Vincenzo Cardarelli

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Vincenzo Cardarelli in un ritratto di Amerigo Bartoli, 1934

Vincenzo Cardarelli, pseudonimo di Nazzareno Caldarelli (1887 – 1959), poeta e scrittore italiano.

Citazioni di Vincenzo Cardarelli[modifica]

  • Ce ne sono di chiese e di chiesuole, | al mio paese, quante se ne vuole! | E santi che dai loro tabernacoli | sono sempre fuori a compiere miracoli. (da Santi del mio paese, nelle Poesie; in Opere, p. 82)
  • Così la fanciullezza | fa ruzzolare il mondo | e il saggio non è che un fanciullo che si duole di essere cresciuto. (da Adolescente nelle Poesie)
  • Dovevamo saperlo che l'amore | brucia la vita e fa volare il tempo. (da Passato nelle Poesie)
  • E tu, Inghilterra, | padrona degli oceani, signora | delle tempeste, | non avrai gloria, ma infamia, | in presenza di Genova di Pisa. | Qui la tua flotta imperiale è corsara. | Qui tu non puoi che rinnovar le imprese | degl'infedeli | e ben invochi il Turco a tuo alleato. | Qui, prima che il valore, | è la luce del genio | che ti sconfigge. (da Canzone di marcia, nelle Poesie; in Opere, p. 115)
  • Fin dove il cuore mi resse arditamente mi spinsi. (da Alla Deriva nelle Poesie)
  • Il cervello di Bontempelli è come una bombola d'alchimista dove tutto si trasforma e assume parvenze irreali e fantasiose. Ciò non vuol dire ch'egli non sia un artista di esperienze reali e vissute, un sagace e satirico pittore dei nostri tempi. (da La poltrona vuota, Rizzoli, Milano, 1969, p. 249)
  • Il Dio delle Favole è quello dei romantici, è il dio di Fichte, di Hegel, che noi abbiamo conosciuto purtroppo, in letteratura, prima del Dio vero. (da Al critico letterario dell'«Osservatore Romano», in Lettere non spedite; in Opere, p. 872)
  • Io nacqui forestiero in Maremma, di padre marchigiano, e crebbi come un esiliato, assaporando con commozione precoci tristezze e indefinibili nostalgie. Non mi ricordo la mia famiglia, né la casa dove son nato, esposta a mare, nel punto più alto del paese, buttata giù in una notte come dall'urto di un ciclone, quando io avevo due anni appena. (da Memorie della mia infanzia; in Opere)
  • Ispirazione per me è indifferenza. | Poesia: salute e impassibilità. | Arte di tacere. | Come la tragedia è l'arte di mascherarsi. (da Poesie)
  • L'idea che ci facciamo d'ogni cosa | è cagione che tutto ci deluda. (da Memento nelle Poesie)
  • La vita io l'ho castigata vivendola. (da Alla deriva nelle Poesie)
  • Le mie giornate sono | frantumi di vari universi | che non riescono a combaciare. La mia fatica è mortale. (da Stanchezza nelle Poesie)
  • Lenta e rosata sale su dal mare | la sera di Liguria, perdizione | di cuori amanti e di cose lontane. (da Sera di Liguria nelle Poesie)
  • Morire sì, | non essere aggrediti dalla morte. (da Alla Morte nelle Poesie)
  • Non so dove i gabbiani abbiano il nido, | ove trovino pace. | Io son come loro, | in perpetuo volo. | La vita la sfioro | com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo. (da Il gabbiano)
  • Poesia potrebbe anche definirsi: la fiducia di parlare a sé stessi. (da Viaggi nel tempo, Vallecchi, 1920)
  • Ruggono al vento le Fiamme Nere. | E le Camicie Nere che s'avanzano | con violenza e voce d'uragano | hanno le insegne, il grido, il passo, l'ordine | delle antiche legioni. | Quale cammino il tuo! | Da quanto sangue fosti consacrata, | camicia storica. | Ed era sul tuo panno come il sangue | d'una rondine uccisa. | Ora sei la gloriosa, | decente veste dell'Italia nuova. | Beato chi sia degno di portarti | a capo scoperto, | lungo le vie soleggiate. (da Camicia Nera nelle Poesie; in Opere, p. 114)
  • Terra negata ai padri, | promessa ai figli, faticata Etiopia, | tu non potrai più oltre | fuggire il tuo destino, | troppo e sì lungamente | legato al nostro. (da Fato africano, nelle Poesie; in Opere, pp. 118-19)
  • Un popolo che si getta nell'avvenire, trascurando, disconoscendo le sue tradizioni, è paragonabile ad un esercito che fa un'avanzata tagliandosi le retrovie. (da Parole all'orecchio, Appendice di prose, frammento III, 5; in Opere, p. 934)

Memorie della mia infanzia[modifica]

  • Sono nato e cresciuto in Maremma, a poca distanza dal mare, in un paese urbano e campagnolo, rustico e civile, che ha serbato intatto il secolare orgoglio della sua piccola cerchia antica, torreggiante e murata, e tiene la qualità di forestiero per indice di villania. Circondato da un territorio amplissimo e diverso d'aspetti e di natura, qui grasso e ferace, onusto di biade, di frumento, di vigne, di orti e di canneti, là isterilito e impraticabile pei sassi affliggenti della vecchia Etruria ventosa che biancheggiano un po' da per tutto, lo guarda dall'alto d'una collina strapiombante a valle con nobile e disinteressata sonnolenza e, venuta la sera, chiude le sue porte massicce alla campagna atra e disabitata. È esposto a mare e monte, e ne sorveglia le strade, rifiata lo scirocco e la tramontana, ma i venti variano e passano su di esso come le eterne stagioni, né dal tempo dei tempi sono buoni da raccontargli più nulla. Il suo costume non cambia. (Paravia, p. 652)
  • Qui rise l'Etrusco, un giorno, coricato, cogli occhi a fior di terra, guardando la marina. E accoglieva nelle sue pupille il multiforme e silenzioso splendore della terra fiorente e giovane, di cui aveva succhiato il mistero gaiamente, senza ribrezzo e senza paura, affondandoci le mani e il viso. Ma rimase come seppellito, il solitario orgiasta, nella propria favola luminosa. Benché la gran madre ne custodisca un ricordo così soave che, dove l'Etruria dorme, la terra non fiorisce più che asfodeli. La primavera che giunge con rigide ariette da settentrione indugia un poco su quei colli tristi e logori, disertati dai lavori dell'uomo. Fruga le rare erbe che a contatto dei suoi acri fiati mattinali si gelano. Poi fugge via come impazzita.
    Il suo regno è verso il mare. (Paravia, p. 653)
  • Terra stoppiosa e bruciata in estate, caldissima e indolente, sbavata dal vento di mare, lambita dal canto dei bifolchi, immelanconita dal canto delle cicale. Terra bacchica, invece, per i suoni e le danze della svignatura. Vera terra da ottobrate. Ecco il mio paese. (Paravia, p. 654)

Parliamo dell'Italia[modifica]

  • Dal gesuita vien fuori il giacobino, non nascerà mai il nuovo italiano. Ben altro è il cattolicesimo che piace a noi, e che sentiamo: più antico, robusto, ingenuo. Non è né europeo, né spagnuolo, ma romano. Risale ai tempi giuridici e ferrei d'Ildebrando, al paternostro, a quel glorioso registro nel quale i parroci cominciarono a tener conto dei nostri nomi, ai secoli d'oro della Chiesa romana. (1981, p. 983)
  • Io credo che verrà presto il giorno in cui bisognerà riformare anche il nostro vecchio vocabolario politico e si riconoscerà al Fascismo, più che il merito di aver instaurato, in tempi eccezionali, un regime di forza, la gloria d'aver dato all'Italia un ordinamento conforme alla sua indole e alle sue tradizioni. (1981, p. 986)
  • Rivive nel Fascismo, più o meno espresso e consapevole, quello spirito nobilmente popolare che armò le repubbliche e fece fiorire e sparse per il mondo la civiltà dei nostri primi comuni. Non s'era mai inteso, dalla costituzione del regno d'Italia in poi, un Presidente del Consiglio chiamar popolo l'Italia e professarsi suo servitore, come Mussolini. (1981, p. 987)

Prologhi. Viaggi. Favole[modifica]

  • La Carboneria crebbe all'ombra del Vaticano come la feccia antica saliva a insudiciare le stanze dei Cesari dalle adiacenti bassure; e ancora il marmista repubblicano abita in Borgo. (p. 185)
  • La vita non è che un passaggio episodico e impercettibile su quelle vaste piazze sepolcrali, lungo quelle vie larghe e selciate che s'inarcano e si sprofondano all'infinito, presentando indescrivibili prospettive, e hanno l'aria storica e costernante dei luoghi dove ci si vede. Talvolta, sopra pensiero, si sente il gorgoglìo del Tevere. (p. 185)
  • Il mio cuore non riesce a sostenere la semplice solennità che è in tutte le ore della vita. (p. 187)

Villa Tarantola[modifica]

Incipit[modifica]

Fin da ragazzo ho amato le distanze e la solitudine. Uscire dalle porte del mio paese e guardarlo dal di fuori, come qualche cosa di perduto, era uno dei miei più abituali diletti. Piacere e terrore mi portavano in certi luoghi romiti, sacri alla morte, a cui però non pensavo se non per quel tanto che m'impediva d'inoltrarmi troppo in un così pauroso reame. Uscito da Porta Clementina, dove comincia la via del cimitero e delle tombe etrusche, la mia evasione, di solito, s'arrestava pochi passi più in là. Di rado mi spingevo fino a quella strana, disabitatissima villa, chiamata Villa Tarantola, che vede già il camposanto ed era allora per me un sito misterioso, enigmatico, evocante, nel suo nome, i velenosi ragni che danno il ballo di San Vito.

Citazioni[modifica]

  • Chiunque è nato in Maremma conosce vita, morte e miracoli della tarantola, ragno elegiaco e erraiolo, molto meno pericoloso di quel che la fantasia popolare farebbe credere. (p. 5)
  • Se oggi chiedi a uno di Tarquinia come le ragazze vengon su così colorite, al contrario di quel che accadeva una volta, ti risponderà additandoti la fontana. È l'acqua, è il miracolo dell'acqua che ha moltiplicato la popolazione e fatto rifiorire le guance di quelle giovinette che a tempo mio, in primavera, apparivano tutte un po' estenuate ed anemiche, e andavano a farsi le iniezioni in farmacia, quando non si limitassero, per pudore, a bere qualche ovetto, a mangiare qualche bistecchina e a trangugiare con disgusto un mezzo bicchiere di vino rosso. (p. 16)

Citazioni su Vincenzo Cardarelli[modifica]

  • Ai tavolini di via Veneto i letterati chiamavano Lattuada la «piccola vendetta lombarda», Alberto Moravia era l'Amaro Gambarotta. Vincenzo Cardarelli, che in piena estate indossava tre cappotti uno sopra l'altro, «il più grande poeta italiano morente». (Dino Risi)
  • Da Babington, a piazza di Spagna, fra le undici e mezzogiorno [...] molti giovani venivano a trovarlo. Non si può nemmeno dire per quanto mi ricordi, che parlavano a lui; parlavano piuttosto fra loro, in presenza di lui, che ogni tanto interveniva con una parola risentita e pungente. Ma non era di malumore. L'ascoltavo rispettosamente, senza mai osare di rivolgergli direttamente la parola se non per salutarlo quando arrivavo e quando andavo via. Non soltanto sapevo, ma sentivo di trovarmi vicino a un poeta, e questo era tanto. La sua ritrosia, la sua povertà, la sua feroce schiettezza coincidevano perfettamente con l'idea che mi facevo del poeta italiano. (Orsola Nemi)
  • Dopo la scomparsa di Cardarelli, nume tutelare della libreria internazionale Rossetti, la frequentazione dei letterati e degli artisti in questa parte della strada si è diradata assai: il loro luogo di ritrovo è ora piuttosto nei caffè di Piazza del Popolo. Pietro Accolti, in un articolo sul «Tempo» di Roma (28 gennaio 1962) ha scritto per disteso su questo cambiamento d'abitudini occorso a danno di Via Veneto, e il libraio Rossetti potrà raccontarvi molti saporosi episodi relativi al poeta di Tarquinia, che negli ultimi tempi soleva sedersi imbacuccato nel suo cappotto in uno dei caffè della strada, e ancora dardeggiare di quando in quando dal suo letargo qualche sulfureo lampo di malignità. Come per esempio quella volta che una signora pseudo-intellettuale (una mezza calzetta turchina, insomma) voleva avviare con Cardarelli una conversazione su Goethe, e lui tagliò corto dicendole: «Lei vorrà dire Golden Gate» (il nome del caffè lì accanto). (Mario Praz)
  • Era uno zingaro abbandonato che scopriva dentro di sé i ritmi classici, e d'intorno gli echi dissolti degli antichi imperi. (Piero Buscaroli)
  • Poter ancora essere "intontiti" da Cardarelli sarebbe una rara e impossibile felicità. Quelli che ci intontiscono oggi, sono peggio dei cani. Latrati, che crediamo canti gregoriani. (Orsola Nemi)
  • [Inchiesta sulle paure segrete] Il poeta Vincenzo Cardarelli ha manifestato invece il terrore di tutto, un'ossessiva invincibile apprensione per ciascuna cosa o fatto della propria vita, semmai con particolare riferimento al freddo, che lo tormenta benché la sua casa riunisca insieme una quantità di stufe di tutti i modelli. (Sergio Saviane)
  • Scendo nelle ore d'afa | sulla stretta cornice d'ombra | dei palazzi di Porta Pinciana. | Balzo nel sole dentro la sua tana. | Poggiavi le braccia stecchite | sulla lastra di marmo, seduto | davanti a un bicchiere, | l'ultimo che hai bevuto. | Immobile, muto | guardavi contro l'intonaco della via | le rapide ombre, i lampi | della grazia fugace, | la liquida danza. | Avvolto nelle penne spiavi | il giorno senza speme, udivi | il riso, i patti osceni dei vivi. | Qui, in questa grotta, | parlasti serio agli amici | come si parla ai morti. (Leonardo Sinisgalli)

Bibliografia[modifica]

  • Vincenzo Cardarelli, Memorie della mia infanzia, in Opere complete, Mondadori, Milano. In Aldo Giudice e Giovanni Bruni, problemi e scrittori della letteratura italiana, vol. III, tomo II, secondo Novecento ad uso delle Scuole Medie Superiori, Paravia, Torino, 19822, quarta ristampa.
  • Vincenzo Cardarelli, Opere, Mondadori, Milano, 1981.
  • Vincenzo Cardarelli, Prologhi. Viaggi. Favole, in Opere, Mondadori, Milano, 1981.
  • Vincenzo Cardarelli, Villa Tarantola, I Premi Strega, CDE, Milano, 1977.

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