro Citati, Cervantes alla guerra d'Inghilterra, Corriere.it, 15 agosto 2011.
  26. a b Citato in Amendola, p. 25.
  27. a b Citato in Amendola, p. 39.
  28. Citato in Amendola, p. 2.
  29. Citato in Amendola, pp. 24-25.
  30. Citato in Amendola, p. 31.
  31. Queste parole di Dostoevskij (scritte nel 1873) non fanno parte degli "inediti", ma sono citate in nota dal curatore.
  32. Con diversa traduzione in San Paolo 1999, p. 40.
  33. Con diversa traduzione in San Paolo 1999, p. 49.
  34. Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  35. Fëdor M. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, traduzione e note di Milli Martinelli, Rizzoli, 2011. ISBN 978-88-586-1876-9
  36. Da Memorie dal sottosuolo, traduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano, 2018. ISBN 9788852091223
  37. Fëdor Dostoevskij, Umiliati e offesi, traduzione di Serena Prina, Feltrinelli, Milano, 2018 (ebook). ISBN 9788858833018.
  38. Nel testo: "qual'è".

Bibliografia[modifica]

  • Lucio Dal Santo (a cura di), Dostoevskij inedito. Quaderni e taccuini 1860-1881, Vallecchi, Firenze, 1981.
  • Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, traduzione di Serena Prina, Mondadori, 1994. ISBN 978-88-04-61717-4
  • Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, traduzione di Alfredo Polledro, Einaudi, 199312.
  • Fëdor Dostoevskij, Diario di uno scrittore, traduzione di Evelina Bocca e Gian Galeazzo Severi, Garzanti, Milano, 1943.
  • Fëdor Dostoevskij, Diario di uno scrittore, traduzione di E. Lo Gatto, Bompiani, 2007.
  • Fëdor Dostoevskij, Il giocatore, traduzione e note di Gianlorenzo Pacini, Garzanti, Milano, 19776.
  • Fedor Dostoevskij, Il villaggio di Stepànčikovo e i suoi abitanti, traduzione di Miriam Capaldo, Editori Riuniti, 2010. ISBN 978-88-359-9012-3.
  • Fëdor Dostoevskij, L'adolescente, traduzione di Eva Amendola Kühn, prefazione di Angelo Maria Ripellino, Einaudi, Torino, 1957. ISBN 8806144545
  • Fëdor Dostoevskij, L'adolescente, traduzione di Maria Rita Leto e Anton Maria Raffo, introd. e note di M.R. Leto, Collana Oscar, Milano, Mondadori, 1987, ISBN 978-88-04-29810-6.
  • Fëdor Dostoevskij, L'eterno marito, traduzione di Alfredo Polledro, BMM, 1952.
  • Fëdor Dostoevskij, L'eterno marito, introduzione di Giovanna Spendel, traduzione di Giacinta De Dominicis Jorio, BUR, Milano, 20002. ISBN 8817173215
  • Fëdor Dostoevskij, L'eterno marito, traduzione di Serena Prina, Feltrinelli, Milano, 2019. ISBN 978-88-07-90323-6.
  • Fëdor Dostoevskij, L'eterno marito, traduzione di Clara Coïsson, Einaudi, Torino. ISBN 978-88-06-23184-2.
  • Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche, traduzione di ignoto, Gentile Editore, Milano, 1944.
  • Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche, traduzione di Giovanna Spendel, Edizioni San Paolo[nota 1], stampa 1999.
  • Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Mondadori, 1989.
  • Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, traduzione di Milli Martinelli, BUR, Milano, 1995. ISBN 88-17-86559-1
  • Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, traduzione di Alfredo Polledro, Einaudi, 2010. ISBN 9788806177096
  • Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, nota introduttiva di Leone Ginzburg, traduzione di Alfredo Polledro, Einaudi, Torino, 2002. ISBN 8806161776
  • Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, traduzione di Emanuela Guercetti, Garzanti, Milano, 2011. ISBN 9788811133353
  • Fëdor Dostoevskij, Memorie di una casa morta, traduzione di Alfredo Polledro, Rizzoli, 1950.
    • Fedor M. Dostoievski, Ricordi della casa dei morti , a cura della Duchessa d'Andria, UTET, Torino, 1935.
    • Fëdor Dostoevskij, Memorie di una casa di morti, traduzione di Maria Rosaria Fasanelli, Giunti, 1994.
  • Fëdor Dostoevskij, Note invernali su impressioni estive, traduzione di Serena Prina, Feltrinelli, Milano, 1993. ISBN 88-07-82060-9
  • Fëdor Dostoevskij, Racconti e romanzi brevi, vol. III, traduzione di Alfredo Polledro, Ettore Lo Gatto, Assia Nobiloni, Silvio Polledro, Sansoni, Firenze, 1951.
  • Eva Amendola, Il pensiero religioso e filosofico di F. Dostoievsky, Libreria ed. "Bilychnis", Roma, 1917.

Note alla bibliografia[modifica]

  1. Supplemento a Famiglia cristiana n. 27, 11 luglio 1999. Edizione speciale per Famiglia Cristiana. Pubblicato su licenza della Arnoldo Mondadori Editore.

Filmografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

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