Julien Green

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Julien Green

Julien Green, pseudonimo di Julian Hartridge Green (1900 – 1998), scrittore francese di origine statunitense.

Citazioni di Julien Green[modifica]

  • A Genova. Poco fa, come tornavo da S. Maria di Carignano, ho sentito la tristezza opprimente dell'Italia, tristezza incomprensibile poiché l'italiano è allegro. Perché queste stradette chiassose mi provocano una malinconia così singolare? Eppure io amo l'Italia, ma la mia patria vera è nel Nord. Niente mi alleggerisce di più il cuore quanto il vedere un filare di betulle sotto un cielo grigio...[1]
  • Elisabeth non fece nessun gesto: intuiva, da qualche istante, la grande invisibile presenza che invadeva la casa e le sue mani si fecero di ghiaccio. In quello stesso momento udirono un lungo grido e si spaventarono riconoscendovi la voce della disperazione che dappertutto, in qualsiasi occasione, risuona e saluta la morte.[2]
  • L'anima umana è come un abisso che attira Dio, e Dio vi si getta.[3][4]
  • La maggior consolazione degli oppressi è forse credersi superiori ai loro tiranni.[5]
  • La psicoanalisi mi sembra una forma moderna dell'ateismo.[6]
  • Non potendo fare di noi degli umili, Dio fa di noi degli umiliati.[7]
  • Sant'Agostino non delude mai... è sempre in anticipo sui tempi in cui si legge.[8]

Diario 1940 – 1943[modifica]

  • È sufficiente l'aver visto il crollo di una magnifica civiltà per non consentire a cercare la propria gioia nelle rovine, e non ci rimane più che portare la nostra attenzione all'interno di noi stessi e fare i primi passi verso quel regno interiore nel quale le armate totalitarie non potranno raggiungerci mai. (dalla nota di diario del 31 luglio 1940, p. 17)
  • È un capolavoro del demonio quello di poter gettare la morte nei cieli e di far sì che gli uomini si uccidano a un'altezza dove lo sguardo non può raggiungerli. In Geremia, leggiamo che la morte s'arrampicherà alle finestre, ma ecco che essa s'arrampica sopra le nubi; c'è un progresso. (dalla nota di diario del 14 agosto 1940, p. 23)
  • La ricompensa dei libri sta nel fatto d'esser letti. Niente di più triste che una biblioteca piena di libri le cui pagine non sono nemmeno sfogliate, le cui rilegature disseccate reclamano tristemente la carezza delle mani, in mancanza della quale si screpolano, si spellano e si distaccano dal volume disonorato che non ha potuto dir nulla di ciò che sapeva e muore nell'oblio. (dalla nota di diario del martedì 20 agosto 1940, p. 24)
  • La Bibbia contiene per ciascuno di noi un messaggio cifrato, La chiave è la fede a darcela. (4 settembre 1940)[4]
  • Nella parte alta del volto sta l'uomo spirituale; nella parte bassa l'uomo carnale. Non si deve permettere alla parte bassa del volto di prevalere sulla parte alta, occorre sempre conservare e nutrire in fondo a se stessi una piccola parte del grande sogno universale, quello d'una perfezione inaccessibile. (dalla nota di diario di martedì 1° ottobre 1940, p. 33)
  • Non vi furono mai se non due tipi d'umanità che io abbia capito davvero bene, il mistico e il dissoluto, perché tutti e due vanno agli estremi e cercano, l'uno e l'altro a suo modo, l'assoluto; ma dei due mi pare più misterioso il dissoluto, che non si stanca mai del piatto unico che gli viene eternamente servito dalla sua fame e del quale si ciba come se fosse sempre la prima volta. Dipende certamente da ciò se io sono stato sempre propenso a considerare un appetito smodato del piacere come una forma ammessa di demenza. (dalla nota di diario di giovedì 19 dicembre 1940, p. 45)
  • La facoltà di stupirsi costituisce il genio dell'infanzia così rapidamente smussato dall'abitudine e dall'educazione, e nessuno potrà mai riunire un certo numero di parole in un ordine accettabile se non sa vedere un poco la creazione con gli occhi di Adamo. In arte la verità sta nella sorpresa. (dalla nota di diario del 26 gennaio 1940, p. 52)
  • Quando si guarda una pietra come una montagna in piccolo, si comincia a vederla qual essa è. (dalla nota di diario del 26 gennaio 1941, p. 52)
  • Noi entriamo tutti nella notte oscura ove non ci sarà nemmeno possibile vegliare su quest'anima nei monasteri, ma andremo a Dio come vengono inghiottite le acque dal gorgo vorticoso del Maelström. Tutto è perduto, ma tutto è guadagnato. All'estremo punto della disperazione ricomincia la speranza che conduce sino alle stelle. (dalla nota di diario del 31 gennaio 1941, p. 53)
  • Amare la Francia, oggi, significa portare in sé una ferita che non si rimargina. Quello che le nazioni non sanno ancora, quello che esse sapranno, io spero, un giorno, è che nel nostro mondo la Francia è indispensabile. Non possiamo fare a meno di lei. Potremo, con l'aiuto del Cielo, fare a meno d'una certa Germania, ma i tesori spirituali della nostra civiltà sono conservati dalla Francia. (dalla nota di diario di giovedì 27 febbraio 1941, p. 60)
  • I libri, estrema risorsa dell'esilio. Un libro è una finestra dalla quale si evade. (dalla nota di diario del 23 maggio 1941, p. 80)
  • Viaggio in Virginia. Siamo partiti l'altr'ieri da Baltimora per raggiungere la valle dello Shenandoah. Paesaggio che ricorda irresistibilmente certi capitoli della Bibbia: pace, dolcezza delle colline boscose dove il sole al tramonto versa una luce pensosa; a piè dei monti, il fiume brilla come una grande lama deposta sull'erba delle praterie. [...] In questi orizzonti della Virginia, c'è una specie di maestà interiore che le parole non possono rendere. È lo scenario di Ruth o degli ultimi capitoli del Pentateuco. Si vorrebbe poter tacere sempre, come i Trappisti, quando si guarda a queste vallate profonde dove i raggi color di rame sembrano cercare un rifugio contro la notte. (dalla nota di diario del 12 giugno 1941, pp. 84-85)
  • Rileggere il proprio diario significa rovesciare la clessidra; la sabbia ridiscende, la sabbia è la stessa, la clessidra è la stessa, e tutto è diverso. (dalla nota di diario del 23 giugno 1941, p. 86)
  • Quanto c'è di più profondo nel nostro pensiero rimane pressoché incomunicabile. A volte l'amore indovina, ma è privilegio dell'amore e soltanto dell'amore. Ecco il mezzo di cui Dio si serve per attrarci a sé, poiché lui è il solo che ci comprenda in maniera assoluta. Parlare a un uomo significa gettare un ponte sopra un abisso, ma dall'altra parte dell'abisso c'è una strada che prolunghi la linea del ponte? Molto di rado. (dalla nota di diario del 25 giugno 1941, pp. 90-91)
  • Nel canto XI [del Purgatorio], la parafrasi del Pater è d'una bellezza che ha del prodigioso; il linguaggio umano si eleva d'un tratto a un'altezza che noi non raggiungiamo più; si direbbe che la grazia inebbrii tale linguaggio, ma d'un'ebbrezza divina che conserva tutta la sua lucidità. Manca a Dante il balbettamento del mistico che esce dall'estasi; questo uomo cammina nell'azzurro come su una strada. (dalla nota di diario del 27 giugno 1941, p. 92)
  • A Times Square, lo spettacolo dell'attività dell'uomo raggiunge una specie d'irrealtà violenta. Si finisce per domandarsi se la gente sappia per davvero quello che fa. Sembra inutile andare a destra piuttosto che a sinistra, a sinistra piuttosto che a destra. Il movimento rimestola quella moltitudine di teste e di corpi senza ragione apparente, senz'altra necessità che una specie d'istinto profondo che vuole questo rimescolio e questo vortice senza fine, nella stanchezza, nella grande stanchezza umana. (dalla nota di diario del 5 settembre 1941, p. 108)
  • Passata gran parte del pomeriggio alla Pratt Library. Mi piacciono queste grandi sale ove regna lo studio. Una biblioteca è il punto di confluenza di tutti i sogni dell'umanità. (dalla nota di diario del 19 settembre 1941, pp. 113-114)
  • Gli uomini del Rinascimento credevano di esumare soltanto delle statue greche o romane. Quello che essi esumavano, invece, era il corpo umano che il Medioevo aveva voluto sotterrare a forza di preghiere e di mortificazioni. Il Rinascimento ha dissotterrato il Vecchio Uomo. (dalla nota di diario del 21 novembre 1941, p. 134)
  • Saputo che Bergson, cui i tedeschi avevano offerto la nomina di «Ariano onorario», titolo buffonesco e sinistro inventato dalla Germania (che, nonostante tutto, ha bisogno di ebrei, di certi ebrei), ha rifiutato un onore tanto sospetto. Si alza dal letto, si avvolge in una coperta, esce in pantofole, appoggiato al braccio d'un domestico, e si reca così alla Prefettura, dove si fa segnare sul registro come ebreo. Si pensa alla Bibbia, leggendo tali fatti, al libro dei Maccabei (nota di diario del 19 aprile 1942, p. 160)
  • Il maggiore esploratore su questa terra non fa viaggi più lunghi di colui che scende in fondo al proprio cuore e si china sugli abissi dove il volto di Dio si specchia tra le stelle. (dalla nota di diario del 20 maggio 1942, p. 168)
  • Tutti i morti sono maggiori di noi. Un ragazzo di dieci anni che muore è maggiore di me, per il fatto che lui sa. (dalla nota di diario del 6 giugno 1942, p. 173)

L'Espatriato. Diario 1984-1990[modifica]

  • A Lubecca. Non finirei mai di enumerare i momenti incantevoli che ho passato in questa piccola città sorridente e intima che il Medioevo pone davanti ai nostri occhi come un preziosissimo dono di un tempo scomparso con la sua poesia intatta, con la sua grandezza, con la sua inclinazione per una vita felice che non si lascia guastare da nessuna atrocità moderna. Certo, so bene che c'è anche la città di oggi, con le sue architetture banali, con il suo senso pratico, ma è tranquillamente messa da parte, dall'altra parte dell'acqua. (dalla nota di diario del 1 ottobre 1984, p. 6)
  • In questo giardino berlinese che ne racchiude cinque o sei immensi, alpestre, tropicale, asiatico, eccetera, passeggiamo incantati dalla sovrabbondanza di piante e fiori variopinti. Gli Stati del Sud sono mirabilmente ricostruiti, montagne di fiori, alberi strani come il sorprendente liquidambar mal descritto da Chateaubriand con il suo fogliame che va dall'oro al rosso cupo e al viola; da solo, è tutta un Indian summer, tutte le tonalità immaginabili che si mescolano in un unico albero.
    La bellezza selvaggia e l'inesauribile disordine delle foreste del Sud, è come se ce ne fosse svelata una frangia. Ho sognato sotto questi alberi di una magnificenza aggressiva, sognato la foresta che assediava le graziose città della costa in Georgia, in Carolina: cherokee e seminole vi si sarebbero sentiti a casa propria. (dalla nota di diario del 29 ottobre 1984, p. 17)
  • Scrjabin. Ci sono cose che si vorrebbe quasi che non avesse detto, note che rendono infelici perché provocano la nostalgia crudele di una gioia che non si conoscerà da nessuna parte in questo mondo. Vengono dal paese lontano che è la nostra vera patria, il paese della gioia ritrovata per sempre. Le mazurkas, certe hanno questa virtù magica. Chi era quell'uomo? Chi era veramente? Le biografie rivelano sempre e soltanto quello che non è il segreto. La linea delle frasi melodiche, non è l'eleganza un po' sdegnosa di Chopin, è la divina negligenza dell'infanzia in Scrjabin, così dotto e di una semplicità piena delle complicazioni inattese dell'improvvisazione. Ma che dire che non sia al di sotto di questo meraviglioso mormorio fatto di luce. (dalla nota di diario del 20 gennaio 1985, pp. 40-41)
  • Ecco il momento, ecco i giorni in cui la primavera come un giovane forsennato urta con la spalla contro la muraglia del freddo. (dalla nota di diario del 3 marzo 1985, p. 46)
  • Troppo poche parole nella lingua. Il meglio rimarrà sempre al di là del vocabolario. L'intraducibile fa balbettare il linguaggio umano. La poesia non è altro che questo. (dalla nota di diario del 20 maggio 1985, p. 68)
  • Arrivando in place de la Concorde, mi sento pieno di ammirazione. Inondati di sole, mai i palazzi mi sono parsi di una simile magnificenza. Né Lisbona né nessun'altra piazza che ho visto in Italia, e neppure quella di Isfahan, può rivaleggiare con questa per la maestà delle proporzioni e sempre l'effetto di sorpresa che producono questi due palazzi a colonne, la terrazza delle Tuileries, le statue, le fontane... Da vecchio parigino qual sono – lo si dimentica – mi sono sentito fiero della mia città natale. (dalla nota di diario del 14 febbraio 1986, p. 121)
  • Ieri guardavo un fiammifero spegnersi. Il rosso che tremola per alcuni secondi, poi diviene nero, si raffredda, finisce in polvere. La gloria umana, il successo, gli onori... (dalla nota di diario del 28 giugno 1986, p. 142)
  • [I Primitivi fiamminghi al museo di Dahlem] La loro fede è sconvolgente per profondità, amore e verità, così diversa da quella degli italiani in cui il senso del bello prevale su ogni altra cosa. Dirk Bouts (Maria Maddalena), Van der Weyden, Memling dipingevano come credevano, con la familiarità che dà la fede a chi osserva. Si è persuasi che dev'essere così – e che dire di più? Il dolore terribile e pudico di San Giovanni, lo svenimento di Maria, non è una visione abbagliante, è la verità dell'anima, e anche la verità del momento. (dalla nota di diario dell'8 ottobre 1986, p. 157)
  • La guerra è il grande gioco sanguinoso dell'umanità che non riesce a uscire dalla sua preistoria. (dalla nota di diario del 7 ottobre 1986, p. 157)
  • [Il Fauno Barberini] È a malapena una statua, piuttosto un uomo: era stato improvvisamente trasformato in marmo dai malefici di qualche Armida, e il marmo è ridiventato carne. Addormentata, ma viva. Il largo collo, le gote, la bocca, tutto risplende e sulle membra la luce s'insinua con efficacia. È l'abbandono fisico dopo le delizie, è anche la terribile malinconia della solitudine carnale. (dalla nota di diario del 30 dicembre 1986, p. 174)
  • Il nostro secolo è un vecchio che ha avuto numerosi attacchi e che non ne può più. Parla indistintamente una lingua. Davanti all'insuccesso della vita, non pensa più che a uccidere. La sua selvaggina prediletta è l'individuo, l'uomo libero che gli dice di no. (dalla nota di diario del 6 gennaio 1987, p. 175)
  • Il Poema dell'estasi di Scriabin, musica squillante, ispirata, come un frammento staccato dalla misteriosa musica delle sfere, che soltanto alcuni hanno percepito. (dalla nota di diario del 12 gennaio 1987, p. 176)
  • Ciascun uomo ricomincia la storia del mondo, ciascun uomo la finisce, ciascun uomo unico, chiunque sia, unico agli occhi di Dio. (dalla nota di diario del 15 marzo 1987, p. 188)
  • Mi riferiscono questo: alla TV, l'altro giorno, una trasmissione in cui comparivano una prostituta e due scrittori. La donna molto simpatica perché senza ipocrisia dichiara: «È chiaro, io batto il marciapiede e vivo del mio fascino. Voi scrittori, adulterate un fascino dubbio e battete ugualmente il marciapiede». Brava! (dalla nota di diario del 4 aprile 1987, p. 194)
  • Un uomo molto erudito le cui opere fanno testo mi scrive: «Verrò a trovarla alla fine del me.» Mirabile lapsus. No, signore, lei non verrà a trovarmi alla fine del me, il viaggio sarebbe troppo lungo e rischierebbe anche di non finire mai. (nota di diario del 22 agosto 1987, p. 215)
  • Lettura del Vangelo: a ogni pagina giudicato, condannato, assolto. (dalla nota di diario del 20 marzo 1988, p. 242)
  • Ogni vero libro esce dal silenzio – interiore, esteriore, assoluto. Se non c'è questo silenzio originario, non può uscire che rumore, rumore di frasi vuote, nulla. È quello che vediamo ai nostri giorni. (nota di diario del 5 luglio 1988, p. 256)
  • Vasta esplosione cosmica sotto il titolo di Misterium. Ce ne rimane solo l'inizio che è di una bellezza difficile da descrivere, ci si trova dentro inimmaginabili spazi dove si spostano sfere luminose in un immenso fragore di mondi in fusione. È la creazione in movimento. I titoli dei diversi pezzi che si congiungono e che non ha potuto finire: Passion d'un instant, Naissance de toutes les éternités, Espace illluminé. Suoni, rumori squillanti che avvolgono il silenzio. L'enormità del soggetto richiede una musica fuori da questo mondo, vertiginosa. (nota di diario del 2 novembre 1988, p. 271)
  • Nell'Histoire de France di Michelet, M.me de Sabran, amica del Reggente, gli dice: «Monsignore, quando Dio ebbe creato l'uomo, prese quello che restava del fango e ne fece i principi e i lacchè». Lei stessa era contessa. (dalla nota di diario del 26 dicembre 1988, p. 280)
  • La vita è un grande romanziere divenuto folle. Le sue opere complete: i delitti, le passioni, i sogni. (nota di diario del 27 dicembre 1988, p. 280)
  • [...] il sorriso della canaglia ha il potere della seduzione. Nel mondo della finanza e delle lettere, ci sono dei mascalzoni che hanno un sorriso incollato al volto (al muso, diceva Nietzsche). Può sempre servire. La gallina scambia il sorriso della volpe per una cortesia. (dalla nota di diario dell'8 febbraio 1989, p. 288)
  • [I Giardini di Versailles] Impressione forte e improvvisa, ma profonda. C'era attorno a me una poesia indicibile, legata a ricordi di Storia. Qui lo sgradevole, l'ingombrante Re Sole sembrava lontano, nel suo interminabile castello. Il parco di Versailles è abitato dagli spiriti. In quanti vi passeggiano... Il visitatore dell'89 diventa da solo la memoria di tutta una società defunta, dispersa. Essa lo circonda, creando un piacevole disagio. È solo e attorniato da una folla. (dalla nota di diario del 12 marzo 1989, p. 300)
  • Nel tepore della notte, sedersi sotto un tiglio vecchio di due secoli e mezzo è uno dei piaceri che ci offre Friburgo. La piazza è deserta, il luogo tranquillo e pieno di ricordi, i ricordi di tutti coloro che amano il silenzio e la compagnia degli alberi. Immenso è il nostro tiglio. È soltanto sua la poesia tedesca. Tutta la notte sembra rifugiarvisi e bagnarsi con lui nel cielo verde. (nota di diario del 1 maggio 1989, p. 312)
  • [Silvana Mangano] Era spuntata improvvisamente da una risaia del cinema italiano già così ricco di bellezze di ogni genere, e la sua presenza faceva parte dei momenti di sogno in cui la sessualità non è la sola a parlare. Ma lei non voleva questa gloria artificiale e soltanto a malincuore ritornava sullo schermo. Ogni volta, tuttavia, era indimenticabile come in Morte a Venezia. Muore a cinquantanove anni per un intervento ai polmoni, il che sembra ridicolo quando ci si ricorda della sua apparizione con una tee-shirt nera in Riso amaro. Per una volta la bellezza e l'intelligenza si mostravano insieme. (dalla nota di diario del 18 dicembre 1989, p. 363)

Partire prima di giorno[modifica]

Incipit[modifica]

Quello che capita...
Scrivere quello che capita è forse il modo migliore per affrontare gli argomenti che contano, per andare a fondo per la via più breve. Si dirà solamente ciò che passa per la testa, abbandonandosi al ricordo. La memoria ci consegna tutto in disordine, in qualunque momento del giorno. Imiteremo questo disordine. Non ci sarà itinerario preciso nell'esplorazione del nostro passato, ed è così che vedo le cose oggi, 20 novembre 1959.

Citazioni[modifica]

  • Il paradiso terrestre, nello strano piccolo universo che mi ero fatto, era il tempo in cui il desiderio non regnava. La carne era l'anarchia, era l'orrore che oscurava i volti. Oggi ancora, come odio quella forza inesorabile che assoggetta gli uomini ai suoi onnipotenti capricci! (p. 79)
  • La vita dei bambini, così come se la ricordano, è piena di punti interrogativi. Non gli si spiega tutto o la spiegazione, rimandata a più tardi, non arriva mai. (p. 97)

Incipit di alcune opere[modifica]

Adriana Mesurat[modifica]

In piedi, le mani dietro la schiena, Adriana guardava il "cimitero". In casa Mesurat così chiamavano un gruppo di dodici ritratti appesi in sala da pranzo sopra una credenza, uno presso l'altro, in modo da coprire tutta una parete. Si contavano sette Mesurat, tre Serre e due Lécuyer, membri di famiglie imparentate ai Mesurat, tutti morti.
Fatta eccezione per un dipinto del quale riparleremo, erano di quelle fotografie come se ne faceva venticinque anni fa, aride e fedeli, nelle quali il volto appariva su un fondo bianco senza che un'ombra indulgente ne addolcisse i difetti; la verità sola parlava il suo duro linguaggio.

Essere un altro[modifica]

Il portone si chiuse alle spalle di Fabien con un fracasso sordo che riempì il silenzio notturno come un colpo di tuono.[9]

Bibliografia[modifica]

  • Julien Green, Adriana Mesurat (Adrienne Mésurat), traduzione di Arturo Tofanelli, CDE, Milano, 1972.
  • Julien Green, Diario 1940-1943, traduzione di Libero de Libero, Arnoldo Mondadori Editore, 19491.
  • Julien Green, L'Espatriato. Diario 1984-1990, introduzione di Giancarlo Vigorelli, traduzione di Lucia Corradini, Mursia, Milano, 1992. ISBN 88-425-1240-0
  • Julien Green, Partire prima di giorno (Partir avant le jour), traduzione di Marina Valente, Rizzoli, 1966.

Note[modifica]

  1. 8 aprile 1935; da Diario 1935-1939, traduzione di Libero De Libero, Arnoldo Mondadori Editore, 1946, p. 14
  2. Da Mezzanotte, traduzione di Enrico Emanuelli, Longanesi, 2009, parte seconda, III, finale.
  3. Da Diario, 26 marzo 1961.
  4. a b Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Da Adrienne Mesurat; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  6. Da Autobiografia; citato in Piero Viotto, Grandi amicizie: i Maritain e i loro contemporanei, Città Nuova, Roma, 2008, p. 30.
  7. Da Diario; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  8. Citato in Corriere della Sera, 28 gennaio 2010.
  9. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]