Vittorio Emanuele III di Savoia

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Vittorio Emanuele III.

Vittorio Emanuele III di Savoia (1869 – 1947), re d'Italia.

Citazioni di Vittorio Emanuele III[modifica]

  • A Peschiera? Quello che ho fatto io? Hanno esagerato parecchio... l'hanno gonfiato, quell'episodio, tutti quelli che lo hanno raccontato. È stata cosa da poco.[1] [parlando del convegno di Peschiera]
  • Cerco di conoscere gli uomini con cui ho da fare, ma, salvo naturalmente delle eccezioni, ne sono poco edificato.[1] [al figlio Umberto]
  • Cittadini e soldati, siate un esercito solo! Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. (dal proclama alla nazione dopo le giornate di Caporetto)
  • È facile apparire intelligenti, quando si è belli! [al figlio Umberto][1]
  • Fratelli, non cessate mai d'amarvi.
Frères, ne cessez jamais de vous aimer.[2]
  • Giolitti è Uomo astuto, ma poco sincero.[3]
  • Gli uomini si illudono di fare la Storia, ma la Storia fa da sé.[4]
  • In casa Savoia, si regna uno alla volta.[1]
  • In guerra si va con due bastoni, uno per darle e uno per prenderle. (dalla conferenza di Peschiera del Garda del 1918)
  • Io detesto la gente che non fa nulla. Intimamente io penso che c'è del vero nella frase di Lenin "Chi non lavora non mangia".[1] [al suo aiutante di campo Sacroni]
  • "I professori di diritto costituzionale, specialmente quando sono dei pusillanimi opportunisti, come il prof. Santi Romano, trovano sempre argomenti per giustificare le tesi più assurde: è il loro mestiere; ma io continuo ad essere della mia opinione. Del resto non ho nascosto questo mio stato d'animo ai due presidenti delle Camere, perché lo rendessero noto ai promotori di questo smacco alla Corona, che dovrà essere l'ultimo."[5] [in seguito all'istituzione della qualifica di Primo Maresciallo dell'Impero.]
  • La regina non è riuscita a trovare uova fresche. Non sarebbe possibile avere in qualche modo una dozzina di uova?[6] [al diplomatico statunitense Robert Daniel Murphy che, a Brindisi nel settembre 1943, gli chiedeva se potesse fare qualcosa per aiutarlo]
  • Ma di questo Mussolini c'è poi da fidarsi?[1] [a Luigi Facta, dopo che questi proclamò lo stato d'assedio durante la Marcia su Roma]
  • [Giovanni Giolitti] Maneggiava il Parlamento come nessuno al mondo, e teneva un libro in cui ogni pagina era dedicata a un deputato, su cui scriveva vita, morte e miracoli: non esisteva uno solo che, dopo una lunga osservazione, potesse sfuggire al ricatto. (in confidenza a Galeazzo Ciano[7])
  • Queste decisioni spettano soltanto a me. Dopo lo stato d'assedio non c'è che la guerra civile. Ora bisogna che uno di noi due si sacrifichi. (a Luigi Facta, dopo che questi proclamò lo stato d'assedio durante la Marcia su Roma[8])
  • Soldati, a voi la gloria di piantare il Tricolore d'Italia su i termini sacri che natura pose a confine della Patria nostra, a voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata.[9]
  • Vogliono i destini d'Italia che al compiersi del cinquantenario si celebrino, conquistati per virtù di popolo e di esercito eroici, gli inviolabili termini segnati dalla natura e dalla storia.[10]

Attribuite[modifica]

  • Quanto la tirano lunga questi preti![11] [al funerale del padre Umberto]

Citazioni su Vittorio Emanuele III[modifica]

  • [Replicando a giudizi malevoli sul sovrano] Come se un uomo non potesse avere le gambe corte e le idee lunghe. I più istruiti lo giudicano un omino per bene, buon padre di famiglia, che raccoglie le monete[12] e dà poche noie. Soltanto tra i più intelligenti e disinteressati ha qualche simpatia. (Giovanni Papini)
  • Dal regime [fascista] ha finora accettato tutto, salvo la retorica. Nei discorsi non va mai a braccio, si attiene scrupolosamente al testo che legge sempre con voce emozionata, e dopo averlo riletto più volte per prova. Non concede a Mussolini sentimenti d'amicizia, raramente lo invita a pranzo, raramente le loro idee private collimano: il re ha scarsa fiducia negli uomini e molti dubbi «sulle virtù civili e militari degli italiani». (Romano Bracalini)
  • È tornato in Italia Vittorio Emanuele III. Nel dicembre 2017, con un aereo di Stato, sono state riportate in patria le spoglie del re che mise il Paese nelle mani di un dittatore, lo spedì in guerre coloniali feroci, accettò l'alleanza con il nazismo, firmò leggi razziste e antisemite, lasciò portar via migliaia di cittadini italiani ebrei, abbandonò centinaia di migliaia di soldati nelle mani dei nazisti e infine scappò con ignominia. (Gianni Barbacetto)
  • Fece arrestare Mussolini. Il Re regnava, non governava, esattamente come il Presidente della Repubblica Italiana, ed era ligio allo Statuto Albertino. Mussolini voleva marciare su Roma e il Re, affidandogli l'incarico, lo rimise nei binari. (Vittorio Emanuele di Savoia)
  • Il giudizio che dobbiamo pronunciare sulla sua vita e sul suo regno non potrà essere sostanzialmente modificato da eventuali rivelazioni future. Sta scritto sulle rovine del suo trono e della sua casa, sulle piaghe ancora aperte del nostro Paese. Almeno sei volte il suo intervento, o il suo mancato intervento, decise il corso della nostra storia: agli inizi del regno per impedire ritorni reazionari, nel 1915 per la nostra entrata nella prima guerra, nel 1922 per far salire Mussolini al potere e nel 1924-'25 per mantenerlo, nel 1940 per sanzionare la nostra partecipazione alla seconda guerra, della quale vedeva i rischi e l'impopolarità, infine nel luglio-settembre 1943 per la cacciata di Mussolini e l'armistizio. (Domenico Bartoli)
  • [...] il non mai abbastanza defunto re Vittorio Emanuele III [...] aveva mancato non solo al suo dovere di re, ma ad un dovere di onestà. (Francesco Saverio Nitti)
  • Il re era estremamente intelligente e sotto certi aspetti contraddittorio. Non si fidava di nessuno. (Dino Grandi)[1]
  • L'impedimento che urge rimuovere è la persona del re, Vittorio Emanuele III, che ha aperto le porte al fascismo, lo ha favorito, sostenuto, servito per oltre vent'anni, lo ha seguito in tutte le sue azioni e persecuzioni più contrarie alla moralità... Pretendere che l'Italia conservi il presente re, è come pretendere che un redivivo resti abbracciato con un cadavere. (Benedetto Croce)
  • La massoneria contava nelle proprie file Vittorio Emanuele, come uno dei suoi "venerabili" più eminenti. (Paolo Pavolini)
  • Quanto al fantoccio, non c'è proprio da sperare nulla (Anna Kuliscioff)[1]
  • Questo maggio 1946 ha qualche analogia con il luglio 1943[13]. Allora la parte più calcolatrice del fascismo eliminò Mussolini per salvare le posizioni personali, oggi il quartier generale della monarchia ha allontanato il vecchio re per salvare la dinastia. L'uomo più enigmatico della nostra storia recente, è in esilio. Scompare ingiuriato da tutti: anche dai monarchici i quali rovesciano su di lui tutte le colpe affinché la corona appaia pulita: picchiano cioè su una testa staccandone la corona che ne è stata sorretta. Sarà il due giugno[14] a dirci se per caso Vittorio Emanuele andandosene non ha portato con la testa anche la corona: e sarà l'avvenire a farci conoscere se in quest'ultimo caso sia una fortuna o una sfortuna. (Edilio Rusconi)
  • Regnò per quarantasei anni, con lui, nel 1911, l'Italia era la settima potenza mondiale. Corresse i conti pubblici; realizzò la rete ferroviaria; fondò la Previdenza Sociale; l'Istituto Case Popolari; le Assicurazioni Nazionali. Dopo la Vittoria del '18, con cui si compì l'Unità d'Italia con Trento e Trieste, cedette quasi tutte le proprietà di Casa Savoia al Fondo per i Mutilati ed Orfani di Guerra. (Vittorio Emanuele di Savoia)
  • Soltanto nella più completa intimità, lontano dagli occhi estranei, dalla pettegola curiosità del pubblico, con la moglie, con i figli, Vittorio Emanuele era felice. Allora il suo imbarazzo, il disagio continuo che lo prendeva quando si trovava fra la gente, si scioglieva e gli affetti umani prendevano il posto della diffidenza e del malumore. Non aveva amici, non aveva confidenti; non si abbandonava mai. Teneva tutto dentro di sé, geloso dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri. Ma a Villa Savoia[15] gli affetti potevano manifestarsi liberamente come in una qualunque residenza borghese. (Domenico Bartoli)
  • Vittorio Emanuele III, corto di statura, congiuntivitico cronico dall'apparenza timidissima, impacciata e paralizzata di chi porta sulle spalle un fardello troppo pesante per la volontà e l'intelligenza di un mediocre, costretto sempre a subire il corso di avvenimenti troppo grandi per lui, era posseduto, in realtà, da una vocazione tanto ossessiva quanto magistralmente dissimulata di salvaguardare ogni briciola dei suoi poteri, dei suoi possessi e dei suoi giudizi. Il topo si mutava in tigre se lo sfiorava un'ombra di timore per l'integrità delle sue prerogative soverchianti e del suo patrimonio miliardario: custoditi le une e l'altro con una passione nevrotica, ma perfettamente armonica con il cumulo di convinzioni feudali e reazionarie di una piccola dinastia montanara. (Paolo Pavolini)
  • Vittorio Emanuele aveva notoriamente una mediocre opinione del genere umano e ostentava un particolare cinismo nei riguardi degli uomini politici. Oltre la metà dei ministri che si succedettero nel corso del suo lungo regno furono da lui giudicati dei politici di second'ordine, o peggio, e alcuni furono definiti delle «assolute nullità». (Denis Mack Smith)
  • Vittorio Emanuele ha dato la firma non soltanto agli atti di legislazione normale, bensì anche alle iniziative più accentuatamente rivoluzionarie, come, per esempio, all'istituzione della M.V.S.N. (Benito Mussolini)[1]
  • Vittorio Emanuele parla raramente di politica oggi, ma non può dirsi un temperamento apolitico. Segue da lontano la vita dei partiti italiani e ha, di fronte a ciascuno di essi, sentimenti diversi. Odia senza riserve Togliatti e Nenni, ha una stima modesta dei partiti di destra, ignora i qualunquisti e le sfumature minori dell'arcobaleno politico italiano, saragattiani, azionisti, democrazia del lavoro; considera tuttavia Pacciardi, che personalmente non conosce, un avversario da rispettare. (dal Messaggero del 27 marzo 1947[16])
  • Vostra Maestà può con un atto di energia metter fine a quanto accade e dividere ancora la sua responsabilità da un regime di oppressione e di morte. Non devo DirLe il modo. Posso dirLe soltanto che non vi è tempo da perdere.[17] (Francesco Saverio Nitti) [Lettera al re sul fascismo]

Robert Katz[modifica]

  • Nel 1939 il re imperatore Vittorio Emanuele III compì settant'anni. Da duecento anni ormai nessun principe regnante sabaudo era vissuto tanto a lungo da raggiungere quell'età; ed era un risultato genetico notevole per un primogenito del ramo Carignano della dinastia; ramo in cui i primogeniti morivano solitamente giovani. La sua sfida alle leggi della longevità e la povertà del sangue che scorreva nelle sue vene, dovuta ad un amore tra consanguinei, si rifletteva nel suo aspetto, negli occhi e nella pelle incartapecorita del volto. Rughe profonde percorrevano la sua fronte, i capelli erano caduti e i pochi rimasti dietro le orecchie, così come i baffetti ben arricciolati sulle labbra in perfetto stile fascista, erano diventati candidi. La sua mascella tremava più di prima, due borse violacee pendevano sotto gli occhi e la bocca era serrata in una smorfia grinzosa di fastidio, come se tutto quello che gli si era accumulato dentro fosse aggrovigliato in un nodo di incessante pena.
  • Non sarebbe stato l'ultimo sovrano di Casa Savoia perché questo merito spettò al figlio Umberto, un giovane scapestrato il cui regno durò soltanto un mese, ma avrebbe bollato col marchio dell'infamia la propria dinastia, ne avrebbe causato l'ignominiosa fine e, dopo l'abdicazione, bandito dal suo beneamato paese, sarebbe morto a migliaia di chilometri dalla patria.
    [...] fu il simbolo più autentico di Casa Savoia. Impersonò con eccezionale perfezione novecento anni di piccineria, di furbizia, di apatia, di debolezza, di incredibile egoismo e di tutte le altre astute qualità che la natura dona agli esseri di piccole proporzioni.
  • Si diceva che, quando sedeva sul trono, non riusciva a toccare il pavimento coi piedi, ma questo non era vero: purché restasse sull'orlo del sedile. Era troppo basso per il servizio militare e, affinché potesse occupare il giusto posto di comandante in capo, l'esercito fu costretto ad abbassare il livello di statura prestabilito ad un metro e cinquantuno; questo non fece tuttavia aumentare di molto il numero dei soldati perché bisogna onestamente dire che, salvo alcune eccezioni, il re era l'adulto più basso di tutta l'Italia.
    Insistere sulla sua statura è importante perché nella misura in cui gli uomini fanno la storia, questa sua piccolezza, che lo obbligava a guardare il mondo come lo guarda un verme, doveva influenzare tutta la storia italiana della prima metà del secolo non meno della guerra, del comunismo e di Mussolini. È una considerazione offensiva, ma, come vedremo, risponde a verità.

Luigi Morandi[modifica]

  • È noto che Ruggero Bonghi scrisse nel 1885, che nessuno de' nostri giovani veniva istruito con maggior cura e più scrupolosa diligenza del futuro Re d'Italia. Ma io posso aggiungere che lo stesso Bonghi, di cui l'ingegno e la dottrina erano una continua umiliazione per gli altri, disse a me che il Principe [di Napoli Vittorio Emanuele], con le acute e inaspettate domande, metteva soggezione.
  • Facendo ogni anno i bagni e prendendo insieme lezione di nuoto a Venezia (s'è poi sempre mantenuto appassionato del mare e nuotatore abilissimo), [il giovane Vittorio Emanuele] aveva imparato il veneziano con tanta facilità, che la Marchesa di Villamarina mi raccontava d'esserne rimasta maravigliata lei e la Regina. Più agevolmente ancora aveva potuto imparare il piemontese, perché a Corte lo parlavano spesso e volentieri quasi tutti.
  • Ordinariamente, [il giovane Vittorio Emanuele] continuava a studiare più o meno persino durante i bagni, o le gite e i viaggi, intorno ai quali doveva scrivere diari o relazioni, con cui, mi disse un giorno scherzando, gli si avvelenava il divertimento.
  • Un'occupazione intellettuale, a cui il Principe si dedicò fin da giovinetto, e che poi, pure attendendo seriamente a tante altre cose, non abbandonò quasi mai, fu la numismatica.
    Vi si avviò da sé, a dieci o undici anni, con un umile soldo di Pio IX; da sé cambiò metodo, quando s'accorse che con l'abbracciar troppo stringeva poco, e da sé finisce con la grandiosa idea del Corpus Nummorum Italicorum.
    È uno dei più begli esempi d'autodidattica che si conoscano.

Note[modifica]

  1. a b c d e f g h i Citato in Silvio Bertoldi, Vittorio Emanuele III, in Le ultime monarchie, Istituto Geografico De Agostini, 1973, p. 65.
  2. Citato in Cerfberr, Paris pendant la guerre, Paris, 1919, p. 103.
  3. Citato in Paolo Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, 1958, p. 3.
  4. Citato in Antonio Cottafavi, Mondo contemporaneo, Cappelli editore, 1962.
  5. R. De Felice, "Mussolini il duce. Lo stato totalitario (1936-1940)." Einaudi, Torino, 1996, p.33.
  6. Citato in Robert Katz, La fine dei Savoia (The Fall of the House of Savoy), traduzione di Maria Vittoria Martinelli, Editori Riuniti, Roma, 1975, p. 444.
  7. Citato in Paolo Pavolini, 1943, la caduta del fascismo – 1, Fratelli Fabbri Editori, 1973.
  8. Citato in Pier Paolo Cervone, Enrico Caviglia, l'anti Badoglio, Mursia, 1991.
  9. Dal proclama del 24 maggio 1915, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 605.
  10. Da un telegramma del 20 settembre 1920; citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 605.
  11. Citato in Indro Montanelli, L'Italia delle grandi guerre, Bur, 2015, p. 20. ISBN 88-586-8270-X
  12. Il re era un appassionato numismatico.
  13. Allusione al 25 luglio 1943 e al voto del Gran consiglio che provocò la caduta di Mussolini.
  14. Il 2 giugno 1946 si svolse il referendum istituzionale sulla forma dello Stato.
  15. Residenza privata nella periferia romana della famiglia reale.
  16. Citato da Randolfo Pacciardi nella Seduta pomeridiana del 6 marzo 1951 della Camera dei Deputati.
  17. Francesco Barbagallo, Francesco Saverio Nitti, UTET, Torino, 1984, p. 489.

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