Canti popolari

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Raccolta di canti popolari.

Africani[modifica]

  • Il tuo pelo, o cammello, solo Allah lo può tagliare. | Tu sei il re di tutti gli animali. | Nei pressi del mare, alle pendici dei bur, nella terra rossa e nella terra nera, dove manchi tu, o cammello? | Qual è la terra che non hai toccato? | Il guerriero è il vero uomo. | Tu sei il vero animale. (da Canto di un cammelliere all'abbeverata, (Somalia)[1])

Armeni[modifica]

Canti d'amore

In Canti popolari armeni

  • O spiriti del ciel, gentili uccelli, | vorrei salire sopra le vostre ali; | unirmi al vostro stuolo, | fuggir con voi; | vorrei staccar l'anima dal mio corpo, | vivere ne le nuvole, | trovarvi la diletta mia. || Io ho la nostalgia de gli occhi suoi; | io ho la nostalgia del suo cuscino. | Vorrei legarla con le trecce alla mia cintura; | e sospeso restar fra terra e cielo, | sino al giudizio estremo, | sino alla sentenza finale. (p. 5)
  • Sono uscita stamattina | ed ho visto un bel giovine; | ho veduto un bel giovine | che mi ha sì forte carezzato il viso | da farlo sanguinare. || La mamma mi domanda: | "Chi mai ti ha fatto sanguinare il viso?" | "Sono scesa in giardino, | e nel roseto mi ha punto uno spino." | "Inaridisca il cespo della rosa | né punga più la faccia radiosa." | "Non maledire, madrina adorata, | è un bel giovinettin che m'ha baciata. | E' m'ha baciata per torsi la sete, | mamma, non maledir quest'ore liete." (p. 6)
  • Il falco, quando ha fame, | afferra la preda e se' n pasce; | il giovinetto, quando ama, | abbraccia la diletta e si disseta. || Misero me; ché quando godo un bacio, | mi si accresce la sete; | or or da le sue braccia mi distacco, | e già mi volto a riguardare indietro. || L'amore che ti porto egual m'ha reso | all'arena d'estate che brucia | e che per tutto il dì cogli occhi al cielo | una goccia di piova implora invano. (p. 9)
  • Vorrei essere una lira | per restar tutto il dì sopra il tuo seno; | o cintura di seta | per stringerti la vita; | o acqua di fontana | per entrarti nella bocca; | o rugiada primaverile | per gocciolarti su; | o corde di seta | per contarti ogni sorta di dolcezze; | o dolce vin di melagrana | per restar tutto il dì nella bottiglia, | e baciarti la lingua. | Vorrei essere una rondinella; un nido mi farei sotto il tuo tetto; | farei piccini e zirlerei cantando; | mi sazierei d'amore | dal mattino alla sera; | mirerei la tua faccia; | sul cader della notte, | entrerei nel tuo letto; | la notte, sino allo spuntar del giorno, | ti resterei distesa a fianco; | quando l'alba spuntasse, | tornerei a zirlar lassù nel nido; | ed al levar del sole, | via me ne andrei a svolazzar sul mondo. (pp. 9-10)
  • Non voglio dire le mie pene al sole, | temendo che non perda la sua luce; | io le dirò a la luna | che ad ogni mese ognor si rinnovella. (p. 11)
  • L'amore nasce dall'amore, sorto dalla costola d'Adamo; | l'amore è più dolce, più prezioso d'ogni cosa al mondo; | l'amore fa uscir di sotterra il morto da sett'anni; | l'amore non ha maschio o femmina; | imagine dell'amore è Eva, madre nostra. || Quando l'amore scende nel cuore, | il cuore s'infiamma, come fuoco attizzato dal vento. | Il fuoco è passeggiero; l'amore arde senza fuoco; | non vento, non acqua può spegnere la fiamma dell'amore. | L'amore può andare d'una in altra regione; | l'amore può traversar le distanze grandi o piccole; | l'amore, come calamita, attira e trascina l'innamorato: | l'amore è una catena d'argento che ci stringe il collo. || Ah, no! non vivere senza amore! | Chi ama andrà in paradiso, | andrà fra gl'immortali del cielo; | chi non ha amore sarà gettato fra cespugli spinosi. (p. 17)
  • Deh, vieni! Andiamo pei campi, | senza dir nulla ai nostri, padre e madre; | tutta la notte, al chiaro della luna, | sollazziamoci sino allo spuntar del giorno. || Suggiamo lo zucchero dei fior di miele; | mangiamo l'erba e beviamo la rugiada, | addormentiamoci al campo, | diventiamo zolle come le zolle dei campi. || E dalle nostre zolle spunti un fiore, | il fiore della vita e della morte; | chi non ha desiderio di morire | strappi da prima il petalo della vita. (p. 21)

Danze e feste

In Canti popolari armeni

  • Gioco a sorte, gioco a sorte, botton d'oro! | Auguro che mamma dia alla luce sette figli robusti, | che girino di bottega in bottega | e sigillino con sigilli d'oro. (da Strofette di Vigiak, II, p. 27)
  • Cuscino su cuscino; | vieni, siediti su! | Auguro che si levino dodici stelle, | e si levino sulla tua sorte! (da Strofette di Vigiak, II, p. 27)
  • Dal cielo un anello è disceso, | ed è venuto a mettermisi al dito; | credevo che la pietra n'era falsa; | son fortunata: è un diamante vero! (da Strofette di Vigiak, II, p. 27)
  • L'amor mio tocchi il tuo! | Solleva le mani; invoca Dio! | La vecchia dalla testa di cagna sia distrutta! | L'amor mio tocchi il tuo! | Sposa novella, tira lieta sorte! | L'Ascensione appaghi i tuoi desideri; | si avveri l'augurio del mio cuore. (da Strofette di Vigiak, II, p. 28)
  • La luna, la luna alla festa della Croce, | la luna è discesa sul nostro verziere; | l'ha girato da un punto all'altro, | ha fatto il nido nell'aiola delle rose. | O sposa novella, tira lieta sorte... (da Strofette di Vigiak, II, p. 28)
  • Il mare sia per te cambiato in vino, | il battello per te cambiato in coppa; | versa tu stesso e bevi! | Dio stesso te lo dona. | Sposa novella, tira sorte lieta...! (da Strofette di Vigiak, II, p. 28)
  • Una chiave è caduta dal cielo; | la nostra casa si è empita di sole; | il nostro pane è il pane del padre Abramo; | la nostra acqua è il latte della Vergine santa. | Sposina, tira una sorte lieta!... (da Strofette di Vigiak, II, p. 28)
  • Una chiave è caduta dal cielo; | la porta del tempio si è aperta; | il tempio si è empito di sole, | il sacro altare si è ornato. (da Strofette di Vigiak, III, p. 29)
  • Io sono un'esile canna; | mi appoggio contro la tua porta. | Voglia o non voglia prendermi, | io son colei che ti è scritta sulla fronte. (da Strofette di Vigiak, III, p. 29)
  • Il cielo si è squarciato, | la Vergine santa è comparsa; | va', sorellina mia, torna a casa; | la tua preghiera è esaudita. (da Strofette di Vigiak, III, p. 29)
  • Un cavallo rosso scende nel mare; | è montato da un giovine | vestito d'una stella d'oro, | sulla quale è scritto il nome di Dio. (da Strofette di Vigiak, III, p. 30)
  • Tember, tember! Temb, temb, temb! | Io sono una bambina graziosa; | io son l'acqua di sette fontanine | io son la rama di sette arboscelli, | io son la corolla di sette fiori, | io sono una bimbetta, son la piccola Vigiak. || Temb, temb, tember! Temb, temb, tember! || Levatevi, levatevi, fanciulle! | Il sole entra già per lo spiraglio. | Questo giorno non è eguale agli altri giorni; | oggi si leva un sol di primavera; | oggi è il giorno di Vigiak; | levatevi più presto del sole. || Tember, tember! Temb, temb, tember! | Andate di tetto in tetto a destar tutti; | quelli che l'hanno, mettan le vesti nuove, | a chi non l'ha, donatene voi stessi. || Io sono la piccola Vigiak; | vi porto giocondi saluti; | questo giorno non è eguale agli altri giorni, | levatevi più presto del sole. || Tember, tember! Temb, temb, tember! | Io vi darò tutto quel che chiedete; | la mia brocca è piena di cose buone; | venite a prendere ciò che la morte vi destina. | Tember, tember! Temb, temb, tember! (da Strofette di Vigiak, IV, pp. 30-31)
  • Son venute, son venute, le fanciulle di Mogk! | grakhanor nananor! | Le fanciulle di Mogk portano lyre; | grakhanor nananor! | Son venuti, son venuti i giovani di Segh! | grakhanor nananor! | I giovani di Segh portano pugnali; | grakhanor nananor! | Noi siamo andati a Bettis | grakhanor nananor! | Snella la sua persona, il collo eretto, | khanik nanik, gian nanik! | Per amor di Dio, donami un bacio, | khanik nanik, gian nanik! | Siamo andati a Bittis pellegrini per San Niscian; | khanik nanik, gian nanik! | Noi abbiamo messo la fede d'oro al tuo dito. | khanik nanik, gian nanik! | Orsù, vieni, mio giovine di Mush! | khanik nanik, gian nanik! | Vieni, bel giovine dal pugnale d'argento! | khanik nanik, gian nanik! (da Canti a ballo, III, p. 34)
  • La lingua del serpe ha due punte: alleluia! | l'una pel bene, l'altra pel male: alleluia! | l'una vibra a sinistra, l'altra a destra: alleluia! | quella del bene si volga a questa casa: alleluia! | quella del male si volga alla montagna: alleluia! | Nonna, nonna, io sono tuo servo: alleluia! | metti i calzari che crepitano: alleluia! |va' su un poco verso l'uscio del celliere: alleluia! | manda via i miei compagni: alleluia! | da' la nostra parte, serba la tua: alleluia! | "Nonna, nonna che fai costì? alleluia!" | "Io tingo la lana, io filo la lana. ; alleluia! | cucio camicie per diaconi: alleluia! | cucio cappucci per gli archimandriti: alleluia!" (da Canto di Natale,[2], p. 37)

Canti di nozze

In Canti popolari armeni

  • Il giovin Scialakioto mi prese per la mano | mia sorella prese a palpitare; | ei mi toccò il piede col suo piede, la mano con la mano; | rabbrividii per tutta la persona | e piangevo, oh, piangevo! | Versai lacrime di sangue; | mamma diceva: "Or perché piangi tu? | perché fai la civetta, perché ti lamenti? | oggi tu te ne vai, tu tornerai dimani; | or una te ne vai, e due ritornerai. | Or vuota te ne vai e piena tornerai | oggi tu te ne vai, e a Pasqua tornerai, | tu tornerai portando in braccio il pargoletto. (da Le nozze, La sposa, pp. 41 42)
  • Madre del re[3]; su, vieni a vedere, | vieni a vedere chi ti conduciamo; | ti conduciamo un cigno dei laghi, | ti portiamo una lingua lunga sei metri. || Madre del re, su, vieni a vedere, | ti portiamo un celliere pien di mandorle, | ti portiamo un roseto tutto fiorito | ti portiamo garofani e gigli. || Madre del re, su, vieni a vedere: | ti rechiamo colei che scopa l'impiantito, | ti rechiamo colei che accenderà il focolare, | ti rechiamo colei che mungerà le vacche, | ti rechiamo colei che mungerà le pecore, | ti rechiamo colei che farà il bucato. || Madre del re, su, vieni a vedere: | ti meniamo colei che ti picchierà sul capo, | ti meniamo colei che porterà litigi in tutto, | ti meniamo colei che ti sconvolgerà la casa. || Madre del re, su, vieni a vedere: | ti conduciamo colei che ti preparerà il letto, | ti conduciamo colei che ti farà la cucina, | ti conduciamo colei che ti vestirà. || Madre del re, su, vieni a ballare: | ti portiamo una pernice dalla montagna, | ti portiamo una giovenca dai monti, | ti rechiamo una coppia di gazzelle. || Venite a salutare, or via, venite a salutare; | sia vita lunga al re e alla regina! | il re sale sul trono; | il re è l'agnello di Dio. (da Lodi dello sposo III,, pp. 45-46)
  • Hanno ornato il nostro re; | l'han rivestito di begli abiti dorati; | l'han fidanzato secondo la legge armena; | il Signore lo protegga! | San Karapet[4] benedica la sua giovinezza; | il buon Dio lo protegga || Hanno ornato il nostro re; | l'hanno sposato secondo la legge armena; | il "risuscitatore dei morti" benedica la sua giovinezza; | il Signore lo protegga! || Il nostro re porta la croce, | porta la croce sul petto; | ha in capo il giago rosso, tutto rosso; | e rossa, tutta rossa splende la sua giovinezza. || La sua corona è rossa, e il nodo verde; | rosso il mantello e verde giovinezza; | il sol del nostro re sia sempre ardente; | Dio lo protegga sino al giorno estremo; | rossa è la sua cintura, il suo mantello rosso; | tessuti in fili d'oro i suoi calzari, la sua giovinezza è rossa. (da Lodi dello sposo, IV, pp. 46-47)
  • Non voglio andarmene, mamma; non voglio partire! | Mi portano via a forza! | Tu, mammina, augura che mi renda felice, | il latte che mi hai dato, mi renda felice. | Tu, babbo, augura che mi renda felice, | il pane che m'hai guadagnato, mi renda felice. || Non lamentarti, soglia della mia casa, | devo io lamentarmi; | non strisciare, terreno, | debbo io strisciare, | non agitarti, alberello, | io devo agitarmi; | non cadere, o foglia, | devo io cadere; | non brillare, o stella, | devo io brillare; | non levarti, luna, | devo io levarmi; | non piangere, mamma, | devo io piangere. (da L'addio alla casa paterna, La sposa, p. 52-53)
  • Sii felice, o re; mille volte felice; | tu sei una rosa con le foglie verdi; | Dio benedica alla tua giovinezza | col potere del cielo e della terra. || Re, sii felice, cento volte felice; | tu sei una rosa con le foglie verdi; | Dio benedica alla tua giovinezza | col potere di Gerusalemme. || Re, sii felice, mille volte felice; | tu sei una rosa con le foglie verdi; | Dio benedica alla tua giovinezza | col potere d'Ečmiadzin.[5] || Re, sii felice, mille volte felice; | tu sei una rosa con le foglie verdi; | Dio benedica alla tua giovinezza | col potere di San Karapet. (da L'addio alla casa paterna, Per benedire allo sposo, p. 53)
  • "Se tu ti crucci e fuggi da tuo padre, | io diventerò una cicogna alata, | ti costringerò a seguirmi stridendo, | e ti costringerò a tornare in casa." | "Se tu diventi una cicogna alata, | se tu mi forzi a seguirti stridendo, | io diverrò un sarmento coi racimoli, | mi appenderò al muro di mio padre." | "Se diventi sarmento coi racimoli | e ti sospendi al muro di tuo padre, | io diverrò un coltello affilato | e ti taglierò da quel muro." | "Se tu diventi un coltello affilato | e vieni a tagliarmi da quel muro, | io ti divento vin di melagrano, | e mi rifugierò in un barile." | "Se tu diventi vin di melagrano, | e vai a rifugiarti in un barile, | io diverrò una coppa dipinta di fiori, | e verrò a berti deliziosamente." | "Se diventi una coppa dipinta a fiori | e vieni a bermi deliziosamente, | io ti divento un fiume straripato | e ti farò scoppiare la ventraia." (da Tenzone, p. 55)

Preghiere e poesie religiose

In Canti popolari armeni

  • L'alba impallidisce, | già vedesi la croce; | Dio diventa dolce, | si aprono le porte del paradiso, | crollano le porte dell'inferno; | l'anima mia si scioglie dalle catene: | Gesù ha pietà di noi. (Preghiera del mattino, p. 59)
  • Sono uscito stanotte, | ho veduto una luce immacolata; | sono stato colto da spavento ne vederti; | mi sono inteso avvinto dai legami della morte. | Il cielo è sereno, vermiglio, | Maria, seduta sul sacro altare, | prega nella santa chiesa; | ha tra le braccia il figlio fiammeggiante. | Chiede grazia per noi; | non gli ricorda i nostri peccati nel dì del giudizio. (Preghiera della sera, III, p. 60)
  • Maria, madre nostra, madre della luce, | tempio del Verbo-Dio, | dacci la vita e il perdono, | fa' ch'io possieda la luce e la croce. | Fammi dimenticare quanto io so, | insegnami quanto tu sai. | Aiutami a sorpassare la porta dell'Inferno; | mostrami la porta del Paradiso; | o Serafini, o Cherubini, | che godete del Paradiso, nostro soggiorno, | apritemi la porta. | Signore, accogli la povera anima mia! (Alla Vergine, p. 60)
  • C'era un albero in un abisso, | c'era un serpente nero su quest'albero: | l'abbiam disceso senza servirci di mani, | l'abbiam sgozzato senza coltello, | l'abbiam cotto senza fuoco. | Chi ne mangia, crepa; | chi non ne mangia, scoppia. (Contro il malocchio, II, p. 63)
  • San Sergio, vieni a passar la notte in casa nostra: | chiudi la porta con la tua spada; | copri la finestretta col mantello; | chi si avvicini alla porta, resti di sasso; | chi salga sul tetto, cada privo di sensi. (Preghiere contro i ladri. I, p. 64)
  • San Sergio, forte muraglia, | ho sul braccio forte la croce. | Sentesi odor di pan fresco; | andate a veder chi arriva. | Arrivan tre persone su cavalli bianchi: | l'una è Gesù, l'altra Cristo, | l'altra la santa Vergine di Kendananz[6]. | – Dove andate? | – Noi saliam su le montagne, noi giriam per le vallate, | con una scorta di cinquemila angeli; | noi picchieremo alla porta dell'infermo, | alla finestretta del febricitante || Attaccheremo una catena lungo le nostre pareti, | metteremo una chiave sul cuscino; | perché il cuore non si spaventi nel petto, | sino all'arrivo del dì del giudizio. (Preghiera a San Sergio, pp. 64-65)
  • Giovine, giovine, ringiovanito, | re verde e rosso, | sei partito vecchio, ritorni bambino: | che novelle ci porti di capo al mondo? | – Al mondo, felicità e pace, | ai re la concordia; | per la morte, il rincaro, | per il pane, il buon mercato; | alle buone genti, lunga vita; | all'anima mia, il paradiso. (da Preghiera delle vecchie alla luna, p. 67)

Canti funebri

In Canti popolari armeni

  • Come foglie avvizzite d'autunno, | voi siete caduti per terra; | oh, tornate, tornate a noi | coi fiori della primavera! (Sulla morte dei figli, Lamentazioni di madre, p. 74)
  • Non è morto tuo figlio, non è morto! | Se n'è andato via pel giardino. | Ha colto rose, se le è messe in fronte, | si è addormentato nel suo dolce profumo. (Le prefiche alla madre che ha perduto il figlio, Lamentazioni di madre, p. 75)
  • O mia povera signora desolata, | perché piangi così tristemente? | Se tu piangi le rose andate via, | la prossima primavera le riporterà. | Ma se piangi l'amato che è partito, | aimé, egli è partito per non più tornare! (Su la morte dell'amato, Lamentazioni su giovani morti, p. 77)
  • (L'usignolo è disceso sui giovinetti fiori del giardino; | ora modula un lamento, or geme una canzone; | dice il lamento per chi è morto giovine, | canta la canzone per chi è felice (Su giovani morti, Lamentazioni su giovani morti, p. 77)
  • Vorrei chinarmi a versar rugiada | sul tuo bel seno bianco; | tu ti desteresti in sussulto: | "Che rugiada è questa che mi piove su?" (Sulla sposa, Lamentazioni su giovani morti, p. 78)
  • Una rosa spuntò in Arapkir; | andò a vedere la santa luce in Gerusalemme; | i demoni la perseguirono con gli artigli e l'afferrarono; | i monti echeggiarono, piansero gli arbusti; | piantarono sopra Oropa una pietra grande come la sua persona; | sospesero all'albero due mele rosse; | comperarono incenso e ceri; | e alla vigilia di ogni domenica | si leva il fumo dell'incenso per l'anima sua. (Su d'una vergine, Lamentazioni di madre, p. 78)
  • Se la sciagura mi fosse venuta dagli uomini, | avrei pianto sì forte, che m'avrebbe udito il mondo intero. | Ma la sciagura mi è venuta da Dio; | io piangerò sì basso, che neppur la soglia della mia porta senta. (Rassegnazione, Lamentazioni su soggetti diversi, p. 81)
  • Non credere ch'io t'abbia dimenticato; | non ti ho dimenticato; non è possibile dimenticarti; | tu eri entrato nel mio cuore, | tu non uscirai mai dai miei occhi. (Pel giorno dei morti, Lamentazioni su soggetti diversi, p. 81)

Canti di emigrati

In Canti popolari armeni

  • L'emigrato in paese straniero | col cuore infranto consuma la vita; | a vederne la febbre del cuore | si frangerebbero le rocce stesse. || Quando volete maledire alcuno, | ditegli: Sii emigrato! | La montagna ti serva di capezzale, | tu dorma su l'arena; | e nel ricordo del tuo paese | tutta la tua persona un dolor senta. || Il mio core somiglia ad anfora infranta; | col versarvi de l'acqua mai non s'empie; | trova la sua compagna e lieto canta | ogni uccello; ed io mi resto solo; | resta ogni pietra ferma al proprio suolo, | io sol rotolo sempre. (L'emigrato, p. 85)
  • Ero un albero di cotogno | germogliato da un macigno; | son venuti a sradicarmi | e m'hanno trapiantato in un orto straniero, | con acqua inzuccherata | m'hanno innaffiato. | Fratelli, venite a riportarmi alla mia terra, | innaffiatemi con l'acqua delle nevi. (Ero un albero, p. 88)
  • Ecco la luna tonda tonda. | "Io rassomiglio, dice, al tuo lontano." | "O non hai tu vergogna, piccola luna? | In che cosa somigli al mio lontano? | Il mio lontano aveva gli occhi neri, | nere le ciglia e bocca graziosa, | aveva labbra vermiglie | ornate di baffetti a fili d'oro. (La moglie dell'emigrato e la luna, p. 88)
  • "Parto", disse il mio uomo, e io non ci credevo; | quando mi disse "addio" rimasi istupidita: | mise il piè nella staffa, ch'io non capivo niente. | Potetti dirgli solo. "Dove vai? Che le vie ti siano buone. | Per le strade che prendi, rose e mirti ti spuntino di sotto i passi; | ne le città dove soggiorni, mai la voce de la morte non ti chiami; | ne le brigate dove ti riposi, il tuo bicchiere sia sempre pien di vino; | i mari sian per te cambiati in vino ed i battelli in coppe." (Partenza, p. 90)
  • La strada ove cammina il mio lontano, | io vorrei essere quella strada. | Il ruscello dov'egli si disseta | vorrei essere, la fonte di quell'acqua. | Egli si chinerebbe per bere quell'acqua, | e il desiderio del mio cuore sarebbe pago. || Alla città dov'egli discendesse, | vorrei essere l'albergatrice, | perché venisse a star nel mio albergo; | lo condurrei nella migliore stanza; | gli cingerei le braccia intorno al collo | e piano piano parlerei con lui. (Canto della sposa dell'emigrato, pp. 91-92)
  • Torna, diletto, torna al tuo giardino; | si riempia il mio giardino del tuo profumo soave. | Io, vino di granata, tu, dolcissima coppa, | versa tu stesso, bevi, e dimmi le tue pene. (Torna diletto, p. 92)
  • Me ne vado! Me ne vado! | Io me ne vado, e voi restate in pace. | Vi affido un fiore; | conservatelo fra le rose. | Sedetevi ciascuno ai vostri posti; | il mio posto lasciatelo sempre vuoto; | dolce vi sia quanto voi berrete; | versate la mia parte davanti al mio posto. (La partenza dell'emigrante, p. 94)
  • [San Gregorio di Narek] Lasciò quella casa, e venne in un villaggio; | vide uno sposo novello morto sul suo sedile; | il padre, la madre piangevano il loro agnellino; | Narekatsi s'inginocchiò per terra, | rivolse una preghiera al Creatore; | lo sposo risuscitò sul suo sedile; | il padre, la madre ne furon rallegrati. | Narekatsi lasciò quel villaggio e tornò a Narek; | Narekatsi, risuscitatore di morti! | I Vartabedi di Sis seppero coteste cose e ne rimasero stupiti; | invitarono Narekatsi e vollero metterlo a prova. | Riempirono d'acqua un panierino, | lo mandarono in dono a Narekatsi. | Narekatsi sgozzò due colombi, | chiamò i Vartabedi: | "Venite a mangiare con me." | "Ma che ci offri tu?" | "Avevo dimenticato che oggi è venerdì; | date ormai a cotesti colombi l'ordine di andarsene." | "Noi non abbiamo cotesto potere; | sei tu che avendoli sgozzati devi dar loro l'ordine di andar via." | Narekatsi s'inginocchiò per terra e fece il segno della croce sui colombi; | essi presero il volo e se ne andarono; | i Vartabedi videro e rimasero meravigliati. || Narekatsi empì d'acqua il paniere, | mise del fuoco sull'acqua, mise della bambagia sul fuoco; |disse: "Prendete cotesto e portatelo in dono al vostro superiore." | Essi lo presero e se ne andarono; | il superiore si accorse | che l'acqua non aveva spento il fuoco | e che il fuoco non aveva bruciata la bambagia. | Egli ne fu grandemente meravigliato. | San Narekatsi fattore di miracoli. (da Narekatsi, Leggende e fiabe, pp. 102-103)

Canti nazionali

In Canti popolari armeni

  • Kalender pascià marcia su Zeitun, | gli chiede di pagare i balzelli al governo; | Zeitun mangiò uva passa invece di pane; | Kalender, annoiato, propose di far la pace. (Kalender pascià, p. 117)
  • Io aspiro soltanto a raggiungere la meta! | Io non temo la forca! | Dall'alto della forca, con voce strozzata, griderò sempre: "O dolce Armenia!" || Dolce Armenia, ti consacro | il cuore e l'anima mia! | Io voglio morire, se con la mia morte, | l'Armenia torni alla vita! || Se m'imprigionano per te, | la prigione sarà un palazzo agli occhi miei; | se m'incatenano mani e piedi, | me ne sentirò felice. || Dolce Armenia, incantevole madre, | sino a quando i tuoi figli | gemeranno così? | sino a quando saranno erranti e infelici? || Questo strazio, temo, mi farà morire; | io scenderò presto nella fossa nera; | dal fondo della fossa, con voce morta, | griderò sempre: Povera Armenia!" (Io aspiro, pp. 126-127)
  • Non trilli più l'usignolo nelle pianure di Mush, | non si alzino più canti sui monti di Sassun. | Il sorriso non allieti più le facce degli armeni; | solo la tristezza regni nei cuori armeni! | Le mani degli armeni son tutte rosse di sangue; | i cuori degli armeni sono invasi dal dolore: | a che vale ormai il giglio odoroso? | Sboccerebbe forse nei bei campi di Armenia? | Poiché le giovinette armene non possono più | adornare il seno coi fiori di campo, | non trilli più l'usignolo sui monti di Sassun, | più non si alzino canti sulle pianure di Mush. (Non trilli più l'usignolo..., p. 128)

Canti diversi

In Canti popolari armeni

  • La luna è dolce, il vento è dolce; | il sonno del villaggio è tanto dolce; | la luna si leva in cielo; | dolce è il flauto del pastore, | il bovaro fa pascere i suoi bovi; | l'aratore dorme in dolce sonno. | Il vento soffia mormorando; | la brezza marina è pur dolce; | le acque si cullano con dolce sussurro; | gli uccelli son tornati al nido; | dolce è il canto dell'usignolo, | spandesi nell'aria delizioso profumo; | è il profumo dolcissimo della rosa. (Notturno, p. 140)
  • Bevi due bicchieri | perché diventi come un chicco di melograno; | non bere tre bicchieri, | perché andresti urtando da un muro all'altro. (Consiglio, p. 149)
  • Una stellina dal fondo del cielo | ama un pesciolino nel mare; | ma la stellina non può scendere, | né il pesciolino può salire al cielo. (La stella e il pesce, p. 151)
  • Alla luna nuova, nella sagra della Croce, | mi han soffiato fumo negli occhi; | m'han preso il miele bianco bianco; | non ne han punto lasciato, pei piccini cari. || S'io parli, perderò la vita; | se non parli, perderò i miei piccini; | preferisco perdere la vita al perdere i figliuoli. (Il canto dell'ape, p. 152)
  • Andate, fratelli effimeri; abbiate sempre il cuore giocondo; | entrate in quella cantina benedetta, | spillate la gran botte; | riempite le anfore di vin dolce, andate al Vadak, | andate al Vadak; bevete l'acqua della fredda fontana. || Riempite le anfore di quel vin dolce, mettetele nel bacino; | bevete pian piano, cantate canzoni, | un di voi suoni il bulgari[7], un altro il kiamancia[7], | l'un canti un canto, l'altro un inno; nessun fra noi è immortale. || L'acre rabarbaro è cresciuto sull'arida pietra; | tutti son corsi per assistere alla sua ricolta; | violette e tulipani vi son anche sbocciati. | Or la santa croce di Varak vi aiuti e custodisca. (Canto di Varak, p. 145)

Bulgari[modifica]

  • A Stoian diceva la mamma: | "Stoian, figliuolo mio Stoian, | bada di non far passare il tuo gregge | nella foresta delle Samodive; | o se tu ve lo farai passare, | non sonare il tuo pifferetto, | per paura che non ti oda la selvaggia, | la selvaggia Samodiva, | e non venga a lottare con te." | Stoian non ascoltò la madre, | ma condusse la sua mandra | per la foresta delle Samodive, | suonò il suo pifferetto | e provocò la Samodiva | a venire a lottare con lui. | La Samodiva apparve | sotto forma di giovinetto scapigliato: | entrambi batterono le palme e si strinsero; | e durante tre giorni lottarono. | Stoian stava per vincerla, | quando la Samodiva prese a chiamare: | "Elementi, tempeste sorelle[8]mie, | oggi Stoian sta per vincermi." | Gli elementi accorsero, | turbinarono gli uragani, | sin che sollevarono Stoian | e lo deposero sopra un ramo d'albero, | lo trascinarono di vetta in vetta, | a pezzo a pezzo lo sbranarono, | e la sua mandra dispersero. (La foresta delle Samodive, Canti popolari bulgari, p. 13.)

Amore. Fantasia. Costumi. Versi comici

In Canti popolari bulgari

  • La notte passata mi colse, mamma mia, vicino a Šumla, | ove incontrai una giovinetta di Šumla; | lei porta in mano un panierino d'oro, | nel panierino vi sono tre mele, | tre mele, di quelle che maturan presto, | io le chiesi, mamma, una mela, | lei non mi dette neppur l'ombra d'un'occhiata; | stesi il braccio, le detti un bacio, | e lei me le diè tutte, anche il paniere. (Le mele e il bacio, p. 123)
  • Una pioggiettina sottile cade come perle; | il mio promesso sella il cavallo | per andare a far denaro in Valachia. | Io gli dico e lo scongiuro: | "Resta un poco, caro, quest'anno, | quest'anno e questo verno, | Il danaro, caro, il danaro guadagnasi in ogni tempo; | la giovinezza non è, caro, che una volta al mondo; | la giovinezza è, caro, simile alla rugiada, | all'alba c'è, nel giorno non c'è più." (La giovinetta e il danaro, p. 128)
  • Una giovinettina si è addormentata | in un giardino sotto un roseto; | lei ha steso i piedini sul basilico, | messe le mani sulle peonie | vicino alla testa uno sgabelletto di madreperla | sullo sgabelletto è un bicchiere di vetro | e nel bicchiere un sorbetto inzuccherato | nel sorbetto de' capi di garofano. | Venne a passar di là un giovinetto | e non sa che fare, tentenna; | se dee bere il sorbetto | o dare un bacio alla giovinettina; | sorbetto zuccherino ha nella casa, | ma di giovinettine non ve n'è. (Il sorbetto e il bacio, p. 128)
  • Stoian si vantò da sé, | da sé si fece male; | su la strada maestra d'Adrianopoli, | vicino alla moschea di sultan Selim, | vantasi di aver una sposina graziosa | e un superbo cavallo, | superbo e non ancor montato. | Il cavallo vale mille piastre, | la moglie due città. | Appena il governatore lo intese, | mandò a cercare Stoian: | "Ovunque Stoian si trovi, venga, | e meni la moglie, | la moglie ed il cavallo." (Vento imprudente, p. 140)
  • La volpe era tornata vedova | con dodici volpette, | cominciò a piangere sulla sorte loro: | "Ove, figlie mie, ci vedremo?" | La minore più astuta: | "Taci, mamma, non piangere, | noi ci vedremo, mamma, | a Stambul, nel bazar, | nelle borse de' poveri, | intorno al collo de' ricchi." (La fine della volpe, p. 145)

Eschimesi[modifica]

  • Il grande monte Koonak laggiù al sud | io lo vedo; | il grande monte Koonak laggiù a sud | io lo contemplo. | La splendida luce laggiù al sud | stupito io miro. | Al di là del Koonak | un'enorme distesa | la stessa che il Koonak | racchiude verso il mare. | Vedi come le nuvole laggiù a sud | ondeggiano e passano, | vedi come laggiù a sud | s'abbelliscono a vicenda. | Mentre la vetta verso il mare è ammantata | da vagabonde nuvole, | ammantata verso il mare, | abbellendosi a vicenda.[9]

Estoni[modifica]

  • Tintinna, tintinna, voce. | Suona, suona parola. | Risuona, grande foresta! | Ci sarà tempo di esser silenziosi, | quando riposerò nella nera terra, | fra bianche assi, | nella ben fatta bara.
Helise, helise, hääli, | Kölise, kölise, keeli | Laja vastu, laasi suuri! | Küll on aega vaiki olla, | Kui saan alla musta mulla, | Valge laudade vahele | Kena kerstu keskeelle.[10]

Finlandesi[modifica]

  • Se venisse, se venisse ancora | il mio primo amore, | oh! subito accorrerei | a baciargli la bocca, | se sangue di lupo anche la macchiasse; | e per mano lo prenderei | se anche vipera vi serpeggiasse.[11][12]

Giapponesi[modifica]

  • Di notte, allorché solo tra gli affanni mi dibatto, | il mio spirito evoca nell'ombra la grazia del tuo volto. | E la rimembranza di te, come il fresco raggio dell'amica luna, | fuga le tenebre del mio cuore e le tenebre della notte. | Quando un giorno andrò a riposare solo nella grande notte della tomba, | tu sarai ancora quella che evocherò, o amata mia! | E la dolce fiamma della tua adorata immagine, | sarà per me la sola luce nel tempo eterno, fra le tenebre paurose della morte![13]

Greci[modifica]

  • I monti Olimpo e Kìssavo contendono tra loro, | chi dei due farà piovere o scendere la neve. | Manda la pioggia il Kìssavo e la neve l'Olimpo; | si volge allora il Kìssavo verso l'Olimpo e dice: | "Tu che i Turchi calpestano, non devi biasimarmi. | Io sono il monte Kìssavo, a Làrissa famoso, | caro agli agà[14]di Làrissa, a tutti gli Albanesi". | Si volge verso il Kìssavo l'Olimpo e gli risponde: | "O Kìssavo vergognati, schiavo degli Albanesi, | calpestato dai Turchi e dagli agà[14]di Làrissa, | io sono il vecchio Olimpo, celebre in tutto il mondo, | ho sessantadue cime, quaranta monasteri, | su ogni dosso una chiesa, su ogni vetta una fonte | e in inverno i kléftes[15]stanno nei miei rifugi. | Ma quando in primavera si schiudono le gemme, | essi allora riempiono in gran numero i monti | e i prigionieri affollano i loro nascondigli."[16]

In Domenico Tumiati, Una primavera in Grecia.[modifica]

  • "Buona sera, mia signora, alla finestra d'oro. Che cosa pianti, che cosa getti, ché non vieni e non ti vedo?" | "Non piantare viole né fiori, pianta basilico. Perché il giovane che ti deve prendere, mi ha mandato a dirtelo."[17] (p. 16)
"Kalispera sas chiramo | Sto barconi to crisso! | Ti fitevis, ti parmevis, | pude vienis na s'edò? || "Mi fievis iulia k'anthia, | fiteve vassilicò. | Ja ti o neos, | pu tha se pari, | me estile na su topò." (p. 16)
  • "Vorrei avere un cuore, cuore nato nei dolori, cuore che abbia compagna la miseria solo." |"Vorrei avere due cuori, e donarti l'uno e serbar l'altro per non dimenticarti." | "Così io voglio il cuore che mi ami, e non abbia paura di lampi né di muoversi d'onde."[18] (Il cuore, p. 17)
Ithela na icha mian cardia, | cardia ienati ponus, | cardia opu nachi sindrofia | tin distichian monon. || "Ithela na icha dio cardias | tin mian na stin chariso, | tin allin na cratisso egò, | na mi sas lismoniso. || " Tethia tin thelo cardian, | opu na me agapisi, | na mi fovi se keramnon ! to kima opu afrisi" (p. 17)
  • "Dolore e desiderio del cuore si avvicinano, e io muoio. Al dolore trovo conforto, al desiderio che mai farò? | "Oh fossi brezza di notte, vicino a te starei: quando tu ridi sarei allegro, e quando ti duoli, io piangerei."[19] (Che cosa faccio?, p. 18)
"Ponos kie pozos stin cardia | condevo n'apezamo | stou pono orisco iatricò | ston bozo ti tha kamo? || "Na imin avra tis nictòs | plission su na pneo: | oran ghelas na mi diò, | k'otan ponis na chleo." (p. 18)
  • "Se mi amassi, cesserebbero i miei dolori dentro il tuo corpo che non ha dolori: dolci canzoni ti direbbe il mio cuore dentro al tuo corpo che non ha dolori. | "Mille volte io ti dicevo con dolore, che dentro il mio cuore tu batti – e ti dicevo mille volte con dolore: se tu mi amassi! ma tu non mi ami." (Non mi ami, p. 18)
"An m'agapuses, tha mu epava iponi, | mesa is ton poneménosu cormi: | glicà tragudia tha su elei' i cardiamu | mesa s'ton poneménosu cormì. || "Tha s'elega chilias forès me ponus, | pu mesas tin cardiamu si ktipàs. | kie tha mu eleies chilias fores me ponus | an m'agapuses, allà si den m'agapàs!" (p. 18)
  • "Vieni, vieni, ti dico, con la barca alla riva; vieni, vieni, ti dico con amarezza grande. Vieni, vieni, vieni, vieni!" | "Vieni, vieni e non altra; fuggo, lontano vado. Vieni, guarda come piango, con amarezza grande. Vieni, vieni, vieni, vieni!" | "Vieni, vieni, ti dico, lasciami in pace piangere. Vieni, vieni, vieni, vieni!"[20] (Non mi ami, p. 19)
"Ela, ela, tha su lego | me ti barca sto acroiali: | ela. ela, tha su lego | me parapono picrò | Ela, ela, ela, ela! || "Ela, ela, kie ochi ali | feugo, macrià pigheno: | ela, na me diss pos chlego, | me parapono picrò. | Ela, ela, ela, ela! || "Ela, ela, tha su legò | mi me tragnàs kekleo: | ela, ela, tha su lego | me parapono picrò. | Ela, ela, ela, ela!" (pp. 19-20)

In L'alfabeto dell'amore. Canti rodii[modifica]

  • Oh fossi tu fino a la fine, Amore, | quale in principio ne suoli apparire! | Prima ci mostri il dolce, ma il dolore | e il veleno non tardano a venire; | e ci bruci e ci strazi il cor ne 'l petto... | Amore, Amor, che tu sia maledetto! (p. 5)
  • Davver, gioiello mio, mio bell'amore, | mi meraviglio che quando tu passi | la strada non esali un grato odore | e non olezzin le montagne e i sassi; | che a l'apparir de 'l tuo viso beato, | tutto dintorno non s'infiori il prato. (p. 7)
  • Gentil ramo d'arancio, uva di tralcio, | boccetta piena d'essenza di rose | sei tu, signora, muschio d'Alessandria, | mazzo di gigli e prugne saporose: | di cera bianca avran dovuto farti... | Esser vorrei con te sempre e baciarti. (p. 8)
  • S'io sapessi quand'esci e dove vai, | o signora, con le altre damigelle, | di meli e aranci la via che farai | piantar vorrei, di lauri e di mortelle; | cedri e roseti vi vorrei piantare, | perché da 'l sol t'avessi a riparare. || E là dove tu passi, ove tu déi | posare il piè, per tutto seminare, | – né l'avresti a saper – muschio vorrei; | ché tutto intorno fosse un olezzare; | e di tua bella giovinezza il fiore | non offendesse il sol co 'l suo splendore (p. 9)
  • M'affretto per vederti, ché mi pare | qualche sollievo n'abbia a risentire; | ma appena che ti posso rimirare | ed io di nuovo mi sento morire! (p. 17)
  • Signora, ricamato dieci lancie | ne 'l nome mio tu hai: | in me le hai fitte certo per uccidermi, | ché tu morir mi fai. | Non con idea cattiva o per rancore | fatto l'hai tu, ma solo per amore. || Da 'l dolore io però mi sento fiedere, | mi sento consumare | da l'amor tuo, signora, e più resistere | non posso; ne 'l pensare | a te, brucio; mi sento impallidire, | se ti vedo; né più posso dormire. (pp. 27-28)
  • Non senti, signor mio, che mi si dice? | mi si propon marito. – – Ti si addice? || sposalo pur: che ci entro in quest'affare? | anche mia madre mi vuole ammogliare. – || –O vedi, vedi!... E questo era il tuo amore? | Ch'io sposi un altro tu non hai dolore? || Voglio prendermi a canto un arboscello, | un arboscel che sia di te più bello; || perché ti bruci il cor quando lo vedi, | come mi brucia il mio, che non lo credi! || Perché a man giunte l'abbia da gaardare | e t'abbian tutti da rimproverare. (pp. 28-29)
  • V'ha venti poma in un vassoio d'oro; | come i labbruzzii tuoi son dolci e rosse: | io le guardo e le invidio e "Uno di loro, | sospiro, almeno in mio poter se fosse! | per odorarlo a sera e riposare | soavemente; ché consolazione, | baciandolo, potessi ritrovare, | come se fossi tu, la mia passione!" (pp. 37-38)
  • Vieni, rugiada mia, | vieni, ti vo' vedere e salutare: | vo' in Occidente e via | chi sa se a lungo non mi tocchi stare? || Vieni, giurar ti voglio | che non ti potrò mai dimenticare; | vieni, giurar ti voglio | che un'altra donna non potrò baciare. (p. 43)
  • A la tua porta io stava | e le due poma de 'l tuo sen vedea; | ogni tuo membro, bella, lampeggiava, | e la ridente tua beltà splendea. || Tua gioventù formosa | olezza d'aloè, di muschio eletto; | su i tuoi labbri s'imporpora la rosa, | le sopracciglia tue son di zibetto; || e miele inzuccherato | è la tua lingua da 'l soave dire... | Della tua voluttà mi son saziato, | bella fanciulla mia; ti vo' rapire. (p. 48)
  • Gran gelosia pe 'l nostro amore nutrono | i tuoi vicini, o bella, ne 'l cor loro, | perché sta saldo come rocca ferrea, | perché è intrecciato qual catena d'oro. || Un gran dolor ciò gli ha dovuto fare, | e per questo ci voglion separare. || Che no 'l vedano i loro occhi, che l'anima | per ciò non gli si allieti e tocchi loro | quel che bramano a noi, perché ne piangano | gli amici e i lor nemici abbian ristoro; | perché da te vedermi separato | senza ragion veruna hanno sperato. (p. 53)
  • Lasciala dunque, anima mia, si termini | questo dolor continuo; | e ch'io cessi d'andar su e giù sì spesso. | Ed i nostri dolori, o mio cor, cessino!... | Alfin la bella sappia | che noi pure giudizio abbiamo messo (pp. 71-72)
  • Con dolci dolci baci ci vorremo baciare, | prima che la vecchiezza ci arrivi, o mio signor; | pria che la morte venga ed abbia a divorare | la terra il nostro cor. (da Frammento, p. 75)
  • D'invidia oggetto, o brocca, a gli occhi miei | son tue bellezze splendide: | benché tu brocca ed io uomo mi sia, || più fortunata assai di me tu sèi, | perché l'acqua freschissima | rechi a le labbra de la bella mia. (p. 81)
  • Il giovine diletto de 'l mio core, | io lo conosco, mamma, molto bene: | è un veneziano, s'è a Venezia; fuore | de la sua patria, un genovese; tiene | in man come un turcopulo il pugnale, | e a palleggiar la lancia non ha uguale. (p. 85)
  • Davvero che mi piacquero | caro, le tue parole: | le tue labbra mi dicono | quel che il tuo cuore vuole: | e a me il pensiero mio, | di fare il tuo desio. (p. 97)
  • Non mi parli passando per la via, | e m'hai veduta e non m'hai salutata. | Già me l'ha detto ogni compagna mia | che parli ad altra e me che m'hai lasciata. | S'egli è ver che d'un'altra donna sia | preso il tuo cor, se è ver che m'hai scordata; | se è più bella di me, ama pur quella; | ma l'escan gli occhi s'io son la più bella. (p. 103)
  • – Non v'era egli un ditino | di carta e un po' d'inchiostro per mandarmi | scritte in un bigliettino | due parolette sole a consolarmi? || E a dire m'ha mandato | con sue dolci parole l'amor mio: | – Siccome hai pazientato, | pazienta ancora un po', fin tanto ch'io || mi procuri un ditino | di carta e un po' d'inchiostro per mandarti | scritte in un bigliettino | due parole da 'l core a consolarti –. (p. 105)
  • Nato d'Amor, terribile signore | da le belle ali d'òr, mi fa tremare | la tua fiorente giovinezza il core, | ed il tuo sguardo mi fa spaventare; | temo sempre, signor, quand'io ti miro, | che le ali tue mi dieno il capogiro. || A la mia destra un coro di Cupídini | si sta seduto, a la sinistra Amore: | le mie ginocchia, sento, mi si sciolgono, | le mani mi son prese da 'l tremore; | un torpor su le mie labbra passare | sento, e mi sforzo invano di volare! (p. 112)
  • Palombella gentile vagabonda, | tortorella bellissima e graziosa, | io t'ho veduta ne l'uscir da l'onda, | dopo de 'l bagno fresca e rugiadosa: | ed a 'l vederti mi sentii ristare | il sangue in core... ed or desìo baciare | i tuoi labbruzzi e la bocca amorosa. (pp. 114-115)
  • O luna inestinguibile, | come la bella mia mandi splendor – | Tu la mia guida e l'unica | signora sèi de la mia vita, amor. (p. 129)
  • Bel cipresso da i trenta rami d'oro, | cipresso bello da la larga fronda, | che co' la rugiadosa ombra profonda | e l'aer soave dài dolce ristoro; || giardin pieno di rose e di verzura, | melo carco di poma saporose, | schiudi le rame giovani e pompose, | ch'io mi riposi ne la tua frescura. (p. 139)
  • Io le tue labbra bacio | le rosse labbra tue, la mia dolcezza: | Le bacio, le ribacio | le pure forme de la tua belezza. (p. 147)

Inglesi[modifica]

  • Ho dato al mio amore un anello che non ha una fine. | Come ci può essere un anello che non ha una fine? | [...] Un anello quando sta rotolando non ha una fine.
I gave my love a ring that has no end. | [...] How can there be a ring that has no end? | [...] A ring when it's rolling it has no end. (da The Riddle Song[21])

Lettoni[modifica]

  • Cerca d'indovinare, fanciulla, chi ti ha baciata. Se non saprai indovinarlo rimarrai sola tutta la notte.[22]
Míni mini / preilene, | kas tevi / bučuoja. | Já nevari / uzminēt, | sēdi visu / nakti.

Lituani[modifica]

  • Il sole sorse dall'oriente in cielo, | dall'occidente giungevano le nuvole. | Vidi la mia fanciulla che camminava | splendente come il sole all'alba. | Mia cara, mia dolce, vienmi vicina! | Diciamoci parole d'amore! | Per dodici anni ti ho amata | ti ho promesso un anello d'oro.[23]

Russi[modifica]

  • Ei uchnem! | Ei uchnem! | Iescerasich | Iesceras! Ei uchnem! | Ei uchnem! | Iescerasich, iesceras; ravasiom mu | Vieseru ravasiom mu da cudriavu! Ai da da. Ai da. | Ai da da. Ai da. Ravasiom mu cudriavu! (Ei uchnem)
Oh issa! Oh issa! Avanti | intonate il nostro antico richiamo. | Oh issa! Oh issa! | Avanti intonate il nostro antico richiamo! Issate | il tronco di betulla! | Issate il ceppo dell'albero ricciuto![24] Ai da da. Ai da | Ai da da. Ai da, issate il nostro ceppo ricciuto! (I battellieri del Volga[25])

Calabresi[modifica]

  • Accui nci cerca grazzia nci nda duna | cu avi u cori offisu nci lu sana | e io, Madonna mia nda ciercu una | nchianati 'n paradisu st'arma sana.[26]
  • Cristofuru Culumbu, chi facisti? | La megghiu giuvintù tu rruvinasti. | Ed eu chi vinni mi passu lu mari | cu chiddu lignu niru di vapuri. | L'America ch'è ricca di danari | è giriata di paddi e cannuni, | e li mugghieri di li «mericani»[27] | chiangiunu forti che rristaru suli. (Cristoforo Colombo[28])
Cristoforo Colombo, che facesti? | La migliore gioventù tu rovinasti. | Ed io che ci sono venuto traversai il mare | con quel legno nero di bastimento. | L'America che è ricca di denari | è piena di palle e cannoni, | e le mogli degli «americani» | piangono forte per essere rimaste sole.[29]
  • 'N jürnu 'na palumba curtivai, | amminezu le palumbe 'guale sue. | Si fice 'rande e ll'ali cce tagliai, | ppe' nun putire volare a voglie sue. || 'Ntisi 'na vuce all'ariu e m'affacciai, | e lla vidietti amminezu de le grue; | io cce dissi: «Palumba, duve vai? | Vòtate arriedi si bene mi vue.» | «Io nun me vuotu né moni, né mai, | ca soverchiu aspettai l'amore tue.»
Un giorno una colomba m'allevai, | in mezzo alle colombe pari sue. | Si fece grande, e le tagliai le ali, | che non potesse volare secondo la sua voglia. || Intesi nell'aria una voce e m'affacciai, | e la vidi in mezzo alle gru; | io le dissi: «Colomba, dove vai? | Voltati indietro se mi vuoi bene.» | «Io non mi volto né adesso né mai, | ché troppo aspettai l'amore tuo.» (N jürnu 'na palumba curtivai / Un giorno una colomba m'allevai[30])
  • Rondinella, chi passi lu mare, | salutamme 'a cummare, | salutamme 'a cchiù bella, | ccu llu tuppu e lla zagarella. (Rondinella, chi passi lu mare)
Rondinella che passi il mare, | salutami la comare, | e salutami la più bella, | con la crocchia e la zagarella.[31](Rondinella che passi il mare[32])
  • Se ti vashëza hadhjare, | me mbë shpi t'ëm' e t'ët atë, | sa hadhjare edhe dëlirë, | çë më ngjeshën ata brumë, | ngjeshe fort e ngure shumë. | Bën kuleçë e m'i dërgo | gjithë gjirivet mbë shpi, | gjithë gjitonëvet mbë derë, | të t'mburonjë buka ndër duar, | të të shtohen ditët e mira, | të t'zbardhet ajo jetë | pjot me dritë e me haré | si e bardhëz je ti vetë. (Kënga brumit)
O giovinetta graziosa, | con in casa e padre e madre, | quanto graziosa tanto semplice, | tu che ora quel lievito m'impasti, | spianalo forte e induralo assai. | Fa' le ciambelle e mandale | ad ogni casa dei parenti, | ad ogni porta dei vicini, | che il pane in mano ti si moltiplichi, | che ti si accresca il numero dei di' felici, | che la tua vita sia radiosa | piena di luce e d'allegria | così come radiosa sei tu stessa. (da Canto del lievito[33])

Emiliano-Romagnoli[modifica]

  • E canta la zighéla[34]: taia[35], taia, | e gran a e patron, a e cuntadèn la paia. | E canta la zighéla: tula[36] tula, | e gran a e patron, a e cuntadén la pula. | E canta la zighéla e e zigalèn[37], | e gran a e patron, la pula a e cuntadèn. (E canta la zighèla[38])

Napoletani[modifica]

  • A la rota, a la rota | mastr'Angelo ce joca: | nce joca la zita | e madamma Margarita.[39]
  • 'A signora donna Dïanora | che cantava 'ncoppa ô trïato | mo abballa 'mmiez' ô mercato. | Viva viva 'u papa santo | ch'ha mannato 'e cannuncine | pe' scaccià' li giacubine. | Viv' 'a forca e Mastu Donato[40] | Sant'Antonio sia prïato.[41]
  • All'arme all'arme! | la campana sona, | li Turche so' arrivat' a la marina. | Chi tene scarpe vecchie se l'assola, | ch'avimm' a fare 'nu luongo cammino. | Chi have grano lu pport' a la mola, | cumme ce mena ionna la farina! | Chi vò' 'mparare la mugliera bona, | 'na mazzïat' 'a ser' e 'n' at' 'a matina.[42]
  • Capille d'oro, | capill'aunnate, | Cielo! che ghionna trezza che tenite! | Quann'a la fenestella v'affacciate | li ragge de lu sole 'ntartenite; | e quanno 'sti capille pettenate, | pure la terra tremmare facite![43]
  • Fenesta vascia e patrona crudele, | quanta suspire m'haie fatto iettare! | M'arde 'stu core cumme a 'na cannela, | Bella, quanno te sento annumenare. | Ohie, piglia la speriènza da la neve, | la neve è fredda e se fa maniare. | E tu cu' mmico si' tanta crudele, | muorto me vide e nu me vuò' aiutare![44]
  • Fruste cca, Margaritella[45], | ca si troppa scannalosa, | che pe ogni poca cosa | tu vuoi nnanze la vunnella[46]. | Fruste cca, Margaritella.[47]
  • Jesce sole, jesce sole, | nun te fa' cchiù suspirà |: siente maje ca li ffigliole | hanno tanto da prià. | Jesce sole, jesce sole...[48]
  • Jesce sole, jesce sole | scajenta Mperatore, | scanniello mio d'argiento, | che vale quattociento; | ciento cinquanta, | tutta la notte canta, | canta viola | lo masto de scola; | o masto o masto | mannancenne priesto, | ca scemme Masto Tiesto | co lanze, e co spate | da l'aucielle accompagnato. | Sona sona zampognella, | ca t'accatto la gonnella, | la gonnella de scarlato; | se non suone te rompo la capo.[49]
  • Lavannarella mia, | si' bella nfra le belle, | tu si' tra le nennelle | no sciore de bontà. || Sponta pe' tte lo sole, | nennella aggraziata, | pe' farte la colata | chiù subbeto asciuttà.[50]
  • Me si' venuto a odio murtale, | manco lo nomme tuio voglio sentire: | malato te vurrìa a lu spitale | cu' 'na freva malegna e ghiettecìa.[51] | E t'avarrìa lu miedeco urdinare | lu sputo mio pe' te pute' guarire... | Cient'anne me starria senza sputare, | 'nfì che de pena te farrìa murire![52]
  • Muorto è lu purpo[53]e sta sotto la preta, | muorto è Ser Janni[54]figlio de poeta.[55]
  • Nun me chiammate cchiù donna Sabella[56]| chiammateme Sabella sventurata | patrona 'i era 'e trentasei castella | la Puglia bella e la Basilicata...[55]
  • [Non c'è un attimo di respiro per la levatrice ('a vammana o mammana)] Nun c'è n'ora, no momento | che può schitto resciatà, | neve, tronola, acqua e bbiento, | non c'è maje pe mme piatà, | curre, arranca, afferra, acchiappa, | suse, lascia, piglia, scappa.[57]
  • Non chiòvere, non chiòvere | ca voglio ire a mòvere | a mòvere lo grano | de mastro Giuliano...[39]
  • O quann'è bello de murire acciso | 'mmocca a la porta de la 'nnamorata! | L'anema se ne vola 'mparaviso | u cuorpo nse lu chiagne la scasata[58].[59]
  • Oje Ne'! Chest'è la nocca | io t'à voglio rialà... | e tu miettatella a chiocca | e paura non avé... | Alluccammo: mena, me' | Galibarde è il nostro re...[60]
Ragazza mia | quest'è la coccarda | che voglio regalarti | mettila alla tempia | e non temere di nulla | gridiamo tutti in coro: | Garibaldi è il nostro re...[61]
  • Russo melillo mio, russo melillo | sagliste ncielo pe piglià culore | te ne pigliaste tanto pucurillo | non t'abbastaje nemmanco a fà l'ammore, | l'ammore è fatto com' 'a la nucella, | si nun la rumpe nun la può magnare...[62]
Rosso meluccio[63]mio, rosso meluccio | salisti al cielo per mettere colore | ma ne mettesti così poco | che non ti bastò nemmeno a far l'amore | l'amore è fatto come una nocciuola | se non la rompi non la puoi mangiare...[64]
  • Scètete[65], Maistà,[66] ch'è fatto iuorno, | nun penzà' chiù â caccia e a li ffigliole,[67] | vide che fa Munzù[68]cu' la Maesta;[69] | penza ca ire[70] ciuccio e mo si' cervo | Men' 'a mazza si no si' re de cuorno[71].[72]
  • [Nel 1799 lazzaroni e sostenitori del Cardinale Ruffo per le strade di Napoli cantavano:] Signo', mpennimmo a chi t'ha tradute | muonace, prievete e cavaliere, | lievet' 'a ccà, miettete 'a llà | e cauce nfaccia alla Libertà.[73]
  • Vi quant'è bella Napule | pare nu franfellicco[74]: | ognuno vene e allicca | arronza e se ne va.[75]
  • Vorria addeventare prevolillo[76]| pe fa ste coscetelle caude stare, | quand'è lo vierno, che te vuoi scarfare[77]. || Vorria addeventare lenzolillo[78], | che quand'isse la sera a reposare, | ste carne toi potesse accarezzare. || Vorria addeventare polecillo [79], | pe potere ste carne cammenare | e sto pietto, e ste carne mozzicare[80]. || Ma ahimè, ca so' arredutto sorecillo[81], | e mo' che m'hai 'ncappato a lo mastrillo[82], | tu te ne ride, et io sospiro e strillo! [83]

Piemontesi[modifica]

  • Fèvi curage, Piemunteis, vui atir, Piemunteis! | Battiruma li Spagnoi, e isti bugher di Franceis! [84]

Toscani[modifica]

  • Amore amaro! | La libertà dell'uom vale un tesoro, | E quella della femmina un denaro.[85]
  • Dalla parte del cor ce l'ho un serpente | Che mi lavora a punta[86] di diamante; | Chi non prova l'amor, non prova niente.[87]
  • E gli uomini son finti e traditori; | Hanno un'anima sola, e cento cuori.[88]
  • Fior di limone. | Colla farina ci si fa lo pane; | Co' giovinotti ci si fa all'amore.[89]
  • Fior di limone. | Tre cose son difficili a lassare, | Il giuoco, l'amicizia, e il primo amore.[90]
  • Fior di radice. | Lasciale dir queste lingue mordace;[91] | Ama chi t'ama, e lascia dir chi dice.[92][93]
  • Fiore di sale. | L'amore fa penar, ma non si muore; | D'amore non si muor, ma si sta male.[94]
  • Fiorin nel vaso. | Non ti fidar di chi ti fa buon viso: | Anche Giuda tradì Gesù col bacio.[95]
  • In casa del mio amor non son contenti: | Contenti siamo noi; contenti tutti.[96]
  • Navigar non si può senza la vela, | L'amor non si può far senza la dama.[97]
  • Pampani e uva. | E la mia mamma sempre lo diceva: | L'amor del forestiero poco dura.[98][99]
  • Timo fiorito. | Mi fidai degli amici e fui ingannato, | Mi fidai delle donne e fui tradito![100]

Senesi[modifica]

  • E mentre Siena dorme tutto tace, | e la luna illumina la torre | senti nel buio, sola nella pace, | sommessa Fontegaia | che canta una canzon, | d'amore e di passion... || "Nella Piazza del Campo | ci nasce la verbena, | viva la nostra Siena, | viva la nostra Siena! | Nella Piazza del Campo | ci nasce la verbena, | viva la nostra Siena, | la più bella delle città!"[101] (Baldi, p. 5)
  • Finché vivo finché campo, finché dura la mia vita | io mi vesto da eremita, e in convento voglio andar. || Voglio andare in un convento, a suonare la campana, | a suonarla per chi s'ama, per chi s'ama e si vuol ben. || Sòna sòna campanina, che per me non sòni mai, | questa sera sònerai, sònerai soltanto per me. (Baldi, p. 93)
  • Oh quant'è bella la Piazza di Siena | circondata dai dieci fantini, | vanno alla mossa son dieci assassini, | suonano le ventiquattro | e tu sei l'idolo del mio cuor. (Baldi, p. 71)
  • Siena, città di sogni e di chimere. (Baldi, p. 79)
  • Siena di notte per le vecchie strade, | quanta bellezza l'anima intravede | ed ogni bocca a un'altra si concede, | mentre si canta in tutte le Contrade. (Baldi, p. 79)

Siciliani[modifica]

  • Figghiuzza 'nta lu sonnu mi vinisti | du' paruleddi ruci e ti nni isti | e a la matina quannu mi śvigghiaiu | ca mi sintìa ca eri a lu me latu | mi vàju pi vutari e nun mìu a nuddu.[102]
Figliuola nel sonno sei venuta a me | due paroline dolci e te ne andasti | e la mattina quando mi svegliai | e sentivo che eri al mio fianco | vado per voltarmi e non vedo nessuno.
  • Lu 'nfernu è chinu di fiscali[103] e judici, | Mastri nutara, spiziali e medici; | e poi nni vitti quarcu'n 'atri dudici | 'ntra monaci, parrini e antri clerici, | è giudicatu cu leggi lu codici, e' 'ntra lu 'nfernu cu' spinci lu calici | e cunnannatu cu 'pigghiava pulici.[104] | Lu puvireddu si un'ha jiri a sparaci[105], | lu riccu arrobba senza jiri a giudici.[106](Lu 'nfernu è chinu di fiscali e judici.[107])
L'inferno è pieno di fiscali e giudici, Maestri notai, farmacisti e medici; | e poi ne vidi circa altri dodici | tra monaci, preti e altri chierici, | è giudicato chi legge il codice, | è nell'inferno chi alza il calice | E condannato chi prendeva pulci. | Il povero se ne deve andare a [cogliere] asparagi | Il ricco ruba senza andare [innanzi] ai giudici.[108]
  • Lu Santu Patri ni livau la missa, | lu Re conza la furca a li parrini, | la Sicilia è fatta carni di sasizza, | cca c'è la liggi di li saracini. [109]
Il Santo Padre ci ha tolto la messa | il re prepara la forca per i preti | la Sicilia è fatta carne da salsiccia | qui vige la legge dei saraceni.
  • Ora nun fazzu cchiù lu carritteri | ca lu cavaddu nun voli arrivari. | 'Nta la muntata di Mussulumeli | si sdillassau la cinca e pitturali, | e comu t'arriducisti cavaddu di Sciacca | ar essiri prizzuliatu di la ciocca. | Si Diu voli e la mula camina, | c'haju a ghiri a la fera a la Diana.[110]
Ora non faccio più il carrettiere | ecco perché il cavallo non vuole arrivare. | Alla salita di Misilmeri | si rompe sottopancia e pettorale, | e come ti riducesti cavallo di Sciacca | ad esser becchettato dalla chioccia. | Se Dio vuole e la mula cammina, | dovrò arrivare alla fiera di Cefalà Diana.

Citazioni sui Canti popolari siciliani[modifica]

  • C'è nei canti del popolo siciliano una particolare nota, che li farebbe distinguere fra quelli di mille altri popoli, ed è una nota di signorilità: quasi una sprezzatura per tutto ciò che è volgare e scurrile. (Gesualdo Manzella Frontini)

Ucraini[modifica]

  • Nella lontananza della bruma si curva l'azzurro | e alle spalle del fiume è adagiata sul mare dorato Odessa la mia cittá | lei incontra la canzone e accompagna le canzoni | Odessa Mamma mia città natale || Ah! Odessa perla sul mare | Ah! Odessa tu hai saputo di molte pene | Ah! Odessa amata estrema terra del mio sud | Vivi Odessa e fiorisci || Nel mondo esiste un popolo speciale che vive a Odessa || e dovunque ti capiti di incontrare questo popolo, lui canta allegro | a chiunque chiediate vi risponderanno: "ma sono gli odessiti, la nostra Mamma ci ha partoriti così" || A Odessa c'è un faro, splende sempre per tutti | e dice: "fermati marinaio, vieni da me | qui le porte sono sempre aperte || i boccali sono sempre pieni | e le donne ballano fino all'alba.[111]

Note[modifica]

  1. In Giovanni Novaresio, Album Somalo, Edizioni Universitarie, Genova; citato in Nuova poesia negra, versioni e introduzione di Maria Grazia Leopizzi, Guanda, Parma, 1961, p. 335.
  2. La vigilia di Natale i ragazzi poveri, portano zucche trasformate in lanterne, vanno di casa in casa o di veranda in veranda, di porta in porta beneaugurando, e ricevono frutta e torte e bevande. Nota a p. 36 di Canti popolari armeni.
  3. In Armenia si chiama re lo sposo, e la sposa regina. Nota a p. 42 di Canti popolari armeni.
  4. San Giovanni Battista, considerato in Armenia il più potente fra i santi. Cfr. nota a p. 65 di Canti popolari armeni.
  5. Ečmiadzin, sede pontificale della Chiesa armena. Nota a p. 53 di Canti popolari armeni-
  6. Villaggio a sud della città di Van, Cfr. nota a p. 65 di Canti popolari armeni.
  7. a b Strumenti musicali. Nota a p. 145 di Canti popolari armeni.
  8. Le Samodive qui rappresentano la tempesta, l'uragano. Cfr. Canti popolari bulgari, p. 13, nota.
  9. In E. Grosse, Die Anfänge der Kunst, Friburgo-Lipsia 1894, p. 232, citato in Eduard Norden, La prosa d'arte antica dal VI secolo a. C. all'età della Rinascenza, due volumi, a cura di Benedetta Heinemann Campana, con una nota di aggiornamento di Gualtiero Calboli e una premessa di Scevola Mariotti, Salerno Editrice, Roma, 1986, vol II, pp. 819-820. ISBN 88-85026-54-0
  10. Citato in Ants Oras (Letteratura estone), Ernests Blese (Letteratura lettone) e Alfred Senn (Letteratura lituana), Storia delle letterature baltiche, a cura di Giacomo Devoto, Nuova Accademia Editrice, 1963, traduzione per Ants Oras (Letteratura estone) di Olga Rossi, p. 15.
  11. Il celebre canto Jos mun tuttuni tulisi (Se venisse il mio amato) è stato paragonato alla poesia lirica di Saffo. Venne tradotto dall'Acerbi, da Goethe e, in lingua svedese dal poeta lirico finlandese Frans Michael Franzén Cfr. Storia delle letterature della Finlandia, p. 80.
  12. Citato in Edoardo Roberto Gummerus, Storia delle letterature della Finlandia, Nuova Accademia Editrice, Milano, 19622, p. 80.
  13. Citato in Pacifico Arcangeli, Letteratura e Crestomazia giapponese, Milano, Cisalpino, Istituto Editoriale Universitario, 1990 (ristampa anastatica autorizzata dall'editore Ulrico Hoepli), p. 209. ISBN 8820506505
  14. a b Alti dignitari della corte ottomana. Cfr. I canti popolari dei ribelli greci, in Poesia, n. 102, nota 1, p. 71.
  15. Miliziani greci che, riuniti in bande, lottavano contro i dominatori ottomani. Cfr.voce su Wikipedia.
  16. Da I canti popolari dei ribelli greci, a cura di Francesco Maspero, traduzione di Francesco Maspero. In Poesia, n. 102, anno X, gennaio 1997, Crocetti Editore, Milano, 1997, p. 71.
  17. Cantata da un pescatore di granchi e di aragoste presso il lago di Kalichiopulo (Corfù) Cfr.Una primavera in Grecia, p. 16
  18. Ascoltato e raccolto da Tumiati a Corfù. Cfr. Una primavera in Grecia, p. 17.
  19. Ascoltato e raccolto da Tumiati nei pressi della Fortezza Nuova. Cfr. Una primavera in Grecia, p. 17.
  20. Cantato da pescatori che vogavano in diretti verso la Fortezza Vecchia. Cfr. Una primavera in Grecia, p. 19
  21. Citato in Wayne Erbsen, Front Porch Old-time Songs, Jokes & Stories: 48 Great Southern Sing-along Favorites, Native Ground Books & Music, 1993, p. 48.
  22. Citato in Ants Oras (Letteratura estone), Ernests Blese (Letteratura lettone) e Alfred Senn (Letteratura lituana), Storia delle letterature baltiche, a cura di Giacomo Devoto, Nuova Accademia Editrice, 1963, traduzione per Ernests Blese (Letteratura lettone) di Maria Grazia Cocconi, pp. 82-83.
  23. Citato in Ants Oras (Letteratura estone), Ernests Blese (Letteratura lettone) e Alfred Senn (Letteratura lituana), Storia delle letterature baltiche, a cura di Giacomo Devoto, Nuova Accademia Editrice, 1963, traduzione per Alfred Senn (Letteratura lituana) di Maria Baccalini, p. 423.
  24. Era antica usanza russa innalzare un tronco di betulla con rami intrecciati nelle pause di riposo o nelle feste. Alla ripresa del lavoro il tronco veniva rimosso. Cfr. nota a p. 480 de La nuova antologia Garzanti, volume secondo.
  25. Citato in La nuova antologia Garzanti, volume secondo, Garzanti, 1981, pp. 479-480. (Discografia:Vieilles chansons de Russie, «Le Chant du Monde» LD-S 4163.)
  26. Citato in Giovanni Musolino, Santi eremiti italogreci: grotte e chiese rupestri in Calabria, Rubbettino, 2002.
  27. Gli emigrati in America. Cfr. Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, p. 422.
  28. Citato Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, La memoria e la ragione: Ottocento e Novecento, antologia di cultura generale. Per gli istituti professionali, Società Editrice internazionale, Torino, Ristampa luglio 1981, p. 422. ISBN 88-05-01587-3
  29. In Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, p. 422.
  30. In Canzoniere italiano, a cura di Pier Paolo Pasolini, Guanda; citato in La nuova antologia Garzanti, vol. I, Garzanti, 1981, p. 390.
  31. Nastro, fettuccia ornamentale. Nota a p. 391 de La nuova antologia.
  32. In Canzoniere italiano, a cura di Pier Paolo Pasolini, Guanda; citato in La nuova antologia Garzanti, vol. I, Garzanti, 1981, p. 391.
  33. In Rapsodie e scene di vita degli albanesi di Calabria, a cura di G. Ferrari, Cosenza, 1959; citato in La nuova antologia Garzanti, vol. III, Garzanti, 1981, p. 112.
  34. Cicala. Cfr. la comunicazione letteraria, p. 798.
  35. Taglia. Cfr. la comunicazione letteraria, p. 798.
  36. Su Cfr. la comunicazione letteraria, p. 798.
  37. Cicalino Cfr. la comunicazione letteraria, p. 798.
  38. In Ettore Barelli, la comunicazione letteraria, schede didattiche di Daniela Bertocchi e Edoardo Lugarini, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1981, p. 798)
  39. a b Citato in Napoli, punto e basta?, p. 697.
  40. Mastro Donato. Il boia incaricato di giustiziare i condannati.
  41. Citato in Molinari del Chiaro, p. 102.
  42. Citato in Luigi Molinari del Chiaro, p. 125.
  43. Citato in Luigi Molinari del Chiaro, p. 159.
  44. Citati in Molinaro Del Chiaro, pp. 193-194
  45. Margherita di Durazzo. Cfr. Feste, Farina e Forca, p. 180.
  46. Vutte nnanze la gonnella in altri testi. Cfr. Etnomusica e Poesia Popolare della Campania, p. 11.
  47. Citato in Etnomusica e Poesia Popolare della Campania, Dalla raccolta di poesie e canti popolari, dal duecento al novecento, a cura di: Salvatore Argenziano e Gianna De Filippis, p. 11 e, con differenze nel testo, in Feste, Farina e Forca, p. 181.
  48. Canzone delle lavandaie del Vomero. Citato in Mimmo Piscopo, Vomero e dintorni.Viaggio nella memoria di un vomerese accanito, Lettere Italiane, Alfredo Guida Editore, Napoli. ISBN 88-7188-419-1, p. 38. ISBN 88-7188-419-1 e, parzialmente, in Feste, Farina e Forca, pp. 179-180.
  49. Citato in Molinaro Del Chiaro, pp. 82-83.
  50. Citato in Molinaro
  51. Tisi.
  52. Citato in Luciano Galassi, Mannaggia Bubbà, interiezioni, imprecazioni e invettive napoletane, Kairos Edizioni, Napoli, 2012, p. 108. ISBN 978-88-98029-03-7
  53. Commenta Giovanni Artieri: "Stupenda immagine, terribile sarcasmo (di concezione puramente istintiva e popolaresca) quello del «purpo», cioè del polpo a tentacoli spiegati, in cui veniva deformata la figura del «sole raggiante», che campeggiava sullo scudo del morto ser Gianni." Da G. Artieri, Napoli, punto e basta?, p. 536.
  54. Ser Gianni Caracciolo (1372 circa – Napoli, 19 agosto 1432).
  55. a b Citato in Feste, Farina e Forca, p. 180.
  56. Isabella d'Aragona o, secondo Benedetto Croce, Isabella di Lorena. Cfr. Feste, Farina e Forca, p. 180.
  57. Citato in C'era una volta Napoli, p. 76.
  58. L'infelice, senza marito.
  59. Citato in Canti e racconti del popolo italiano, pubblicati per cura di Domenico Comparetti ed Alessandro D'Ancona, Canti delle provincie meridionali, Ermanno Loescher, Roma/Torino/Firenze, 1871, p. 58.
  60. Citato in Napoli, punto e basta?, p. 626.
  61. La traduzione è in Napoli, punto e basta?, p. 703.
  62. Citato in Giovanni Artieri, Napoli, punto e basta?, Divertimenti, avventure, biografie, fantasie per napoletani e non, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1980, p. 544.
  63. Il frutto del melo, in dialetto napoletano, è di genere maschile. Cfr. Napoli, punto e basta?, p. 544.
  64. Traduzione di Giovanni Artieri, in Napoli, punto e basta?, p. 544.
  65. Svegliati, apri gli occhi.
  66. Ferdinando I delle Due Sicilie.
  67. Non pensare più alla caccia e correr dietro alle giovani.
  68. Munzù: dal francese Monsieur.
  69. Apri gli occhi, vedi cosa fa Lord Acton con la Padrona, Maria Carolina, tua moglie.
  70. Eri.
  71. Dai di piglio al bastone, altrimenti sei un re di corno.
  72. Citato in Molinari del Chiaro, p. 107.
  73. Citato in Napoli, punto e basta?, p. 592.
  74. Zucchero caramellato modellato in forma di bastoncino. Era venduto dal franfelliccaro. Franfellicco deriva dal francese fanfreluche (in francese antico fanfeluc: fronzolo), che deriva dal basso latino famfaluca che risale a sua volta al greco pomphólux: bolla d'aria. Cfr. Francesco D'ascoli, C'era una volta Napoli. Mestieri, oggetti, frutti, giochi infantili scomparsi o in via di estinzione, prefazione di Gianni Infusino, Loffredo Editore, Napoli, 1987, p. 17.
  75. Citato in Vanda Monaco, La comunicazione teatrale, momenti di spettacolo teatrale dagli anni cinquanta a oggi, Patron, 1981, [1], p. 317
  76. Scaldino.
  77. Riscaldare.
  78. Lenzuolino.
  79. Pulce.
  80. Mordere.
  81. Perché sono ridotto topolino.
  82. E ora che mi hai preso nella tua trappola.
  83. Lo sorecillo, Il topolino, villanella anonima del XVI secolo. Citato con traduzione in Raffaele Giglio, Letteratura delle regioni d'Italia, Storia e testi, Campania, Editrice La Scuola, Brescia, 1988, p. 147. ISBN 88-350-7971-3.
  84. Versi cantati durante l'assedio franco-ispanico di Torino del 1706. Da Ferraro, Canti monferrini, Torino, 1870, p. 174; Cfr. Rubieri, Storia della poesia popolare italiana, Firenze, 1877, pp. 522 sgg. ; citato in Benedetto Croce, Un paradiso abitato da diavoli, a cura di Giuseppe Galasso, Adelphi, Milano, 2006. ISBN 88-459-2036-4, p. 138.
  85. Citato in Tigri, 1856, p. 374.
  86. A punta, cioè, a modo della punta.
  87. Citato in Tigri, 1856, p. 373.
  88. Citato in Tigri, 1856, p. 372.
  89. Citato in Tigri, 1856, p. 374.
  90. Citato in Tigri, 1856, p. 373.
  91. Per mordaci.
  92. Dante nella Divina Commedia: «E lascia dir le gentiSoldanieri, Ballata: «Chi vuol far fatti non dica parole — Stringa la bocca e lasci dir chi vuole
  93. Citato in Tigri, 1856, p. 371.
  94. Citato in Tigri, 1856, p. 371.
  95. Citato in Tigri, 1856, p. 375.
  96. Citato in Tigri, 1856, p. 372.
  97. Citato in Tigri, 1856, p. 375.
  98. Il campagnolo però s'attiene al proverbio:moglie e buoi, da' paesi tuoi.
  99. Citato in Tigri, 1856, p. 375.
  100. Citato in Tigri, 1856, p. 375.
  101. Cfr. Canto della Verbena su Wikipedia.
  102. Citato in Roberto Leydi, I Canti popolari italiani, Oscar Mondadori, 1973, p. 188.
  103. Impositori di tasse. Cfr. Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, p. 420.
  104. Cercare il pelo nell'uovo. Cfr. Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, p. 420.
  105. Nel senso di povere erbe per sfamarsi. Cfr. Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, p. 420.
  106. Con la certezza dell'impunità. Cfr. Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, p. 420.
  107. Citato in Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, La memoria e la ragione: Ottocento e Novecento, antologia di cultura generale. Per gli istituti professionali, Società Editrice internazionale, Torino, Ristampa luglio 1981, p. 420. ISBN 88-05-01587-3
  108. In Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, p. 420. ISBN 88-05-01587-3
  109. Citato in La lenta conclusione di una lunga vicenda, ArchivioStoricoEoliano.it.
  110. Citato in Roberto Leydi, I Canti popolari italiani, Oscar Mondadori, 1973, p. 314.
  111. Citato in Moni Ovadia, C'era una volta Mamma Odessa: NELLA CITTÀ DI BABEL. Quando la peste nera del nazifascismo rialza la testa si scatena l'odore acre e nauseabondo del sangue innocente, ilmanifesto.it, 10 maggio 2014.

Bibliografia[modifica]

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