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Giovanni Boccaccio

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Giovanni Boccaccio

Giovanni Boccaccio (1313 – 1375), poeta e prosatore italiano.

Citazioni di Giovanni Boccaccio

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[Agrippina maggiore] fu maritata a Germanico, bello, di sua età, il quale molto fu di bisogno alla repubblica, e, per adozione fu figliuolo di Tiberio Cesare. Assai per questo lei fu famosa; ma più famosa fu perché ella, con ostinato proposito, fece resistenza alla perfidia del superbissimo imperatore.
  • [Agrippina] Germanico sue etati insigni iuveni et plurimum rei publice oportuno ac Tyberii Cesaris Augusti filio adoptivo, nupta est; satis ob hoc fulgida, sed fulgidior quod insolentissimi principis obstinato proposito retudisset perfidiam. (da De mulieribus claris, cap. LXXXVIII)
  • Giovine donna è mobile, e vogliosa | È negli amanti molti, e sua bellezza | Estima più ch'allo specchio, e pomposa | Ha vanagloria di sua giovinezza; | La qual quanto piacevole e vezzosa | È più, cotanto più seco l'apprezza: | Virtù non sente, né conoscimento, | Volubil sempre come foglia al vento. (Filostrato, VIII, 30)
  • Il Vesuvio è un monte della Campania, non congiunto ad altro monte, abbondante in ogni parte di vigne e frutteti. Dal lato di Scirocco giace ai suoi piedi Pompei, e, quasi di Scirocco, Sarno, e, più lontana Benevento. Dal lato di Grecale giace Capua e da quello di Maestrale vi è Napoli dei Calcidensi, detta Partenope. Da mezzo questo, vicino la cima, usciva, con grandissima paura dei contadini, tanto fumo da ricoprire tutta la regione. (da De montibus, silvis, fontibus, lacubis, fluminibus, stagnis, seu paludibus et nominibus maris, citato ne Il Vesuvio)
  • [...] la nodosa podagra, con gravissima noia di chi l'ha, tiene tutto il corpo quasi immobile e contratto [...] (dal Comento alla Divina Commedia, p. 88)
  • Le ricchezze dipingono l'uomo, e con i loro colori cuoprono e nascondono non solamente i difetti del corpo, ma ancora quelli dell'anima.[1][2]
  • Nella montagna esiste ancora una grande apertura, chiaro testimone dell'avvenuto incendio. Alle radici di questa avvenne una battaglia famosa tra Romani e Latini, nella quale Publio Decio, console, per ottenere la vittoria si dedicò agli Dei profondi, e quindi morì. I contadini odierni chiamano frequentemente tutto questo monte la Somma. (da De montibus, silvis, fontibus, lacubis, fluminibus, stagnis, seu paludibus et nominibus maris, citato ne Il Vesuvio)

Decameron

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Umana cosa è aver compassione agli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto li quali già hanno di conforto avuto mestiere, e hannol trovato in alcuni: fra' quali, se alcuno mai n'ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli. Perciocché dalla mia prima giovanezza infino a questo tempo oltre modo essendo stato acceso d'altissimo e nobile amore, forse più assai che alla mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo, si richiedesse, quantunque appo coloro che discreti erano, e alla cui notizia pervenne, io ne fossi lodato e da molto più reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica a sofferire, certo non per crudeltà della donna amata, ma per soperchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito: il quale, per ciò che a niuno convenevol termine mi lasciava contento stare, più di noia, che bisogno non m'era, spesse volte sentir mi facea.

Citazioni

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  • [Sulla peste] [...] nascevano nel cominciamento d'essa a' maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun'altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s'incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno. (I giornata, Introduzione)
  • [Sulla peste] E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s'avventava a' sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate. E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l'usare cogli infermi dava a' sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator transportare. (I giornata, Introduzione)
  • E erano alcuni li quali avvisavano che il viver moderatamente, e il guardarsi da ogni superfluità avesse molto a così fatto accidente [la peste] resistere: e fatta lor brigata, da ogni lato separati viveano; e in quelle case ricogliendosi e rinchiudendosi dove niuno infermo fosse, e da viver meglio, dilicatissimi cibi e ottimi vini temperatissimamente usando, e ogni lussuria fuggendo, senza lasciarsi parlare ad alcuno, o volere di fuori, di morte o d'infermi alcuna novella sentire, con suoni e con quelli piaceri che aver poteano si dimoravano. (I giornata, Introduzione)
  • Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la piú dilettevole parte d'Italia; nella quale assai presso a Salerno è una costa sopra il mare riguardante, la quale gli abitanti chiamano la Costa d'Amalfi, piena di piccole città, di giardini e di fontane e d'uomini ricchi e procaccianti in atto di mercatantía sì come alcuni altri. Tra le quali cittadette n'è una chiamata Ravello, nella quale, come che oggi v'abbia di ricchi uomini, ve n'ebbe già uno il quale fu ricchissimo, chiamato Landolfo Rufolo; al quale non bastando la sua ricchezza, disiderando di raddoppiarla, venne presso che fatto di perder con tutta quella se stesso. (II giornata, novella IV)
  • Nel quale seno poco stante due gran cocche di genovesi le quali venivano di Costantinopoli, per fuggire quello che Landolfo fuggito avea, con fatica pervennero; le genti delle quali, veduto il legnetto e chiusagli la via da potersi partire, udendo di cui egli era e giá per fama conoscendol ricchissimo, sí come uomini naturalmente vaghi di pecunia e rapaci, a doverlo aver si disposero. (II giornata, novella IV)
  • E essa che con otto uomini forse diecemilia volte giaciuta era, allato a lui si coricò per pulcella, e fecegliele credere che così fosse; e reina con lui lietamente poi più tempo visse. E perciò si disse: «Bocca basciata non perde ventura, anzi rinnuova, come fa la luna[3][4] (II giornata, novella VII)
  • E abbi questo per certo, che colei sola è casta, la quale o non fu mai da alcuno pregata, o se pregò, non fu esaudita. (II giornata, novella IX)
  • Fu dunque in Pisa un giudice, più che di corporal forza, dotato d'ingegno, il cui nome fu messer Ricciardo di Chizinca, il qual, forse credendosi con quelle medesime opere sodisfare alla moglie, che egli faceva agli studi, essendo molto ricco, con una piccola sollecitudine cercò d'avere bella e giovane donna per moglie; dove e l'uno e l'altro, se così avesse saputo consigliar sé, come altrui faceva, doveva fuggure. (II giornata, novella X)
  • È [...] meglio fare e pentere, che starsi e pentersi. (III giornata, novella V)
  • Fate quello che noi diciamo e non quello che noi facciamo. (III, VII)[2]
  • [Sull'hashish] [...] una polvere di maravigliosa vertú [...], che [...], piú e men data, senza alcuna lesione faceva per sí fatta maniera piú e men dormire colui che la prendeva, che, mentre la sua vertú durava, non avrebbe mai detto alcuno, colui in sé aver vita [...]. (III giornata, novella VIII)
  • E così stando, essendo Rustico più che mai nel suo disidero acceso per lo vederla così bella, venne la resurrezion della carne. (III giornata, novella X)
  • [...] sola la miseria è senza invidia nelle cose presenti. (IV giornata, Introduzione)
  • Amor può troppo più che né voi né io possiamo. (IV giornata, novella I)
  • Alcuni, al mio giudicio, valorose donne, sono li quali più che l'altre genti si credon sapere, e sanno meno: e per questo non solamente a' consigli degli uomini, ma ancora contra la natura delle cose presummono d'opporre il senno loro; della quale presunzione già grandissimi mali sono avvenuti ed alcun bene non se ne vide già mai. (IV giornata, novella VIII)
  • [...] vi voglio ricordare, essere la natura de' motti cotale, che essi, come la pecora morde, deono così mordere l'uditore, e non come il cane, per ciò che, se come il cane mordesse il motto, non sarebbe motto ma villania. (VI giornata, novella III)
  • Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che ad alcun vedute sopra la riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano, si come quando dormono soglion fare. Per che egli prestamente mostratele a Currado, disse:
    — Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno.
    Currado vedendole disse:
    — Aspettati, che io ti mosterrò che elle n'hanno due; — e fattosi alquanto più a quelle vicino gridò: — Ho ho; — per lo qual grido le gru, mandato l'altro piè giù, tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire. Laonde Currado rivolto a Chichibio disse:
    — Che ti par, ghiottone? Parti ch'elle n'abbian due?
    Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse, rispose:
    — Messer sì, ma voi non gridaste — ho ho — a quella di iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l'altra coscia e l'altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste. (VI giornata, novella IV)
  • [...] le leggi deono essere comuni e fatte con consentimento di coloro a cui toccano. (VI giornata, novella VII)
  • [Su Giotto] Meritamente una delle luci della fiorentina gloria dirsi puote. (VI giornata, novella V)
  • Amor, s'i' posso uscir de' tuoi artigli, | appena creder posso | che alcun altro uncin più mai mi pigli. (VI giornata, conclusione)
  • Voi dovete sapere che in Siena fu già un giovane assai leggiadro e d'orrevole famiglia, il quale ebbe nome Rinaldo; e amando sommamente una sua vicina et assai bella donna, e moglie d'un ricco uomo, e sperando, se modo potesse avere di parlarle senza sospetto, dovere aver da lei ogni cosa che egli disiderasse, non vedendone alcuno ed essendo la donna gravida, pensossi di volere suo compar divenire: e accontatosi col marito di lei, per quel modo che più onesto gli parve gliele disse, e fu fatto. (VII giornata, novella III)
  • Fu adunque già in Arezzo un ricco uomo, il quale fu Tofano nominato. A costui fu data per moglie una bellissima donna, il cui nome fu monna Ghita, della quale egli, senza saper perché, prestamente divenne geloso. Di che la donna avvedendosi prese sdegno, e più volte avendolo della cagione della sua gelosia addomandato, né egli alcuna avendone saputa assegnare, se non cotali generali e cattive, cadde nell'animo alla donna di farlo morire del male del quale senza cagione aveva paura. (VII giornata, novella IV)
  • E così, a modo del villan matto, dopo danno fe' patto. (VII giornata, novella IV)
  • Col malanno possa egli essere oggimai, se tu dèi stare al fracidume delle parole d'un mercatantuzzo di feccia d'asino, che venutici di contado ed usciti delle troiate vestiti di romagnuolo, con le calze a campanile e con la penna in culo, come egli hanno tre soldi, vogliono le figliuole de' gentili uomini e delle buone donne per moglie [...]. [insulto] (VII giornata, novella VIII)
  • [...] un cavaliere chiamato messer Filippo Argenti, uomo grande e nerboruto e forte, sdegnoso, iracundo e bizzarro più che altro [...]. (IX giornata, novella VIII)
  • In Frioli, paese, quantunque freddo, lieto di belle montagne, di più fiumi e di chiare fontane, è una terra chiamata Udine, [...] assai piacevole e di buona aria. (X giornata, novella V)

Citazioni sul Decameron

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  • Composto, come dovevasi da chi identificava la mitologia con la poesia e questa con la teologia, e il volgare, pur accettato per necessità pratiche, se non proprio disprezzato, sottoponeva al latino, composto, dico, senza intendimenti né eruditi né letterari, il Decameron non parve mai un'opera d'arte all'autor suo, che, difesolo dapprima contro gli attacchi violenti tutt'altro che di critica onde, tra le molte approvazioni, era stato colpito, finì, non veramente col bruciarlo nella meditata distruzione di tutte le sue composizioni italiane, ma certo col lasciarlo abbandonato d'ogni cura paterna e persino con lo sconsigliarne la lettura alle caste famiglie. (Ciro Trabalza)
  • È il libro che ha fondato la cultura laica italiana, autonoma da quella religiosa: un'esigenza oggi primaria, in un paese in cui pullulano anatemi papali, teodem e teocon. (Daniele Luttazzi)
  • Non senza ragione Boccaccio ha fatto della descrizione della peste del 1349 l'introduzione e il preludio dei suoi racconti frivoli. L'immaginazione ne è tanto rapita, che un resto di spavento ci unisce a tutte quelle risa sfrenate... Questa leggerezza sfrenata in tanta desolazione, questa esultanza di gioia nel gran cimitero, questa società a cui resta solo un giorno di vita, e che, in quella villa, sotto quelle ombre magnifiche, sfiorate appena dal terrore della peste, invece di pensare ai funebri rintocchi della Chiesa, alle minacce e alle promesse della vita futura, si fa di ogni ora un piacere, e raccoglie tutti i suoi ricordi allegri; quale poesia audace e nuova! (Edgar Quinet)
  • Per chi trae diletto da una lingua viva e bella, leggere il Decamerone non è dissimile dal vagare tra alberi in fiore e bagnarsi in acque purissime. (Hermann Hesse)

Citazioni sull Andreuccio da Perugia

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  • Non c'è una sola volta che io rilegga questa novella senza che ne resti profondamente turbato e vinto, riconoscendomi incapace d'inserirmi nella strada maestra aperta dal Boccaccio nell'interpretare la mia città. Che è per l'appunto un infernale miscuglio di casi umani piccoli e piccolissimi, ma ugualmente fatali e terribili, potenti nella gioia e nella tristezza, che riceve, raccoglie e nasconde gente di ogni risma e razza. L'idea di metropoli Boccaccio l'ha afferrata e rappresentata fino in fondo in uno spaccato miserabile e in rilevo direi quasi abitabile. (Domenico Rea)

Della Genealogia degli Dei

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  • Gli ignoranti dall'esteriorità giudicano l'interiorità.[2]
  • [Barlaam di Seminara] [...] huomo di Calabria, già di picciola statura, ma di gran scienza, e di maniera nelle Greche lettere dotto [...][5]
  • [Leonzio Pilato] [...] nell'aspetto è uomo rozzo, ha la faccia nera, la barba prolissa, la chioma nera occupata sempre in continui pensieri, di costumi rozzo, né molto civile huomo, ma si come l'isperienza ha dimostrato, dottissimo di lettere Greche e come un'arca pieno d'historie, e favole greche, benché della latina non sia molto instrutto [...] [5]

L'Elegia di Madonna Fiammetta

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Suole a' miseri crescere di dolersi vaghezza, quando di sé discernono o sentono compassione in alcuno. Adunque, acciò che in me, volonterosa più che altra a dolermi, di ciò per lunga usanza non menomi la cagione, ma s'avanzi, mi piace, o nobili donne, ne' cuori delle quali amore più che nel mio forse felicemente dimora, narrando i casi miei, di farvi, s'io posso, pietose. Né m'è cura perché il mio parlare agli uomini non pervenga, anzi, in quanto io posso, del tutto il niego loro, però che sì miseramente in me l'acerbità d'alcuno si discuopre, che gli altri simili imaginando, piuttosto schernevole riso che pietose lagrime ne vedrei.

Citazioni

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  • [Napoli] lieta, pacifica, abbondevole, magnifica, e sotto ad un solo re [...]. (cap. II, p. 38)
  • La nostra città [Napoli], oltre a tutte l'altre italiche di lietissime feste abbondevole, non solamente rallegra li suoi cittadini o con nozze o con bagni o con li marini liti, ma, copiosa di molti giuochi, sovente ora con uno ora con un altro letifca la sua gente. Ma tra l'altre cose nelle quali essa appare splendidissima, è nel sovente armeggiare. (cap. V, p. 92)
  • Né credo che piú nobile o ricca cosa fosse a riguardare le nuore di Priamo con l'altre frigie donne, qualora piú ornate davanti al suocero loro a festeggiare s'adunavano, che sono in piú luoghi della nostra città le nostre cittadine a vedere; le quali poi che alli teatri in grandissima quantitá ragunate si veggono, ciascuna quanto il suo potere si stende dimostrandosi bella, non dubito che qualunque forestiere intendente sopravvenisse, considerate le contenenze altiere, li costumi notabili, gli ornamenti piuttosto reali che convenevoli ad altre donne, non giudicasse noi non donne moderne, ma di quelle antiche magnifiche essere al mondo tornate: quella per alterezza, dicendo, Semiramis somigliare; quell'altra, agli ornamenti guardando, Cleopatras si crederebbe; l'altra, considerata la sua vaghezza, sarebbe creduta Elena; e alcuna, gli atti suoi bene mirando, in niente si direbbe dissimigliare a Didone.
    Perché andrò io somigliandole tutte? Ciascuna per se medesima pare una cosa piena di divina maestà, non che d'umana. (cap. V, pp. 92-93)

Filocolo

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Mancate già tanto le forze del valoroso popolo anticamente disceso del troiano Enea, che quasi al niente venute erano per lo maraviglioso valore di Giunone, la quale la morte della pattovita Didone cartaginese non avea voluta inulta dimenticare e all'altre offese porre non debita dimenticanza, faccendo degli antichi peccati de' padri sostenere a' figliuoli aspra gravezza, possedendo la loro città, la cui virtù già l'universe nazioni si sottomise, sentì che quasi nelle streme parti dello ausonico corno ancora un picciolo ramo della ingrata progenie era rimaso, il quale s'ingegnava di rinverdire le già seccate radici del suo pedale.

Citazioni sul Filocolo

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  • Concepire e attuare l'ardito pensiero di versare la cultura classica largamente acquisita in un'opera d'immaginazione scritta in volgare (Il Filocolo). Ardito pensiero, se si considera ch'egli era appena ventenne, e che, eccettuato il suo maestro Dante, tutti avevano usato fino allora, e i suoi contemporanei, compreso il Petrarca, usarono infilzar pedantescamente le sentenze e gli aneddoti cavati dagli antichi solo in trattati e trattatelli didascalici. (Francesco Torraca)
  • Soprattutto sono notevoli nel Filocolo quei primi segni, che ci rivelano le qualità più proprie dell'ingegno narrativo del Boccaccio . Era quello un ingegno fatto più particolarmente alle narrazioni brevi, a' drammi di piccole proporzioni, nei quali all'intreccio succede ben presto lo scioglimento. In tutte le sue opere, che seguirono il Filocolo, anche in quelle che per le loro proporzioni pare tenessero più del poema o del romanzo che della novella, la favola e l'intreccio sono sempre ideati alla maniera suddetta. Il nostro Autore operò anche allora secondo sua natura; perché, se la materia non era disposta a restringersi nei confini della novella, egli, consapevolmente o no, formò la novella di alcuna delle parti, in cui quella poteva andar divisa.... (Bonaventura Zumbini)

Opere volgari

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  • Donna del cielo, e non m' avere a sdegno, | perch'io sia di peccati grave e brutto. | io spero in te, e 'n te sempre ho sperato: | prega per me, ed esser mi fa' degno | Di veder teco il tuo beato frutto.
  • Non spero mai di tal noia [fare poesia] guarire, | si d' ogni parte circondato m' ave: | ben so però che Dio mi può aiutare.
  • Poco senno ha chi crede la fortuna | o con preghi o con lacrime piegare, | e molto men chi crede lei fermare | con senno con ingegno o arte alcuna. (XXXV)

Trattatello in laude di Dante

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Solone, il cui petto uno umano tempio di divina sapienzia fu reputato, e le cui sacratissime leggi sono ancora alli presenti uomini chiara testimonianza dell'antica giustizia, era, secondo che dicono alcuni, spesse volte usato di dire ogni republica, sì come noi, andare e stare sopra due piedi; de' quali, con matura gravità, affermava essere il destro il non lasciare alcuno difetto commesso impunito, e il sinistro ogni ben fatto remunerare; aggiugnendo che, qualunque delle due cose già dette per vizio o per nigligenzia si sottraeva, o meno che bene si servava, senza niuno dubbio quella republica, che 'l faceva, convenire andare sciancata: e se per isciagura si peccasse in amendue, quasi certissimo avea, quella non potere stare in alcun modo.

Citazioni

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  • Fu adunque questo nostro poeta [Dante Alighieri] di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d'onestissimi panni sempre vestito in quell'abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso. (XX)

Incipit di alcune opere

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Corbaccio

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Qualunque persona, tacendo, i benefìci ricevuti nasconde senza aver di ciò cagione convenevole, secondo il mio giudicio assai manifestamente dimostra sé essere ingrato e mal conoscente di quelli. Oh cosa iniqua e a Dio dispiacevole e gravissima a' discreti uomini, il cui malvagio fuoco il fonte secca della pietà! Del quale acciò che niuno mi possa meritamente riprendere, intendo di dimostrare nell'umile trattato seguente una speziale grazia, non per mio merito, ma per sola benignità di Colei che impetrandola da Colui che vuol quello ch'ella medesima, nuovamente mi fu conceduta. La qual cosa faccendo, non solamente parte del mio dovere pagherò, ma sanza niuno dubbio potrò a molti lettori di quella fare utilità.

Della Canaria e delle altre isole oltre Ispania nell'oceano nuovamente ritrovate

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Traduzione

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Correndo anni Domini MCCCXLI vennono a Fiorenza lettere de' mercadanti fiorentini[6], che erano in Sivilia città de la Spagna ulteriore, et quivi sugiellate a' XV di novembre, dove era scritto quanto disotto racconteremo.
Dicono dunque come a dì primo luglio di questo anno sopradetto, dua navi provedute per lo re di Portogallo d'ogna bisognevile per lo passaggio, et con esse un'altra navicella bene guernita, con giente de' fiorentini, genovesi, et spanioli catalani, et altra giente d'Ispania sciolte le vele dalla città di Lisbona presono l'alto, conducendo con se cavalli, armi et macchine di guerra per isforzare cittadi et castella, et andaro a cercare quelle isole che volgarmente è voce essere state trovate.

Originale

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Anno ab incarnato verbo MCCCXLI a mercatoribus florentinis[7] apud Sobiliam Hispaniae ulterioris civitatem morantibus Florentiam literae allatae sunt ibidem clausae.[8] XVII kal. decembris anuo iam dicto, ia quibus quae disseremus inferius continentur.
Ajunt quidem primo de mense julii hujns anni duas naves, impositis in eisdem a rege Portogalli opportunis ad transfretandum commeatibus, et cum iis navìcula una munita, homines florentinorum, januensium, et hispanorum castrensium, et aliorum hispanorum a Lisbona civitate datis velis in altum abiisse, ferentes insuper equos et arma, et machinamenta bellorum varia ad civitates et castra capienda, quaerentes ad eas insulas, quas vulgo repertas dicimus.

Citazioni su Giovanni Boccaccio

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  • Boccaccio non ha questo tipo di vincoli e di lungimiranze da serva [confrontando con Dante]. Lascia l'uomo libero di fronte a se stesso e agli altri, non lo sotterra né lo innalza, lo fa stare sui suoi piedi, gli infonde fiducia in sé e nelle sue forze e nei suoi meravigliosi limiti. Umani, per l'appunto. (Aldo Busi)
  • Contiene l'ammaestramento a usare l'intelligenza contro la fortuna, a saper cogliere l'occasione e a comportarsi audacemente, perché è meglio correre dei rischi che affondar nell'inerzia. (Giuseppe Prezzolini)
  • In Boccaccio c'è un'attenzione all'uomo di bassa estrazione, oggi diremmo proletariato, che lo stacca dalla letteratura della sua epoca e dai soggetti epico cavallereschi. (Tullio Solenghi)
  • Linguisticamente siamo più figli di Boccaccio di quanto possiamo esserlo di Dante. (Tullio Solenghi)
  • Per virtù tutta sua, il Boccaccio divide, decompone i suoi argomenti e vi suscita dentro come tanti centri secondari, intorno ai quali si raggruppi una serie più o meno grande di fatti. Sotto le sue mani si forma continuamente l'episodio. L'episodio nelle sue opere è quasi sempre come un figlio che si distacchi dalla famiglia, bramoso di vita propria e indipendente; e il Boccaccio è verso quello come un padre indulgente o debole, che si contenti di un'autorità poco più che nominale. L'arte di condurre in una volta un ampio e lungo ordine di fatti; di far muovere una numerosa compagnia di personaggi, coordinando e volgendo tutti i loro atti ad un unico scioglimento, ad un'unica catastrofe; di comporre l'episodio in modo che abbia tanta vita da essere pur bello in sé, ma non tanta da sovrapporsi alla storia principale e privarla di pregio; di andar producendo durante il corso di questa effetti immediati e parziali, ma insieme facendo che essi concorrano all'effetto massimo ed ultimo; quest'arte il Boccaccio non l'ebbe.... (Bonaventura Zumbini)
  • A Napoli Boccaccio si preparò non solo a diventare uomo, ma intanto divenne sommo scrittore in quanto subì una profonda napoletanizzazione. A Napoli acquistò il vastissimo sentimento tragico della vita, di una vita in movimento, senza scrupoli, consumata dalla e nell'azione, senza mezze misure, intensa nel bene e nel male, nell'amore celeste e nel profano.
  • Boccaccio lontano da Napoli vive come un emigrante. Non sa porre radici profonde in nessun altro luogo. Si rassegnerà a rimanere in Certaldo. E il paese che sempre l'attirerà, anche dopo l'amara delusione del 1362, sarà Napoli, ed è a Napoli, come gli emigranti, che penserà sempre di ritornare. A Napoli, non a Firenze, che non gli ricorda le donne ingrate ma appassionate di Napoli, le scampagnate a Baia, i bagni e e le cacce, quel mare, quel cielo, quella città piena di gente, amante di una vita gridata, che tira a campare senza preoccuparsi se domani sarà domenica o lunedì, giacché sarà un bel giorno se la fortuna avrà dato un segno della sua benevolenza.
  • Chi prova ad affacciarsi su Napoli dall'estremo balcone della Certosa di San Martino e mira quel dedalo di vicoli, popolati da tante strane creature e afferra quel suono affascinante e misterioso come di conchiglia e rimira il porto pieno di navi e alberature, non può non pensare a Giovanni Boccaccio.

Note

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  1. Dalle Lettere, a Pino de' Rossi.
  2. a b c Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  3. Questo distico fu ripreso da Arrigo Boito nel libretto dell'opera lirica Falstaff (atto II, quadro II) scritto per Giuseppe Verdi.
  4. Citato nei film Divorzio all'italiana (1961) e Decameron Pie (2007).
  5. a b Citato in Tobia Cornacchioli, Nobili, borghesi e intellettuali nella Cosenza del Quattrocento, L'academia parrasiana e l'Umanesimo cosentino, Edizioni Periferia, Cosenza, stampa 1990, p. 43.
  6. Nel margine è scritto dalla stessa mano: il fiorentino che fu capitano in queste navi è chiamato Angiolino del Tegghia de' Corbizzi consobrino de' figliuoli di Gherardino di Gianni.
  7. In margine è scritto della stessa mano: Florentinus qui cum his navibus praefuit est Angelinus del Tegghia de' Corbizzis consobrinus filiorum Gherardini Giannis
  8. Si avverte il lettore, che nel codice non sono dittonghi, secondo l'uso di quell'età più comune.

Bibliografia

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Altri progetti

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Opere

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