Samuel Smiles

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Samuel Smiles, ritratto da Sir George Reid, 1891

Samuel Smiles (1812 – 1904), scrittore, giornalista e politico scozzese.

Citazioni di Samuel Smiles[modifica]

  • Le cose ci sono tanto più care quanta più fatica costano.[1]
  • Le modeste virtù della donna, formano la felicità dello sposo, la buona riuscita della famiglia, l'agiatezza della casa.[1]
  • Non di rado avviene che sotto veste cenciosa palpiti cuore valoroso e gentile.[1]
  • Aiutandosi da sé.[2]
Self-help. [Titolo dell'opera.]

Chi si aiuta Dio l'aiuta[modifica]

Incipit[modifica]

Il proverbio preso a titolo di questo libro racchiude in breve il frutto della più lunga esperienza. Fidare nelle proprie forze, è fondamento d'ogni progresso, sorgente di potenza al cittadino e alla nazione. L'aiuto altrui spesso indebolisce; quello all'opposto che si cava da noi medesimi invigorisce sempre. Ed è naturale: perché altri facendo per noi ci scema colla necessità lo stimolo di fare. Il che spiega la fiacchezza e l'impotenza de' popoli soggetti a troppo rigorosa tutela del governo.

Citazioni[modifica]

  • [Benjamin Disraeli] Come oratore [...] la sua prima comparsa alla Camera fu un fiasco compiuto. Quantunque foggiate in istile pretensioso e sublime, le sue sentenze furono accolte da ilarità generale; ma egli pose fine al suo dire con un detto che divenne una profezia. Prostrato sotto le risa ond'era stata accolta la sua manierata eloquenza esclamò: «Ho cominciato a più riprese molte cose e non sono riuscito in alcuna; io mi taccio ora, ma verrà tempo che mi porgerete ascolto.» E il tempo venne; e l'attenzione e il favore che Disraeli seppe procacciarsi da ultimo col suo dire nella prima assemblea politica del mondo sono una prova luminosa di quel che possono la risolutezza e l'energìa. (edizione 1867, cap. I, p. 23)
  • Il re [Augusto II di Polonia e principe elettore di Sassonia] fu inesorabile; denaro e favori a Böttger quanti volesse; non mai la libertà: era manifesto ch'ei lo considerava suo schiavo. Il pover'uomo continuò ancora a lavorare per alcun tempo, sotto l'impero di questa persecuzione; ma in capo a uno o due anni si buttò sull'imbraca. Disgustato dal mondo e di sé, si abbandonò all'ubbriachezza; e tale è la forza dell'esempio negli uomini, che la più parte degli operai della fabbrica di Meissen si diede a medesimo vizio, non sì tosto seppero di Böttger. Conseguenza di ciò furono brighe e risse, che senza posa si rinnovarono tanto che dovettero intervenire i soldati tratto tratto per metter pace fra i porcellanieri, com'erano chiamati. (edizione 1871, cap. III, p. 64)
  • Affranto d'animo e di corpo, alternando i giorni fra il lavoro e il bere, quasi abbrutito, e travagliato ognora dall'infermità derivatagli dalla lunga e forzata reclusione, Böttger tirò innanzi malissimamente qualche anno ancora, finché non venne la morte a liberarlo li 13 marzo 1719, che non aveva trentacinque anni. Fu sotterrato di notte, come un cane, nel cimitero di san Giovanni a Meissen. Così fu trattato, e finì miseramente i brevi giorni uno dei più grandi benefattori della Sassonia. (edizione 1871, cap. III, p. 65)
  • Anco la vita del conte di Buffon ci offre bella conferma di quanto possa l'industre pazienza per ben riuscire; e della verità della sentenza di lui, non essere, cioè, il genio altro che pazienza. L'attività di quest'uomo fu prodigiosa, tanto che ad esso gli antichi romani avrebbero applicato le parole che si leggono cosi di frequente nei loro scrittori; incredibile industria, diligentia singulari. Considerando il tempo quale tesoro numerato, che perduto una volta più non si racquista, ei ne fu avarissimo. Ogni momento che non dava per necessità al riposo o al sollievo dell'animo, lo consacrava al lavoro. (edizione 1871, cap. IV, pp. 79-80)
  • Per quarant'anni di seguito Buffon lavorò a tavolino tutte le mattine dalle nove alle due, tutte le sere dalle cinque alle nove. La sua assiduità fu così costante da diventare per lui necessità del vivere. (edizione 1871, cap. IV, p. 80)
  • [Walter Scott] La puntualità fu una delle sue qualità più spiccate; senza di essa non gli sarebbe stato possibile mandar a termine tante opere letterarie. Di regola rispondeva in giornata alle lettere, salvo che chiedessero deliberazioni gravi o ricerche necessarie. Soleva levarsi alle cinque, accendersi il fuoco, radersi e vestirsi alla lesta; alle sei era a tavolino con tutte le sue carte dinnanzi in bellissimo ordine e i libri sparsi in terra per modo da averli facilmente sotto mano, mentre almeno uno de' suoi cani prediletti accosciato sul tappeto ne spiava amoroso ogni più lieve movimento. Di questa maniera allorché la famiglia si riuniva fra le nove e le dieci per la colazione, Scott aveva già lavorato un bel poco. (edizione 1871, cap. IV, pp. 81-82)
  • [Walter Scott] La sua immensa dottrina, frutto di molti anni di lavoro indefesso e di somma diligenza, non lo insuperbì mai; ché anzi ei parlava di sé con sì gran modestia da fargli perfino confessare ch'ei s'era trovato spesso nel corso della vita impacciato per ignoranza. (edizione 1871, cap. IV, p. 82)
  • Narrasi del pittore Wilson che presso a finire alcuno de' suoi ammirevoli paesaggi soleva ritrarsi alquanto dalla tela, e ben bene considerato il lavoro, con certo suo pennello dal lungo manico gettava lì alla brava qualche tocco che finiva stupendamente il quadro. Ma non tutti possono fare altrettanto in pittura né in altro; perocché non si acquisti la facoltà di dare l'ultimo tocco se non mercé un lungo lavoro. Se non si fosse studiosamente procacciata la perizia voluta, è probabilissimo che quell'artista anziché produrre effetti mirabili co' suoi tocchi arditi non avesse fatto che sgorbii. (edizione 1871, cap. V, p. 86)
  • Anco Riccardo Wilson da fanciullo si dilettava in disegnare uomini e animali col carbone sulle pareti domestiche. Da principio prese a far ritratti; ma condottosi poi in Italia entrò un giorno dallo Zuccarelli[3] suo amico, e stanco di aspettarlo prese a dipingere la scena che scorgevasi dalla finestra. Sopraggiunto lo Zuccarelli ne rimase cosi ammirato, che domandò a Wilson se avesse studiato paesaggio: ed avendo questi risposto che no: «Provatevici, ripigliò Zuccarelli, e certo riuscirete». Wilson seguì il consiglio con assiduità rara, e divenne il primo paesista inglese. (edizione 1871, cap. VI, p. 116)
  • Hogarth imparava pochino alla scuola, ma in quella vece disegnava egregiamente le lettere dell'alfabeto. I suoi esercizi scolastici eran più commendevoli per gli ornamenti calligrafici onde li abbelliva, che per correttezza. In questa stava al disotto dei più ignoranti, in quelli non aveva chi lo pareggiasse. Il padre lo mise a lavorare da un argentiere, dove imparò a disegnare e incidere stemmi sulle posate. In seguito apprese da sé l'intaglio in rame, ed in ispecie a far grifoni ed altri mostri araldici; ciò gli diede vaghezza di riprodurre nella sua varietà la fisionomia umana, nel che divenne poi eccellente, quanto nessun altro mai. (edizione 1871, cap. VI, p. 116)
  • [William Hogarth] Per un dono tutto suo ch'egli coltivò con gran cura, bastava vedesse una fisionomia[4] singolare, per riprodurne fedelmente a memoria i lineamenti. Vedendo forme fantastiche, bizzarre sembianze, ne prendeva tosto ricordo sull'unghia del pollice, e poi a casa le riproduceva in grande. (edizione 1871, cap. VI, pp. 116-117)
  • [William Hogarth] Tutto ciò che sapeva di fantastico e di originale lo attraeva, e a più facile pascolo della sua immaginazione, praticava i luoghi meno frequentati. Di questa maniera arricchì la mente di un immenso tesoro, onde si valse nelle sue opere, ammirevoli per alti concepimenti e naturalezza. Da qui ne venne che i dipinti suoi sono come riflesso fedele e ricordanza non solo dei naturali e dei costumi, ma anco delle idee in voga al tempo in che visse. Nessuna scuola, diceva egli, può insegnare a ben dipingere meglio della natura. (edizione 1871, cap. VI, p. 117)
  • Destinato al mestiere del padre che era barbiere in Londra, [William Turner] maneggiò i rasoi fino al giorno in cui uno stemma disegnato da lui in un piatto d'argento, fermò lo sguardo di tale che si faceva radere. Colpito dalla bellezza del disegno, quel signore cercò in ogni modo di persuadere il vecchio Turner a permettere che il figlio seguisse la propria inclinazione. Quegli si fece pregare assai, ma poi acconsentì. (edizione 1871, cap. VI, pp. 118-119)
  • Senza assiduità non si raggiunge l'eccellenza; la ferma volontà basta talora a mutare il possibile in fatto, poiché i nostri desiderii sono spesso i precursori delle cose che siamo in grado di compiere. All'opposto i timidi, i titubanti trovano ogni cosa impossibile se non altro perché tale lor sembra. (edizione 1871, cap. VIII, p. 176)
  • Vincenzo [Florio] aveva vent'anni, e poteva darsi bel tempo, spendendo la rendita del patrimonio onoratamente accumulato. Ma questo ei non fece; ché assuefatto al lavoro, non poteva stare un minuto inoperoso. Considerando attentamente tutto ciò che gli cadeva sott'occhio, e viaggiando, s'era fitto in capo questa verità, che non v'ha nazione forte davvero e grande, la quale non abbia per via del lavoro acquistata e mantenuta la sua grandezza e la sua forza. Comparando la Sicilia e l'Italia all'Inghilterra, vedendo da vicino, e pregiando tutto ciò che il popolo inglese ha di buono, di forte, di grande, si senti nascere desiderio vivissimo di migliorare le condizioni della sua patria, dilatandone i traffici, promovendone l'industria, rendendone più agiate e operose le moltitudini per renderle ad un tempo più morali; e fermato nell'animo il generoso proposito, a quello si volse con tutte le sue forze. (edizione 1871, cap. IX, p. 225)
  • Il Florio divenne più che venti volte milionario, né mai ricchezza al mondo poté dirsi di miglior acquisto della sua. Ma incalcolabili sono i lucri che la sua operosità recò all'universale. Accorto e sagace, non si tenne mai dallo spendere e dal rimetterci di tasca per far lavorare in casa ciò che avrebbe potuto con minor spesa trarre da fuori. Per introdurre in patria un'industria nuova non guardò mai al sagrifizio proprio. Oggi quattromila famiglie hanno pane dalla sua casa. (edizione 1871, cap. IX, p. 227)
  • [Vincenzo Florio] Benedetto dalle migliaia che beneficava in segreto, onorato in mille guise con decorazioni, medaglie, premi, e colla nomina a Senatore del regno, stimato, ben voluto e riverito da tutti, son ricordate dovunque in Palermo e fuori, la bontà dell'animo suo, l'integrità, l'esattezza, la puntualità, la perizia ne' commerci. Lo scorso anno, 1870[5], vide chiudersi la sua vita onorata e proficua a sé e ad altrui; e l'Italia ancor piange la perdita d'uno dei suoi figli migliori. (edizione 1871, cap. IX, p. 227)
  • Uno dei francesi più chiari per belle doti di mente fu Beniamino Constant; ma fiacco e cascante a vent'anni, la sua vita fu un gemito prolungato, anziché una serie di nobili azioni, che ei, diligente e temperato, avrebbe al certo compiute. Ei s'era proposto di far molte cose che non fece mai, sicché gli appiccicarono il nomignolo di Constant l'Incostant. (edizione 1871, cap. XII, p. 264)
  • [Beniamino Constant] Era scrittore vivo e facile, e vagheggiava scrivere numerose opere che il mondo non avrebbe lasciato perire. Ma nella sublimità de' suoi pensieri ei menava vita abbietta, che il trascendentalismo de' suoi scritti non riuscì a palliare. Mentre attendeva alla sua opera sulla religione, passava i giorni al tavoliere da gioco, e scrivendo il suo romanzo Adolphe, s'impastoiava in tresche amorose. Con un ingegno strapotente ei nulla poteva, perché non credeva nella virtù. (edizione 1871, cap. XII, pp. 264-265)
  • La dolcezza é il miglior indizio di nobile carattere. Aver riguardo ai sentimenti altrui, sia d'inferiori, di soggetti o di eguali; rispettare la dignità d'ognuno: ecco in che consiste la condotta del gentiluomo. (edizione 1871, cap. XIV, p. 303)
  • L'influenza vantaggiosa che un uomo onesto, energico ed industre può esercitare sopra i suoi simili e i suoi dipendenti, non che sulla propria nazione, non può esser meglio illustrata che dalla saliente individualità di Sir Giovanni Sinclair, cui l'abate Gregoire chiamava l'uomo più infaticabile d'Europa. (edizione 1867, cap. XIII, p. 307)
  • Quando Rush, ambasciatore americano, giunto in Inghilterra, chiese qual fosse la miglior opera sull'agricoltura, gli fu risposto: quella di Sinclair; chiese poi qual fosse la miglior opera sulle finanze inglesi, e gli fu risposto: la Storia del Reddito Pubblico di Sir Giovanni Sinclair. Ma il monumento maggiore della sua industria instancabile, opera che avrebbe sgomentato ogni altr'uomo, fu la sua Relazione Statistica della Scozia in ventun volumi, una delle più pregevoli opere pratiche che sieno mai state pubblicate al mondo. Essa gli costò pressoché ottant'anni di continuo lavoro, durante i quali ricevette più di 20,000 lettere sul suo argomento. Era un'impresa patriottica da cui non ritrasse alcun vantaggio personale, fuorché l'onore di averla compiuta. (edizione 1867, cap. XIII, p. 310)
  • Fino al termine della sua vita questo egregio uomo [Giovanni Sinclair] lavorò di cuore ed a vantaggio universale, porgendo un grande esempio alla propria famiglia e al proprio paese. Nel cercare cosi laboriosamente il bene altrui, si può dire che rinvenisse il proprio, non la ricchezza, che la sua generosità recò qualche squarcio alla sua fortuna privata, ma la felicità e la soddisfazione di sé stesso. (edizione 1867, cap. XIII, pp. 311-312)

Il carattere[modifica]

Incipit[modifica]

Il carattere è la forza più potente del mondo morale. Nelle sue più nobili personificazioni, esso porge esempi della natura umana in quelle forme che hanno maggiore dignità, imperciocché ne mostra l'uomo sotto il migliore aspetto.
Gli uomini veramente eccellenti, in ogni condizione di vita, (uomini capaci, integri, di alti principii, di specchiata onestà di proposito) impongono lo spontaneo omaggio del genere umano. E naturale il por fede in tali uomini, il confidare in loro, e cercare d'imitarli. Tutto ciò che nel mondo è buono procede da loro; e senza la loro presenza sulla terra, non varrebbe la pena di trarvi la vita.

Citazioni[modifica]

  • [...] Burke era un grande uomo di carattere. Aveva già trentacinque anni, e non era ancora membro del Parlamento; eppure ebbe tempo d'imprimere il suo nome profondamente nella storia politica d'Inghilterra. Fu egli uomo di molte doti intellettuali e di trascendente forza di carattere. Aveva tuttavia un lato debole che fu riconosciuto come un serio difetto: mancava di moderazione, il suo genio era immolato all'irritabilità. E senza questa dote della moderazione, una delle minori in apparenza, le più splendide facoltà possono quasi considerarsi di nessun valore a chi le possiede. (cap. I, p. 11)
  • [...] l'energia, senza integrità e uno spirito di benevolenza, può solo rappresentare il personificato principio del male. (cap. I, p. 15)
  • La pigrizia a questo mondo non lasciò mai alcuna traccia di sé: ella non salì mai un poggio, o fece fronte a una difficoltà, se poteva evitare di farlo. (cap. IV, p. 91)
  • Uno dei più valenti e laboriosi fra i moderni uomini di Stato dell'Inghilterra, che se coltivò la letteratura per divertimento non si limitò a studii superficiali, fu Giorgio Cornewall Lewis. Egli era un eccellente uomo d'affari, diligente, esatto, operosissimo. Ebbe via via gli uffici di presidente del Consiglio per la legge dei poveri, l'organizzazione della quale è a lui dovuta, di cancelliere del Tesoro, di segretario di Stato, e di segretario della guerra; e in tutti questi uffici si chiarì amministratore valentissimo. (cap. IV, p. 120)
  • Negli intervalli delle sue occupazioni d'ufficio [Giorgio Cornewall Lewis] soleva attendere a varii ordini di studii: storia, politica, filologia, antropologia e antiquaria. Le sue opere [...] potrebbero essere state scritte dal più profondo dei dotti di Germania. Egli preferiva specialmente di coltivare le discipline più astruse, e vi trovava il suo maggiore piacere e svago. Lord Palmerston a volte lo rimbrottava, dicendogli che si distraeva troppo, mettendo in un canto, dopo le ore del suo impiego, le carte d'ufficio, per prendere in mano i libri. (cap. IV, pp. 120-121)
  • Non v'è dubbio che Giorgio Lewis abbia secondato troppo le sue care inclinazioni; e che senza questo soverchio ardore per lo studio, l'utile di lui vita sarebbe stata con ogni probabilità più lunga. Egli leggeva, scriveva, studiava sempre, in ufficio e fuori. (cap. IV, p. 121)
  • Il lavoro eccessivo è sempre un mal consigliato proposito; poiché infatti è un grande spreco di forze vitali, segnatamente se quel lavoro è anche oppressivo. L'oppressione è veramente più micidiale di ogni fatica: essa estenua, tormenta, consuma il corpo; fa quello che la rena e la ghiaia in una ruota di macchina, che coll'enorme attrito la sconquassa. Guardiamoci dunque dal lavoro eccessivo ed oppressivo; poiché affaticare troppo il cervello è uno sforzo, e per conseguenza rifinisce e distrugge, essendo un eccesso contro natura. (cap. IV, p. 121)
  • Il coraggio non è punto nemico della tenerezza; ed anzi gli uomini, come pure le donne, che furono capaci di atti coraggiosissimi, ebbero di consueto carattere affettuoso e gentile. (cap. V, p. 145)
  • Avendo Edoardo, il principe Nero, nella battaglia di Poitiers, fatti prigionieri il re di Francia e il di lui figlio, diede loro alla sera un banchetto, e volle egli medesimo servirli colle proprie mani. La cavalleresca cortesia e i modi del valoroso principe, vinsero i cuori de' suoi prigionieri, come la sua prodezza ne aveva vinte le persone; imperciocché, sebbene ancora molto giovane, Edoardo era un vero cavaliere, il primo e il più valente del suo tempo, nobile modello ed esempio di cavalleria; e bene i suoi due motti «Hochmuth» e «Ich dien» (Alto spirito e riverente servigio) significavano le belle qualità di che più andava adorno. (cap. V, p. 146)
  • L'uomo coraggioso può meglio che altri mostrare generosità; o piuttosto è a lui naturale di esercitarla. Avendo Fairfax, nella battaglia di Naseby[6], tolta di mano la bandiera a un nemico da lui abbattuto, la consegnò in custodia a un semplice soldato. Ma costui non seppe resistere alla tentazione di vantarsi coi compagni d'averla presa egli stesso; il che essendo stato riferito a Fairfax, disse: «Lasciategli pure quest'onore; io ne ho dell'altro che a me basta.» (cap. V, p. 146)
  • Il carattere veramente eroico è opera della pazienza e del governo di sé stessi. Queste erano fra le doti più cospicue del grande Hampden, le cui nobili qualità furono generosamente lodate anche da' suoi nemici politici. Clarendon lo dice uomo di rara pazienza e modestia, di naturale giocondo e vivace, e dotato sopratutto della più spontanea cortesia. Era gentile ed intrepido, non si udì mai cosa biasimevole dalla sua bocca, e amava gli uomini tutti di caldo affetto. Non parlava molto, ma per essere uomo d'irreprensibile carattere, ogni sua parola aveva peso. (cap. VI, p. 165)
  • Nessun capitano d'altra nazione forse entrò mai in battaglia con un vessillo simile a quello che Nelson fece sventolare a Trafalgar: sul quale si leggeva non già Gloria, o Vittoria, o Onore, o Patria, ma semplicemente Dovere! Poche nazioni saprebbero ubbidire a un simile grido di guerra! (cap. VII, p. 199)
  • Quantunque dal regno di Luigi XIV in poi la Francia sia stata lo spirito irrequieto dell'Europa, ella produsse nulladimeno di quando in quando uomini onesti e animati di vera fede, che alzarono la voce contro le turbolente tendenze guerriere della nazione, e non solo predicarono, ma fecer di tutto anche per mettere in atto un vangelo di pace. L'Abate di Saint-Pierre fu de' più coraggiosi di costoro. Egli ebbe l'audacia perfino di biasimare le guerre di Luigi XIV, e di contestare a questo monarca il titolo di Grande; per cui venne punito, ed espulso dall'Accademia. Questo Abate fu caldo promotore di un sistema di pace internazionale, quanto può esserlo il più zelante membro della moderna società degli Amici[7]. (cap. VII, p. 203)
  • [...] v'è una qualità soprattutto onde primeggiano gl'Inglesi, come già le schiatte dalle quali generalmente uscirono; e questa è il loro grande amore alla vita domestica. Ove un Inglese abbia famiglia, più quasi non si curerà di altra compagnia. Per avere un posto che possa dire veramente suo, egli attraversa i mari e va a stabilirsi nelle praterie americane, o nelle foreste vergini, e là fabbrica la sua casa. La solitudine del deserto non lo atterrisce; la compagnia della moglie e de' figliuoli basta ad ogni suo desiderio; e più non cura d'altro. (cap. IX, p. 258)
  • All'incontro [di inglesi e statunitensi] i Francesi non hanno mai imparato ad essere buoni colonizzatori; e ciò soprattutto per quel loro profondo istinto sociale che li adorna di modi graziosi, e perché non sanno mai scordarsi della propria origine. (cap. IX, p. 258)
  • Gl'Inglesi non hanno doti artistiche, per la ragione medesima per cui sono poco socievoli. Possono esser buoni coloni, marinai e meccanici; ma non cantanti, ballerini, attori drammatici, cultori di belle arti, o inventori di mode. Essi non sanno né ben vestire, né ben agire sul teatro, né ben parlare, né ben scrivere. Difettano di stile e di eleganza: quello che devono fare, lo fanno alla spiccia, senza garbo. (cap. IX, p. 261)
  • Gli uomini veramente grandi e buoni non muoiono mai, neppure in questo mondo. Preservato dai libri, il loro spirito passeggia ancora sulla terra. Il libro è una voce sempre viva; un sapiente a cui di continuo si dà ascolto; così che noi siamo sempre sotto l'impero dei grandi uomini del passato: «Quei sovrani defunti, ma pur sempre scettrati, che non cessano di governare le anime nostre dai loro sepolcri.» I più sublimi intelletti del mondo sono vivi oggi, quanto lo erano nei secoli passati. (cap. X, p. 269)
  • La donna fu definita come «l'angelo degli sventurati.» È pronta sempre ad assistere il debole, a rialzare il caduto, a confortare l'afflitto. È molto significativo che sia stata una donna la prima ad edificare e dotare un ospitale. Fu detto che dovunque un essere umano soffre, i suoi gemiti gli attirano al fianco una donna. (cap. XI, p. 305)
  • Mungo Park, cacciato dagli uomini fuori di un villaggio d'Africa, affatto solo, senza aiuto, languente di fame, si disponeva a passar la notte sotto un albero, esposto alla pioggia e alle bestie feroci, frequenti in quel luogo; quando una povera negra che tornava dal lavoro de' campi, n'ebbe compassione, e lo condusse nel suo tugurio, ove trovò sicurezza, riparo e cibo.[8] (cap. XI, p. 305)
  • Affinché i pubblici costumi si mantengano veramente puri, fa d'uopo che l'educazione d'ambo i sessi vada d'accordo e con misura eguale. La castità della donna non può esser disgiunta da quella dell'uomo; una stessa legge morale impone a tutti i suoi obblighi. Si scalzerebbero i fondamenti della virtù, ove si credesse che all'uomo fosse lecito ridersi della morale, e fare impunemente quanto sarebbe una macchia indelebile al carattere della donna. (cap. XI, p. 306)

Explicit[modifica]

E quando su questa terra abbiamo terminato il nostro compito, avendo adempiuto al lavoro, all'amore ed al dovere che da noi si richiedeva; allora anche noi, come il filugello che ha filato il proprio bozzolo per morirvi, usciamo di questa vita. Ma per quanto breve sia il nostro soggiorno quaggiù, è desso il campo a ciascuno assegnato ove gli è mestiere adoperarsi con tutte le forze per raggiungere il grande scopo e il fine dell'esser suo; e ciò fatto, le vicende del corpo importeranno poco all'immortalità a cui dobbiamo infine essere assunti:

«Si muoia pur: la morte al sonno è uguale,
sol che riposi quanto di noi resta
in tomba fida onesta; – e se il guanciale
sia di piuma o di polvere, non cale.»

Note[modifica]

  1. a b c Citato in G. B. Garassini e Carla Morini, Gemme, classe 5 maschile, Sandron, Milano [post. 1911].
  2. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 503.
  3. Francesco Zuccarelli (1702-1788), pittore italiano del periodo rococò.
  4. Nel testo "fisonomia".
  5. Il F. morì a Palermo l'11 sett. 1868 (fonte Dizionario biografico degli italiani, vol. 48, 1997).
  6. Battaglia del 14 giugno 1645 nel corso della prima guerra civile inglese.
  7. Quaccherismo.
  8. Mungo Park dichiara d'esser stato più colpito da quest'avventura, che da nessun'altra de' suoi lunghi viaggi. [N.d.A.]

Bibliografia[modifica]

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