Alberto Moravia

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Alberto Moravia nel 1982

Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle (1907 – 1990), scrittore, giornalista, saggista, reporter di viaggio e drammaturgo italiano.

Citazioni di Alberto Moravia[modifica]

  • A Roma è avvenuto il contrario di quello che avviene nelle altre capitali: la città si è ingrandita e arricchita; ma è rimasta legata a un’idea del vivere elementare e grossolana. Cinica, scettica, priva di ideali, materiale, ottusa, Roma presenta insomma lo spettacolo sconcertante di una capitale il cui fine principale anzi unico sia quello di vivere alla giornata o meglio di sopravvivere.[1]
  • [A Segesta] Ascesi così, con gli occhi rivolti a terra e il sangue invaso da un fitto benessere, che mi pareva emanare dal luogo: finalmente levai lo sguardo e mi accorsi allora che ero sotto il tempio.[2]
  • [Pier Paolo Pasolini scandalizzava quella] borghesia italiana che in quattro secoli ha creato i due più importanti movimenti conservatori d'Europa, cioè la controriforma e il fascismo.[3]
  • Debbo a Vitaliano Brancati, scrittore da me stimato, la visione d'un tramonto unico: non alla Plaja ma al teatro greco di Siracusa, là dove il mare dei greci è il giusto fondale.[4]
  • Dietro la spiaggia, oltre un istmo di sabbia, si apre uno dei tanti porticcioli di Procida: un'insenatura rotonda, guardata da due promontori verdi, e in fondo, addossata alla costa, una fila di case. Sono le case per cui Procida è o dovrebbe essere famosa: specie di alveari dai colori teneri, scoperchiati e con le celle in piena luce. Le celle sono le terrazze ad arconi fittamente sovrapposte, con porte verdi in fondo alle terrazze, trecce di paprica rosse penzolanti dagli archi, panni di tutti i colori appesi a mezz'aria.
    Disposte in cerchio intorno al porto, queste case rosa, gialle, azzurre e bianche sono tutte un po' sbilenche, un po' consunte, un po' diroccate; si pensa che il vento e il mare le abbiano corrose allo stesso modo della costa vulcanica che, a guisa di mensola, si sporge sopra di esse. Ma la mancanza di angoli acuti, quel confondersi delle loro tinte delicate e incantevoli ricordano pure i gelati di questi paesi. Anzi un solo gran gelato di sapori diversi in lenta liquefazione, coi buchi delle terrazze fatti col cucchiaio.[5]
  • Gli uomini veramente di profondo senso religioso non si scandalizzano mai. Insomma, non credo che Cristo si scandalizzasse mai... [...] Anzi non si è mai scandalizzato. Si scandalizzavano i farisei.[6]
  • Guardando la mano di Cora che si abbarbica sul vetro nero della bottiglia con le dita lunghe e bianche, e al fiotto schiumoso che a scosse ripetute e successive, erompe nei bicchieri; non posso fare a meno, dico, di pensare che a quello stesso modo, nella casa di Cora, al momento dell'orgasmo, erompe, dopo una lunga preparazione, il seme maschile.[7]
  • I giovani del Sessantotto, e quelli che sono venuti dopo, pensano che il mondo vada cambiato, cambiato con la violenza, ma non vogliono sapere perché, e come cambiarlo. Non vogliono conoscerlo, e dunque non vogliono conoscere se stessi.[8]
  • Il cacciatore anche se brutto, sta a indicare una realtà psicologica che, a sua volta, rivela una tendenza politica. La realtà a cui si riferisce il film di Cimino, è il riflusso dell'identificazione tra contestazione e Vietnam. Non a caso questo film antivietnamita è stato varato in Italia nell'anno delle guerre intestine tra paesi comunisti.[9]
  • [Su ] Il personaggio di Fellini è un erotomane, un sadico, un masochista, un mitomane, un pauroso della vita, un nostalgico del seno materno, un buffone, un mistificatore e un imbroglione. Per qualche aspetto rassomiglia un po' a Leopold Bloom, l'eroe dell'Ulysses di Joyce che Fellini mostra in più punti di aver letto e meditato. Il film è tutto introverso, ossia, in sostanza, è un monologo interiore alternato a radi squarci di realtà. La nevrosi dell'impotenza è illustrata da Fellini con una precisione clinica impressionante e, forse, talvolta persino involontaria. [...] I sogni di Fellini sono sempre sorprendenti e, in senso figurativo, originali; ma nei ricordi traluce un sentimento più delicato e più profondo. Per questo i due episodi dell'infanzia nella rustica casa romagnola e della fanciullezza con il primo incontro con la donna sulla spiaggia di Rimini, sono i più belli del film e tra i più belli di tutta l'opera di Fellini.[10]
  • [A Segesta] Il sentiero pareva essere quello antico, con i gradini a cordonata e le pietre esagonali. A misura che salivo, m'investiva un calore vivificante. Il sole illuminava le rosse colonne fino a tre quarti della loro statura; sui capitelli rotondi era l'ombra dell'alto frontone; e parevano persone ritte nella luce, con la faccia riparata e gli occhi nascosti. Il verso liquido dei neri uccelli cui il luogo silenzioso ed attonito rifiutava la benché minima eco, la folta erbaccia che cresceva sul suolo interno del tempio, la vista sfondata delle montagne lontane tra l'una colonna e l'altra, sul capo il cielo dove un tempo era stato il soffitto; e nonostante questi segni di desolazione e d'abbandono, il nessun senso di rovina, l'accordo insomma del tempio con la natura circostante come se fosse stato costruito per starsene così solo e vuoto e non per riti solenni di un popolo vivente; fu questo contrasto, o meglio questa mancanza di contrasto, questa serenità, ciò che mi fece a prima vista impressione.[2]
  • Improvvisamente, ad una svolta, ci apparvero i Faraglioni e fui contento di udire Emilia dare in un grido di sorpresa e di ammirazione. Era la prima volta che veniva a Capri e sinora non aveva aperto bocca. Da quell'altezza le due grandi rupi rosse sorprendevano per la loro stranezza, simili, sulla superficie marina, a due aeroliti caduti dal cielo sopra uno specchio. Dissi ad Emilia, esaltato da quella vista, che sui Faraglioni si trovava una razza di lucertole che non esisteva in nessun altro luogo del mondo: azzurre a forza di vivere tra il cielo azzurro e il mare azzurro... La lucertola azzurra che descrivevo annidata tra gli anfratti delle due rupi diventò ad un tratto il simbolo di quello che avremmo potuto diventare noi stessi, se fossimo rimasti a lungo nell'isola: anche noi azzurri dentro il nostro animo dal quale la serenità del soggiorno marino avrebbe gradualmente scacciato la fuliggine dei tristi pensieri della città; azzurri e illuminati dentro di azzurro, come le lucertole, come il mare, come il cielo e come tutto ciò che è chiaro, allegro e puro.[11]
  • In maniera paradossale, si potrebbe affermare che appunto perché Dostoevskij nelle Memorie ha il coraggio di parlare di se stesso, proprio per questo, egli attinge a una zona profonda nella quale così se stesso come gli altri non esistono più, annullati da qualche cosa di non individuale e non sociale, ossia da ciò che Dostoevskij chiama il «sottosuolo». L'importanza diciamo così storica delle Memorie dal sottosuolo sta tutta qui. Per la prima volta, riprendendo la metafora del titolo del racconto, Dostoevskij prende una lampada e discende dall'appartamento al primo piano, in cui è sinora vissuto, giù nel sottosuolo della casa. Dostoevskij, per dirla con un famoso verso di Baudelaire, scende nel sottosuolo per «au fond de l'inconnu chercher du nouveau», Dostoevskij troverà nel sottosuolo, cioè nell'«inconnu», il nuovo, cioè «le nouveau» in tale quantità che non ne uscirà più. Tutti i libri dopo le Memorie dal sottosuolo sono stati scritti da quelle latebre tenebrose. E Dostoevskij è morto alla fine nel sottosuolo, senza mai più risalire alle stanze superiori.[12]
  • L'uomo vuole sempre sperare. Anche quando è convinto di essere disperato.[13]
  • La storia dell'umanità non è che un lungo sbadiglio di noia.[14]
  • [Su Pier Paolo Pasolini] La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nei suoi romanzi e nei suoi film, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile.[15]
  • Le esperienze che contano sono spesso quelle che non avremmo mai voluto fare, non quelle che decidiamo noi di fare.[16]
  • [Sul film Nel nome del padre] Marco Bellocchio parla di cose che conosce benissimo; e quel che più importa, ne parla con una consapevolezza critico-storica rara tra i nostri registi.[17]
  • Niente ha successo come il successo.[18]
  • Michelangelo Antonioni, con Professione: reporter ha fatto il suo film più rigoroso ed essenziale.[19]
  • Non tutti i delitti hanno riflessi sociali. [...] Ma ci sono delitti, invece, in cui tutto è sociale, dall'arma usata all'ambiente fisico, dai caratteri dei protagonisti al loro modo di vita, tutto, perfino il dolore, perfino il peccato, perfino la riparazione, perfino il pentimento.[20]
  • [Su La dolce vita] Pur tenendosi costantemente a un alto livello espressivo, Fellini pare cambiar maniera secondo gli argomenti degli episodi, in una gamma di rappresentazione che va dalla caricatura espressionista fino al più asciutto neorealismo. In generale si nota un'inclinazione alla deformazione caricaturale dovunque il giudizio morale si fa più crudele e più sprezzante, non senza una punta, del resto, di compiacimento e di complicità, come nella scena assai estrosa dell'orgia finale o in quella della festa dei nobili, ammirevole quest'ultima per sagacia descrittiva e ritmo narrativo.[21]
  • Questa storia di Professione: reporter, ultimo film di Michelangelo Antonioni, a tutta prima fa pensare al Fu Mattia Pascal di Pirandello. Ma Pirandello vuole dimostrare, in maniera sarcastica e paradossale, che l'identità è un mero fatto sociale, cioè che esistiamo in quanto gli altri riconoscono la nostra esistenza; mentre Antonioni sembra pensare giusto il contrario e cioè che esistiamo, sia pure come grumo di dolore, anche e soprattutto fuori della società.[19]
  • Ricordo un mio viaggio in Israele. A Gerusalemme mi ha fatto da guida il sindaco Teddy Kollek. Mentre percorrevo la Via Crucis, a un certo punto mi ha detto: "Qui Lui è caduto sotto la Croce!". Non nascondo che mi è venuto un nodo alla gola. Non riesco ad avere l'idea di un Dio Padre astratto; per me Dio è Gesù. Nessuno ha parlato come Lui: beati quelli che non contano, i poveri, gli infelici...[22]
  • Roma ha l'osteria, luogo popolaresco, un po' buio, bonario, con tavole di marmo, boccali di vino, belle insegne rossastre con le scritte: «Vino dei Castelli a tanto il litro».[23]
  • [Federigo Tozzi] Sarebbe stato probabilmente fascista se non fosse morto ancora giovane per una polmonite, che si buscò andando in motocicletta da Siena a Roma.[24]
  • [Su Nanni Moretti] Si annida nelle cerniere della storia come una ruggine corrosiva.[25]
  • Sulle sabbie del deserto come sulle acque degli oceani non è possibile soggiornare, mettere radici, abitare, vivere stabilmente. Nel deserto come nell'oceano bisogna continuamente muoversi, e così lasciare che il vento, il vero padrone di queste immensità, cancelli ogni traccia del nostro passaggio, renda di nuovo le distese d'acqua o di sabbia, vergini e inviolate.[26]
  • Un male incerto provoca inquietudine, perché, in fondo, si spera fino all'ultimo che non sia vero; ma un male sicuro, invece, infonde per qualche tempo una squallida tranquillità.[27]

Da Censura e mercanti hanno tagliato Stendhal

L'Espresso, 6 novembre 1955.

  • Siamo andati a vedere L'uomo e il diavolo (che roba è domanderanno i nostri lettori. Ma nient'altro che il titolo inconsapevolmente controriformistico dato dalla distribuzione italiana a Le rouge et le noir) in compagnia di una signora americana bella quanto ignorante che, beata lei, non aveva letto il romanzo di Stendhal.
  • Scrittore completo se mai ce ne fu uno, Stendhal era riuscito a rendere poetico, con il suo stile magicamente economico ed estroso di cronachista europeo, tutto ciò che di solito nei romanzi è irriducibilmente ribelle a siffatte trasmutazioni.
  • Da romanzi brutti si ricavano facilmente bei film perché il romanzo brutto si limita a fornire la materia narrativa, né più né meno di un fatto di cronaca, senza l'impiccio dello stile che non c'è.
  • [Su L'uomo e il diavolo] Autent-Lara ci ha dato un film lento che da bene l'idea del lento procedere della vita al principio dell'Ottocento. Ma non ha calcolato che se la vita ottocentesca era lenta, Stendhal l'aveva tuttavia descritta con uno stile rapido, talvolta fulmineo nei passaggi e negli scorci, lo stile per eccellenza dell'azione.
  • [Su L'uomo e il diavolo] Gérard Philipe incarna quasi perfettamente il suo personaggio, con una recitazione sottile ed espressiva. Meglio del solito Danielle Darrieux nella parte di Madame de Renal combattuta tra l'amore e la religione. Antonella Lualdi non è Matilde, ma fa del suo meglio in un personaggio grazioso e semplice.

Racconti[modifica]

I racconti[modifica]

  • Anima è quello che appartiene a tutti e a nessuno. Anima è amore. Anima è idea. Anima è libertà. Anima è Dio. (da La solitudine)
  • C'è nei sogni, specialmente in quelli generosi, una qualità impulsiva e compromettente che spesso travolge anche coloro che vorrebbero mantenerli confinati nel limbo innocuo della più inerte fantasia. (da L'avaro)
  • Le amicizie non si scelgono a caso ma secondo le passioni che ci dominano. (da La provinciale)

Nuovi racconti romani[modifica]

  • L'invidia è come una palla di gomma che più la spingi sotto e più ti torna a galla e non c'è verso di ricacciarla nel fondo. (da Quant'è caro)
  • La disoccupazione è una cosa per il disoccupato e un'altra per l'occupato. Per il disoccupato è come una malattia di cui deve guarire al più presto, se no muore; per l'occupato è una malattia che gira e lui deve stare attento a non prenderla se non vuole ammalarsi anche lui, ossia diventare, appunto, disoccupato. (da L'indiano)
  • Le donne sono come i camaleonti, che dove si posano prendono il colore. (da La fortuna di Irene)

Racconti romani[modifica]

Incipit[modifica]

Una mattina di luglio, sonnecchiavo a Piazza Melozzo da Forlì, all'ombra degli eucalitti, presso la fontana asciutta, quando arrivarono due uomini e una donna e mi domandarono di portarli al Lido di Lavinio. Li osservai mentre discutevamo il prezzo: uno era biondo, grande e grosso, con la faccia senza colori, come grigia e gli occhi di porcellana celeste in fondo alle occhiaie fosche, un uomo sui trentacinque anni. L'altro più giovane, bruno, coi capelli arruffati, gli occhiali cerchiati di tartaruga, dinoccolato, magro, forse no studente. La donna, poi, era proprio magrissima, col viso affilato e lungo tra due onde di capelli sciolti e il corpo sottile in una vesticciola verde che la faceva parere un serpente. Ma aveva la bocca rossa e piena, simile ad un frutto, e gli occhi belli, neri e luccicanti come il carbone bagnato. ("Fanatico")[28]

Citazioni[modifica]

  • Per una donna i corteggiatori sono come le collane e i braccialetti: ornamenti di cui, se può, preferisce di non disfarsi. (da L'amicizia)
  • Quando si agisce è segno che ci si aveva pensato prima: l'azione è come il verde di certe piante che spunta appena sopra la terra, ma provate a tirare e vedrete che radici profonde. (da L'incosciente)
  • Si vede che lo sport rende gli uomini cattivi, facendoli parteggiare per il più forte e odiare il più debole. (da Perdipiede)
  • Vedi, non c'è coraggio e non c'è paura... ci sono soltanto coscienza e incoscienza... la coscienza è paura, l'incoscienza è coraggio. (da L'incosciente)

Romanzi[modifica]

Gli indifferenti[modifica]

Incipit[modifica]

Entrò Carla; aveva indossato un vestitino di lanetta marrone con la gonna così corta, che bastò quel movimento di chiudere l'uscio per fargliela salire di un buon palmo sopra le pieghe lente che le facevano le calze intorno alle gambe; ma ella non se ne accorse e si avanzò con precauzione guardando misteriosamente davanti a sé, dinoccolata e malsicura; una sola lampada era accesa e illuminava le ginocchia di Leo seduto sul divano; un'oscurità grigia avvolgeva il resto del salotto.

Citazioni[modifica]

  • Un disgusto opaco l'opprimeva; i suoi pensieri non erano che aridità, deserto; nessuna fede, nessuna speranza alla cui ombra riposare e rinfrescarsi; la falsità e l'abbiezione di cui aveva pieno l'animo egli le vedeva negli altri, sempre, impossibile strapparsi dagli occhi quello sguardo scoraggiato, impuro che si frapponeva tra lui e la vita; un po' di sincerità, si ripeteva riaggrappandosi alla sua vecchia idea fissa, "un po' di fede… e avrei ucciso Leo… ma ora sarei limpido come una goccia d'acqua."
    Si sentiva soffocare; guardò Lisa, pareva contenta: "Come vivi?" avrebbe voluto gridarle: "sinceramente? con fede? dimmi come riesci a vivere." I suoi pensieri erano confusi, contraddittori: "E ancora" pensava con un brusco, disperato ritorno alla realtà, "forse questo dipende soltanto dai miei nervi scossi… forse non è che una questione di denaro o di tempo o di circostanze." Ma quanto più si sforzava di ridurre, di semplificare il suo problema, tanto più questo gli appariva difficile, spaventoso. "È impossibile andare avanti così." Avrebbe voluto piangere; la foresta della vita lo circondava da tutte le parti, intricata, cieca; nessun lume splendeva nella lontananza: "impossibile." (XVI; p. 284)
  • Quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede.

Citazioni su Gli indifferenti[modifica]

  • Già restando all'interno della decadenza era riuscito a Moravia, ne Gli indifferenti, di rappresentare il disfacimento morale come prodotto di una situazione di fermo, di un ingorgo storico, e con ciò egli aveva genialmente anticipato molto "essere-nel-mondo" del posteriore esistenzialismo. Qui la decadenza italiana, scrutando se stessa, si elevava al livello europeo. (Cesare Cases)

Il conformista[modifica]

Incipit[modifica]

Nel tempo della sua fanciullezza, Marcello era affascinato dagli oggetti come una gazza. Forse perché, a casa, più per indifferenza che per austerità, i genitori non avevano mai pensato a soddisfare il suo istinto di proprietà; o, forse, perché altri istinti più profondi e ancora oscuri si mascheravano in lui da avidità; egli era continuamente assalito da voglie furiose per gli oggetti più mascheravano in lui da avidità; egli era continuamente assalito da voglie furiose per gli oggetti più diversi. Una matita con il puntale di gomma, un libro illustrato, una fionda, un regolo, un calamaio portatile di ebanite, qualsiasi nonnulla sollevava il suo animo, prima ad un desiderio intenso e irragionevole della cosa agognata e poi, una volta la cosa entrata in suo possesso, ad uno stupefatto, stregato, insaziabile compiacimento.

Citazioni[modifica]

  • Ricordò che a tredici anni era stato un ragazzo timido, un po' femminile, impressionabile, disordinato, fantastico, impetuoso, passionale; adesso, invece, a trenta, era un uomo per nulla timido anzi perfettamente sicuro di sé, del tutto maschile nei gusti e negli atteggiamenti, calmo, ordinato fino all'eccesso, quasi privo di immaginazione, controllato, freddo. Gli pareva, inoltre, di rammentare che c'era stata in lui, allora, una ricchezza tumultuosa e oscura. Adesso, invece, tutto in lui era chiaro sebbene, forse, un poco spento, e la povertà e rigidezza di poche idee e convinzioni avevano preso il posto di quella generosa e confusa abbondanza. Finalmente, era stato incline alla confidenza ed espansivo, talvolta addirittura esuberante. Adesso era chiuso, di umore sempre uguale, senza brio se non proprio triste, silenzioso. Il tratto, però, più distintivo del radicale cambiamento intervenuto in quei diciassette anni, era la scomparsa di una specie di eccesso di vitalità costituito dal ribollire di istinti insoliti e, forse, anche anormali; in luogo del quale, adesso, era subentrata, come pareva, una certa mortificata e grigia normalità. (I, I; pp. 67-68)
  • Che altro poteva essere infatti la verità se non qualche cosa a tutti evidente, da tutti creduta e ritenuta inoppugnabile. Così la catena era ininterrotta, con tutti gli anelli ben saldati dalla sua simpatia, anteriore ad ogni riflessione, alla consapevolezza che questa simpatia era condivisa da altri milioni di persone nella stessa maniera; da questa consapevolezza alla convinzione di essere nel vero; dalla convinzione di essere nel vero all'azione. Perché, come pensò ancora, il possesso della verità non soltanto permetteva l'azione ma anche l'imponeva. Come una conferma da fornire a se stesso e agli altri della propria normalità che tale non era se non veniva, appunto, approfondita, ribadita e dimostrata continuamente. (I, I; pp. 70-71)
  • Marcello non aveva alcuna simpatia per Quadri: lo sapeva antifascista e, nella sua mente l'antifascismo di Quadri, il suo aspetto imbelle, malsano e laido, la sua erudizione, i suoi libri, tutto insomma, gli pareva che contribuisse a formare l'immagine convenzionale e continuamente additata al disprezzo dalla propaganda del partito, dell'intellettuale negativo e impotente. (II, III)
  • [Il professor Quadri rivolgendosi a Marcello] Ti pare strano, nevvero, che io parli d'azione?. Tra tutti questi libri?. Tu in questo momento pensi: "ma di che azione va cianciando questo piccolo uomo gobbo, storto, miope, barbuto?" di' la verità, è questo quello che pensi. I giornaletti del tuo partito ti hanno tante volte descritto l'uomo che non sa e non può agire, l'intellettuale, e ti vien fatto di sorridere con compassione, riconoscendomi in quell'immagine. non è così? (II, III)
  • [Il professor Quadri rivolgendosi a Marcello] Noi desideriamo soprattutto che il maggior numero possibile di persone si comprometta e lotti con noi. Andare in prigione per la nostra causa non è che una delle tante maniere di compromettersi e lottare, non certo la sola. (II, VIII)
  • [Marcello] Sentì il bisogno a questo punto di esprimere in parole grezze e sarcastiche la propria situazione e pensò con freddezza: "Insomma, se il fascismo fa fiasco, se tutte le canaglie, gli incompetenti, e gli imbecilli che stanno a Roma portano la nazione italiana alla rovina, allora io non sono che un misero assassino". (II, X)

Explicit[modifica]

Lo sportello si spalancò e Marcello cadde di fuori; poi trascinandosi con la faccia e con le mani sull'erba, cavò le gambe dalla macchina e giacque in terra presso il fossato. Ma nessuno parlò, né, sebbene lo sportello fosse rimasto aperto, si affacciò dalla macchina. In quel momento, di lontano, risuonò il fragore dell'aeroplano che virava. Egli pensò ancora: "Dio, fa' che non siano colpite. sono innocenti." E poi, rassegnato, la bocca nell'erba, aspettò che l'aeroplano tornasse. La macchina con lo sportello aperto era silenziosa, ed egli ebbe il tempo di capire, con acuto dolore, che nessuno ne sarebbe disceso. Finalmente l'aeroplano fu su di lui, tirandosi dietro, mentre si allontanava nel cielo infuocato, il silenzio e la notte.

La ciociara[modifica]

Incipit[modifica]

Ah, i bei tempi di quando andai sposa e lasciai il mio paese per venire a Roma. La sapete la canzone:
«Quando la ciociara si marita
a chi tocca lo spago e a chi la ciocia».
Ma io diedi tutto a mio marito, spago e ciocia, perché era mio marito e anche perché mi portava a Roma ed ero contenta di andarci e non sapevo che proprio a Roma mi aspettava la disgrazia. Avevo la faccia tonda, gli occhi neri, grandi e fissi, i capelli neri che mi crescevano fin quasi sugli occhi, stretti in due trecce fitte fitte simili a corde. Avevo la bocca rossa come il corallo e quando ridevo mostravo due file di denti bianchi, regolari e stretti. Ero forte allora e sul cercine, in bilico sulla testa, ero capace di portare fino a mezzo quintale. Mio padre e mia madre erano contadini, si sa, però mi avevano fatto un corredo come ad una signora, trenta di tutto: trenta lenzuoli, trenta federe, trenta fazzoletti, trenta camicie, trenta mutande. Tutta roba fine, di lino pesante filato e tessuto a mano, dalla mamma stessa, al suo telaio, e alcune lenzuola ci avevano anche la parte che si vede tutta ricamata con molti ricami tanto belli. Avevo anche i coralli, di quelli che valgono di più, rosso scuro, la collana di coralli, le buccole d'oro e di coralli, un anello d'oro con un corallo, e persino una bella spilla anch'essa d'oro e di coralli. Oltre i coralli ci avevo alcuni oggetti d'oro, di famiglia, e avevo un medaglione da portare sul petto, con un cammeo tanto bello, nel quale si vedeva un pastorello con le sue pecore.

Citazioni[modifica]

  • Questo è certamente uno dei peggiori effetti della guerra: di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà.
  • Questo per dire che ci si abitua a tutto e che la guerra è proprio un'abitudine e che quello che ci cambia non sono i fatti straordinari che avvengono una volta tanto ma proprio quest'abituarsi, che indica, appunto, che accettiamo quello che ci succede e non ci ribelliamo più.
  • Se fossi religioso, direi che è venuta l'apocalisse, quando appunto si vedranno i cavalli pascolare il grano. Siccome non sono religioso, mi limito a dire che sono venuti i nazisti, il che, forse, è la stessa cosa.

La noia[modifica]

Incipit[modifica]

Ricordo benissimo come fu che cessai di dipingere. Una sera, dopo essere stato otto ore di seguito nel mio studio, quando dipingendo per cinque, dieci minuti e quando gettandomi sul divano e restandoci disteso, con gli occhi al soffitto, una o due ore; tutto ad un tratto, come per un'ispirazione finalmente autentica dopo tanti fiacchi conati, schiacciai l'ultima sigaretta nel portacenere colmo di mozziconi spenti, spiccai un salto felino dalla poltrona nella quale mi ero accasciato, afferrai un coltellino radente di cui mi servivo qualche volta per raschiare i colori e, a colpi ripetuti, trinciai la tela che stavo dipingendo e non fui contento finché non l'ebbi ridotta a brandelli.

Citazioni[modifica]

  • Dunque in quei giorni, una impazienza straordinaria dominava la mia vita. Niente di quello che facevo mi piaceva ossia mi sembrava degno di essere fatto; d'altra parte, non sapevo immaginare niente che potesse piacermi, ossia che potesse occuparmi in maniera durevole.
  • Il sentimento della noia nasce in me da quello dell'assurdità di una realtà, come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della propria effettiva esistenza.
  • In principio, dunque, era la noia, volgarmente chiamata caos. Iddio, annoiatosi della noia, creò la terra, il cielo, l'acqua, gli animali, le piante, Adamo ed Eva; i quali ultimi, annoiandosi a loro volta del paradiso, mangiarono il frutto proibito. Iddio si annoiò di loro e li cacciò dall'Eden.
  • Sono nato nel 1920, la mia adolescenza passò, dunque, sotto l'insegna nera del fascismo, ossia di un regime politico che aveva eretto a sistema l'incomunicabilità così del dittatore con le masse come dei singoli cittadini fra di loro e con il dittatore.
  • Soprattutto quando ero bambino, la noia assumeva forme del tutto oscure a me stesso e agli altri, che io ero incapace di spiegare e che gli altri, nel caso di mia madre, attribuivano a disturbi della salute o altri simili cause.
  • Su tutto questo non so dare altra spiegazione, se non che la contraddizione costituisce il fondo mobile e imprevedibile dell'animo umano.
  • L'erotismo di Balestrieri, che io paragonavo spesso ad un vulcano in continua ma tranquilla attività, ebbe, infatti, verso il suo sessantatreesimo anno di età, come una fase parossistica. Le donne che sfilavano nel cortile e andavano a bussare alla porta del vecchio pittore, mi parvero più numerose; inoltre mi accorsi che erano oramai quasi sempre ragazze molto giovani: come tutti i viziosi, Balestrieri, con gli anni, inclinava verso le adolescenti. Ho parlato di una fase parossistica dell'erotismo; sarebbe più esatto dire che si trattò, se mai, di una fissazione, probabilmente inconsapevole, su un tipo solo di donna ad esclusione di tutti gli altri. Insomma, Balestrieri, senza rendersene conto, stava cessando in quel tempo di essere il dongiovanni collezionista che era sempre stato e, per la prima volta, si dedicava o voleva dedicarsi ad una donna sola.

Explicit[modifica]

Così, alla fine, il solo risultato veramente sicuro era che avevo imparato ad amare Cecilia, o meglio, ad amare senza più. Ossia speravo di avere imparato. Perché anche per questo aspetto della mia vita, il dubbio non era escluso. E io dovevo aspettare, per esserne del tutto sicuro, che Cecilia fosse tornata dalla sua gita al mare.

Le ambizioni sbagliate[modifica]

Incipit[modifica]

Nulla ripugnava maggiormente a Pietro Monatti che una condotta ispirata ai calcoli, agli impulsi e a tutte le altre arbitrarie giustificazioni dell'amor proprio. Oltre che da un disprezzo istintivo per le angustie e per le meschinità dell'egoismo, oltre che da un'ammirazione non meno istintiva per le azioni e i propositi generosi, l'odio per tutte le forme che suole rivestire l'amore di sé e specialmente quelle dell'ambizione, della prepotenza e dell'interesse gli era stato riconfermato da certe sfortunate esperienze della sua prima giovinezza. Per mezzo di quelle esperienze, Pietro era infatti arrivato alla convinzione di possedere una coscienza tanto scomoda e rigorosa da non potere andare fino in fondo né trarre alcun vantaggio da quelle azioni nelle quali si fosse lasciato guidare dal solo tornaconto; e a differenza della maggior parte degli uomini, i quali – egoisti per natura – non sanno comportarsi generosamente che per forza di calcolo e di volontà, di essere invece naturalmente portato al disinteresse, alla lealtà, all'altruismo, e a tutte le altre virtù umane.
Questa scoperta era stata la conclusione di una lunga crisi, e, fatto anche più notevole, il principio di una serie di fortune. Giacché messosi d'accordo con se stesso e riordinata la propria vita secondo i concetti che gli parevan più rispondenti alla vera conformazione del suo carattere, Pietro aveva finalmente conosciuto quella tranquillità dell'animo senza la quale non sono possibili gli sviluppi del lavoro e i fruttuosi rapporti col mondo.

Citazioni[modifica]

  • Gli altri si arrabattano con la furbizia, coi calcoli e con gli inganni, e alla fine, machiavellici come sono, si ritrovano tuttavia con un pugno di mosche. A me invece, che agisco sempre con sincerità e seguendo i miei migliori istinti, che odio l'inganno e il calcolo, a me, l'ingenuo, l'uomo che non sa vivere, tutto va di bene in meglio. Loro cercano di farsi largo a furia di imbrogli, e di malafede e non riescono ad uscire dal loro stato mediocre. Io invece, neppure mi curo di farmi avanti, bado soltanto a procurarmi degli amici, a creare dei legami di affetto, ad essere in buoni e veri rapporti con ogni persona che conosco, e mi ritrovo poi alla fine avvantaggiato, e quegli amici, quei legami d'affetto, quei rapporti, si rivelano come i migliori strumenti della mia fortuna. Tanto è vero che la migliore furbizia è non essere furbi. (Pietro: I, XIII; pp. 151-152)
  • Gli scrupoli portano lontano. Guarda gli inglesi, per esempio, che hanno conquistato mezzo mondo: sono pieni di scrupoli. (Pietro: II, VI; p. 249)

Incipit di alcune opere[modifica]

1934[modifica]

"È possibile vivere nella disperazione e non desiderare la morte?" Immaginavo, per gioco, di leggere questa domanda in una specie di insegna che un grandissimo pipistrello dalle ali spiegate, simile a quello che si vede nella stampa di Dürer Melencolia, teneva sospesa tra le unghie al di sopra del mare, mentre il vaporetto si avvicinava rapidamente all'isola di Capri. Forse era l'atmosfera del temporale imminente a suggerirmi l'analogia con la stampa del pittore tedesco.

Agostino[modifica]

Nei primi giorni d'estate, Agostino e sua madre uscivano tutte le mattine sul mare in pattino. Le prime volte, la madre aveva fatto venire anche un marinaio, ma Agostino aveva mostrato per così chiari segni che la presenza dell'uomo l'annoiava, che da allora i remi furono affidati a lui. Egli remava con un piacere profondo su quel mare calmo e diafano del primo mattino e la madre, seduta di fronte a lui, gli discorreva pianamente, lieta e serena come il mare e il cielo, proprio come se lui fosse stato un uomo e non un ragazzo di tredici anni.

Il viaggio a Roma[modifica]

Durante il volo ho aperto a caso il volume delle poesie di Guillaume Apollinaire; i miei occhi sono caduti su un verso: "Eccoti a Roma seduto sopra un nespolo del Giappone" e ho preso a fantasticare: perché un nespolo del Giappone? Che aveva a che fare con Roma quell'albero asiatico? E poiché Apollinaire era il mio modello e la mia guida, che cosa avrebbe significato nella mia vita, una volta arrivato a Roma, il nespolo del Giappone?

Io e lui[modifica]

Intrigante! Subdolo! Fedifrago! Vile! Ecco come mantiene le promesse! Ecco come sta ai patti! Dormo, faccio una quantità di sogni indifferenti che ora non ricordo, e, alla fine, sogno di essere in uno studio cinematografico, grandissimo, immerso nella penombra. In un angolo, sul carrello, sta la macchina da presa incappucciata in un panno nero. So di certo che sto girando, finalmente!, il "mio" film. Quale film? Chi è il produttore? Chi sono gli attori? Non lo so. So soltanto che è il "mio" film. Il film al quale penso da quindici anni. Il film dal quale dipende tutta la mia vita.

L'amore coniugale[modifica]

Prima di tutto voglio parlare di mia moglie. Amare, oltre a molte altre cose, vuol dire trarre diletto dal guardare e osservare la persona amata. E non soltanto trarre questo diletto dalla contemplazione delle sue bellezze ma anche da quella delle sue bruttezze, poche o molte che siano. Fin dai primi giorni di matrimonio, io trovai un inestimabile piacere nel guardare Leda (così ella si chiama) e nello studiare il viso e la persona fin nei minimi gesti e nelle più fuggevoli espressioni.

L'uomo che guarda[modifica]

Ore sei e trenta. Dormo poco, non più di sei ore per notte e, appena mi sveglio, dedico cinque, dieci minuti a quella rara occupazione che va sotto il nome di pensiero. A che cosa penso? A dirlo così può persino parere ridicolo: alla fine del mondo. Non so quando e in che modo è cominciata questa abitudine; forse non tanto tempo fa, in seguito alla lettura di un libro che per caso ho trovato sulla scrivania di mio padre che è professore di fisica all'università, un libro, fra i tanti, sulla guerra nucleare. Oppure sarà stato un altro motivo venuto da chissà dove e poi scomparso dalla mia memoria, come scompare il seme una volta che la pianta è cresciuta.

La disubbidienza[modifica]

Passate le vacanze nel solito luogo al mare, Luca tornò in città con la sensazione che non stava bene e si sarebbe presto ammalato. Egli era cresciuto in maniera anormale negli ultimi tempi e a quindici anni aveva già la statura di un uomo adulto. Ma le spalle erano rimaste strette e gracili; e nel viso bianco, gli occhi troppo intensi parevano divorare le guance smunte e la fronte pallida. Fosse stato consapevole di questa sua gracilità e dei pericoli che comportava, si sarebbe forse raccomandato ai genitori affinché gli facessero sospendere gli studi...

La romana[modifica]

A sedici anni ero una vera bellezza. Avevo il viso di un ovale perfetto, stretto alle tempie e un po' largo in basso, gli occhi lunghi, grandi e dolci, il naso dritto in una sola linea con la fronte, la bocca grande, con le labbra belle, rosse e carnose e, se ridevo, mostravo denti regolari e molto bianchi. La mamma diceva che sembravo una madonna.

La villa del venerdì[modifica]

Hanno affittato per l'estate una villa situata sulle dune, a poca distanza da un borgo, su un litorale famoso per i suoi stabilimenti balneari. A nord e a sud del borgo, la riviera continua per centinaia di chilometri, alternando centri di villeggiatura con alberghi, ristoranti, bar, balere a tratti ancora disabitati dell'originaria macchia mediterranea.

Palocco[modifica]

La solitudine è finita a partire dal momento che Lola Lopez, trovatella di origine probabilmente peruviana, lascia il convento dove, anno dopo anno, ha fatto di tutto, dalla sguattera all'infermiera, ed è andata a vivere per conto suo in un quartierino di una sola stanza, in cima ad una casetta di Trastevere. Al convento era sola benché in compagnia; qui nella sua monocamera è in compagnia benché sola. La causa di questa contraddizione è un cucciolo che le buone suore le hanno regalato, nato da una cagna che ha messo al mondo tutta una cucciolata in fondo al giardino del convento. Lola lo ha chiamato Palocco in ricordo del convento che si trova a Casal Palocco...

Viaggio in Inghilterra[modifica]

Gita nella campagna inglese
Londra, novembre
L'automobile correva per una straducola in discesa del tutto buia, profondamente incastrata tra due ripe alte e nere; ogni volta che il raggio dei fanali batteva su queste ripe vedevo intrighi di bianchicci e impressionanti di grossissime radici che mi facevano immaginare tronchi adeguati e non meno straordinari. Fu questa la prima impressione che ebbi della campagna inglese, non dissimile da quella di un viaggiatore addormentato, che svegliato ad un tratto da una brusca fermata in piena campagna, si affacci e intravveda illuminati dalle luci del treno oggetti di un aspetto inconsueto che gli ricordano ad un tratto di essere in un paese sconosciuto, il cui vero aspetto non gli sarà rivelato se non al sorgere del sole.

Citazioni su Alberto Moravia[modifica]

  • A Moravia (egli non è il solo) deve essere accaduto qualcosa. Non oggi, non ieri; in tempi preistorici, sepolti nelle profondità di un totale (non però irrevocabile) oblìo. È come se egli, essendo ancora piccolo bambino, avesse (fingendo, magari, di dormire) spiato e sorpreso quello che un altro pazzo (ma non, questo, d'ingegno) – l'autore dell'Igiene dell'amore – chiamava, con le bave alla bocca «l'amplesso»; e – come succede ai pargoli maldesti – scambiato questo con un'aggressione; un atto sadico. Ne restò fortemente impressionato. Poi dimenticò. Ma era ormai – senza saperlo – fissato a quell'immagine mostruosa e irreale. Essa improntò, non dico la sua vita (che né so, né voglio saperlo); ma (questo posso affermarlo) la sua arte. Ma è peccato. È peccato, perché Moravia non è solo scrittore d'ingegno, ma forse anche [...] di genio. (Umberto Saba)
  • A un certo punto Moravia cominciò a portare a casa di mio padre Elsa Morante. Non era bella, ma curiosa, intrigante. Aveva una singolare voce acuta, i denti davanti molto aperti; ricordava non saprei quale animale. Ci feci amicizia dopo che si sposarono, e vennero da noi parecchie volte. Ci vedemmo meno quando io ebbi i bambini, e poi fu la guerra a dividerci. Mi piacevano i suoi romanzi, molto più di quelli di Moravia, ma come persona apprezzavo di più lui. (Suso Cecchi D'Amico)
  • Ai tavolini di via Veneto i letterati chiamavano Lattuada la «piccola vendetta lombarda», Alberto Moravia era l'Amaro Gambarotta. Vincenzo Cardarelli, che in piena estate indossava tre cappotti uno sopra l'altro, «il più grande poeta italiano morente». (Dino Risi)
  • Alberto Moravia. L'amaro Gambarotta. (Marcello Marchesi)
  • Di Moravia mi limiterò a dire che è un buon narratore ma un accorto e zelante amministratore di quella politica culturale che in Italia promette quattrini e potere. (Marino Piazzolla)
  • Disgustato e deluso dalla società troppo presto, Moravia ha in sé, quasi confessato, un angelico volto di utopista che teme di costruire il suo sogno, in una società ove lo scetticismo e il facile riso, e il proprio stesso atteggiarsi a supreme certezze ciniche, bruciano i bruchi prima che diventino farfalle. (Francesco Flora)
  • È caratteristica della narrazione moraviana quell'attitudine a far dimenticare l'imbratto del discorso, alleviando la pagina d'ogni bagaglio verboso. (Carlo Emilio Gadda)
  • Il Moravia ha avuto un grande dono degli Dei, ma anche una grande croce: a vent'anni egli è nato uomo tutto maturo, poiché proviene da una razza vecchia e filtrata; non ci sono che i fiorentini e gli ebrei che nascono vecchi, maturi, raffinati, smagati; a venticinque anni salgono rapidamente in alto, ma poi si fermano lì e il tempo non scorre più per loro. (Luigi Russo)
  • In questa casa signorile con doppi servizi | visse e operò tenacemente | Alberto Moravia | che a supremo fastigio dell'arte sua | la Noia ponendo | in novelle innumerevoli la profuse. (Ennio Flaiano)
  • La noia di Moravia
    Di scene d'amore | quante ce ne ha messe! | È diventato ormai | un autore | di pubico interesse. (Marcello Marchesi)
  • Lui era timido e introverso; io, più timida e più introversa di lui. [...] ci siamo visti ancora, lui sempre timido e introverso, io sempre a disagio. Però cominciavo a provare tenerezza per lui: lo vedevo così scoperto, come un bambino che non riesce a nascondere le cose di sé che non vuole che si sappiano. [...] Negli anni l'ho rivisto molte volte. Non abbiamo avuto rapporti molto aperti. Però leggevo nel suo sguardo, come lui leggeva nel mio, un grande affetto: perché lui aveva capito me, così come io credo di aver capito lui, pur senza esserci mai detti nulla. Eravamo anche molto simili. (Claudia Cardinale)
  • Ma non è scomparso uno dei Grandi Vecchi del secolo. Moravia è stato sino alla fine un Grande Giovane... Non si è costruito l'immagine del vate, dell'eroe, del maledetto o del martire, come altri protagonisti letterari del secolo: si è presa la parte del borghese, raccontando il suo essere borghese, dal di dentro, con lucida e scettica vocazione di moralista. Un poco annoiato, appunto, esibendo qualche acciacco e improvvisi guizzi da scavezzacollo passionale, e molte sorprese quasi infantili di fronte alla varietà della vita. Alla quale annoiatissimo e con frequenti sbuffi di irritazione non si è mai sottratto, aspettando che fosse lei a prendere la decisione di lasciarlo. Cosa che deve avergli provocato l'ultimo moto di stizza. (Umberto Eco)
  • Mi indigna il suo strapotere, che io credo dannoso per l'Italia. (Giuseppe Berto)
  • Moravia è come il tweed inglese, il rovescio è meglio del dritto. (Leo Longanesi)
  • Moravia era molto simpatico. Dicono di lui che fosse cattivo, ma non riesco a spiegarmene la ragione: era una persona veramente buona, semmai infantile. Aveva le impazienze di un bambino nervoso: non stava fermo un secondo, sfasciava tutto. [...] La sceneggiatura è un lavoro di pazienza, e lui non l'aveva proprio. (Suso Cecchi D'Amico)
  • Moravia ha fondato, insieme a Pasolini e a Dacia Maraini, un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di Solženicyn in Russia. (Indro Montanelli)
  • Moravia ha raggiunto il perfetto equilibrio: sua moglie scrive meglio di lui e la sua amante peggio. (Ennio Flaiano)
  • Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di Spadolini. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (Indro Montanelli)
  • Per me è il più grande scrittore italiano del Novecento. È il solo vero romanziere, il solo vero narratore. Sa usare una lingua molto limpida e molto precisa. Quando affronta storie complicate dal punto di vista ideologico come Il conformista e La ciociara usa la stessa lingua impiegata in altre storie semplici e lineari come Agostino, Inverno di malato e La disubbiendenza. (René de Ceccatty)
  • Si serviva del sesso per capire il mondo, per questo la sessualità per lui non era mai distruttrice al contrario che per Pasolini. Anche se i rapporti tra amanti sono difficili, secondo Moravia non distruggono le loro identità. (René de Ceccatty)
  • Visse e operò | tra gioie e pene | all'erezione sempre intento | del proprio monumento. (Indro Montanelli e Mario Cervi)

Note[modifica]

  1. Da La grande bellezza: Roma com’era (e com’é), Rep.repubblica.it, 4 maggio 2018.
  2. a b Citato in Ernesto Di Lorenzo, Quando Segesta affascinò Alberto Moravia, la Repubblica, 6 dicembre 2007.
  3. Citato in Wu Ming 1, La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia Internazionale.it, 29 ottobre 2017.
  4. Citato in Igor Man, Igor d'Arabia, a cura di Marcello Sorgi, Aragno, Torino, 2012.
  5. Da L'Isola di Graziella, in Le vie d'Italia, dicembre 1960, Touring Club Italiano. In M. L. Santoli e M. Stanghellini, I grandi libri, vol. I, Zanichelli, Bologna, 1971, pp. 555-556.
  6. Dal film-documentario Comizi d'amore (1964) di Pier Paolo Pasolini; citato in Pier Paolo Pasolini, Per il cinema, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, Mondadori, Milano.
  7. Da L'attenzione, Bompiani, Milano.
  8. Da Cronologia, in Alberto Moravia, Teatro, Bompiani, Milano, 2004, vol. I, p. 90.
  9. Da Evviva, c'è una retorica di meno, L'Espresso, 18 marzo 1979.
  10. Da L'Espresso, 17 febbraio 1963; citato in Claudio G. Fava, Aldo Viganò, I film di Federico Fellini, Gremese, Roma, 1995, p. 108. ISBN 88-7605-931-8
  11. Da Il disprezzo, 1954. Citato in Cartoline di Moravia da Capri: i faraglioni, i-libri.com; citato, parzialmente, in AA. VV. Culture del Mediterraneo. Radici, contatti, dinamiche, a cura di Elisabetta Fazzini, LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano, 2014, p. 209.
  12. Dall'introduzione a Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, traduzione di Milli Martinelli, BUR, Milano, 1995, pp. 5-6. ISBN 88-17-86559-1
  13. Da Il disprezzo.
  14. Da La romana.
  15. Da Ma che cosa aveva in mente?, L'Espresso, 9 novembre 1975; citato in Antonio Tricomi, Pasolini: gesto e maniera, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, p. 129. ISBN 88-498-1310-4
  16. Da Breve autobiografia letteraria, in Opere 1927-1947, a cura di G. Pampaloni, Bompiani, Milano, 1986.
  17. Da un articolo su L'Espresso, 24 settembre 1972; citato in "Nel nome del padre" di Marco Bellocchio, cinetecadibologna.it, 2011.
  18. Da Breve autobiografia letteraria.
  19. a b Da Una bella bara a due piazze, L'Espresso, 9 marzo 1975.
  20. Da L'Europeo, 1952, n. 2, p. 7.
  21. Da L'Espresso, 14 febbraio 1960; citato in Claudio G. Fava, Aldo Viganò, I film di Federico Fellini, Gremese, Roma, 1995, p. 96. ISBN 88-7605-931-8
  22. Citato in Mario Canciani, Vita da prete, Mondadori, Milano, 1991, p. 88.
  23. Da Viaggio in Inghilterra, p. 21.
  24. Da Intervista sullo scrittore scomodo, a cura di N. Ajello, Laterza, Bari, 1978, p. 118.
  25. Citato in Paolo di Paolo, I 40 anni di “Ecce bombo”, diario di una generazione, Rep.repubblica.it, 7 marzo 2018.
  26. Da Lettere dal Sahara, Bompiani, Milano.
  27. Da Il disprezzo, Bompiani, Milano, 1963, p. 77.
  28. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X

Bibliografia[modifica]

  • Alberto Moravia, Viaggio in Inghilterra, Edizioni de Il Mattino, Napoli, 1996.

Racconti[modifica]

  • Alberto Moravia, I racconti, Bompiani, Milano.
  • Alberto Moravia, La villa del venerdì, Bompiani, Milano, 1992. ISBN 88-452-1877-5
  • Alberto Moravia, Nuovi racconti romani, Bompiani, Milano.
  • Alberto Moravia, Palocco, Bompiani, Milano, 1990. ISBN 88-452-1647-0.
  • Alberto Moravia, Racconti romani, Bompiani, Milano.

Romanzi[modifica]

  • Alberto Moravia, 1934, Bompiani, Milano, 1982.
  • Alberto Moravia, Agostino, Einaudi, Torino.
  • Alberto Moravia, Gli indifferenti, Bompiani, Milano, 1995. ISBN 88-452-4624-8
  • Alberto Moravia, Il conformista, Bompiani, Milano, 1998. ISBN 88-452-3797-4
  • Alberto Moravia, Il viaggio a Roma, Bompiani, Milano, 1988.
  • Alberto Moravia, Io e lui, Bompiani, Milano, 1974.
  • Alberto Moravia, L'amore coniugale, Bompiani, Milano, 1972.
  • Alberto Moravia, L'uomo che guarda, Bompiani, Milano, 1985.
  • Alberto Moravia, La ciociara, Bompiani, Milano, 1960.
  • Alberto Moravia, La disubbidienza, Bompiani, Milano, 1948.
  • Alberto Moravia, La noia, Bompiani, Milano. ISBN 978-88-452-5047-7
  • Alberto Moravia, La romana, Bompiani, Milano.
  • Alberto Moravia, Le ambizioni sbagliate, Bompiani, Milano, 1998. ISBN 88-452-3571-8

Filmografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

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