Andrea Gallo

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Andrea Gallo nel 2007

Andrea Gallo (1928 – 2013), presbitero e partigiano italiano.

Citazioni di Andrea Gallo[modifica]

  • Cari ragazzi, io a 17 anni e un mese con i partigiani ho visto nascere la democrazia, ora che sono vecchio devo vederla morire? La speranza siete voi, restiamo umani![1]
  • [Al funerale di Fernanda Pivano] Ciao signora libertà. Ci vediamo.[2]
  • Comunque è vero, sono comunista. Non dimentico mai la Bibbia e il Vangelo. E non dimentico mai quello che ha scritto Marx.[3]
  • Secondo me una "scuola genovese" non è mai esistita. A dimostrazione di questo è il fatto che di eredi, discepoli di questa scuola non ne esistono, neanche Michele o Max Manfredi o Federico Sirianni si possono considerare loro eredi. Il fatto che le istituzioni a Genova fossero di stampo conservatore non ha reso possibile l'emergere di questi cantanti da un punto di vista discografico. Quindi sono stati costretti a emigrare a Milano. Una cosa cosa che avevano in comune era il quartiere, la Foce, con la sua strada alberata, corso Torino, che va fino al mare, caratteristica unica per i quartieri genovesi. È un quartiere post-moderno, né ricco né povero, in cui avevi la possibilità di incontrare qualsiasi tipo di persona. [...] Un punto di incontro, di elaborazione, in cui i cantanti si trovavano nella piazzetta del quartiere, nel bar gestito dai cugini di Tenco o in riva al mare. E non a caso il mare è importantissimo nelle canzoni dei cantautori.[4]
  • Una persona transessuale è figlia di Dio al pari di ogni altro essere umano.[5]

Citazioni tratte da interviste[modifica]

La storia siamo noi: "Preti di strada"

Rai Tre, agosto 2007

  • I miei vangeli non sono quattro... Noi seguiamo da anni e anni il vangelo secondo De André, un cammino cioè in direzione ostinata e contraria. E possiamo confermarlo, constatarlo: dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori.
  • Chi riconosce l'appartenenza alla famiglia umana, come fa a non aprire le porte? Poi io, come cristiano, come faccio a non essere accogliente? E io ti accolgo come sei, come persona, perché ancora prima di essere maschio, femmina, omosessuale o straniero, uno è persona, cioè un soggetto di autonomia.
  • Io vedo che, quando allargo le braccia, i muri cadono. Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei muri.
  • È difficile tener sempre la porta aperta, non è facile. C'è anche la paura, ma noi non rimuoviamo la paura, la affrontiamo. Quante volte in questo ufficio mi han puntato una rivoltella... Ma solo attraverso l'accoglienza, attraverso l'ascolto, attraverso la disponibilità, la generosità, si supera la paura.
  • A me l'unico titolo che piace è: "prete di strada". Tanto è vero che quando vado ai dibattiti e si presentano i relatori delle università di Bologna, Genova, Palo Alto, Cambridge... A me piace quando dicono: "don Andrea Gallo dell'università della strada".
  • La strada mi arricchisce, continuamente. Lì avvengono gli incontri più significativi, l'incontro della vera sofferenza, l'incontro di chi però ha ancora tanta speranza e allora guarda, attende. Per la strada nascono le alternative, nasce il voler conquistare dei diritti.
  • L'unico mio rimpianto è che sono stato a volte troppo dolce con tutte le istituzioni, con tutti i poteri.

Cominciamo bene

Rai Tre, 24 febbraio 2010

  • L'indifferenza è l'ottavo vizio capitale.
  • I cristiani, se non sono accoglienti, non dicano che sono cristiani. [...] Chiunque incontri è tuo fratello, figlio, figlia; non ci sono fratelli e sorelle di serie B, C e D. Su tutte le difficoltà riguardanti l'immigrazione, dico: diamo prima l'accoglienza e poi le difficoltà le affronteremo.
  • L'educazione sessuale dovrebbe essere un punto centrale. [...] È un dono di Dio, la sessualità.
  • La spiritualità – parlo sia ai credenti che ai laici – è un dono della grande madre natura ed è il quoziente dell'intelligenza e dell'emotività.
  • La verifica di un'autentica fede, della vera religiosità, è se nasce una fraternità, una giustizia, un impegno, una possibilità di solidarietà assistenziale. Il cristiano fa una solidarietà liberatrice e in questo c'è il crisma e la conferma di una fede.

Che tempo che fa: "Il Vangelo di un utopista"

Rai Tre, 15 ottobre 2011

  • Io trovo del cristianesimo negli altri, trovo del cristianesimo nelle prostitute, trovo del cristianesimo nei miei carissimi barboni, trovo del cristianesimo nell'ateo... Cioè la buona novella, chi mi dà una buona notizia è un evangelista.
    Chi mi dà una cattiva notizia no.. L'aborto no, questo no, questo no, i divorziati no, le coppie eeeh se convivono no, no, no, no, no… e non è buona novella! Non è una buona notizia!

Come un cane in chiesa[modifica]

Incipit[modifica]

Le parole di Gesù sono sovversive, indomabili, rivoluzionarie: soffocano nelle sagrestie e respirano sul marciapiede. Mi ritengo un partigiano del Vangelo – oltre he della Costituzione italiana – e, proprio in virtù del Vangelo che amo, mi permetto talvolta di fare un po' il ribelle e di alzare la voce per richiamare i credenti, gli uomini di Chiesa e tutte le persone di buona volontà a un ascolto più attento del messaggio universale dell'uomo di Nazareth.

Citazioni[modifica]

  • Il nostro perbenismo ci porta spesso a scandalizzarci di fronte a minime manchevolezze, impedendoci di capire che la fame e l'ingiustizia sociale son la vera bestemmia contro Dio. Una bestemmia perpetrata, a volte, anche da chi si confessa "buon cristiano". (p. 14)
  • La Chiesa si ostina ad anteporre la legge all'amore, e a mettere al primo posto il corpus della tradizione anziché la comunione. Non condivido. (p. 18)
  • Mi hanno raccontato che il cardinal Siri, in un viaggio a Lourdes, subito dopo il Concilio, mentre distribuiva le ostie pretendeva che i fedeli si inginocchiassero davanti a lui, in segno di devozione. Tutti sappiamo che nell'Ultima cena Gesù non chiese alcun segno di devozione; la celebrazione eucaristica è un pranzo, una festa: si è insieme per celebrare il vincolo fraterno di una comunità. (pp. 18-19)
  • Del Concilio Vaticano II parliamo spesso: posso solo dire che ancora non l'ho visto applicare completamente nella vita delle nostre chiese. Se ne celebrano gli anniversari, ma si applica poco la lettera del Concilio. Sembra, in alcuni casi, lettera morta. Soprattutto per ciò che concerne la collaborazione tra laici e gerarchia e la questione della infallibilità e immutabilità del potere petrino, che è rimasto così come era. (p. 53)
  • Il Concilio Vaticano II non è una pillola per addolcire alcuni dogmi ostici: è l'essenza stesso del messaggio evangelico. Con il Concilio la Chiesa aveva finalmente fatto entrare un po' di aria fresca e pulita nelle sue stanze ammuffite. (p. 53)
  • Per rispondere al potere perverso è necessario prendere coscienza di cosa sia il potere. Ce lo insegnava il famoso pedagogo brasiliano Paulo Freire, nella sua Pedagogia degli oppressi [...]. Freire sosteneva che occorre stare molto attenti a una trappola: non è vero che un insieme di cuori buoni costituisce una società buona, una convivenza buona; l'avere una coscienza civile o di popolo non ci salva dal male. No! Chi prende coscienza di appartenere a una comunità deve fondare la sua resistenza al male su due pilastri fondamentali: anzitutto il concetto della uguaglianza di tutti i cittadini nei diritti e nei doveri e poi la preoccupazione del bene comune, e non del bene di una sola parte. (p. 62)
  • Don Lorenzo Milani ricordava spesso che lui aveva sì insegnato a leggere e a scrivere ai suoi alunni di Barbiana, ma loro, figli di contadini, gli avevano insegnato a vivere. (p. 80)
  • Quello che mi fa paura è constatare ogni giorno che persiste un grave peccato profondamente radicato nel cuore dell'uomo: l'odio verso il fratello. E se pensiamo che accada solo nelle guerre e nei soprusi dell'economia capitalistica siamo lontani dal vero. L'odio, l'esclusione del fratello, prende forma sotto i nostri occhi nella vita di ogni giorno: dai rapporti familiari alle relazioni amicali, dall'ansia di carrierismo che porta ognuno di noi a prevaricare l'altro ai giudizi lapidari e gratuiti sugli individui e sui diversi. (p. 86)
  • La parola che usavano i primi cristiani per esprimere il perdono era metanoia, che vuol dire letteralmente "tagliar la testa e metterne una nuova", cioè cambiare idea, cambiar pensiero: questa è la vera penitenza, la vera conversione, la vera riconciliazione. Cambiare la testa e metterne una nuova: la dignità umana, la dignità dei figli e delle figlie di Dio, è a portata di mano. Cosa aspettiamo a prendercela? (p. 113)
  • Mi preme far notare che Gesù non ha detto «amatemi» ma «amatevi». Quella "v" al posto della "m" cambia il senso della Storia universale e della vita di ciascuno di noi. Una piccola differenza letterale che diventa gigantesca sul piano del significato. (p. 116)
  • Se la Chiesa continuerà a proclamare l'assurdità del "peccato originale" come peccato storico, che si appiccica di generazione in generazione ai bambini appena nati, allora cosa dovremmo dire di tutti quelli che non vengono battezzati? Continueranno a portarsi dietro questa "macchia" per tutta la vita?
    Anziché di peccato originale io preferisco parlare di una "benedizione originale" di Dio su ogni uomo che nasce, e questa benedizione originale, che riguarda tutti gli esseri umani, è l'immagine e la somiglianza con Dio e la capacità di scegliere il bene. (p. 119)

Explicit[modifica]

Sto con i poveri e i reietti del pianeta, con gli scartati delle notti genovesi. Alle prostitute e ai trans che ogni tanto vengono a trovarmi, non porgo subito l'eucaristia e non cerco di convertirli. Prediligo la strada del perdono e dico loro: stanotte, vuoi fermarti a parlare con me?

Io non mi arrendo[modifica]

Incipit[modifica]

Quando, negli anni Trenta, ho cominciato a guardarmi un po’ in giro, vivevo con la mia famiglia, il papà, la mamma e un fratello maggiore, nel quartiere di Certosa, nel ponente genovese. In venti minuti da Certosa si andava a piedi alla spiaggia, verso Sampierdarena. Col tram, passando da una galleria, in dieci minuti si arrivava al centro storico. Quindi un quartiere privilegiato, che anche nel dialetto, nel vernacolo, non si differenziava per niente dalla lingua del centro di Genova.

Citazioni[modifica]

  • Io torno volentieri nel mio quartiere, ci passo qualche volta, non mi sembra sfigurato come altri, né tantomeno devastato dalla speculazione né dall'incuria degli uomini. Inoltre ha avuto la fortuna di non subire molti danni dai bombardamenti aerei, contrariamente al centro città. Eravamo dall'altra parte rispetto al torrente Polcevera e alle grandi fabbriche, io abitavo in via Campi, proprio all'inizio del quartiere. Avevamo l'orgoglio di essere di Certosa. Si chiamava così perché c'era un'abbazia dei Certosini. Una delle nostre feste era San Bruno, il fondatore dei certosini. La chiesa, i grandi porticati, erano un valore. Nella nostra parrocchia c'era la banda musicale, tutte le branchie dell'Azione Cattolica, le attività sportive, perché il campo era ampio, era un ricreatorio sull'esempio di quello di San Carlo di Milano. (p. 14)
  • Anche il Pammatone, lo storico ospedale di Genova, sarebbe dovuto essere preservato dal fatidico piccone demolitore. Poteva essere trasformato in un grande centro congressi e invece diventò un tribunale. È pur vero che fu molto bombardato, ma non al punto di volerlo per forza abbattere, tanto che un prete, don Ferrari, cappellano della Brigata Garibaldina, che era stato con i partigiani, dopo la guerra vi fece una comunità di «sciuscià»: La città dei ragazzi. Il Pammatone era una perla artistica, un ospedale del Rinascimento ai tempi di Santa Caterina da Genova, che aveva fondato la congregazione del Mandilletto. Per questa ragione è stata almeno salvata la struttura a portico e incapsulata in una struttura in acciaio. È un edificio unico, ma il resto del quartiere è deserto. (p. 28)
  • Una delle malattie di Genova la chiamerei dei veti contrapposti: quando si trova di fronte a un progetto si oppone solo per il gusto di opporsi. (p. 42)
  • Nel centro storico, per tradizione, i nobili convivono con gli artigiani, sebbene l'artigianato non sia mai stato aiutato e sostenuto. Per tutti, comunque sia, il centro storico è il cuore, ma se il cuore non batte... (p. 42)
  • [Su Edoardo Sanguineti] Era sobrio, onesto, comunista. [...] È davvero singolare che negli ultimi anni, prima della morte avvenuta nel 2010, lui avesse scelto di vivere proprio in uno di questi quartieri a Ponente, trasferendovi l'intera sua biblioteca, che è stata donata all'Università di Genova. Proprio durante quella campagna elettorale mi ricordo che disse che era più che mai necessario «recuperare l'odio di classe.» Chissà quanti, oggi, sarebbero disposti a seguirlo? (pp. 42-43)
  • Di un evento si discusse e molto. A dire il vero se ne discute ancora oggi: la costruzione nei primi anni Sessanta della Strada Sopraelevata, lungo l'intero arco portuale, diventata tristemente famosa per la sua capacità paradossale di occultare la città medioevale sottostante, ma al tempo stesso di esaltare dall'alto la presenza dei palazzi. La sopraelevata diventò un'urgenza per il continuo aumento del traffico cittadino. L'amministrazione comunale si vide quasi costretta a intervenire il più celermente possibile. È palese che la struttura è molto criticabile dal punto di vista architettonico e della sovrapposizione in un contesto artistico portuale di tutto l'angiporto. Tuttavia, dopo tanti anni, il percorso della sopraelevata si è dimostrato efficiente e risolve ancora oggi parzialmente il traffico a mare. Sorgono ancora oggi delle polemiche, si discute dei pro e dei contro, ma rimane un arteria di 6 chilometri fondamentale. Per i sostenitori del suo abbattimento rimangono solamente due opportunità: o un tunnel sotterraneo o un alto ponte che sovrasti il porto. (pp. 48-49)
  • Il Carmine era una parrocchia difficile, anche perché è proprio collocata tra il centro storico e Castelletto. Difficile e povera. Ogni anno giungevano in questa zona 100-150 nuclei famigliari, a occupare appartamenti minuscoli e fatiscenti: le abitazioni erano a volte impraticabili, quasi inabitabili. Il mercato rionale era indecente. Tra i giovani c'era molta disoccupazione. (p. 83)
  • Fino alla seconda guerra mondiale, se uno era autentico genovese, o anche adottato, non poteva non sentire il centro storico come la Mecca, non poteva rinunciare a farsi un giro ogni tanto in quello che era il motore, il cuore della città. La città vecchia, vecchia come la definì Fabrizio De André, non in modo dispregiativo, ma semplicemente perché quella era la nostra radice, la nostra porta, Ianua, una città con le braccia aperte, ospitale, che non esclude nessuno. (p. 93)
  • Parlavamo di piazza Caricamento, che oggi è un grande spazio vuoto che ha come smarrito il suo antico significato; prima c'era il capolinea dei tram per il ponente e il levante, c'erano i carri che aspettavano di caricare le merci in arrivo nel porto. Caricamento, la fatica, il carico. (p. 93)
  • Se nel 1946 Genova si fosse veramente organizzata con tecnici esperti, e fosse iniziato il restauro del suo immenso centro storico, da Sarzano a Principe, non ci sarebbe stato bisogno di fare troppa pubblicità per farla conoscere in Italia e all'estero. È il più grande e artistico centro storico d'Europa. Noi a Genova abbiamo anche Napoli, via Prè è un po' come Napoli. (p. 93)
  • Vi immaginate un marinaio che passa sei, sette mesi in mare, scende dalla nave, arriva nel centro storico e non trova più le puttane? (p. 94)
  • Il centro storico è quasi un archetipo. I vicoli sono immutabili, ciò che cambia è il modo in cui quegli spazi vengono usati, i caruggi sono rimasti sempre uguali. Il Comune ha sempre fatto un'opera repressiva nei confronti del centro storico e dei suoi abitanti, specialmente i nuovi immigrati che non possono usufruire di strutture ricettive, aperte a tutte le problematiche che li riguardano, perché il processo è ghettizzante, è emarginante. (p. 95)
  • Carlo [Giuliani] non era un leader, non era nemmeno un punkabbestia, come invece hanno scritto i giornali. Era un ragazzo normale. Da morto è diventato un simbolo. Un ragazzo ucciso... Le commemorazioni, il film della Comencini, il ricordo, hanno creato una mitologia intorno a lui, cosa che non condivido affatto. (p. 110)
  • Vittorio [Arrigoni] è molto facile da dimenticare, ma questo non dovrà assolutamente succedere. Vittorio non amava il clamore, lavorava per una causa giusta e per questo non va dimenticato. [...] Ritroviamo ancora una volta la frase di Vittorio Arrigoni: quello che faccio è umano. Restiamo umani. Vittorio non ha detto diventate umani, che sembra quasi un'offesa. Ma... restiamo umani! (p. 110)
  • Mi piacerebbe cancellare la parola «ghetto», che è allontanamento, esclusione, come avviene con gli immigrati, con le ragazze che sottostanno a un racket; la nostra solidarietà, che a volte è solo assistenziale, vuole essere liberatrice, creare diritti, nelle forme e nelle strutture, nell'accoglienza. Quindi spero che presto il ghetto cambi nome. Potremmo chiamarlo quartiere «grazioso» per sottolineare che in esso non esistono né discriminazione né emarginazione. (p. 118)
  • È importante sottolineare il luogo natio, la propria terra, il proprio mare. E allora questa aspirazione ha lo stesso nome della città. Addirittura Janua, dicono gli studiosi, significa porta, e la città di Dio significa una porta aperta. Il porto stesso è fatto di due grandi braccia che si allargano. Il porto accoglie tutte le navi, tutte le culture, tutte le merci, scambio di merci e di persone. [...] Io vedevo arrivare in porto, ancora prima della guerra mondiale, marittimi da tutto il mondo, e mi si apriva il cuore. I primi vu cumprà di Genova erano cinesi, e nessuno li osteggiava. Passavano sulla spiaggia con delle valigione e ripetevano solo «cravatte, cravatte». Erano famosi: «Una lila, due lile». (pp. 145-146)

Sono venuto per servire[modifica]

  • Ricordati, quando apriranno gli archivi vaticani tutti sapranno che Siri non è tornato sconfitto ma perdente. (pag. 99)
  • Questa è la storia di un vinto, ce ne sono tanti, purtroppo, che sognano una casa, una famiglia, invece trovano l'abbandono, la disperazione. Non sono loro le vittime, sono io, siamo noi, perché non ci rendiamo conto dell'indifferenza. (pag. 103)
  • Facciamo finta che la terra sia un grande transatlantico come l'Andrea Doria. Il mare è in burrasca, sta entrando acqua, la nave è in balia delle onde. Mentre la tragedia rischia di compiersi, e tante persone tentano di rimanere aggrappate allo scafo per non affogare, all'ultimo piano c'è chi continua a suonare e danzare, noncuranti di quello che sta accadendo ai piani sottostanti. Se non si interviene in tempo, presto o tardi, anche chi sta in alto rischia di finire in mare, bisogna che tutti diano una mano nell'attesa dell'arrivo dei soccorsi. (pag. 106)
  • Perché bisogna credere in Dio? Te lo spiego con le parole del professore Norberto Bobbio, che ho avuto la fortuna di incontrare nel paese in cui è nato: "don Gallo io non distinguo tra credenti e non credenti. Io distinguo tra coloro che pensano e coloro che non pensano". Il potere e i poteri sono contro Dio perche temono coloro che pensano. (pag. 119)
  • [cit. Sant'Agostino] I morti non sono degli assenti, sono degli invisibili. Tengono i loro occhi pieni di luce, nei nostri pieni di lacrime. (pag. 122)
  • La Chiesa alla domanda: "quando si commette il peccato mortale?" risponde: "Quando ci sono nel contempo materia grave, piena consapevolezza e deliberato consenso". Per me il peccato è assenza di amore. (pag. 145)
  • [Citando il Cantico dei drogati, di De Andrè] Ho licenziato Dio, gettato via un amore, per costruirmi il vuoto nell'anima e nel cuore. (pag. 129)
  • Smisurata preghiera è la sintesi del vangelo di Gesù: "per chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità". (pag. 132)

Sopra ogni cosa[modifica]

Incipit[modifica]

I miei vangeli sono cinque: Matteo, Marco, Luca, Giovanni e... Fabrizio.
Oltre ai quattro testi "canonici", ho da sempre un quinto evangelo, quello secondo De André. È la mia Buona Novella laica. Scandalizza i benpensanti, ma è l'eco delle parole dell'uomo di Nazareth che, ne sono certo, affascinò il mio amico Fabrizio.

Citazioni[modifica]

  • Sono sempre stato attratto dal desiderio di riscatto della condizione umana emarginata. È il fulcro del cristianesimo. Non c'è fanatismo e non c'è rassegnazione. È messaggio evangelico, è Buona Novella. (p. 7)
  • Nella realtà in cui siamo immersi – complessa e triste, impaurita e militarizzata, con una politica allo sbando – sarà la poesia a salvarci. (p. 8)
  • [...] il tessuto della laicità si fonda su princìpi condivisi, che devono diventare patrimonio di tutti. (p. 8)
  • Le minoranze sono una sorta di visione apocalittica del bene. (p. 25)
  • Mi definisco un prete anarchico. Il termine anarchico viene dal greco e vuol dire contro ogni potere che opprime. Chi ha una responsabilità dev'essere a servizio e non esercitare un potere, o una repressione, o un dispotismo. Il vero anarchico può scegliere la non violenza, la svolta epocale dell'umanità. (p. 28)
  • Ecco perché democrazia e anarchia vanno d'accordo. Perché il potere va usato per il bene comune e non per interessi personali. (p. 28)
  • Nessuno si libera da solo. Nessuno libera un altro. Ci si libera tutti insieme.[6] In una globalizzazione dei diritti, in una partecipazione democratica. (p. 128)
  • [Preghiera] Signore, che vedi dove noi umani non sappiamo vedere, ascolta questo discanto laico di un prete di frontiera: che sia pace. Oggi, sempre, ovunque.
    E, come dice il mio amico Vinicio Capossela, ovunque proteggici. (p. 133)

Citazioni su Andrea Gallo[modifica]

  • Caro Andrea, ti sono amico perché sei l'unico prete che non mi vuole mandare in paradiso per forza. (Fabrizio De André)
  • In don Gallo si è compiuto il miracolo dell'ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore. Per me il Gallo resta un fratello, un amico, una guida certa, un imprescindibile e costante riferimento. Per me personalmente, la speranza tiene fra le labbra un immancabile sigaro e ha il volto scanzonato di questo prete ribelle. (Moni Ovadia)
  • Mi fai finire di parlare, pretacchione? (Antonio Martino)

Note[modifica]

  1. In apertura del concerto di Vinicio Capossela a Sala Chiamata in piazzale San Benigno, 25 aprile 2013.
  2. Citato in L'ultimo saluto a Genova, l'omaggio dell'America, Corriere della Sera, 20 agosto 2009, p. 43.
  3. Da Angelicamente Anarchico, Oscar Mondadori, Milano, 2005.
  4. Da Cinzia Comandè e Roberto Bellantuono, Genova per noi, Arcana Edizioni, Roma, 2014, p. 110.
  5. Citato in Don Gallo: Anche i transessuali sono figli di Dio, Il Mondo, 21 novembre 2012.
  6. Cfr. Paulo Freire: «Nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo: ci si libera insieme».

Bibliografia[modifica]

  • Andrea Gallo, Come un cane in chiesa, a cura di Gianni Di Santo, Piemme, Milano, 2012. ISBN 978-88-566-2457-1
  • Andrea Gallo, Io non mi arrendo, Baldini&Castoldi, Milano, 2013. ISBN 978-88-6852-032-8
  • Andrea Gallo, Sono venuto per servire, Aliberti Editore, 2010.
  • Andrea Gallo, Sopra ogni cosa: Il vangelo laico secondo Fabrizio De Andrè nel testamento di un profeta, Piemme, Milano, 2014. ISBN 978-88-566-2458-8

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