Sándor Márai

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
(Reindirizzamento da La recita di Bolzano)
Sándor Márai

Sándor Márai (1900 – 1989), nato Sándor Károly Henrik Grosschmid de Mára, scrittore e giornalista ungherese.

Citazioni di Sándor Márai[modifica]

  • L'addio a Napoli, a Posillipo fu più doloroso di qualsiasi addio ad una persona, o a qualcosa nella mia vita. [...] Questi tre anni e mezzo in Italia, a Posillipo, erano il dono più grande nella mia vita. Ho amato tutto qui, e sapevo che a modo loro anche loro, gli italiani meridionali, mi hanno accettato. Molti hanno pianto, nella cittadina e nel palazzo i venditori di vino, di carbone come anche il pescivendolo mi stringevano la mano. Gli ultimi giorni ho capito perchè è così difficile andare via da qua [...]. Il paesaggio, la gente, l'Italia rimangono al posto loro, questo è vero. Ma questi tre anni e mezzo erano un cerchio di esperienze per me, che ora ho interrotto con un movimento violento. [...] Come quando qualcuno è sentimentalmente legato ad un altro – ad una donna, e poi la lascia per qualche anno... Non vi si può "ritornare" in un'esperienza. La donna rimane a posto suo, ma non è più la stessa donna.[1]
  • La vita è un dovere che siamo tenuti ad adempiere, certo un dovere gravoso e complesso, per il quale a volte è necessario sopportare dei sacrifici. (da Divorzio a Buda)
  • Per i vicoli di Napoli, ogni pomeriggio. Nei dintorni di San Biagio dei Librai. Abitano tutti qui: Benedetto Croce, il vescovo, i principi, in mezzo al lerciume, in palazzi pericolanti. Ed è qui che abita il popolo napoletano. Uomini di ogni classe, di ogni condizione mangiano e bevono le stesse cose, la pensano alla stessa maniera, sognano allo stesso modo. Sono tutti uomini mediterranei. Non tanto italiani, quanto piuttosto mediterranei. È questo il loro stato sociale.[2]
  • Posillipo è come se fosse la Collina delle Rose a Budapest, ma anche come il villaggio di Leányfalu sul Danubio. Tutto qui è «come se fosse»... Anche Napoli è come Budapest: non c'è l'Isola Margherita ma c'è Capri, non ci sono i Bagni Lukács ma c'è il Mar Tirreno, non c'è il Danubio, ma qui davanti alle mie finestre si spalanca il Golfo di Napoli, non ci sono le Colline di Buda, ma c'è il Vesuvio, non c'è la Váci utca, ma c'è via Chiaia con i suoi negozi eleganti, dove sciama e s'affretta la folla variopinta e orientaleggiante di Napoli, che assomiglia misteriosamente a quella di Budapest.[3]

Confessioni di un borghese[modifica]

Incipit[modifica]

Le case a tre piani, in città, non erano più di una dozzina: quella in cui abitavamo noi, le due caserme dell'esercito e qualche edificio pubblico. Più tardi, per ospitare il Comando del corpo d'armata, fu costruito un altro palazzo di tre piani dotato anche di ascensore elettrico. Ma la nostra casa sul Corso aveva un aspetto davvero metropolitano: era un autentico palazzo, con un'ampia facciata, un vasto androne e una larga scalinata perennemente esposta alle correnti d'aria, dove i venditori ambulanti, con i loro mantelli di bigello e i berretti in pelle di montone, si accampavano seduti sugli scalini per mattinate intere sbocconcellando lardo, fumando la pipa e sputacchiando in giro.

Citazioni[modifica]

  • La «personalità», quel poco di nuovo che l'uomo aggiunge a se stesso, è trascurabile in confronto all'eredità che i morti ci hanno trasmesso. (Parte 1, cap. 1)
  • Un osservatore esterno avrebbe avuto non poche difficoltà a comprendere lo stato d'animo che regnava in quella famiglia, i cui membri erano animati dall'impellente, irreprimibile bisogno di esprimersi; la sublime ossessione della vocazione artistica si era impossessata delle loro menti e del loro sistema nervoso, sicché il pennello, la penna e l'archetto non erano altro che i mezzi, tutti ugualmente idonei, per esternare e celebrare l'armonia di ordine superiore cui si erano votati: «l'arte». (Parte 1, cap. 2)
  • Quale avventura limpida e irripetibile è la prima amicizia tra ragazzi! Nessun altro rapporto potrà mai eguagliare quel legame. Nessuno mi diede più, in seguito, ciò che ricevetti da questa amicizia infantile; del resto non incontrai mai più un vero amico. (Parte 1, cap. 4)
  • L'uomo vive nelle tenebre. Finché un bel giorno la nebbia si dissolve, ma a quel punto la luce non gli serve più a molto. Parte 1, cap. 4)
  • La prima cosa che dovetti imparare fu che gli uomini, senza un motivo particolare, anzi, senza nessuno scopo, infieriscono gli uni sugli altri ogni volta che possono, e che ciò deriva dalla loro natura, e quindi è inutile dolersene. (Parte 1, cap. 4)
  • Insomma, una cosa era certa: la cultura dell'Occidente la conoscevamo a menadito, e dunque potevamo metterci tranquillamente in viaggio per Parigi, sicuri che non avremmo fatto sfigurare né il nostro Paese né la nostra classe sociale né i nostri maestri. (Parte 2, cap. 1)
  • Mi sarà capitato non più di un paio di volte di incontrare un essere la cui familiarità – una complessa e dolorosa familiarità, che risale a un appuntamento mancato in qualche epoca remota – mi ha costretto a fermarmi di colpo e a mettere le carte in tavola. Talvolta incontriamo persone [...] che non possiamo eludere: una parentela ci unisce, e c'è qualcosa di cui dobbiamo discutere, qui, ora, a quattr'occhi! (Parte 2, cap. 1)
  • Occorre molto tempo per imparare che in realtà non si ha un bel niente da fare. E quasi sempre è proprio allora che si comincia finalmente a fare qualcosa. (Parte 2, cap. 1)
  • La solitudine è l'elemento vitale dello scrittore. (Parte 2, cap. 1)
  • Non sapevo ancora di essere malato, così come non conoscevo le capacità di resistenza del mio animo infermo. Ad ogni modo ebbi la sensazione che il mio soggiorno a Francoforte stesse volgendo al termine: dalla città e dalle persone avevo ottenuto tutto quello che si poteva ottenere, e dunque era giunta l'ora di andarmene, se possibile di notte e con la nebbia. Vivevo tormentato dai rimorsi e da una continua sensazione di pericolo. Non mi sentivo solidale con il mio ambiente, né con una particolare classe sociale o sfera di interessi: con nulla e con nessuno. Nella mia camera d'albergo, in compagnia del cactus e del feticcio africano, tutte le sere andavo a letto con il presentimento che l'indomani all'alba mi avrebbero arrestato. (Parte 2, cap. 1)
  • Nella vita esistono periodi in cui il soffio di Eros alita su di noi, e noi ci aggiriamo in mezzo agli altri come esseri eletti che niente e nessuno può ferire o insozzare. (Parte 2, cap. 2)
  • Dopo essersi dotato, a Weimar, di una nuova costituzione e di nuove libertà, il popolo tedesco non riusciva ancora ad abituarvisi. Ebert, la bestia da soma, dominava questo caos con ammirevole saggezza su delega del suo partito. Per il momento il potere si trovava nelle mani della socialdemocrazia tedesca, che non era in grado di avvalersene e men che meno di abusarne. (Parte 2, cap. 2)
  • Per prevenire la catastrofe la classe operaia intraprese complesse rivendicazioni salariali, mentre il ceto medio, paralizzato dal terrore, assisteva inerme al crollo dei feticci piccolo borghesi e all'uragano di carta moneta che stava mandando per aria il suo rifugio fatto di pensioni, redditi sicuri, risparmi e vitalizi. Un bel giorno ci accorgemmo che a Berlino tutto era in vendita o in affitto. (Parte 2, cap. 2)
  • Sentirsi spinti a conoscere qualcuno fino a penetrare tutti i suoi segreti, con tutte le conseguenze che ne deriveranno: ecco quello che si è soliti chiamare, con un termine fiacco e generico, amore. La conoscenza, quando è totale, non è mai un idillio.
  • Lo scrittore deve avere una vita fittizia, [...] deve imitare la vita, deve osservarla con estrema attenzione, ma se possibile senza parteciparvi. (Parte 2, cap. 2)
  • I padroni di casa erano «ariani» che professavano con orgoglio le loro idee reazionarie – ancorché a quell'epoca ignorassero ancora di essere «ariani». Ad ogni modo odiavano gli ebrei – ma per ebrei intendevano in certo qual modo anche i francesi, gli inglesi, e più in generale chiunque non fosse tedesco. (Parte 2, cap. 2)
  • Ad ogni buon conto Lola si dedicava al «risparmio». Metteva da parte, raccogliendoli in vecchie scatole di sigari, marchi che il giorno dopo avevano perso i nove decimi del loro valore nominale. Nello stesso periodo in cui la media borghesia e la classe operaia tedesca – circa sessanta milioni di persone – persero da un giorno all'altro tutti i propri averi, lei valutava imperturbabilmente se ci convenisse di più prendere il tram o la metropolitana, e calcolava quale fosse il mezzo di trasporto più economico. Da parte mia, cercavo invano di farle capire che la sua cautela, in mezzo a un disastro di proporzioni così smisurate, non era sufficiente a cambiare la nostra situazione – Lola era capace di mercanteggiare sui miliardi per risparmiare qualche centinaio di milioni. (Parte 2, cap. 2)
  • Una mattina aprii la finestra e rimasi sbalordito. Mi vidi circondato da un mare di bellezza, una bellezza naturale, dolce e silenziosa come non avevo mai visto né sognato, che mi commosse fino alle lacrime e mi fece letteralmente tremare. Fu come se di colpo avessi imparato una lingua nuova e finora sconosciuta. D'un tratto capivo Firenze: le sue colline, il fiume, i ponti sull'acqua, i palazzi e le chiese, i quadri e le statue, tutto acquistava un senso, come se avessi trovato la parola magica che mi permetteva di valicare il confine di una nuova patria, dove ogni cosa mi era familiare da tempo immemorabile, e dove adesso tutto mi accoglieva a braccia aperte e mi parlava. Fu in questo patetico stato di esaltazione che mi accinsi a vivere in quella città. Mai più ricevetti dalla vita un dono così schietto come quella primavera fiorentina. (Parte 2, cap. 3)
  • In quegli anni il singolare «destino di Montparnasse» mieteva molte vittime illustri: uomini di talento e pieni di progetti provenienti dal Cile, da New York o da Rotterdam approdavano un bel giorno in questo porto esotico, andavano a sedersi a un tavolino del celebre caffè Dôme, ingenui e curiosi, e poi rimanevano seduti lì, in attesa, per una decina di anni. Discutevano, bevevano fines à l'eau, e a poco a poco dimenticavano le loro promesse, la loro famiglia e il loro passato, la loro patria e i loro progetti; a Montparnasse «erano conosciuti», ma per il loro Paese e per il mondo erano silenziosamente e irrevocabilmente morti. (Parte 2, cap. 3)
  • La provincia [della Francia] era dolce, saggia e opulenta. Erano stati questi villaggi e queste città a inviare i loro delegati alla Convenzione francese, un secolo e mezzo prima, per offrire in dono al genere umano il catechismo dei diritti umani, ovvero la civiltà. (Parte 2, cap. 3)
  • Esisteva una sola patria, ed era il territorio entro i cui confini si parla l'ungherese. L'unica patria di uno scrittore è la lingua materna. (Parte 2, cap. 3) Márai
  • Arriva il giorno in cui è l'anima a mettersi in viaggio, e allora il mondo si trasforma in un elemento di disturbo. Senza un progetto ben preciso, impreparati, senza averne l'intenzione, partiamo per una spedizione in confronto alla quale un viaggio in India ci sembrerà una banale gita domenicale. (Parte 2, cap. 4)
  • Arriviamo a comprendere fino in fondo gli esseri umani ai quali siamo uniti da un vincolo indissolubile soltanto nell'attimo della loro morte. (Parte 2, cap. 4)

Explicit[modifica]

Questa è l'epoca in cui devo vivere e lavorare come meglio posso. Il che mi costa una grande fatica. Talvolta mi accorgo, sbalordito, che in fondo all'animo e nei gusti mi sento più vicino a un sessantenne che a un giovane di venticinque anni. E non accade soltanto a me, ma a tutti noi che siamo nati nell'ultimo momento glorioso della nostra classe sociale. Chi scrive oggi sembra voler testimoniare dinanzi alla posterità che il secolo in cui venimmo al mondo proclamò un tempo il trionfo della ragione. E fintantoché mi sarà concesso di scrivere, sono deciso ad attestare che ci furono un'epoca e alcune generazioni che proclamarono il trionfo della ragione sull'istinto, e credettero nella facoltà di resistenza dello spirito, capace di domare il desiderio di morte del gregge. Come programma esistenziale sarà anche modesto, ma non so che cos'altro potrei fare. Tutto ciò che so è che intendo rimanere fedele – sia pure a modo mio, con la mia infedeltà e il mio cinismo – alla lezione che ho imparato. È vero, ho visto e udito l'Europa, sono stato partecipe di una cultura... che cosa potrei desiderare di più dalla vita? E adesso è arrivato il momento di mettere l'ultimo punto fermo; come un messaggero sopravvissuto a una battaglia perduta, che ha raccontato per filo e per segno tutta la sua storia, ora desidero soltanto ricordare e tacere.

I ribelli[modifica]

Incipit[modifica]

Abel, il figlio del medico, era steso sul letto con le membra rigide e contratte. Aveva il corpo madido di sudore e si sentiva la febbre addosso. Fissava il riquadro della finestra, dove le sagome spigolose della strada – un albero, il tetto di un edificio, tre finestre – sfumavano lentamente nella penombra. Dal comignolo della casa di fronte un sottile filo di fumo saliva dritto verso l'alto. A quell'ora, nella stanza dal basso soffitto a volte, l'oscurità del tramonto era più densa di quanto non lo fosse all'aria aperta. Dalla finestra spalancata entrava a ondate il caldo afoso dell'estate incipiente, e i lamponi a gas emanavano una luce verdognola tra i vapori del crepuscolo. Nelle serate primaverili cala talvolta una di queste nebbie invisibili che tinge di verde le luci della strada. La domestica stirava in cucina e cantava. Sul vetro inclinato della finestra balenava un cerchio di fuoco e si udiva crepitare la brace nel ferro da stiro, come quando si strofina al buio uno zolfanello contro un pezzo di legno: era la ragazza che sollecitava la scatola di ferro arroventata e la scuoteva per rimescolare la carbonella. Abel giaceva rigido, con lo sguardo vacuo, in preda alla nausea.

Citazioni[modifica]

  • Non erano più bambini da parecchio tempo, e in quella stanza scoprirono di avere il coraggio di far qualcosa di cui in città si vergognavano persino gli uni di fronte agli altri: continuare a giocare, con pudore, a essere bambini, intimamente bambini come non avevano mai potuto esserlo fino in fondo. Da lì, soltanto da lì si riusciva a mettere a fuoco il mondo degli adulti e a scambiare con gli altri le proprie esperienze. Il monco giocava appassionatamente. Il suo riso nervoso e spasmodico lì si placava. E la tana della locanda Furcsa fu l'unico luogo in cui, talvolta, videro Erno ridere.

Explicit[modifica]

Attraversò il cortile indisturbato. Lo seguiva Tibor con la sella sulle spalle. Bèla reggeva il mappamondo tra le mani. In fondo a tutti arrancava Abel, con la lanterna del calzolaio e il bastone da pastore, alto il doppio di lui. Il calzolaio teneva senza sforzo il corpo disteso sulle braccia; procedeva con passo zoppicante, rapido e deciso, tanto che gli altri facevano fatica a stargli dietro. Il pianto isterico di Bèla si trasformò in singhiozzi. Ai limiti del giardino la strada faceva una curva, e dal quel punto si vedevano ancora le finestre illuminate della sala della locanda. Risate e canti filtravano attraverso il silenzio gelido. Abel riconobbe la voce di Kikinday. La strada era rapida, e Abel corse al fianco del calzolaio per fargli luce con la lanterna. L'alba andava rischiarando il cielo. Giù nella valle si distinguevano già i contorni della città, con le sue torri e i tetti delle case. Si fermarono per un momento al tornante della discesa. Il calzolaio parlava fra sé sottovoce. Lo ascoltarono battendo i denti. Teneva la testa inclinata verso il viso del figlio, la sua zazzera come fil di ferro era tutta arruffata. Parlava a voce così bassa che non si capiva cosa stesse dicendo. Poi riprese il cammino e si diresse spedito verso la valle. A ogni passo la città si delineava sempre più netta, come in un disegno, mentre loro sprofondavano, come inghiottiti da un trabocchetto, sotto la linea dell'orizzonte. Avevano già imboccato una via, e le scarpe del calzolaio percuotevano il selciaio con ritmo irregolare. Lungo le strade non udirono altro che il calpestio dei tacchi del calzolaio e i singhiozzi cadenzati di Bèla.

Il gabbiano[modifica]

Incipit[modifica]

Riavvitò con estrema cura il cappuccio di ebanite della stilografica – un gesto lento e cauto da chirurgo che impugna il suo affilato strumento o da chimico che soppesa un'ampolla in cui sono racchiuse vita e morte: medicamento o veleno capace di sterminare interi villaggi. Da qualche tempo ogni sua azione era palesamente guardinga.

Citazioni[modifica]

  • Si è sempre in cammino verso la persona alla quale un giorno si darà un bacio. (p. 94)
  • «E tu» domanda con garbo l'uomo «cerchi il tuo posto nel mondo perché la tua casa natale è crollata in seguito a un sisma scatenato dalle armi dell'uomo? Che cosa speri, Unica Onda? Dov'è la tua riva?...». (p. 100)

Il sangue di San Gennaro[modifica]

Incipit[modifica]

All'inizio della primavera misero in giro la voce che a Posillipo, in una casa con giardino, viveva un uomo che aveva deciso di redimere il mondo. La prima a parlarne era stata Anastasia, la figlia del giardiniere, che ogni pomeriggio viene a vendere il latte appena munto. Mentre lo travasava nella brocca di latta, aveva detto con voce sorda, indifferente: «Sono stranieri. E sono arrivati prima di Natale». Poi si era messa a cantare scomparendo di corsa per le scale buie. Quando porta il latte la sera tardi – il giardiniere, qui a Posillipo, tiene le sue mucche sempre chiuse nella stalla, non le fa mai pascolare, per questo capita che verso la fine dell'inverno gli animali, abituati al buio e privati della fresca verzura, abbiano latte da mungere solo verso sera –, Anastasia canta sempre per le scale, per vincere la paura. La notizia che a Posillipo, in una casa con giardino, si era trasferito un uomo che voleva redimere il mondo, non fece troppo clamore in cima alla collina.

Citazioni[modifica]

  • Nel mondo hanno fama di essere pigri. Ma non è vero. Dall'alba alla mezzanotte sono sempre in giro a cercare lavoro. Non hanno tempo per lavorare, perché cercano lavoro. Certo, il lavoro lo disprezzano. Non lo ritengono un obiettivo esistenziale, né una soluzione. Si limitano a eseguirlo, quando ne trovano uno, con grande perizia e sensibilità manuale. Le diverse possibilità dell'uomo – l'azione, la creazione, il lavoro – li interessano solo da un punto di vista teorico. Non sono abbastanza crudeli per agire. E sono troppo stanchi per creare, perché hanno sprecato tutte le loro energie nel Rinascimento. (cap. 7)
  • Da queste parti [Napoli] si litiga in maniera diversa che a Roma, dove si è circondati da preti e monasteri. Qui si litiga con l'impeto del vento, del mare, del cielo e delle montagne che sputano fuoco. L'oggetto del contendere poco importa. Chi litiga da queste parti, non vuole convincere, ma esprimersi. (cap. 8)
  • Chi scrive con la stilografica, scrive in fretta. Il pensiero che viene in mente al poeta ha bisogno di un certo periodo di maturazione, prima di venir messo nero su bianco. Questo periodo di maturazione si compie mentre il poeta intinge la penna nel calamaio, poi dal pennino lascia cadere, sulla carta assorbente, le gocce d'inchiostro superflue, e fissa sul foglio il pensiero già maturato. (cap. 10)
  • Un giorno Togliatti tenne un comizio a Castellammare e in molti andarono a sentirlo. Il comunista parlava all'aperto, vicino alla riva del mare, alle pendici del monte Faito. Era robusto e portava gli occhiali. Mentre teneva il suo discorso nella piazza si riunirono alcune migliaia di persone. Ascoltavano in silenzio, sotto il sole. Togliatti parlava di come le cose andassero malissimo in Italia, ma un bel giorno lui e i comunisti avrebbero preso il potere e tutto sarebbe cambiato, tutto sarebbe andato meglio, molto meglio. Sopraggiunse un gruppo di poliziotti, su delle jeep rosse. Si fermarono all'angolo della strada, e attesero immobili. Nessuno approvava. Nessuno protestava. (cap. 12)
  • Gli italiani non ce l'avevano più con gli americani. La questione delle responsabilità, la guerra, Mussolini, le colonie, l'emigrazione – era tutto molto lontano, ormai. Alla fine, nella storia di ogni grande popolo, c'era sempre stata qualche guerra e quando un popolo ne perdeva una, doveva assumersene la responsabilità. Altri popoli più giovani non riuscivano a capirlo, per questo si agitavano e parlavano di vendetta, di giustizia. Gli italiani tacevano, vigili. Sembravano sempre un po' imbarazzati e rigidi, gli americani, silenziosi e cupi in maniera infantile, anche quando si concedevano un riso liberatorio – la laconicità e il disagio che manifestavano li rendevano diversi da tutti gli altri stranieri che, dal tempo in cui i coloni greci erano giunti sulle rive di Cuma, si erano stabiliti qui. (cap. 21)
  • [Gli americani] «Non saranno mai comunisti» disse il frate con pacatezza. «Neanche voi comunisti, ormai, siete più veri comunisti... Non lo siete mai stati, e non lo sarete mai. Il comunismo ormai è solo un pericolo, non una soluzione. Ha fatto il suo tempo». (cap. 21)
  • [Un agente al vicequestore di Napoli] Tutti quelli che arrivano dall'altra parte della cortina di ferro tengono moltissimo agli accenti. A Bagnoli, negli uffici dove rilasciano i documenti, chiedono ad alta voce la restituzione dei loro accenti. Si vede che in quei paesi gli accenti sono importanti. Nei documenti si leggono nomi con segni e accenti di ogni genere, sulle vocali e anche sulle consonanti. Forse sono dei segni che sembrano accenti, e sono diversi per gli ungheresi, per i romeni, per i cechi e per i polacchi. E come ci tengono! A Bagnoli ho visto un avvocato ceco che dopo aver ricevuto il visto camminava tutto agitato su e giù per il corridoio: voleva tornare indietro dal console americano a lamentarsi perché avevano dimenticato un accento sul suo nome. La credeva una cosa importante. Si vede che non hanno più nulla, ormai, anzi si sono accorti che senza i loro accenti non sono più quelli che erano prima, quando ancora ce li avevano. Per questo sono tanto attaccati alle loro vecchie macchine da scrivere da quattro soldi, e se le portano appresso da un continente all'altro, perché hanno ancora le lettere accentate. (cap. 25)
  • I regimi fondati sulla violenza hanno imparato molto, negli ultimi decenni. Ora sanno qualcosa che agli inizi ignoravano... Sanno di aver bisogno degli scrittori e degli scienziati, anche quando questi ultimi si oppongono al potere. Hanno bisogno della loro semplice esistenza. Il rapporto fra scrittura, sapere e potere è misterioso... Ogni regime autoritario è impotente se privo dell'approvazione e del consenso degli intellettuali. La violenza riesce a conquistare la fiducia delle masse soltanto quando gli scienziati e gli scrittori, con la loro particolare autorità, garantiscono la bontà del sistema di potere in questione, fino a consigliare alle masse di appoggiarlo. Per tali governi gli scrittori e gli scienziati hanno un valore altissimo, perché agli occhi delle masse esercitano una sorta di carisma pagano, simile a quello degli sciamani o degli stregoni. (Cap. 29)
  • Ma Croce, che proprio a due passi da qui, in mezzo ai suoi libri nella casa di calata Trinità Maggiore, odiava il fascismo e che per venticinque anni poté pubblicare i fascicoli della "Critica" e scrivere liberamente, ebbene: questo Croce valeva per Mussolini molto più di un Croce martirizzato, ridotto al silenzio o addirittura esiliato... (cap. 29)
  • Da noi [Italia e Occidente] il comunismo sarà a misura d'uomo, subito, sin dall'inizio, mentre dall'altra parte della cortina di ferro, in quelle società primitive, non può essere che duro, crudele e ingiusto... E dimenticano che i popoli che si trovano dall'altra parte della cortina di ferro non sono primitivi. I popoli baltici, e poi i polacchi, i tedeschi, i cechi, gli ungheresi non sono primitivi, e molti di loro hanno creduto, all'inizio, quando i bolscevichi si sono insediati in quei paesi, che dalle loro parti l'inferno sarebbe stato diverso, più umano, più moderato, rispetto a quello della lontana e barbara Russia, nelle steppe, tra ostiachi e kirghisi... (cap. 29)
  • Questa chiesa ha subito dei danni, durante la guerra. In qualche modo sento che mi ispira fiducia... Forse perché è stata colpita, è stata ferita ma non ancora ricostruita per mancanza di fondi... Perché ripongo fiducia solo in coloro che sono stati feriti di persona, nel corso della guerra, e hanno perso qualcosa... costoro sanno qualcosa che gli altri ignorano... (cap. 35)
  • I bolscevichi lo sanno, e ne approfittano. Sanno che i contadini, gli operai, i colletti bianchi li saboteranno, ma sanno altresì che esiste un momento in cui la predisposizione degli uomini a creare è più forte dell'odio contro il regime... Pur con mille tormenti, inventano, scrivono romanzi, compongono musiche... E non hanno la forza di nascondere quello che hanno creato... I regimi fondati sulla violenza si basano su questa impotenza... (cap. 35)
  • Diceva che eravamo tornati a casa, finalmente. La nostra seconda patria, diceva, è il mare. Proveniamo tutti da qui, questa è l'unica vera patria... e l'altra, quella sulla terraferma, anch'essa un tempo si è staccata dal mare, e quindi proviene dal mare, come tutto ciò che è materia e vita organica... I(cap. 35)
  • Era preparato a morire, come ci si prepara per un grande viaggio, per una migrazione. Disse che non aveva senso far viaggiare tra i continenti sessanta o settanta chili di tessuto organico e di cellule, come una partita di carne di manzo congelata e debitamente timbrata. Se fosse giunto in Australia, in realtà sarebbero arrivati soltanto quei sessanta o settanta chili di cellule... ma non lui. La sua identità sarebbe rimasta qui in Europa. E allora perché mandare quelle cellule in Australia? Era più semplice, mi disse, che restassero in Europa. [...] Disse che lui non riusciva a restare vivo in Europa, perché quell'Europa a cui apparteneva la sua identità, non esisteva più, non lo tratteneva più. Lui, qui, era già morto da tempo, mi disse. Era morto quando aveva smesso di esistere intorno a lui tutto quello che significava coesione... (cap. 41)

Explicit[modifica]

Il vento disse: «Porto loro dall'Africa il profumo dolce e muffoso delle liane e delle felci delle foreste vergini, e anche il lezzo del deserto, dove sotto strati sabbiosi di vegetali in disfacimento giacciono escrementi che un tempo furono cultura, città e sistemi giuridici. Porto dall'Asia il messaggio algido di cime ghiacciate. Dall'America macchine che si librano nel cielo. Parlo sempre con loro, ora tubando e sibilando, ora tuonando e fischiando. Con il mio soffio faccio crollare le montagne, e se agito il mare suscito montagne d'acqua. Li ho visti andare e venire, attraverso continenti e oceani, ma nascosto le tracce dei loro passi. Dove soffio io, non resta più nulla. Sono io che dico l'ultima parola. E poi verrà il silenzio».

Citazioni su Il sangue di San Gennaro[modifica]

  • Già verso Napoli sul treno mi è venuto in mente, e mi animava anche durante i giorni trascorsi a Roma: scrivere un altro romanzo, un'ultimo con il titolo: Il sangue di San Gennaro. Un uomo arriva a Napoli, e decide di salvare il mondo – questo sarebbe il romanzo.[4]
  • Napoli è un posto curioso: una città dove il miracolo regolarmente, due volte all'anno fa parte della vita della città, come un avvenimento turistico. I napoletani sono gli specialisti del miracolo.[5]
  • Tutto il libro può avere un solo contenuto e una sola "azione": voglio scrivere del miracolo e della povertà. Perchè questo è l'argomento italiano: il miracolo e la povertà. Da nessuna parte al mondo la gente sa essere povera in un modo così orgoglioso, artistico e devoto, come i poveri in Italia.[6]

L'eredità di Eszter[modifica]

Incipit[modifica]

Non so che cosa mi riservi ancora il Signore. Ma prima di morire voglio narrare la storia del giorno in cui Lajos venne per l'ultima volta a trovarmi e mi spogliò di tutti i miei beni. Rimando ormai da tre anni la stesura di questi appunti. Ora invece mi pare che una voce, contro la quale mi sento impotente, mi esorti a descrivere gli eventi di quella giornata e a riferire tutto ciò che so di Lajos, perché è mio dovere e il tempo a mia disposizione è contato. È una voce inequivocabile. Dunque obbedisco, nel nome del Signore. Non sono più giovane, la mia salute è malferma e tra poco dovrò morire. Temo ancora la morte?...

Citazioni[modifica]

  • Gli amori infelici non finiscono mai.
  • Ma il vento, quel vento di fine settembre, che fino ad allora si era aggirato di soppiatto intorno alla casa, aprì con violenza i battenti delle finestre, fece sventolare le tende e, come se portasse notizie da lontano, sfiorò e mosse ogni cosa nella stanza. Quindi spense la fiamma della candela. È l'ultima cosa che rammento. Ricordo ancora vagamente che più tardi Nanu chiuse le finestre, e io mi addormentai.
  • Nella vita esiste una specie di regola invisibile per cui ciò che si è iniziato un giorno prima o poi lo si deve portare a termine». «Quel senso di allarme continuo» che è stato «l'unico vero significato della sua vita».
  • Mentiva come urla il vento, con una specie di forza primordiale, con allegria indomabile.
  • Più tardi, verso il crepuscolo, quando ci liberammo dall'incantesimo, ci guardammo sbigottiti, come se fossimo stati testimoni delle stregonerie di un fachiro indiano, il fachiro aveva lanciato una corda verso il cielo, si era arrampicato sulla corda ed era scomparso tra le nubi sotto i nostri occhi.
  • A mettere in gioco la pelle, non tanto in vista del bottino quanto per amore di quelle emozioni e di quel pathos di cui si compenetra così profondamente, al punto da soffrirne.
  • Tu sei responsabile di tutto ciò che mi è accaduto nella vita... Tu sei profondamente legata a me anche se sai che non sono cambiato, che sono quello di prima, pericoloso e imprevedibile.
  • Due persone non possono incontrarsi neanche un giorno, prima di quando saranno mature per il loro incontro.

L'isola[modifica]

  • Non esiste alcun fine. È questo l'aspetto divino, grandioso della concezione, questa mancanza di scopo.
  • Era ovvio che sarebbe potuto partire per questo viaggio soltanto rinunciando a ogni bagaglio superfluo, da solo. Quando si fanno esperimenti con sostanze esplosive sconosciute non si portano con sé in laboratorio i propri familiari.
  • La gente si accontenta della superficie, di quei segni convenzionali che può scambiarsi senza pericolo, dell'assaggio, e resta assetata per tutta la vita.
  • Ma che strani movimenti, i movimenti dell'amore! Per chi li osservi da fuori, che cos'altro può essere questo mordersi, abbrancarsi, afferrarsi per il collo, questo disperato battere con i pugni, con le unghie e con i denti sulla porta chiusa, questo rabbioso frugare in un corpo estraneo, che cos'altro può essere se non una grande scena di collera, una punizione, una resa dei conti?

L'ultimo dono. Diari 1984-1989[modifica]

  • Una persona innamorata non scrive poesie, e per giunta buone. Ogni poeta, per quanto innamorato, ama più che altro la poesia d'amore che va scrivendo.
  • Ottantacinque anni fa venni alla luce su questo pianeta. In un giorno simile, il mortale pensa alla morte in maniera diversa dagli ottantacinque anni precedenti. L'uomo è sempre cosciente della morte, la considera un naturale compimento del difficile e incomprensibile corso dell'esistenza, tuttavia si limita ad «averne coscienza», l'accetta. Arriva in fine il tempo in cui l'uomo acconsente a morire. Non è una sensazione tragica. Piuttosto un senso di sollievo, come quando, dopo aver lungamente riflettuto, si comprende qualcosa di incomprensibile.
  • La via di ritorno dalla vita alla morte è oscura, brancolo dal nulla verso il nulla e lungo il percorso, ogni tanto, una parola, un concetto risplendono come lucciole nella buia foresta.
  • Il grande esame da superare nella vita non è la morte, bensì il morire. Ma la malattia e la morte hanno un che di osceno. Questo rovescio dell'esistenza corporea è al tempo stesso orrido e lubrico.
  • Sono in molti a comprendere soltanto tardi che il mistero più grande, nella vita, non è la morte, bensì il morire. E ogni ars moriendi è pura fantasticheria, un'arte simile non esiste.
  • L'assurdità, la spietatezza totale della vita. Non esistono «parole», né sentimenti o emozioni. Come quando si è ormai consumato tutto ciò che ha scintillato o fiammeggiato nel corso di una lunga vita. Veniamo dal nulla e scompariamo nel nulla, tutto il resto è un coacervo di fantasie puerili. Quel che nel frattempo accade è talvolta meraviglioso ma sempre insensato e privo di uno scopo.
  • Scomparire, in silenzio, è il massimo che ci sia concesso.
  • La sua mancanza? È una sorta di fame d'aria. Non soltanto le parole e oggetti che la ricordano, ma anche l'aria. Anche all'aria manca qualcosa.
  • Se la vita di uno scrittore si protrae a lungo, ci si attende da lui una summa vitae, una sorta di sintesi filosofica. Non ho la minima idea di qualsivoglia summa vitae. Per riassumere, dirò soltanto che tutto sommato gli uomini, quando sono «malvagi», sono meno pericolosi di quando sono stupidi. E di uomini stupidi ce ne sono tantissimi. Sono loro a rappresentare un pericolo.
  • Nella cultura cinese, che ha diecimila anni, si mangia senza coltello. La bomba atomica invece ce l'hanno già.
  • Non è piacevole incartapecorirsi nella vecchiaia. Ma mantenersi artificialmente giovanili è anche peggio.
  • Le tante menzogne che si raccontano sulla morte mi fanno venire la nausea. La vita eterna. Vita oltre la morte. Giudizio, sfere, paradiso e inferno. Sono sempre menzogne piagnucolose, insulse, ripugnanti. La realtà è oscena e sogghignante, è la morte.
  • L'inconscio è una fossa profonda. La fossa comune, in cui un pazzo fruga, pur non sapendo di che cosa va in cerca.
  • Dio, se esiste, tace. Penso molto a Dio. Come sarà, sempre che esista? In nessun caso simile a come ce lo mostrano le religioni.
  • Il destino comune di ogni monumento è che i cani finiscono per pisciare sul piedistallo.

La donna giusta[modifica]

Incipit[modifica]

Ehi, guarda quell'uomo. Aspetta, fa' come se niente fosse, continuiamo a chiacchierare... Se si voltasse potrebbe vedermi, e io non voglio che mi saluti. Ecco, adesso puoi guardarlo... Quello basso, tarchiato, con il cappotto dal collo di martora? Ma figurati! Quello alto, pallido, con il cappotto nero, che sta parlando con la commessa. Si fa incartare della scorza d'arancia candita. Strano, a me non l'ha mai comprata, la scorza candita.

Citazioni[modifica]

  • Ma Dio sa che solo noi possiamo essere d'aiuto a noi stessi.
  • Quando si comincia a piangere, vuol dire che ormai si cerca di ingannare il prossimo. In quel momento, il corso degli eventi si è già concluso. Non credo alle lacrime. Il dolore è asciutto e muto.
  • Non c'è nessun "consiglio" che possa davvero servire nella vita. Le cose accadono, ecco tutto.
  • Un giorno anche noi diventiamo adulti, e scopriamo che la solitudine, quella vera, scelta consapevolmente, non è una punizione, e nemmeno una forma morbosa e risentita di isolamento, né un vezzo da eccentrici, bensì l'unico stato davvero degno di un essere umano. E a quel punto non è più tanto difficile da sopportare. È come poter vivere per sempre in un grande spazio e respirare aria pura.
  • Amare significa semplicemente conoscere appieno la gioia e poi morire.
  • Prima o poi la vita ti dà tutto, basta saper aspettare.
  • [...] a volte le persone sono buone solo perché hanno delle inibizioni che le trattengono dal fare del male. Questo è il massimo a cui può arrivare un essere umano... C'è poi chi è buono perché è troppo vigliacco per essere cattivo.
  • «Perché la cultura è ormai alla fine. [...] Morirà, resteranno qua e là solo singoli ingredienti. È possibile che anche in futuro da qualche parte si venderanno olive ripiene al pomodoro. Ma sarà ormai estinto quel genere di persone che avevano coscienza di una cultura. La gente avrà soltanto delle conoscenze, e non è la stessa cosa. La cultura è esperienza, [...]. Un'esperienza continua, costante, come la luce del sole. La conoscenza è solo un accessorio».
  • Certe domande non hanno risposte scritte, sarà la vita a fornircele, talvolta in maniera sorprendente.
  • In ogni vero uomo c'è una certa ritrosia, come se egli volesse precludere una parte del suo essere, della sua anima, alla donna amata, come se le dicesse: «Ti concedo di arrivare fino a qui, mia cara, e non oltre. Ma qui, nella settima stanza, ci voglio restare da solo». Le donne stupide impazziscono di rabbia. Quelle intelligenti si intristiscono, si lasciano prendere dalla curiosità, ma alla fine se ne fanno una ragione.
  • Nella vita ci sono momenti del genere, in cui si prova una sorta di vertigine e si vede tutto con assoluta lucidità: si riscoprono energie e potenzialità nascoste e si comprende perché si è stati troppo codardi o troppo deboli. E sono i momenti in cui la nostra vita cambia. Arrivano all'improvviso, come la morte, o una conversione.
  • Non è soltanto con la bocca che si tace o si parla di qualcosa, ma anche con l'anima.
  • È infinitamente più difficile conservare qualcosa che conquistarla, oppure distruggerla.
  • A quanto pare, nella vita tutto accade secondo una specie di cronometro invisibile; non si può «decidere» nulla nemmeno un attimo prima, ma soltanto quando le cose e le situazioni si sono già decise da sole... Agire diversamente è soltanto una forzatura, è insensato, disumano, forse anche immorale... È la vita a decidere, in modo sorprendente e meraviglioso... e allora tutto diventa semplice e naturale.
  • Improvvisamente ho capito che non c'è nessuna persona giusta. Non esiste né in terra né in cielo né da nessun'altra parte, puoi starne certa. Esistono soltanto le persone, e in ognuna c'è un pizzico di quella giusta, ma in nessuna c'è tutto quello che ci aspettiamo e speriamo. Nessuna racchiude in sé tutto questo, e non esiste quella certa figura, l'unica, la meravigliosa, la sola che potrà darci la felicità. Esistono soltanto delle persone, e in ognuna ci sono scorie e raggi di luce, tutto...
  • Non credo nei Don Giovanni, non credo sia lecito vivere con più donne contemporaneamente. Si dovrebbe invece fare di un unico corpo lo strumento dal quale trarre ogni melodia.
  • Chi parla troppo cerca di nascondere qualcosa. Chi tace in modo coerente è invece convinto di qualcosa.
  • C'è una sorta di regia invisibile nella vita: quando la situazione richiede che si porti a compimento qualcosa, anche le circostanze, sì, persino il luogo e gli oggetti diventano complici, e le persone che vivono lì accanto sono inconsapevolmente conniventi [...] Quando vuole creare qualcosa, la vita realizza messinscene impeccabili.
  • [...] il delirio non può essere spiegato. Prima o poi irrompe nella vita di ognuno... E forse è davvero povera una vita che non sia stata spazzata via, almeno una volta, dal turbine di una crisi come questa, una vita il cui edificio non sia stato mai scosso da un terremoto, travolto da un tornado che fa volare le tegole dal tetto e, ululando, smuove per un attimo tutto ciò che la ragione e il carattere avevano tenuto in ordine.
  • Il senso più vero della letteratura, come della religione, è proprio la forma, e ciò che è forma è anche arte.
  • Con il passare del tempo, anche se i desideri non muoiono svanisce l'ansia, l'avidità furiosa, si esauriscono la disperata eccitazione e la nausea che pervadono ogni desiderio e ogni appagamento. Ebbene sì, ci si stanca. Io, talvolta, sono quasi felice che la vecchiaia sia ormai alle porte. Certe volte non vedo l'ora che giungano le giornate piovose in cui andrò a sedermi accanto alla stufa, in compagnia di una bottiglia di vino rosso e di un vecchio libro che narra di antichi desideri e delusioni...
  • La vita è un po' un delitto [...] Perché non siamo mai innocenti, e un giorno finiremo sotto processo. Saremo condannati o assolti, ma nel frattempo sapremo di non essere innocenti.
  • Alla fine, ogni cosa deve trovare la propria forma, anche le ribellioni. Tutto finisce per sprofondare nei grandi luoghi comuni della vita.
  • Due persone che significhino qualcosa l'una per l'altra non possono vivere covando un segreto nel cuore. In ciò consiste il tradimento. Tutto il resto non ha poi una grande importanza... riguarda il corpo e il più delle volte non è che un triste affanno. Amori calcolati, a ore, che si svolgono in luoghi prestabiliti, senza alcuna spontaneità... è così triste e meschino. E dietro tutto cova un ignobile segreto. che infetta la convivenza, come se da qualche parte in quella bella casa, magari sotto il canapè, ci fosse un cadavere in decomposizione.
  • La gente viene precipitata all'inferno e lasciata lì a cuocersi per bene, e se poi un giorno una potenza celeste la riporta su, e se poi un giorno una potenza celeste la riporta su, non appena si rianima, dopo essersi stropicciata gli occhi, continua a fare quello che faceva prima, esattamente dal punto in cui l'aveva lasciato in sospeso.
  • Non si può amare con un secondo fine. Non si può amare in modo così spasmodico e delirante. (p. 37)
  • Adesso penserai che sono un'oca isterica. No, cara, solo una donna, e perciò sono allo stesso tempo pellerossa e detective professionista, santa e spia, sono tutto questo quando si tratta dell'uomo che amo. (p. 64)
  • Le persone dall'animo assiderato capiscono prima degli altri se qualcuno cerca un po' di calore. (p. 112)
  • Ma questo sentimento, l'amicizia, è molto più fine e complicato dell'amore. È il più forte dei sentimenti umani... è veramente disinteressato. Le donne non lo conoscono. (p. 114)
  • Non mi piacciono questi drammi silenziosi che si protraggono per decenni, con nemici invisibili, carichi di una tensione spenta ed esangue. Se ci deve essere un dramma, che sia bello fragoroso, pieno di grida, di lotte, di morti, con tanto di applausi e fischi finali. (p. 118)
  • Ogni altra forma di eroismo è un fenomeno occasionale, o imposto dalle circostanze, o, peggio ancora, semplice ostentazione. Invece essere poveri per sessant'anni, adempiere in silenzio ogni dovere imposto dalla famiglia e dalla società, e contemporaneamente riuscire a restare umani, onesti, e magari persino allegri e altruisti – questo è vero eroismo. (p. 246)
  • A quanto pare, ci vuole un bel fegato per gettarsi nella vita così come capita, senza orari, senza tanti artifici... vivere così come viene, ora dopo ora, alla giornata, addirittura attimo per attimo.. E non aspettarsi niente. E non sperare niente. Stare semplicemente al mondo. (p. 285)

La recita di Bolzano[modifica]

Incipit[modifica]

Si accomiatò dai gondolieri a Mestre. Balbi, quel monaco depravato, per poco non era riuscito anche stavolta a farlo cadere in mano agli sbirri: lo aveva cercato invano mentre la diligenza stava per partire e alla fine lo aveva rintracciato in un caffè dove, sorbendo allegramente una tazza di cioccolata, faceva il cascamorto con la cameriera.

[Sándor Márai, La recita di Bolzano, traduzione di Marinella D'Alessandro, Adelphi, 2012. ISBN 978-88-459-7023-8]

Citazioni[modifica]

  • «In che cosa credi?» domandò il monaco in tono invitante e incuriosito. «Nel destino,» rispose l'altro con naturalezza «nel destino, che siamo noi stessi a plasmare e che poi accettiamo. Credo nella vita, in quelle diversità che alla fine combaciano sempre perfettamente, quando mille particolari si ricompongono sino a formare un tutto unitario, un uomo, una vita. Credo nell'amore e nella mutevolezza della fortuna. E credo nella scrittura, perché la scrittura ha potere sul destino e sul tempo. Nulla di ciò che fai, desideri, ami e dici è destinato a durare. Passano le donne, tramontano gli amori. Sfumano le emozioni, e la polvere del tempo ricopre le tracce delle azioni compiute. Ma la scrittura rimane. Come ti dicevo, sono uno scrittore» disse allegro, con l'aria entusiasta di chi ha fatto una bella scoperta. (cap. Uno scrittore)
  • L'amore dispone di due palcoscenici su cui si recita il grande duetto, e sono entrambi infiniti: il letto e il mondo. (p. 232)
  • La vita [...] è la pienezza. La vita sono un uomo e una donna che si incontrano perché sono fatti l'uno per l'altro, perché sono, l'uno per l'altro, ciò che la pioggia è per il mare: l'uno torna sempre a cadere nell'altro, si generano a vicenda, l'uno è la condizione dell'altro. Da tale pienezza nasce l'armonia, e in questo consiste la vita. una cosa rarissima fra gli esseri umani.

La sorella[modifica]

Incipit[modifica]

Mi accingo a raccontare qui l'esperienza che mi accadde di vivere in quella strana notte di Natale. Era il terzo dall'inizio della seconda guerra mondiale. È passato molto tempo da allora, e i giorni e notti che seguirono a quella serata ci hanno portato miseria e sofferenze. Ma il ricordo di quell'incontro è rimasto sempre vivo nel mio cuore e nella mia mente: non sono riusciti ad affievolirlo né l'annuncio della distruzione di intere città, né il dubbio e l'angoscia che in quel tempo turbavano gli animi riguardo al futuro dell'umanità, e neppure le immani disgrazie che si abbatterono su di noi con inaudita crudeltà. Ciò che appresi non riguardava la sorte di interi popoli, o di continenti, bensì il destino di un solo uomo: ma il fato può scagliarsi contro un solo uomo con la stessa cieca e inesorabile ferocia con la quale si abbatte sulla sorte di interi popoli.

Citazioni[modifica]

  • L'uomo è un giocattolo in mano a forze e intenzioni delle quali ignoriamo la vera natura, è un burattino manovrato da impulsi che si accendono al di là dei confini delle nostra ragione. (p. 28)
  • Quando si prende in mano la penna per fissare il ricordo di esperienze private si vuole sempre parlare ad altri uomini, anche quando si sceglie una forma di comunicazione pudica come il diario; sì, la letteratura ci insegna che i diari più famosi furono redatti perché il pubblico li leggesse.
  • Rivedere e accogliere per una seconda volta è un piacere assai più profondo che scoprire e afferrare.
  • [...] è questo l'unico terreno sul quale l'uomo può misurarsi con Dio, ed essere in qualche modo alla sua altezza: quando crea dal nulla, come Lui.
  • Forse è proprio questo il grande male che schiaccia l'umanità: non il dolore, ma la paura che le impedisce di essere felice.
  • La vita diventa un veleno se non crediamo in essa, quando non è che un mezzo per saziare la vanità, l'ambizione, l'invidia. E si comincia ad avere nausea...
  • La malattia è uno stato primordiale, non conosce il pudore.
  • Nella Bibbia l'uomo e la donna «si conoscono» quando una vita sigilla l'altra con le parole e i gesti dell'amore. E questa «conoscenza» è il massimo che un essere umano possa dare a un altro essere umano.

Le braci[modifica]

Incipit[modifica]

In mattinata il generale si soffermò a lungo nella cantina del vigneto. Vi si era recato all'alba insieme al vignaiolo perché due botti del suo vino avevano cominciato a fermentare. Quando finì di imbottigliarlo e fece ritorno a casa, erano già le undici passate. Ai piedi delle colonne, sotto il portico lastricato di pietre umide ricoperte di muffa, lo attendeva il guardiacaccia, che porse una lettera al padrone appena arrivato.
«Cosa vuoi?» disse il generale, e si arrestò con aria seccata. Spinse indietro sulla fronte il cappello di paglia a tesa larga che gli ombreggiava il viso arrossato. Da anni ormai non apriva né leggeva lettere. La corrispondenza veniva aperta e selezionata da un impiegato nell'ufficio dell'intendente.
«L'ha portata un messo» disse il guardiacaccia, e rimase fermo sull'attenti.
Il generale riconobbe la grafia, prese la lettera e se la ficcò in tasca.

Citazioni[modifica]

  • Vienna, l'Impero, ungheresi, tedeschi, moravi, cechi, serbi, croati e italiani, formavano un'unica grande famiglia, e all'interno di questa ciascuno intuiva in segreto che l'unico in grado di mantenere l'ordine, in quella marea di desideri, inclinazioni e passioni tumultuose, era l'imperatore, che era contemporaneamente sergente maggiore in servizio perpetuo e maestà, funzionario statale con i coprigomiti in lustrino e grand seigneur, bifolco e sovrano. (cap. 7)
  • Quelle donne avevano portato nella loro vita lo smarrimento dei primi amori e tutto ciò che significa l'amore: desiderio, gelosia, e un disperato senso di solitudine. Ma al di là delle donne e del mondo balenava un sentimento più forte di tutto il resto. Un sentimento, noto soltanto agli uomini, che si chiama amicizia. (cap.8)
  • [Konrad a Henrik] Vienna non è soltanto una città, il suo nome ha un suono che alcuni sentono vibrare in fondo all'anima per sempre e altri no. È stata la cosa più bella della mia vita. Ero povero ma non ero solo, perché avevo un amico. E anche Vienna era come un amico. Ai Tropici, quando pioveva, udivo sempre la sua voce. E in mille altre occasioni. L'odore di muffa che aleggiava nell'androne della casa di Hietzing mi tornava in mente persino nella giungla. A Vienna la musica e tutto ciò che amavo vibrava nelle pietre, nello sguardo e nella cortesia degli uomini come vivono nei cuori le passioni ormai purificate. Sai, quando le passioni non ti fanno più soffrire. Vienna d'inverno e in primavera. I viali di Schonbrunn. La luce azzurra nel dormitorio del collegio, la grande scalinata bianca con le statue barocche. Le cavalcate al mattino, nel Prater. I cavalli bianchi della scuola di equitazione. (cap. 11)
  • "Sono tutti morti, oppure se ne sono andati, hanno rinunciato a tutto quello che giurammo di difendere. Esisteva un mondo per il quale valeva la pena di vivere e di morire. Quel mondo è morto. Quello nuovo non fa più per me. È tutto ciò che posso dire". "Per me quel mondo è sempre vivo, anche se non esiste più nella realtà. È vivo perché gli ho giurato fedeltà. È tutto ciò che posso dire". "Sì, tu sei rimasto un vero soldato" risponde Konrad. (cap. 11)
  • Le simpatie che ho visto nascere tra gli uomini sono sempre naufragate, alla fine, nelle paludi dell'egoismo e della vanità. (cap. 13)
  • Certe volte mi sembra che le parole, quelle che uno pronuncia, quel le che evita di dire o quelle che scrive al momento giusto, abbiano un'importanza grandissima, forse addirittura decisiva... (cap. 13)
  • [Henrik a Konrad] Non essendo cacciatore, non conoscevi quella strana passione, la più segreta dell'animo maschile, al di là di ogni ruolo e cultura, radicata e profonda come il fuoco nelle viscere della terra. Questa passione è il desiderio di uccidere. Siamo uomini, uccidere è un imperativo della nostra vita. Non possiamo fare diversamente... L'uomo uccide per difendere qualcosa, uccide per procurarsi qualcosa, uccide per vendicarsi di qualcosa. (cap. 13)
  • [Henrik a Konrad] Apparteniamo all'Occidente, o per lo meno siamo degli immigrati divenuti ormai sedentari. L'uccisione, per noi, rappresenta una questione giuridica e morale o un problema di pertinenza medica, comunque una cosa ammessa o proibita, un fatto definito con la massima precisione da un ampio codice morale e giuridico. Anche noi uccidiamo, ma in maniera più complicata, secondo i modi prescritti o autorizzati dalla legge. Uccidiamo in difesa di ideali sublimi e di beni umani preziosi, uccidiamo per tutelare le regole della convivenza umana. Né possiamo fare diversamente. Siamo cristiani, adepti della civiltà occidentale, siamo portati a sentirci colpevoli. La nostra storia è disseminata fino ai nostri giorni di una lunga serie di stermini, eppure parliamo dell'uccisione tenendo gli occhi bassi, in tono di pia recriminazione; non possiamo fare diversamente, è questo il ruolo che ci è stato assegnato. (cap. 13)
  • Quando il destino, sotto qualsiasi forma, si rivolge direttamente alla nostra individualità, quasi chiamandoci per nome, in fondo all'angoscia e alla paura esiste sempre una specie di attrazione, perché l'uomo non vuole soltanto vivere, vuole anche conoscere fino in fondo e accettare il proprio destino, a costo di esporsi al pericolo e alla distruzione. (cap. 14)
  • Si sacrifica volentieri agli dèi una parte di felicità, perché essi sono invidiosi, e se regalano a un comune mortale un anno di felicità, si può essere certi che prenderanno immediatamente nota di quel debito per poi esigerne la restituzione alla fine della vita, praticando tassi da usurai. (cap. 15)
  • Possiamo comprendere l'essenziale solo partendo dai particolari, questa è l'esperienza che ho tratto sia dai libri che dalla vita. Bisogna conoscere tutti i particolari, perché non possiamo sapere quale sarà importante in seguito, quali parole metteranno in luce qualcosa. (cap. 15)
  • Non è vero che il destino si introduce alla cieca nella nostra vita: esso entra dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato, facendoci da parte per invitarlo ad entrare. (cap. 16)
  • Come le persone appartenenti allo stesso gruppo sanguigno sono le uniche che possano donare il loro sangue a chi è vittima di un incidente, così anche un'anima può soccorrerne un'altra solo se non è diversa da questa, se la sua concezione del mondo è la stessa, se tra loro esiste una parentela spirituale. (cap. 16)

Explicit[modifica]

La balia si solleva sulla punta dei piedi e alza la mano minuta, con la pelle giallastra e rugosa, per tracciare un segno di croce sulla fronte del vecchio. Si danno un bacio, uno strano bacio rapido e un po' goffo: se qualcuno li vedesse non potrebbe fare a meno di sorridere. Ma come tutti i baci umani anche questo, alla sua maniera tenera e grottesca, è la risposta a una domanda che non è possibile affidare alle parole.

Liberazione[modifica]

Incipit[modifica]

La diciottesima notte dopo il capodanno – il ventiquattresimo giorno dell'assedio a Budapest –, una giovane donna decise di abbandonare il rifugio in un grande edificio accerchiato nel cuore della città, di attraversare la strada trasformata in campo di battaglia e di raggiungere, in ogni modo e a qualsiasi costo, l'uomo che quattro settimane prima era stato murato, insieme a cinque compagni, in un angusto scantinato dell'edificio di fronte. Quell'uomo era suo padre, e la polizia politica si ostinava, pur nel culmine del caos e dello sfacelo, a cercarlo con un zelante e puntiglioso accanimento.

Citazioni[modifica]

  • La follia non ha scopo. Il folle fa qualcosa, lo fa senza scopo né motivo, così perché lo può fare: si cava i denti con un chiodo arrugginito, o si mette a urlare parole senza senso, in un dialetto norvegese magari. (p. 80)
  • Si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare.[...] c'è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione, e il cui senso è semplicemente questo: io sono dalla tua parte, anch'io la penso così, condivido la tua preoccupazione, noi due siamo d'accordo... (p. 91)
  • Gli ebrei sono esseri umani. [...] quindi ce ne sono anche di orgogliosi. Poi ci sono quelli avidi, quelli golosi, lascivi e anche ladri. Tra di loro c'è a chi piace imbrogliare il prossimo, e ce ne sono altri che mentono. Ma gli ebrei sono così perché sono esseri umani. [...] di ebrei ce ne sono tanti tipi. Chi crede che siano tutti uguali non li conosce. Gli ebrei non sono fatti tutti allo stesso modo. [...] Dire gli ebrei è una generalizzazione, proprio come se dicesse i cristiani. Ci sono ebrei e ci sono cristiani, e l'origine, la religione, lo stile di vita, la razza di sicuro comportano tanti tratti comuni... Ma gli ebrei differiscono gli uni dagli altri più di quanto non si assomiglino. (pp. 113-115)

Terra, Terra!...[modifica]

  • I popoli non sono disposti al rimorso, che è un problema solo dell'individuo.
  • [...] negli snodi critici della vita la vita stessa ci fa trovare, con mano invisibile e fatale, la lettura che in un modo o nell'altro, qualche volta in maniera indiretta, risponde al problema del momento.
  • [...] non sono un poeta; nel mio sistema nervoso e nella mia coscienza manca quell'energia condensatrice che è la poesia, la quale con una sola parola, per mezzo di un comunicare magico, qualche volta demoniaco, riesce a catalizzare gli elementi della passione e della ragione come il nucleo dell'atomo con i protoni e i neutroni...
  • [...] le leggi della conservazione dell'energia non sono solo fisiche, ma valgono anche nell'ambito del destino di ciascuno: il fenomeno che crea ogni singola personalità al di là della realtà organica non perisce mai nel corso della sua vita l'uomo non solo agisce, sogna, parla e pensa, ma tace anche qualcosa – per tutta la vita tacciamo su quel qualcuno che siamo, di cui solo noi sappiamo e di cui non possiamo parlare a nessuno. Ma noi sappiamo che quell'uomo e quel qualcosa di cui tacciamo sono «la verità», siamo noi quelli di cui tacciamo.
  • Per l'idea ci vuole la parola, senza la parola non c'è scambio, giusto un brulichio nella coscienza, come formiche sulla pelle.
  • Un'opera letteraria non è solo quello che lo scrittore (e il libro) dice, e nemmeno la maniera in cui viene presentata, ma è prima di tutto l'atmosfera che circonda il libro. Il libro diventa «vivo» in quest'atmosfera; altrimenti è simile a un corpo celeste raffreddato che riluce ma non avendo atmosfera non ha vita. Quest'atmosfera non cessa di esistere alla morte dello scrittore. Come nella vita reale, anche in letteratura vi sono personalità che muoiono lentamente, e anche dopo rimane comunque qualcosa della loro essenza, che si sprigiona dai loro libri come ai defunti continuano a crescere i capelli e le unghie. Perciò è viva la personalità di Tolstoj, perciò è vivo Proust...
  • Perché un'opera rimanga viva lo scrittore deve sapere che da qualche parte esiste, nel presente o nel futuro, quell'essere particolare, quel fenomeno dialettico che è il lettore, alleato e insieme nemico. Che chiama e contemporaneamente respinge. C'è qualcosa di sensuale in questo fenomeno, qualcosa di allettante e di minaccioso. Il lettore è il compagno, come in amore la donna.
  • Lo scrittore, che tra miseria e distruzione – che in guerra e in pace sono la condizione umana – si giustifica e assicura di «sentire sinceramente» quel che scrive, dimentica la regola secondo cui non esiste letteratura «sincera». Nella letteratura, come nella vita, solo chi tace è «sincero»: nell'attimo in cui qualcuno parla a un pubblico non è più «sincero», ma scrittore, o attore, perciò uomo che civetta.
  • Qual è la vera ragione della crudeltà umana? La volontà di sopprimere? Le basi della vita organica sono le proteine e gli acidi nucleici. Occorrono miliardi di anni perché su un pianeta dotato di biosfera una molecola si disponga nella catena evolutiva per diventare un organismo complesso. La molecola non è crudele... Ma questa stessa molecola, nella variante evoluta, l'uomo, lo è. Perché?... Nessun altro organismo è incline alla crudeltà, solo l'uomo. Il panico che assale l'uomo perché sa che un giorno dovrà morire può essere la ragione della sua crudeltà? Non sappiamo nulla; tutti noi viventi siamo condannati a morte, dei condannati a morte chiamati alla vita da un cieco caso, vagolanti in un universo buio e indifferente.
  • Ogni poeta è un mistico, altrimenti non è un poeta, solo un fabbricante di versi. Ma vi sono dei mistici, Valéry ad esempio, che non hanno un Dio. E provano allora un'eterna nostalgia per una divinità che ai loro occhi abbia un significato nell'Universo.
  • Così come le religioni hanno sempre cercato di ostacolare il formarsi delle libere opinioni, per loro pericolose, allo stesso modo i sistemi di potere politico ed economico dell'epoca della massificazione – il comunismo e la civiltà dei consumi postindustriale, altrettanto nemici del libero pensiero – fanno di tutto per tenere le masse umane in stato di infantilismo spirituale. I fondatori di religioni hanno sempre fatto credere agli uomini di essere stati creati da Dio a suo immagine e non confessano che in realtà sono stati gli uomini a creare Dio a propria somiglianza.
  • «Umanesimo» è la disposizione dell'animo che non confida nelle risposte sovrannaturali al problema della morte e non si aspetta la soluzione delle questioni terrene da forze sovrumane: per opera della cieca volontà del caso in un universo abbandonato, indifferente e ostile aveva preso forma un mammifero bipede, l'uomo, unico essere vivente che trovi un assetto nel mondo prescindendo dai suoi istinti.
  • Ma nella Luce ci si può solo immergere, come nell'oceano: l'uomo non vi può vivere stabilmente, perché perde i sensi. Solo nella penombra è possibile vivere – vivere, cioè progettare e poi agire.
  • Come capita nella vita: vediamo e sappiamo bene, nei momenti cruciali, le molte cose che sarebbe stato meglio non fare, non esternare... ma poi l'istante del ripensamento passa e rimane, con le tante incertezze, i difetti e anche i peccati, il «tutto», che è com'è perché non può essere diverso. E alla fine siamo responsabili solo del «tutto», i dettagli non contano.
  • Colui che conosce un solo libro è sempre pericoloso: è il tipo che si accosta ai problemi della vita senza elasticità mentale e con rigidi pregiudizi.
  • Siamo noi quelli di cui tacciamo.
  • Come il giocatore che verso l'alba, cercando | con le dita ingiallite la pistola nella tasca del frac | udisse una voce: «Non ancora!...» | scuotiti e guarda indietro al mondo. | Cos'è rimasto? La luna, la Cina e i fiordi – | San Francesco era felice spoglio e da morto – | hai perduto, alzati e saluta | puoi di nuovo levare gli occhi alla stella.

Note[modifica]

  1. Da Márai Sándor, Ami a Naplóból kimaradt. 1949, Vörösváry Publishing Co., Toronto 1999, pp. 272, citato in László Csorba, La Napoli del dopoguerra: impressioni di un scrittore ungherese agli inizi degli anni 1950, Italogramma, Vol. 2 (2012), p.31.
  2. Da Il sangue di San Gennaro, Adelphi, 2010; citato in Antonella Cilento, Bestiario napoletano, Laterza, 2022. p. 89. ISBN 9788858130131
  3. Da Ami a Naplóból kimaradt 1948 (Ciò che è rimasto dal Diario, 1948), Vörösváry, Toronto, 1998, p. 207, in Roberto Ruspanti, Sándor Márai: la duplice perdita della patria e il tormento dell'esilio,in Giampaolo Borghello e Vincenzo Orioles (a cura di), Per Roberto Gusmani 1. Linguaggi, culture, letterature 2. Linguistica storica e teorica. Studi in ricordo, Forum, Udine, 2012, (pp. 451-464), p. 458. ISBN 978-88-8420-727-2 ISBN 978-88-8420-974-0 (versione digitale); in air.uniud.it
  4. Da A teljes napló, 1948, Helikon, Budapest 2008, p. 407, citato in László Csorba, La Napoli del dopoguerra: impressioni di un scrittore ungherese agli inizi degli anni 1950, Italogramma, Vol. 2 (2012), p.23.
  5. Da Márai Sándor, Ami a Naplóból kimaradt. 1949, Vörösváry Publishing Co., Toronto 1999, pp. 244, citato in László Csorba, La Napoli del dopoguerra: impressioni di un scrittore ungherese agli inizi degli anni 1950, Italogramma, Vol. 2 (2012), p.27.
  6. Da Márai Sándor, Ami a Naplóból kimaradt. 1949, Vörösváry Publishing Co., Toronto 1999, pp. 222, citato in László Csorba, La Napoli del dopoguerra: impressioni di un scrittore ungherese agli inizi degli anni 1950, Italogramma, Vol. 2 (2012), p.27.

Bibliografia[modifica]

  • Sándor Márai, Confessioni di un borghese (Egy polgár vallomásai), traduzione di Marinella D'Alessandro, Adelphi Edizioni, Milano, 2003.
  • Sándor Márai, Divorzio a Buda (Válás Budán), traduzione di Laura Sgarioto, Adelphi Edizioni, Milano, 2002.
  • Sándor Márai, I ribelli (A zendülők), a cura di Marinella D'Alessandro, Adelphi Edizioni, Milano, 2001.
  • Sándor Márai, Il gabbiano (Sirály), traduzione di Laura Sgarioto, Adelphi Edizioni, Milano, 2011. ISBN 978-88-459-2595-5
  • Sándor Márai, Il sangue di San Gennaro, traduzione di Laura Sgarioto., Adelphi Edizioni, Milano, 2010.
  • Sándor Márai, L'eredità di Eszter (Eszter hagyatéka), Adelphi, 2004.
  • Sándor Márai, L'isola (A sziget), traduzione di Laura Sgarioto, Adelphi Edizioni, Milano, 2007.
  • Sándor Márai, L'ultimo dono. Diari 1984-1989, a cura di Marinella D'Alessandro, Adelphi Edizioni, Milano, 2009.
  • Sándor Márai, La donna giusta(Az igazi e Judit... és az utóhang), traduzione di Laura Sgarioto e Kristina Sándor, Adelphi Edizioni, Milano, 2004.
  • Sándor Márai, La recita di Bolzano (Vendégjáték Bolzanóban), traduzione di Marinella D'Alessandro, Adelphi Edizioni, Milano, 2000.
  • Sándor Márai, La sorella (A nővér), traduzione di Antonio Sciacorelli, Adelphi Edizioni, Milano, 2006.
  • Sándor Márai, Le braci (A gyertyák csonkig égnek), a cura di Marinella D'Alessandro, Adelphi Edizioni, Milano, 1998.
  • Sándor Márai, Liberazione (Szabadulás), traduzione di Laura Sgarioto, Adelphi Edizioni, Milano, 2008.
  • Sándor Márai, Terra, Terra!... (Föld, föld...!), traduzione di Katinka Juhász, Adelphi Edizioni, Milano, 2005.

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]