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André Maurois

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André Maurois

André Maurois, pseudonimo di Émile Salomon Wilhelm Herzog (1885 – 1967), scrittore francese.

Citazioni di André Maurois

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  • Ci sono persone per le quali la verità pura è veleno.[1]
  • Il vero spirito sportivo partecipa sempre dello spirito religioso.[2][3]
  • Le mentalità di generazioni diverse sono impenetrabili l'una all'altra come le monadi di Leibnitz.[1][3]
  • Non basta avere dello spirito. Bisogna anche averne abbastanza da non averne troppo.[4][3]
  • Quel che gli uomini vi perdonano meno facilmente è il male che essi hanno detto di voi.[4][5]

La prima "Lady" stregata da Byron

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Tutta Londra non parlava che di lui. Folle di illustri personaggi sollecitavano una presentazione, o lasciavano biglietti da visita. A Saint James's Street le carrozze ferme dinanzi alla sua porta impedivano la circolazione. Nella vetrina d'un libraio era esposta una copia del Giovane Aroldo che la principessa Carlotta, figlia del Reggente, aveva fatto rilegare. Il Reggente stesso volle conoscere Byron, e a lungo lo intrattenne sui poeti e sulla poesia. Nei pranzi di Mayfair il mormorio delle conversazioni non era altro ormai che un assiduo «Byr'n, Byr'n» ripetuto all'infinito.

Citazioni

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  • Ogni stagione aveva il suo uomo del giorno, sia politico, sia militare, sia letterario; Byron fu l'uomo del giorno senza rivali delle serate eleganti del 1812.
  • Lady Roseberry, conversando con lui sulla soglia d'una camera, sentì d'un tratto il cuore batterle con tale violenza che appena riuscì a spiccicar parola. E lui, che aveva già compreso l'effetto prodotto, saggiava su quella donna il potere affascinante del suo «vagheggiare sottecchi».
  • Pazzo? Malvagio? Né l'uno né l'altro: ma pericoloso a conoscersi, sì certo. Diffidente prima di tutto; spirito ferito sempre armato in difesa. Non ci sarebbero state più donne che lo avrebbero fatto soffrire; conosceva ormai quel che sono le donne e come bisogna trattarle.
  • Lady Carolina era capricciosa, soggetta a scatti di furore violenti, e così mutevole d'umore che a volte veniva fatto di pensare a una vera e propria forma di pazzia. Fino a quindici anni non le avevano insegnato nulla; poi, tutt'a un tratto, lei scoprì il greco, il latino, imparò la musica, il francese, l'italiano, dipinse, recitò, disegnò, fece caricature, sì da diventare in pochi anni una delle giovani dame più originali di Londra.
  • Ella si paragonava al girasole che «una volta contemplato in tutto il suo splendore il sole vivido e senza nubi che per un momento ha consentito a illuminarlo, non può più pensare per tutto il resto della sua esistenza che un minore oggetto possa esser degno del suo culto e della sua ammirazione».
  • La fece sua con un sangue freddo perfetto. Byron fu per Carolina un amante detestabile, severo, che giudicava senza illusioni, con quel realismo spietato e disincantato che era, quando egli non amava, la forma naturale del suo carattere.

Storia degli Stati Uniti

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Circa cinque secoli fa i popoli dell'Europa, dell'Africa e dell'Asia ignoravano perfino l'esistenza delle terre che oggi noi chiamiamo America. Esse erano separate dai centri civili dell'Europa e dell'Asia da oceani così immensi che i naviganti non avevano né audacia né mezzi per superarli. Il punto relativamente più vicino al vecchio mondo si trovava al Nord, in regioni glaciali e di quasi impossibile accesso. Su territori vastissimi era diluita una popolazione che potrebbe oggi essere raccolta in qualche isolato di Manhattan, con la conseguenza che, quando queste terre vergini furono scoperte dagli esploratori, esse divennero un campo sperimentale. Per la prima volta gli europei avevano la possibilità di superare, con una traversata di qualche settimana di viaggio, le liti e le guerriglie secolari che li dividevano; per la prima volta i problemi della proprietà dei terreni, e le sequele di odi che tali problemi trascinavano con sé, passavano in secondo piano; per la prima volta dalla preistoria, il nemico più pericoloso per l'uomo era non l'uomo, ma la natura. Per causa di questo incontro fra un continente inesplorato e una civiltà già avanzata, la storia sociale prese una nuova direzione.

Citazioni

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  • Il presidente eletto dal Consiglio di Jamestown fu Edmund Wingfield, ma l'uomo più interessante della piccola colonia [la Virginia] era un giovane di buona famiglia che, dai sedici anni in poi, si era dato alla vita avventurosa: il capitano John Smith. Col suo bel viso brunito dal sole, la barba nera tagliata a punta, John Smith era un elisabettiano fervente. Molti coloni lo odiavano perché ne erano invidiosi, ma ricorrevano a lui sia per calmare gli indigeni sia per domandare loro provviste. (p. 36)
  • Roger Williams, «un pio giovane, un pazzo divino» arrivato dall'Inghilterra nel 1631 e diventato istruttore a Salem, s'attirò l'ostilità della Corte Generale insegnando che tutti gli uomini, essendo figli di Dio, sono uguali e fratelli; che una concessione reale non dava alcun fondato diritto su terre che erano in realtà di proprietà degli indiani; che Stato e Chiesa dovevano essere divisi; che limitare il diritto di voto in materia civile ai membri della Chiesa sarebbe stato come scegliere un medico secondo la sua fede religiosa; e infine che tutte le persecuzioni per ragioni di coscienza religiosa erano evidentemente e purtroppo contrarie alla dottrina di Cristo. (p. 44)
  • L'America ha un grande debito di riconoscenza verso [Roger Williams] il fondatore del liberalismo politico. (p. 45)
  • Franklin, ragionevole, arguto, moderato, è il grande scrittore della sua epoca e come un Voltaire americano fuso a un Sancho Pancha. Anche se non possiede la folle poesia di Candide egli ha della forza, sotto l'ironia, nella satira e il suo buon senso tocca il genio. (p. 84)
  • Nel 1767 Charles Townshend, uomo simpaticissimo, amante dei paradossi, ricco tanto di spirito quanto d'impertinenza, "il quale era di tutti i partiti e si prendeva beffe di tutti" e in un dibattito difendeva con pari genialità le due tesi opposte; Townshend, che "superava Lord Chatam in eloquenza, Burke nelle immagini, Grenville in vanità, Rigby in impazienza, se stesso in distrazione e il mondo intero in buon umore", era Cancelliere dello Scacchiere. (p. 116)
  • Samuel Adams mangiava poco, beveva poco, dormiva poco, pensava molto, affermava di più. (p. 121)
  • [Samuel Adams] Voleva sinceramente difendere la libertà ma era incapace di lasciarla a coloro che non la pensavano come lui. Condannava l'intolleranza e la praticava senza rimorsi. Né aveva maggiori scrupoli a calunniare i servitori della Corona. Fin dall'adolescenza, aveva scelto come argomento della sua tesi di Master of Arts a Harvard: "È legale resistere al capo dello Stato, se la comunità non può essere salvata diversamente?" e aveva concluso in senso affermativo. Nutrito di scolastica puritana, concepiva il mondo come il campo di una lotta eterna fra la Libertà e la Tirannide. La tirannide non poteva essere vinta che dalla sovranità del popolo; la libertà non poteva essere salvata che dall'uguaglianza. Samuel Adams non ammetteva nemmeno il Governo parlamentare e vedeva nel town meeting, dove trionfava, la sola vera democrazia. (p. 123)
  • John Adams non assomigliava punto al cugino Samuel. Questi soffriva di complessi d'inferiorità; John Adams era piuttosto affetto da un complesso di superiorità. Figlio di un possidente del Massachusetts, aveva studiato ad Harvard, dove s'era fatto notare per la sua intelligenza. Cento anni prima, la sua insaziabile ambizione avrebbe fatto di lui un pastore d'anime; verso la metà del secolo XVIII lo studio del diritto sembrava il cammino più sicuro verso il potere. Lettore assiduo dei classici, conoscitore profondo di Cicerone e Montaigne, pensava di aver assimilato l'arte del Governo e desiderava governare. Il coraggio civile non gli mancava. (p. 127)
  • Mai uomo fu più di Washington fatto per il comando. Aveva energia, decisione, autorità. Aveva dominato il suo carattere ed era giunto a un perfetto controllo di se stesso. «Non ho risentimenti» diceva. Ma ne nutriva uno, e inestinguibile, contro l'Inghilterra. (p. 134)
  • Fu il re Giorgio III che costrinse le colonie [inglesi nell'America del Nord] a passare il loro Rubicone. Egli non era né cattivo né sciocco, e aveva un'idea abbastanza elevata dei suoi doveri. Gran lavoratore, sognava di essere un buon despota. Ma non esistono buoni despoti. Per dominare Parlamento e Stampa, li aveva corrotti. La corruzione aveva infettato ministeri, esercito, marina. Così il re, per rafforzare il proprio potere personale, aveva indebolito il regno. Ai suoi occhi, l'affare americano era una questione d'onore. (p. 138)
  • Nel suo Discorso del Trono, nell'ottobre 1775, [Giorgio III] disse che l'Inghilterra non avrebbe mai rinunciato alle sue colonie, che si sarebbe fatta rispettare con le armi, ma avrebbe trattato con indulgenza i suoi figli traviati, se avessero chiesto il perdono del re. Lo sfortunato sovrano non poteva comprendere a che punto proprio George Washington, tra mille altri, era poco disposto a venire, da figlio pentito, a implorare l'amnistia. (p. 139)
  • Sir John Burgoyne era un po' autore drammatico, un po' cortigiano e perfetto uomo di mondo. Aveva molto complottato per avere il comando [del corpo di spedizione anglo-tedesco nella guerra d'indipendenza americana] invece del generale Carleton e, essendo genero di Lord Derby, lo aveva ottenuto. Del successo della sua spedizione non dubitava. Come avrebbero potuto dei civili vincere un militare di carriera? [...] Gli inglesi erano talmente convinti che si trattasse d'una semplice passeggiata militare che parecchi ufficiali portarono le loro mogli e Burgoyne stesso la propria amante, ch'era anche la moglie d'un suo ufficiale. (pp. 149-150)
  • La guerra d'Indipendenza americana ha trasformato tanto l'Europa quanto l'America. S'è detto che l'evento più importante della storia d'Inghilterra nel XVIII secolo è stato la presa della Bastiglia. Si potrebbe dire altrettanto giustamente che l'evento più importante della storia d'Europa, in quello stesso secolo, sia stato il Congresso di Filadelfia. (p. 176)
  • Tutte le sedute [per la redazione della Costituzione degli Stati Uniti d'America] si svolsero a porte chiuse. I membri s'impegnarono, sul loro nome, a non rivelar nulla delle discussioni. [...] Sentinelle erano di fazione davanti alle porte della conferenza e nessun segretario assisteva ai dibattiti. Questo metodo salvò la convenzione e assicurò la qualità dei suoi lavori. Più volte conflitti violenti opposero i delegati gli uni agli altri. Se questi disaccordi fossero stati pubblici, ogni compromesso sarebbe divenuto impossibile. La Costituzione degli Stati Uniti, opera eccellente, è figlia della Saggezza e del Segreto. (pp. 194-195)
  • La Costituzione degli S. U. è essenzialmente un compromesso tra la necessità di creare un Governo repubblicano per conservare l'appoggio del popolo e il desiderio di premunirsi contro la demagogia per conservare la fiducia dei notabili. Nel progetto adottato, poteri uguali si controllavano reciprocamente. (p. 196)
  • Si può dire che fu Thomas Jefferson a fare degli Stati Uniti una potenza continentale. Non solo dette al suo paese la Louisiana, ma lanciò per primo, verso il Pacifico, una spedizione americana per via terrestre. (p. 235)
  • Era scritto che i più grandi successi di Jefferson dovevano ottenersi attraverso la violazione dei suoi principi. Quel pacifista fece una guerra [contro i corsari barbareschi[6]], la condusse e la vinse a quattromila miglia dall'America. (p. 235)
  • La frontiera americana non era quello che gli europei intendono per confine, ossia la linea che separa un paese dall'altro. Il vocabolo frontiera, in America designava "la frangia schiumosa che segnava l'ultima traccia delle ondate umane", la zona "dove la densità della popolazione era inferiore a due o tre abitanti per ogni miglio quadrato, o dove i bianchi conducevano una vita da indiani". Là si conservava il tipo del pioniere, con le sue virtù e i suoi difetti. (p. 274)
  • Per quanto riguarda l'eccellenza delle leggi che i padri e fondatori avevano dato agli Stati Uniti, il tempo si era incaricato di provarla. La Costituzione si era rivelata, con l'uso, un ottimo strumento di Governo. Essa aveva, pur conservando al popolo i suoi diritti di controllo, creato un potere esecutivo durevole e potente. La formula federale permetteva all'Unione di godere "sia della potenza di una grande repubblica, sia della sicurezza di una piccola". Il potere giudiziario aveva, grazie a John Marshall, compreso che la sua funzione non era quella di opporsi alla volontà della maggioranza, ma di regolarne, di dirigerne, di rallentarne i movimenti. (p. 282)
  • Cornelius Vanderbilt fu il primo di questi geniali pirati che unificarono le ferrovie degli Stati Uniti, con grandi guadagni per se stesso ma indiscutibili vantaggi per il paese. Vanderbilt era nato povero e aveva costruito la sua prima fortuna trasportando passeggeri di Staten Island a New York. Poiché possedeva dei battelli lo chiamavano il "commodoro". Solo molto più tardi egli si dedicò alle ferrovie. (p. 399)
  • Alla fine della guerra civile [guerra di secessione americana] rimanevano press'a poco duecentoventicinquemila aborigeni fra il Mississippi e le Montagne Rocciose. Molte tribù erano state civilizzate. Essi stipulavano, in piena buona fede, con gli Stati Uniti, trattati in cui veniva riconosciuta loro la proprietà di alcuni territori. Poi i bianchi domandavano loro il diritto di transito: essi l'accordavano. Allora sopraggiungevano allevatori e fattori che pretendevano che gli indiani vendessero loro delle terre. Se rifiutavano i Visi Pallidi li massacravano. Nell'Oregon, nel 1871, un gruppo di bianchi, aiutato da cani, spinsero dopo una vera e propria caccia numerosi indiani in una caverna e li uccisero tutti: uomini, donne e bambini. (p. 401)
  • Grant possedeva un fascino semplice, una grande bontà e una ingenua fiducia nei suoi amici. Le sue vittorie militari l'avevano reso cosciente del debito della nazione verso di lui. Egli considerava la presidenza non come un peso, ma come una ricompensa. Della Costituzione, dei doveri di un Presidente, egli ignorava tutto, e non faceva nessuno sforzo per informarsene. (p. 407)
  • Il presidente Hayes, eccellente amministratore e tutt'altro che uomo di parte, ebbe tuttavia una presidenza difficile. Gli stessi repubblicani non erano favorevoli a un Presidente eletto quasi di forza. Essi lo trovavano troppo equo, troppo moderato, e lo chiamavano Granny Hayes (Nonna Hayes) per dileggio. (p. 416)
  • [Hayes] [...] aveva una chiara idea di quello che era saggio. Regolò come meglio gli fu possibile questioni spinose. L'importazione di mano d'opera cinese, a basso prezzo, irritava gli operai della California. Hayes si accordò col Governo cinese per limitare questa emigrazione. Scioperi violenti, nel 1877, misero a fuoco e a sangue Pittsburgh e Chicago; il Presidente convoco le milizie di parecchi Stati e ristabilì l'ordine, [...]. (pp. 416-417)
  • "È stata una meravigliosa piccola guerra" [riferendosi alla guerra ispano-americana del 1898[7]] scrisse più tardi John Hay, segretario di Stato, erudito ironico, affascinante, uno dei migliori diplomatici del suo tempo, che cercava di osservare nel contempo la Regola d'Oro[8] e la dottrina di Monroe[9]. Fu, in effetti, una guerra senza angosce, in cui la vittoria non cambiò mai di campo, in cui l'entusiasmo del paese fu unanime, in cui di nuovo democratici e repubblicani, nordisti e sudisti si trovarono d'accordo per una causa comune. (p. 438)
  • Shakespeare non ha immaginato nulla di più tragico della fine di Woodrow Wilson. Per più di un anno lo spettro di un Presidente governò l'America. Di tanto in tanto emergevano dal ritiro impenetrabile ch'era diventata la Casa Bianca un progetto di legge o un veto, firmati con mano tremante. Quando si cominciò a dire che Wilson era pazzo, egli si mostrò a un Consiglio di Gabinetto e vi apparve sano di spirito, ma diminuito, spossato, con una gran difficoltà a concentrare l'attenzione su qualsiasi argomento. (pp. 492-493)
  • Calvin Coolidge aveva i capelli rossi, gli occhi azzurri e il più marcato accento nasale che la Nuova Inghilterra avesse mai prodotto. Si diceva che la parola cow pronunciata da lui avesse almeno quattro sillabe. Ma Coolidge aveva diritto di stiracchiar le parole, dato che ne diceva pochissime. Per natura, per educazione e soprattutto perché non aveva nulla da dire era sempre stato silenzioso. (p. 497)

L'opinione pubblica negli Stati Uniti vuole con tutto il cuore la pace. Essa attende con ansia che le si mostrino i mezzi per conservarla. Tra il 1920 e il 1940, il popolo americano s'è ingannato [chiudendosi nell'isolazionismo], perché è stato ingannato, e i suoi errori sono stati una delle cause dell'ultima guerra. Ma questo popolo è onesto. Si sforza di andare, d'errore in errore, verso ciò che egli crede sia giusto. Ha ora compreso, come disse nell'ottobre 1946 il segretario di Stato Byrnes, che «se deve cooperare a chiudere tutte le guerre europee, tanto gli vale cooperare a prevenirle».

Incipit di alcune opere

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L'istinto della felicità

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«Non hai febbre» ella disse.[10]

Sua figlia

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I ricordi dell'infanzia non sono, come quelli dell'età matura, classificati e incasellati nel tempo. Sono immagini isolate, immerse in zone d'oblio e il personaggio che vi rappresenta noi stessi è così diverso da noi, che molte di quelle immagini ci sembrano estranee alla nostra vita.[10]

Note

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  1. a b Da Ariel.
  2. Da I silenzi del colonnello Bramble.
  3. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  4. a b Da La conversazione.
  5. Citato in Fernando Palazzi, Silvio Spaventa Filippi, Il libro dei mille savi, Hoepli, Milano, 2022, n. 7910. ISBN 978-88-203-3911-1
  6. Cfr. voce su Wikipedia.
  7. Cfr. voce su Wikipedia.
  8. Cfr. voce su Wikipedia.
  9. Cfr. voce su Wikipedia.
  10. a b Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • André Maurois, La prima "Lady" stregata da Byron , traduzione di Aldo Gabrielli; citato in Storia Illustrata, Mondadori, Anno II, N. 1.
  • André Maurois, Storia degli Stati Uniti (Histoire des États Unis), traduzione di Giorgio Monicelli, I Record, Mondadori, Milano, 1966.

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