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Carmine (Genova)

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Quartiere del Carmine visto da Castelletto

Citazioni sul Carmine, quartiere di Genova.

Citazioni

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  • Il Carmine era una parrocchia difficile, anche perché è proprio collocata tra il centro storico e Castelletto. Difficile e povera. Ogni anno giungevano in questa zona 100-150 nuclei famigliari, a occupare appartamenti minuscoli e fatiscenti: le abitazioni erano a volte impraticabili, quasi inabitabili. Il mercato rionale era indecente. Tra i giovani c'era molta disoccupazione. (Andrea Gallo)
  • La zona del Carmine è un angolo affascinante della città con le sue case arroccate alle vecchie mura. È un pezzo di centro storico isolato che è rimasto più tradizionalmente nostro, immutato oltre che nell'aspetto anche nelle persone.
    Giuggiola, l'Olivella, nomi della sua epoca pastorale sono ancora presenti con la loro anima. Salita Carbonara va su con i suoi ciotoli verso la porta che non c'è più e salita San Bernardino era una creusa che saliva per crinali fino alla vetta del monte. (Vito Elio Petrucci)
  • Erano forse dieci anni che non tornavo in piazza del Carmine, il rione della città vecchia da cui partono le crose che montano verso i quartieri signorili di Carbonara e Castelletto. Come un'insanabile ferita di coltello l'arteria trafficata di via Bensa lo taglia fuori dagli illustri itinerari del Borgo – via Lomellini, via Cairoli e la blasonata Strada Nuova – conferendo alle sue case colorate raccolte intorno al mercato l'aspetto di un presepe dove si respira aria di paese.
    Il presepe abborracciato del parente povero di famiglia.
  • Forse per uno scherzo della geografia e del destino, che ne hanno fatto l'ultima propaggine della città vecchia – dove finiscono i carruggi e cominciano le crose che salgono verso Carbonara e Castelletto – per una ragione o per l'altra dal Carmine finivo sempre per passare.
    Un quartiere con la stessa anima e la stessa pelle degli altri rioni popolari del centro storico, ma segnato da questa prossimità alle alture e ai palazzi signorili che affacciano sulle strade alberate della circonvallazione a monte.
  • La piazza [del Carmine] è rimasta la stessa di dieci anni fa, con il mercato coperto stile liberty, le sue vetrate con cui il sole gioca come fossero le pareti d'un acquario, le facciate delle case tirate a lucido e le crose di ciottoli e mattoni che dalla piazza montano verso Carbonara; però non riconosco nessuna delle facce che mi girano intorno. Il Carmine è sempre stato così: se si esclude uno zoccolo duro di residenti che lo abitano dagli anni Settanta, è un luogo di transito, una sorta di tappa obbligata per i figli della borghesia provenienti da Castelletto e da Albaro. Vengono qui a sperimentare l'ebbrezza della prima uscita dal nido, prendendo in affitto piccoli e scomodi appartamenti dove allestire trasgressive alcove su cui collezionare scopate e notti insonni e strinarsi di fumo e di alcol senza il timore d'essere disturbati dai vicini. Poi si danno una regolata, rimpannucciano le loro esistenze e, se sono abbastanza fortunati da trovare un buon lavoro in questa città moribonda, si trasferiscono nei quartieri alti o nel levante, in case più grandi e più adatte ad accogliere una famiglia con tutti i crismi: matrimonio in chiesa con almeno cento invitati, magari un figlio atteso come il messia, un gatto o un cane e la domestica a ore due volte alla settimana. Non ho mai capito se il destino del quartiere dipenda dalla sua collocazione topografica: l'arteria trafficata di via Bensa lo taglia fuori dal resto della città vecchia, con la quale condivide la conformazione urbanistica e l'identità, e ne fa la propaggine proletaria dei verdi viali collinari che lo sovrastano, le strade piccolo e medio borghesi della circonvallazione a monte.
  • Per i figli della borghesia genovese quest'angolo della città vecchia è sempre stato un luogo di transito dove sostare nel corso di vere o presunte giovinezze, ora atteggiandosi a single impenitenti ora per sperimentare convivenze senza paracadute, in attesa di sistemarsi in via definitiva nei quartieri bene di Castelletto, Albaro o del Levante. E ha sempre finito per evocare quel tanto di follia e trasgressione connaturate alla gioventù, la tempesta prima della quiete, senza le quali la maturità arriva monca e gravida dei pericoli celati nelle cose che potevano essere e non sono state.

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