Samuel Beckett

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Samuel Beckett nel 1977
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1969)

Samuel Barclay Beckett (1906 – 1989), drammaturgo, scrittore e poeta irlandese.

Citazioni di Samuel Beckett[modifica]

  • Al giorno d'oggi andare in giro è un suicidio. Ma stare a casa, [...] che cos'è stare a casa? Una dissoluzione a fuoco lento. (da Tutti quelli che cadono, in Teatro)
  • L'uomo di buona memoria nulla ricorda, perché nulla dimentica. (dal Proust)
  • Le donne sono straordinarie, con la loro mania di far dormire gli altri nel modo in cui loro gli fanno il letto.[1][2]
  • Non c'è niente di più comico dell'infelicità. (da Finale di partita)
  • [Descrivendo la sua decisione di abbandonare la madrelingua inglese, per scrivere in francese] Potete includermi nella lugubre categoria di quelli che, se dovessero agire nella più piena consapevolezza di quello che stanno facendo non agirebbero mai. (da una lettera del 1954 a Hans Naumann[3])
  • Tutto vecchio. Nient'altro mai. Sempre tentato. Sempre fallito. Non importa. Tentare di nuovo. Fallire di nuovo. Fallire meglio.[4]

Aspettando Godot[modifica]

Incipit[modifica]

Strada di campagna, con albero.
È sera.
Estragone, seduto per terra, sta cercando di togliersi una scarpa. Vi si accanisce con ambo le mani, sbuffando. Si ferma stremato, riprende fiato, ricomincia daccapo.
Entra Vladimiro
.
Estragone. (dandosi per vinto). Niente da fare.
Vladimiro (avvicinandosi a passettini rigidi e gambe divaricate.) Comincio a crederlo anch'io.

Citazioni[modifica]

  • La lacrime del mondo sono immutabili. Non appena qualcuno si mette a piangere, un altro, chi sa dove, smette.
  • Pozzo: Ci danno la vita a cavallo di una tomba. Il giorno splende in un istante; ed è subito notte. (II)
Partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte.
  • Si lamenta della scarpa, quando dovrebbe lamentarsi del piede.
  • Vladimiro
    Un cane andò in...
    (Si accorge di aver cominciato troppo basso, s'interrompe, tossisce, riprende più alto)
    Un cane andò in cucina
    e si accostò al fornello.
    Allora col coltello
    il cuoco lo sgozzò.
    Ciò visto gli altri cani
    scavarono una fossa...
    (S'interrompe e dopo un istante di raccoglimento riprende)
    Ciò visti gli altri cani
    scavarono una fossa
    e sulla terra smossa
    scrissero con la coda:
    Un cane andò in cucina
    e si accostò al fornello.
  • Dunque non diciamo male della nostra epoca, non è più disgraziata delle altre. (Silenzio.) Non ne diciamo neanche bene. (Silenzio.) Non ne parliamo. (Silenzio.) È vero che la popolazione è aumentata...
  • Si nasce tutti pazzi. Alcuni lo restano. (Estragone)
  • Estragone: Siamo contenti. (Silenzio.) E che facciamo, ora che siamo contenti?
    Vladimiro: Aspettiamo Godot.
    Estragone: Già, è vero.
  • Non accade nulla, nessuno arriva, nessuno se ne va, è terribile!

Finale di partita[modifica]

Incipit[modifica]

Interno senza mobili.
Luce grigiastra
.
[...]
Clov (sguardo fisso, voce bianca). Finita, è finita, sta per finire, sta forse per finire. (Pausa). I chicchi si aggiungono ai chicchi a uno a uno, e un giorno, all'improvviso, c'è il mucchio, un piccolo mucchio, l'impossibile mucchio. (Pausa). Non possono più punirmi. (Pausa). Me ne vado nella mia cucina, tre metri per tre metri, ad aspettare che mi faccia un fischio. (Pausa). Sono dimensioni ideali, mi appoggerò alla tavola, guarderò il muro, aspettando che mi faccia un fischio.

Citazioni[modifica]

  • Clov (con angoscia, grattandosi): Ho una pulce.
    Hamm: Una pulce? Ci sono ancora delle pulci?
    Clov (grattandosi): A meno che non sia una piattola.
    Hamm (molto preoccupato): Ma a partire di lì l'umanità potrebbe ricostituirsi! Per amor del cielo, acchiappala!
  • Clov: Non c'è più natura. [...] almeno nelle vicinanze.

Malone muore[modifica]

Incipit[modifica]

Comunque tra poco sarò finalmente morto del tutto. Forse il mese prossimo. Allora sarebbe il mese d'aprile o di maggio. Perché l'anno è poco inoltrato, mille piccoli indizi me lo dicono. Può darsi che mi sbagli, e che superi San Giovanni e anche il Quattordici Luglio, festa della libertà. Ma che dico, son capace di arrivare fino alla Trasfigurazione, mi conosco bene, o all'Assunzione. Ma non credo, non credo di sbagliarmi se dico che questi festeggiamenti avranno luogo senza di me, quest'anno. Ho questa sensazione, ce l'ho già da qualche giorno, e le do credito. Ma in cosa differisce da quelle che mi ingannano da quando sono al mondo?

Citazioni[modifica]

  • La mia testa. È in fiamme, piena d'olio bollente. In sostanza di cosa sto per spegnermi? D'infiammazione al cervello? Sarebbe il colmo. Quanto al dolore, parola mia, è quasi insostenibile. Emicrania incandescente. Si vede che la morte mi sta prendendo per un altro.
  • Le idee si assomigliano talmente tra loro, quando le si conosce.
  • Niente è più reale di niente.[2]
  • Non val più la pena di fare il processo alle parole. Non sono più vuote di ciò che veicolano.
  • Se avessi l'uso del corpo mi butterei dalla finestra.

Molloy[modifica]

Incipit[modifica]

Sono nella camera di mia madre. Sono io a viverci ora. Non so come ci sono arrivato. Forse in un'ambulanza, certamente qualche veicolo. Mi hanno aiutato. Da solo non ci sarei arrivato. Quest'uomo che viene ogni settimana, è grazie a lui forse che sono qui. Lui dice di no. Mi dà un po' di soldi e si porta via i fogli. Tanti fogli, tanti soldi. Sì, ora lavoro, un po' come una volta, solo che non so più lavorare. Ciò non ha importanza, sembra. Io ora vorrei parlare delle cose che mi restano, accomiatarmi, finir di morire. Loro non vogliono. Sì, sono più d'uno, sembra. Ma a venire è sempre lo stesso. Lo farà più tardi, dice. Bene. Di volontà, come vedete, non ne ho più molta. Quando viene a cercare i fogli nuovi, riporta quelli della settimana precedente. Recano dei segni che non comprendo. D'altronde non li rileggo. Quando non ho fatto niente non mi dà niente, mi sgrida. Però io non lavoro per i soldi. Per cosa allora? Non lo so. Francamente, non so gran che.

Citazioni[modifica]

  • Ha un'aria da vecchio, e fa pietà vederlo andare tutto solo dopo tanti anni, tanti giorni e tante notti concessi a fondo perduto a quella voce che insorge alla nascita, e anche prima, a quell'insaziabile Come fare? Come fare?, a volte basso, un mormorio, a volte chiaro come il E da bere? del maitre, e che spesso si gonfia fino all'urlo. Per andarsene tutto solo, alla fine dei conti, o quasi, per vie ignote, al cader della notte, con un bastone.
  • Ce n'era uno in grado di mettersi al mio posto, di sentire quanto poco, in quel momento, ero quello che avevo l'aria di essere, e in quel poco che potenza c'era, di gomene tese da spezzarsi?
  • Vi dirò una cosa, quando le assistenti sociali vi offrono di che non svenire, per graziosa elargizione, cosa che per loro è un'ossessione, avete un bel tentare la fuga. Vi inseguiranno fino ai confini della terra, con l'emetico in mano. Quelli dell'esercito della salvezza non sono da meno. No, contro il gesto caritatevole non c'è difesa, che io sappia. Si china il capo, si tendono le mani tutte tremanti e giunte e si dice grazie, grazie signora, grazie mia buona signora. A chi non ha nulla è proibito non amare la merda.
  • Quanto ai particolari, se ci si interessa ai particolari, non c'è da disperare, si può finire per bussare alla porta giusta, nel modo giusto. È per l'insieme che non sembra esistere una formula magica. Forse non c'è insieme, se non postumo.
  • Non voler dire, non sapere ciò che si vuol dire, non poter dire ciò che si crede di voler dire, e dire sempre, o quasi, ecco cosa è importante non perdere di vista, nell'ardore della stesura.
  • Sta di fatto, si direbbe, che tutto ciò che si può sperare è d'essere un po' meno, alla fine, chi si era all'inizio, e in seguito.
  • La mia vita, la mia vita, ora ne parlo come d'una cosa finita, ora come d'una burla che dura ancora, e ho torto, perché è finita e perdura insieme, ma con quale tempo del verbo esprimerlo?
  • Ascolto e mi sento dettare un mondo congelato in perdita d'equilibrio, sotto una luce debole e calma e niente di più, sufficiente per vedere, capite, e congelata anch'essa. E sento mormorare che tutto si flette e cede, come sotto dei pesi, ma qui non ci sono pesi, e anche il suolo, inadatto a reggere, e anche la luce, verso una fine che sembra non debba mai esserci. Perché che fine può esserci a queste solitudini in cui non ci fu mai vero chiarore, né verticalità, né solida base, ma sempre queste cose pencolanti, slittanti in un franare senza fine, sotto un cielo senza memoria di mattino né speranza di sera. Queste cose, quali cose, venute da dove, fatte di che? E sembra che qui nulla si muova, né mai si sia mosso, né mai si muoverà, salvo io, che non mi muovo neanch'io quando sono qui, bensì osservo e mi mostro. Sì, è un mondo finito, malgrado le apparenze, è la sua fine che lo ha suscitato, è finendo che è cominciato, è abbastanza chiaro? E anch'io sono finito, quando ci sono, gli occhi mi si chiudono, le mie sofferenze cessano e io finisco, piegato come non possono esserlo i viventi.
  • E non smetteva mai di parlare, mentre io non aprivo bocca che per domandare, di quando in quando, e sempre più debolmente, in che città eravamo.
  • A forza di chiamare questa cosa la mia vita finirò per crederci. È il principio della pubblicità.
  • È al mattino che bisogna nascondersi. La gente si sveglia, fresca ed efficiente, assetata d'ordine, di bellezza e di giustizia, ed esige la contropartita.
  • Com'è difficile parlare della luna con discrezione! È così scema, la luna. Dev'essere proprio il culo quello che ci fa sempre vedere.[2]

Explicit[modifica]

  • È stata lei a dirmi di fare la relazione. Questo significa forse che adesso sono più libero? Non so. Imparerò. Allora rientrai in casa e scrissi, È mezzanotte. La pioggia sferza i vetri. Non era mezzanotte. Non pioveva affatto.

Più pene che pane[modifica]

Incipit[modifica]

Era mattino e Belacqua si trovava fermo al primo dei canti della luna. Era così impantanato che non riusciva a muoversi né davanti né indietro. C'era Beatrice colma di beatitudine, ed anche Dante, e lei gli spiegava le macchie lunari. Gli indicava in primo luogo in che cosa si ingannava, quindi gli forniva la propria spiegazione. L'aveva ricevuta da Dio, perciò poteva esser certo che fosse accurata in ogni particolare. Tutto ciò che doveva fare, era seguirla passo passo. La prima parte, la refutazione, era un gioco da ragazzi. Beatrice esponeva l'argomento con chiarezza, diceva quello che aveva da dire senza circonlocuzioni o perdite di tempo. Ma la seconda parte, la dimostrazione, era così complessa che Belacqua non riusciva a venirne a capo. La confutazione, la riprovazione, queste erano evidenti. Ma poi veniva la correzione, un rapido sommario dei fatti reali, e Belacqua era davvero impantanato. Ed anche annoiato, impaziente di giungere a Piccarda.

Citazioni[modifica]

  • [...] preferisco a Mozart il farmacista Borodin (p. 57)
  • La migliore ragione che si può dare per credere [...], è che così è più divertente. Non credere [...] è una noia. Noi non ci preoccupiamo di cambiare. Semplicemente non possiamo sopportare di annoiarci. (p. 58)
  • La differenza, dunque, dico, tra Bergson ed Einstein, la differenza essenziale, è quella tra un filosofo ed un sociologo (p. 59)

Incipit di alcune opere[modifica]

Giorni felici[modifica]

Distesa di erba inaridita che forma un monticello al centro della scena. Il pendio digrada dolcemente verso la ribalta e sui due lati: verso il fondo scende invece con un salto più brusco. Massima semplicità e simmetria.
Luce violenta
.
[...]
Winnie (guardando lo zenit). Un altro giorno divino. (Pausa. Riabbassa la testa, guarda davanti a sé, pausa. Giunge le mani sul petto, chiude gli occhi. Le labbra si muovono in silenziosa preghiera per circa dieci secondi. Si fermano. Mani ancora giunte. A bassa voce) Per amor di Gesù Cristo, amen.[...]

L'innominabile[modifica]

E adesso dove? Quando? Chi? Senza chiedermelo. Dire io. Senza pensarlo. Chiamarle domande, ipotesi. Procedere innanzi, e questo, definirlo andare, definirlo procedere.[5]

L'ultimo nastro di Krapp[modifica]

Una tarda sera nel futuro.
La tana di Krapp.
[...]
Trentanove anni, oggi, sano come un pesce, a parte la mia vecchia debolezza, e intellettualmente ho adesso ogni motivo di credere sulla... (esita)...cresta dell'onda... o da quelle parti. Celebrata l'orrenda ricorrenza, come sempre in questi ultimi anni, tranquillamente, alla Taverna. Non un'anima. Rimasto a sedere davanti al fuoco con gli occhi chiusi, a separare il grano dalla pula. Buttata giù qualche annotazione sul rovescio di una busta. Felice di essere di nuovo nella mia tana, nei miei vecchi stracci. Appena mangiato, mi spiace dirlo, tre banane, e solo con difficoltà mi sono astenuto da una quarta. Micidiale per un uomo nel mio stato.

Murphy[modifica]

Il sole splendeva, non avendo altra alternativa, sul niente di nuovo.[6]

Quella volta[modifica]

A — Quella volta che tornasti quell'ultima volta a vedere se la rovina c'era ancora dove ti nascondevi da bambino quando fu (gli occhi dell'Ascoltatore si chiudono) quel giorno grigio che prendesti l'undici fino al capolinea e avanti di lì no nessun tram allora tutti andati spariti da un pezzo quella volta che tornasti a vedere se la rovina c'era ancora dove ti nascondevi da bambino quell'ultima volta nessun tram non uno rimasto soltanto i vecchi binari quando fu.[7]

Watt[modifica]

Hackett prese a sinistra e a qualche distanza di lì, nel giorno che declinava, vide la sua panchina. Sembrava occupata. Quella panchina, proprietà indubbiamente del Comune e comunque a disposizione del pubblico in generale, non era certo sua. Ma per lui lo era.[8]

Citazioni su Samuel Beckett[modifica]

  • Beckett "No" a Stoccolma. Nobel esse oblige.[9] (Marcello Marchesi)
  • È come Samuel Beckett, sai? Io ne ammiro la tecnica ma non mi colpisce mai a livello viscerale. (Io e Annie)
  • I personaggi di Beckett sono così astratti, così pregni di significato e, nello stesso tempo, hanno lo sguardo vuoto, il deserto assoluto dentro di sé, però anche se ci può essere una conflittualità, si ricordano delle passioni, dell'amore, della fratellanza, dei legami affettuosi con le persone. (Ugo Pagliai)

Peter Brook[modifica]

  • A una prima lettura i testi di Beckett possono sembrare pessimistici, ma io credo vivamente che le sue opere invece riescano a trasmettere delle emozioni positive seppur nascoste in un contesto più articolato e realistico.
  • Beckett infastidisce sempre per la sua onestà.
  • C'è cura, c'è amore, c'è il valore che imprime in ogni dettaglio. Come un artigiano, crea veri gioielli letterari. È un assoluto perfezionista e chiunque abbia a cuore la perfezione crede in un ideale.

Note[modifica]

  1. Da Murphy.
  2. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  3. Citato in Sandro Veronesi, David Foster Wallace: Così la vita eroica degli impiegati diventa un capolavoro sulla noia, la Repubblica, 31 ottobre 2011.
  4. Da Worstward ho, in Compagnia e Worstward ho, cura e traduzione di Roberto Mussapi, Jaca Book, Milano, 1986, p. 67. ISBN 88-16-50033-6
  5. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  6. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  7. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  8. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  9. Cfr. detto francese: «noblesse oblige» («la nobiltà comporta obblighi»). Cfr. voce su Wikipedia. Riferimento al fatto che nel 1969 Samuel Beckett fu insignito del Premio Nobel per la letteratura, ma non si presentò a ritirarlo.

Bibliografia[modifica]

  • Samuel Beckett, Aspettando Godot, traduzione di Carlo Fruttero, Oscar Mondadori, 1969.
  • Samuel Beckett, Finale di partita, traduzione di Carlo Fruttero, Oscar Mondadori, 1969.
  • Samuel Beckett, L'ultimo nastro di Krapp, traduzione di Carlo Fruttero, Oscar Mondadori, 1969.
  • Samuel Beckett, Giorni felici, traduzione di Carlo Fruttero, Oscar Mondadori, 1969.
  • Samuel Beckett, Malone muore, traduzione di Aldo Tagliaferri, Einaudi, Torino, 2011.
  • Samuel Beckett, Più pene che pane (More Pricks than Kicks, traduzione di Alessandro Roffeni, Sucargo Edizioni, Milano, 1970.
  • Samuel Beckett, Teatro, a cura di Paolo Bertinetti, traduzione di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, Einaudi, 2002.
  • Samuel Beckett, Trilogia – Molloy, Malone muore, L'Innominabile, traduzione di Aldo Tagliaferri, Einaudi, 1996.

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]