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György Lukács

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György Lukács

György Lukács de Szeged (1885 – 1971), filosofo e critico letterario ungherese.

Citazioni di György Lukács

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  • Del suo passato socialdemocratico Woltmann conserva la terminologia e parla di evoluzione sociale, di struttura sociale, ma tutte queste categorie vengono da lui convertite in categorie biologico-razzistiche. Cosi, per esempio, il plusvalore è per lui un concetto biologico. La divisione sociale del lavoro «si fonda sulla diversità di caratteristiche fisiche e spirituali». I contrasti di classe sono «latenti contrasti di razza». Su questa base egli modifica l'apologia revisionistica del capitalismo nel senso che questo sarebbe l'ordinamento migliore per la selezione.[1]
  • I rapporti sociali sono sfuggiti al controllo degli uomini stessi assumendo la forma di cose.[2]
  • Il mondo del capitalismo odierno come inferno e l'impotenza di tutto ciò che è umano davanti alla potenza di questo inferno, costituisce il contenuto dell'opera di Kafka.[3]
  • [...] in tutte le espressioni esistenziali di Philippe s'inserisce qualcosa di idilliaco.[4]
  • [Su I promessi sposi] Manzoni descrive quindi direttamente soltanto un episodio concreto della vita del popolo italiano: l'amore, la separazione e il ritrovarsi di un giovane e di una fanciulla, entrambi di condizione contadina. Ma nella sua rappresentazione il fatto si sviluppa in modo da diventare la generale tragedia del popolo italiano in una situazione di avvilimento e spezzettamento nazionale. Senza mai uscire da una concreta cornice locale e temporale; da una psicologia condizionata dall'epoca e dalla classe sociale, il destino dei due protagonisti diventa la tragedia del popolo italiano in genere.[5]
  • Quando le classi dominanti non possono più governare alla vecchia maniera, e le classi dominate non vogliono più vivere allo stesso modo, allora nasce la situazione rivoluzionaria.[6]
  • [Georg Büchner] Un campione ottocentesco del realismo, nella strenua lotta letteraria tra progresso e reazione.[7]
  • Woltmann rappresenta un grado superiore del passaggio allo sviluppo reazionario del biologismo. La sua posizione specifica consiste in questo che egli, come ex socialdemocratico (era un revisionista che aveva cercato di conciliare Marx con Darwin e Kant), poteva fare altri passi essenziali nell'adattare la teoria della razza alle necessità dell’imperialismo. Egli sviluppa ulteriormente la tesi formulata da Gumplowicz[8], che le lotte di classe sono essenzialmente lotte di razza, «purificandola» dagli scrupoli e dalle incongruenze di Gumplowicz; accoglie quindi – in una forma adattata ai tempi – certi pensieri di Gobineau e anche elementi della teoria razziale francese ulteriormente sviluppata nel frattempo (Lapouge[9] ecc.).[10]

Breve storia della letteratura tedesca.

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  • [Heinrich Heine] Egli è in Germania il primo pensatore e poeta rivoluzionario che sia al livello dello sviluppo europeo, nonché, accanto a Goethe e Hoffmann, l'unico scrittore tedesco dell'Ottocento che abbia avuto una vera influenza sulla letteratura mondiale. (p. 83)
  • Nietzsche, un intenditore di prima forza in fatto di decadenza [...] (p. 103)
  • La sincerità poetica, la sincerità con se stessi, è tanto più indisturbata e integrale quanto meno il contenuto da rappresentare abbraccia la totalità del mondo esterno, quanto minore è l'ignoranza (e il non voler sapere) che si frappone tra l'autore e l'oggetto che deve configurare. (p. 147)
  • Rilke In quanto poeta egli accetta e traduce in parola tutto, anche le cose e gli eventi più infimi e impercettibili, anche l'orribile e il terribile, cogliendo ed esprimendo tutto con finezza e nobiltà, con un entusiasmo e una partecipazione come in pochi poeti prima di lui. Ma dall'oggetto più insignificante, o meglio dal modo rilkiano di cogliere l'oggetto più insignificante, echeggia sempre di nuovo – più puro nella più matura stagione del poeta – questo lamento dell'uomo smarrito in un mondo fondamentalmente estraneo, anzi ostile:
    [...] denn das Schöne ist nichts
    als des Schrecklichen Anfang, den wir noch gerade ertragen,
    und wir bewundern es so, weil es gelassen verschmäht,
    uns zu zerstören.
    [11]
    Che «sicurezza»[12]è questa che così risuona nel più puro dei suoi cantori? (pp. 148-149)
  • La concretezza e la profondità poetica stanno ai problemi sociali del loro tempo nello stesso rapporto di Anteo alla terra. [proporzione] (p. 155)
  • [Su La morte a Venezia] Thomas Mann assume qui l'eredità della critica sociale di Theodor Fontane, ma estendendola a una critica della prussificazione interiore di tutti gli intellettuali tedeschi. Ed egli mostra come questo «contegno» escluda bensì rigidamente l'uomo dal suo ambiente sociale, conferendogli l'apparenza e l'illusione dell'intima solidità morale, ma come basti la minima scossa per mettere in libertà il mondo psichico sotterraneo, il caos bestiale e barbarico che era stato puramente represso e artificialmente soffocato, ma non inteso e superato moralmente. (p. 164)
  • [Su La montagna incantata] Nel romanzo di Thomas Mann l'esito della lotta resta incerto; ed esso avrebbe potuto esercitare una notevole funzione di orientamento, poiché il pareggio con cui termina lo scontro ideologico implica un'importante e feconda critica della democrazia; la dove il campione dell'ideologia democratica si attiene alla versione tradizionale della sua ideologia politica, cioè resta pressapoco al livello della realtà di Weimar, viene sempre battuto dalla demagogia sociale del suo avversario. (p. 175)
  • [Su La montagna incantata] Thomas Mann offre qui, nella sua maniera cauta, qualcosa di estremamente importante per la letteratura tedesca: cioè un'autocritica corrosiva dell'assenza di dimensioni sociali, spaziali e temporali, propria della letteratura tedesca del periodo imperialistico. L'azione viene qui consapevolmente situata in un ambiente artificialmente isolato. Gli uomini sono bensì determinati dalla loro psicologia sociale, ma si trovano al di fuori del loro normale ordito di legami sociali. Si ha così un simbolo ironico della descrizione della società nell'imperialismo tedesco. (pp. 175-176)

Teoria del romanzo

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Felice il tempo nel quale la volta stellata è la mappa dei sentieri praticabili e da percorrere, che il fulgore delle stelle rischiara. Ogni cosa gli è nuova e tuttavia familiare, ignota come l'avventura e insieme certezza inalienabile. Il mondo è sconfinato e in pari tempo come la propria casa, perché il fuoco che arde nell'anima partecipa all'essenza delle stelle; come la luce del fuoco, così il mondo è nettamente separato dall'io, epperò mai si fanno per sempre estranei l'uno all'altro. Perché il fuoco è l'anima di ogni luce, e nella luce si avvolge il fuoco. Così ogni atto dell'anima riceve un senso e giunge al compimento entro questa duplicità: esso è compiuto nel senso e compiuto per i sensi, è perfetto perché l'anima riposa in se stessa mentre muove all'azione; è perfetto, ancora, perché il suo agire si stacca da essa e, fattosi autonomo, perviene al proprio centro e si iscrive in un suo conchiuso ambito.

[György Lukács, Teoria del romanzo, traduzione di Antonio Liberi, Newton Compton Italiana, 1972.]

Citazioni

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  • E così questo primo grande romanzo della letteratura universale [il Don Chisciotte] si colloca all'inizio del tempo in cui il Dio del cristianesimo incomincia a lasciare il mondo; in cui l'uomo cade in solitudine e riesce a trovare il senso e la sostanza solo in un'anima, la sua, il cui domicilio è irreperibile; in cui il mondo, sganciato dal vincolo paradossale che lo teneva unito a un aldilà attualizzato, cade in balia della sua immanente insensatezza; in cui la potenza dell'esistente – inasprita dal progressivo degradarsi dei nessi utopici a mere entità – cresce fino ad assumere proporzioni inaudite e conduce una lotta furibonda e senza meta apparente contro la marea montante di quelle forze ancora inconcepibili, ancora incapaci di autorivelarsi e impregnare il mondo. (parte seconda, Saggio di una tipologia della forma del romanzo, cap. 1, L'idealismo astratto; 1999, pp. 95-96)
  • Questi romanzi [d'avventura], infatti, hanno perduto l'unica tensione feconda, cioè la tensione trascendentale; sicché o l'hanno riciclata in termini puramente sociali, oppure hanno individuato il principio motore dell'azione nel gusto di un'avventura fine a se stessa. In entrambi i casi, malgrado l'innegabile talento di alcuni di questi poeti, non era possibile sottrarsi alla sensazione di una trivialità di fondo, dovuta all'approssimarsi sempre più deciso – fino alla reciproca confluenza finale – del grande romanzo alla letteratura d'intrattenimento. (parte seconda, Saggio di una tipologia della forma del romanzo, cap. 1, L'idealismo astratto; 1999, p. 97)
  • Ma la speranza non va considerata affatto alla stregua di un'opera d'arte astratta e isolata dalla vita, il cui fallimento acquisti il carattere di una immonda profanazione; essa stessa, infatti, non è che una parte della vita, e nel tentativo di adattarvisi e adornarla, la speranza nutre il proposito, destinato tuttavia a rimanere senza effetto, di dominarla. (parte seconda, Saggio di una tipologia della forma del romanzo, cap. 2, Il romanticismo della disillusione; 1999, p. 119)
  • Il romanzo è la forma dell'avventura [...]; il suo contenuto è la storia di un'anima che si mette in cammino per conoscersi, che cerca l'avventura per mettersi alla prova, per trovarvi, confermando se stessa, la propria essenzialità. Edizione? Edizione?
  • Noi non possiamo più respirare in un mondo chiuso e compresso. Noi abbiamo scoperto la produttività dello spirito, ed è per questo che i modelli originari hanno per noi per sempre smarrito la loro evidenza oggettiva ed il nostro pensiero batte ormai la strada senza fine dell'approssimazione mai paga e mai appagante. (1972)
  • Noi abbiamo inventato l'arte del plasmare: pertanto a tutto ciò che le nostre mani stanche e disperate lasciano cadere e abbandonano fanno difetto l'estremo compimento e l'insuperabile perfezione. (1972)
  • Il romanzo inscrive il centro essenziale della sua totalità entro lo spazio compreso fra il suo inizio e la sua fine, e con ciò innalza l'individuo all'altezza infinita di colui che mediante la propria vita e il proprio esperire deve creare un intero mondo e, creatolo, mantenerlo in equilibrio: all'altezza cui mai l'individuo epico può giungere, neppure quello dantesco, il quale deve il suo significato e il suo valore non già alla sua pura individualità, bensì alla «grazia» che gli è stata largita. In forza di quella sua avulsione e di quel suo distacco l'individuo è però ridotto a mero strumento, e la sua posizione centrale ed egemone trova la propria giustificazione nell'essere egli atto ad evidenziare una determinata problematica del mondo. (1972)

Citazioni su György Lukács

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  • «Finché parlava», diceva Thomas Mann di lui, per sottolinearne la forza dialettica, «aveva ragione». Kafka, col quale le spettrali vicende del mondo costrinsero il vecchio Lukács a fare i conti, avrebbe potuto insegnargli che talvolta si ha ragione quando si tace. Ma il silenzio non è dialettico, non è hegeliano, è mistico o ironico (o entrambi); non è Marx, ma è Wittgenstein o Hofmannsthal, è viennese. (Claudio Magris)
  • L'ebreo Naphta[13] è concepito e modellato secondo la persona di Lukács. Vi è, in questo personaggio, come l'intuizione folgorante e geniale che caratterizza il militante scaltro mille volte più centrata di qualunque ritratto di saggista. (Nicolas Baudy)
  • Lukács era, in definitiva, un cattolico senza fede che guardava con favore alla restaurazione del sistema gerarchico e cosmopolita della Chiesa medievale, vedendo in esso ciò che mancava costitutivamente al capitalismo: un ordine animato da una grande fede, regolato da rigorosi princìpi morali e fondato sull'ascetismo spirituale. Per questa ragione, egli aveva manifestato scarsa simpatia per il socialismo della Seconda Internazionale, troppo laico e imbevuto di spirito illuministico, e perciò privo del pathos social-religioso che aveva caratterizzato il cristianesimo delle origini. (Luigi Fenizi)
  • Lukács, essenzialmente, aderì all'interpretazione ortodossa del realismo socialista, per quanto fosse meno disposto di Ždanov alla tendenziosità e più tollerante rispetto agli autori dei periodi precedenti che, a suo parere, potevano creare un'arte realista significativa, a dispetto della loro stessa classe di appartenenza. (Marvin Carlson)
  • Rifacendosi alle osservazioni di Marx ed Engels, Lukács propone una letteratura di «realismo», ovvero di accurata rappresentazione della complessiva situazione storico-sociale di una data società. I relativi personaggi non dovrebbero essere né tanto particolari da non poter essere visti in chiave generale, né tanto astratti da essere di fatto intercambiabili: dovrebbero unire, invece, il generale e il particolare, formando dei «tipi» esemplificativi delle leggi universali della società. (Marvin Carlson)
  • Un filosofo come Lukács detesta in Nietzsche il fondatore dell'irrazionalismo moderno, l'avversario della democrazia e del socialismo, lo strumento ideologico del capitalismo nella sua fase di «imperialismo aggressivo». (Remo Cantoni)
  • È noto, dalla sua pratica politica quando ricopriva la carica di commissario del popolo[14] così come dai suoi scritti all'inizio del suo esilio a Vienna, che Lukács era, a quel tempo, un estremista di sinistra ferocemente antisocialdemocratico, convinto che solo la violenza avrebbe potuto assicurare la vittoria del proletariato tanto che lo stesso Lenin aveva ritenuto necessario denunciare il suo ultra-bolscevismo.
  • Lukàcs aveva festeggiato, da poco, il suo ottantaseiesimo compleanno e i medici lo avevano persuaso che un cambiamento d'aria e alcuni giorni di riposo fuori Budapest gli avrebbero fatto bene in quell'inizio di primavera. L'incontro ebbe cosi luogo non lontano da Budapest, in una villa, in mezzo a un bosco, riservata ai dignitari del Partito e agli ospiti del governo. Quando vi giunsi, Lukàcs stava tornando in compagnia di suo genero, Lajos Janossy, da una passeggiata. Egli era del tutto simile a come lo avevo immaginato dalle fotografie, dalle immagini televisive e dalla descrizione di Naphta da parte di Thomas Mann ne La montagna incantata salvo che per un particolare: invece di trovarmi davanti a una persona fredda, riservata se non addirittura scostante, fui sorpreso dall'amabilità, dall'affabilità di Lukàcs. Dal momento che il suo male era incurabile, mi era stato detto di non tralasciare il tradizionale dono di una scatola di sigari. Egli se ne mostrò felicissimo e mentirei a me stesso (o cederei per paura del ridicolo a non so quale falso pudore) se non confessassi di aver provato per lui, al momento della separazione, un sentimento di amicizia e perfino di affetto.
  • Lukács non è uno di quei marxisti cresciuti, fin quasi dall'infanzia, nelle e per le lotte del movimento operaio. Al Partito comunista ungherese ha aderito soltanto dopo aver passato la trentina senza aver letto seriamente Marx e, come lui stesso ha riconosciuto, per motivi essenzialmente etici.
  • Per ciò che riguarda la tesi del rapporto tra struttura e soprastruttura, Lukács non porta alcun nuovo contributo per quanto concerne la teoria, ne allarga bensì il campo di applicazione a una sfera poco esplorata da Marx: quella della sociologia dell'arte e specificamente della letteratura.

Note

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  1. Da La distruzione della ragione (Die Zerstörung der Vernunft), Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2011, vol. II, cap. VII, Il darwinismo sociale, p. 703.
  2. Da Prolegomeni all'ontologia dell'essere sociale, traduzione di A. Scarponi, Guerini, Milano 1990.
  3. Citato nell'introduzione di Roberto Fertonani a Franz Kafka, Il castello, traduzione di Anita Rho, Oscar Mondadori, 1979, p. 32.
  4. Citato in prefazione a Charles-Louis Philippe, Croquignole, a cura di Giacinto Spagnoletti, Armando Curcio Editore, 1979.
  5. Da Il romanzo storico, Introduzione di Cesare Cases, traduzione di Eraldo Arnaud, Einaudi, Torino, 1970, p. 82.
  6. Citato in Enzo Biagi, Quante storie, Rizzoli, Milano, 1989, p. 195. ISBN 88-17-85322-4
  7. Citato in Vladimiro Cajoli, Mi vergogno di essere servo, La Fiera Letteraria, aprile 1973.
  8. Ludwig Gumplowicz (1838-1909), sociologo, giurista e poltologo polacco.
  9. Georges Vacher de Lapouge (1854-1936), antropologo francese.
  10. Da La distruzione della ragione (Die Zerstörung der Vernunft), Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2011, vol. II, cap. VII, Il darwinismo sociale, p. 703.
  11. [...] Ché il bello | è solo l'inizio del tremendo, che noi sopportiamo, | ancora ammirati perché tranquillo disdegna | di sgretolarci. Traduzione di Leone Traverso. Citato in Breve storia della letteratura tedesca, p. 149, nota 1.
  12. L'"epoca della sicurezza": l'epoca guglielmina, "come la chiamerà più tardi la critica reazionaria". Cfr. Breve storia della letteratura tedesca, p. 146.
  13. Personaggio de La montagna incantata di Thomas Mann.
  14. Nel periodo della Repubblica sovietica ungherese di Béla Kun del 1919.

Bibliografia

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  • György Lukács, Breve storia della letteratura tedesca. Dal Settecento ad oggi, traduzione di Cesare Cases, Einaudi, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, edizione4.
  • György Lukács, Teoria del romanzo, traduzione di Antonio Liberi, Newton Compton Italiana, 1972.
  • György Lukács, Teoria del romanzo, a cura di Giuseppe Raciti, SE, Milano, 1999. ISBN 88-7710-433-3

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