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Dino Risi

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Dino Risi

Dino Risi (1916 – 2008), regista e sceneggiatore italiano.

Citazioni di Dino Risi

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  • Alcuni personaggi sono già forme di spettacolo, Andreotti è il dramma, Berlusconi è la commedia, Bossi è la farsa. Craxi? Era un politico vero, quindi è un mascalzone vero. Ognuno di loro sarebbe un protagonista. Mi ha colpito Andreotti, che al processo si è lasciato dire le cose più turpi senza reazione, se non con il naso sanguinante. Deve essersi rassicurato, sanguina meno. Di Pietro? Il film lo ha già fatto Frank Capra, Mr. Smith va a Washington. Era James Stewart.[1]
  • A sei anni, alle elementari a Milano, ero invidiato dai compagni perché saltavo l'ora di religione, e quando la maestra mi chiese perché, risposi "Perché sono un libero pensatore".[2]
  • [Su Ugo Tognazzi] Attore non attore, innamorato delle donne, della vita, della buona tavola. Fece un passo difficile, dal comico al drammatico. Molti ci provano, pochi ci riescono. A lui riuscì. Bello starci insieme, mai un momento di noia. Vero, sincero. Anche Gassman ne era contagiato: gli piaceva, era il contrario di lui: Ugo non sapeva quasi mai la parte. La inventava...[3]
  • Benigni sì, Moretti meno. Quando vedo i suoi film ho una strana impressione, mi sembra che si occupi troppo di se stesso. Quando lo vedo nell'inquadratura, mi viene da dirgli: spostati un po' e fammi vedere il film.[4]
  • Mi piacciono solo i film che sto per fare. Dopo non vado neanche a vederli.[5]
  • I critici vorrebbero che noi facessimo i film che loro farebbero se fossero capaci di farli.[6]
  • La tv vive di cinema, ma il cinema muore di tv.[7]
  • Siamo diventati tutti antifascisti quando abbiamo cominciato a perdere la guerra.[8]
  • [Su Nino Manfredi] Lo chiamavo l'orologiaio: era pignolissimo nel suo lavoro, un cesellatore, per questo riusciva a dare risultati straordinari.[9]
  • Nino Manfredi era un professore della scienza della risata. Tutto calcolato, ma in modo che sembrasse naturale. L'esatto contrario di Ugo Tognazzi, attore ruspante, se mai ce ne furono...[3]
  • Oggi la tv è la grande madre del cinema.[10]
  • Quando uscì Scent of a Woman andai a vederlo con Vittorio. E ci divertimmo anche. Certo, a nessuno dei due venne in mente anche una lontana parentela con il nostro film. Quello che avevamo davanti era un'altra cosa. Per certi versi sbagliata, per altri buona. Per esempio, la scena dove Al Pacino cieco guida l'auto mi piacque molto, avrei voluto farla io. Mentre era sbagliato aver "dimenticato" la storia d'amore, fondamentale nella vicenda e messa a margine nella versione americana. Che infatti non funzionò.[11]
  • Vorrei mettere in scena una famiglia modello dell'Italia dei nostri giorni: un nonno come Riina, un padre come Craxi, una madre come Marina Ripa di Meana, una figlia come Cicciolina e un figlio fisico nucleare: in ogni famiglia c'è una pecora nera.[12]

Dall'intervista di Claudio Sabelli Fioretti, Corsera Magazine, 21 ottobre 2004

  • [La morte] Mi incuriosisce. Prevedo delle sorprese. La vita in fondo non è questa grande trovata.
  • A sei anni ero innamorato di una cameriera. Mi portava a letto con sé. Ho conosciuto il piacere, si può dire.
  • Mi sento come un inquilino abusivo. Sono rimasto senza amici. Erano tutti più giovani di me e se ne sono andati prima di me, Gassman, Fellini, Zapponi, Lapegna, Tognazzi, Mastroianni, Sordi, Manfredi. Non so più con chi parlare. Il linguaggio dei giovani è insopportabile. I miei nipoti vanno avanti a "puntocom" e "vuvuvu". Io non ho nemmeno il coso, come si chiama, il fax. Imbuco sempre le lettere nella cassetta.
  • Mi piaceva l'infedeltà e mi piaceva tornare in famiglia. Una volta, a piazza Euclide, avevo finalmente avuto un appuntamento con Sylva Koscina. Stava per salire in macchina quando sentii le voci dei miei frugoletti: "Papà papà". E dietro, la mamma.

Dall'intervista al programma televisivo Le iene, 25 ottobre 2007

Video dell'intervista disponibile su Mediaset.it.

  • Penso che bisognerebbe andarsene tutti a ottant'anni. Per legge.
  • [Il film perfetto è] Ombre rosse.
  • [Un film è] Un uomo con una pistola ed una donna nuda.

I miei mostri

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  • Stanco di curare gente che non guariva, mi sono dato al cinema. (copertina)
  • Il cinema è il mestiere più bello del mondo. Per tutti (o quasi) quelli che ci lavorano. (p. 9)
  • Il 23 dicembre 2003 ho compiuto ottantasette anni. Pensavo che non avrei superato l'anno 2000. Ho dovuto rifare i conti. Tutti i miei amici se ne sono andati. Tutti più giovani di me. L'essere ancora vivo mi chiedo se sia un premio, o un castigo.
    Ho fatto un esame di coscienza. Non sono orgoglioso di me. Sono stato stupido, infedele, bugiardo, vile, ipocrita, fatuo, furbo, vanesio, indecente, annoiato, triste, invidioso, disperato. Ma anche buono, generoso, innamorato, fedele, allegro, sognatore, dubbioso, timido, ingenuo, ignorante, educato, rispettoso, onesto. Ho amato molto la natura, il mare, le donne, il cinema, il teatro, i viaggi, i libri, la musica, il vino, le fragole con la panna, gli spaghetti alla puttanesca, la cioccolata, le paste di mandorla. (p. 12)
  • Coito, ergo sum. (p. 50)
  • Un tale, accortosi che i cretini erano la maggioranza, pensò di fondare il Partito dei Cretini. Ma nessuno lo seguì. Allora cambiò nome al partito e lo chiamò Partito degli Intelligenti. E tutti i cretini lo seguirono. (p. 52)
  • Greta Garbo e Anna Magnani: la differenza tra la luna e un temporale. (p. 52)
  • Il cinema: una donna nuda e un uomo con la pistola. Qualcosa a metà tra l'orologeria di precisione e la tratta delle bianche.
    I cinematografi: supermercati che vendono amore e paura. (p. 58)
  • Il ripasso della propria vita è un esercizio che tutti dovrebbero fare, a una certa età. Si vede quel che ci siamo lasciati alle spalle, il buono, il cattivo, il ridicolo, l'inutile. Ma anche certi momenti di felicità e di luce, che ci consolano delle gambe che hanno perso agilità, del cuore «che batte come un mare stanco» (Sandro Penna), dei nomi dei cari amici che non ricordiamo più. (p. 61)
  • [Su Romy Schneider] Viveva per amore Romy, ma aveva paura dell'amore, paura di non essere amata. Forse Alain Delon fu l'unico che l'amò veramente. Ma lei cominciò a non piacersi quando lo specchio prese a mostrarle i segni del tempo, il sorriso che non era più quello della principessa Sissi. [...] Morì di solitudine, la solitudine delle star, che arriva rapida e totale, spietata come una sentenza. (p. 79)
  • Se dovessi scrivere un ricettario, in base alle mie esperienze, direi:
    A) Evitate di innamorarvi, è solo una perdita di tempo e vi farà rimpiangere le occasioni perdute.
    B) Evitate le tavolate (gli inglesi dicono: «Due è una compagnia, tre è una folla»).
    C) Non cercate la perfezione in una ragazza (un proverbio romano suona: «VIno di grotta e fica di zoppa»).
    D) Non andate in vacanza durante l'estate: troverete soltanto gente di cattivo umore.
    E) Cercate di fare un lavoro che vi piaccia.
    F) Evitate i politici, le femministe e le ex belle.
    G) Non scrivete lettere d'amore di cui vi pentirete.
    H) Non investite soldi in una impresa dove uno dei soci è soprannominato «il marsigliese» (Woody Allen).
    I) Non imitate nessuno, nemmeno voi stessi.
    L) Non prendete eccitanti: potenzierete soltanto la stupidità che è in voi.
    M) Non cercate la felicità: la troverete quando meno ve la aspetterete.
    N) Fate che la morte vi trovi vivi (proverbio di origine latina rimesso in circolazione da Marcello Marchesi). (pp. 93-94)
  • Sono contento di non fare più film. Sono contento di non avere più mal di pancia. Ho girato più di cinquanta film. Ho avuto più di cinquanta mal di pancia. Anzi, molti di più. Perché c'è il mal di pancia del primo montaggio. C'è il mal di pancia della prima copia. C'è il mal di pancia dell'anteprima. C'è il mal di pancia dell'uscita del film. C'è il mal di pancia della prima critica. (p. 111)
  • Se mi guardo alle spalle, vedo più rimorsi che successi. (p. 113)
  • Il segreto è superare gli ottanta. Dopo, è una passeggiata. (p. 115)
  • L'unica ginnastica che faccio è la spremitura manuale delle arance. (p. 115)
  • Preferisco andare a un funerale che a un matrimonio. (p. 117)
  • Ugo Tognazzi era considerato un grande amatore, e lo era. Intanto, come Walter Chiari, aveva quella qualità che piace alle donne, le faceva ridere. E poi, come mi confidò, il segreto era non andare sul difficile, trascurare quelle troppo belle, contentarsi. La donna col difetto è la migliore, aggiunse: costa meno e rende di più. (p. 138)
  • Chissà come direbbe Garibaldi se fosse vivo oggi. Chissà che direbbe della guerra in Iraq. Chissà cosa direbbe Raffaello se vedesse un quadro di Pollock. Chissà cosa direbbe Michelangelo di fronte alle sculture di Moore. E Leonardo da Vinci dello sbarco sulla Luna. E Napoleone Bonaparte dell'11 settembre, lui che non si preoccupava per la morte di due milioni di uomini. (p. 146)
  • La scienza ci dice che camperemo fino a centottant'anni, e presto saremo immortali. Dovremo cominciare a preoccuparci seriamente del tempo libero. (p. 146)
  • Il telefono cellulare, o telefonino. La più grande invenzione dell'umanità dopo la ruota. Una scoperta che ha rivoluzionato il mondo. Il mondo senza pareti, senza muri, senza segreti. L'incomunicabilità che va a farsi fottere. Fine della privacy. Sappiamo tutto di tutti. (p. 147)
  • Mi piace l'estate, quando le ragazze vanno per la strada in sottoveste, quando le bruttine diventano carine e le carine diventano belle, i ministri e i sottosegretari sono abbronzati, le annunciatrici e gli annunciatori in televisione hanno cambiato faccia, sappiamo tutto sulle balene e sugli amori degli elefanti, i topi attraversano le strade, rivediamo Walter Chiari, Tognazzi e Vianello, i semafori segnano giallo, Bruno Martino canta: «E la chiamano estate, / questa estate, senza te...». (pp. 148-149)
  • Ai tavolini di via Veneto i letterati chiamavano Lattuada la «piccola vendetta lombarda», Alberto Moravia era l'Amaro Gambarotta. Vincenzo Cardarelli, che in piena estate indossava tre cappotti uno sopra l'altro, «il più grande poeta italiano morente». (pp. 150-151)
  • Non ci avevo mai pensato, in tutti questi anni. Non so se per pudore, o per rimorso, o per vergogna. La verità è che non solo io, ma nessuno dei miei amici, «internati» o «rifugiati» in Svizzera, nei quasi due anni che vanno dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, si ricorda di essersi mai intrattenuto a parlare della guerra in corso, che faceva milioni di morti nel mondo, né di aver mai ascoltato la radio o comprato un giornale per avere notizie. [...] La verità è che quei mesi passati in Svizzera [...] tutto questo ci era sembrato un sogno, una bella favola che senza merito ci aveva premiato e che volevamo tenere per noi, con l'egoismo di chi è scampato al naufragio e si aggrappa ben stretto alla tavola che lo ha portato in salvo, ma nello stesso tempo guarda con paura la riva dove non sa quello che troverà. (pp. 161-162)
  • La televisione ha rubato clienti al prete e allo psicanalista. Uomini e donne, ma soprattutto donne, sembra che trovino un sottile piacere nel raccontarsi davanti a milioni di sconosciuti, nel riferire episodi piccanti della loro vita, comportamenti che hanno taciuto alla mamma e alla migliore amica. (p. 165)
  • C'è un'«arte», che s'impara vivendo. È l'arte del non fare. (p. 183)
  • Ci sono ore lente e ore che corrono. (p. 192)
  • Sono stato cinque o sei volte in giuria al concorso di Miss Italia. Ho sempre visto le stesse madri, gli stessi padri, le stesse ragazze. Solo ogni anno un po' più alte. E un po' più padrone della lingua italiana. E un po' più tatuate. E un po' più rifatte. (p. 196)
  • La morte non mi fa paura, non mi ha mai fatto paura, non vedo l'ora che arrivi, solo mi dà noia la durata del viaggio prima che io torni a vivere, perché questo è sicuro, altrimenti vuol dire che il sole, le stelle, il mare, il vino, le donne, tutto ciò non esiste, e questo non può essere. (p. 206)
  • Ho scritto di molte cose, ma pochissimo dei miei film e del cinema in generale. Eppure ho fatto più di cinquanta film, quasi uno all'anno. La verità è che credo di avere fatto molti film senza accorgermene. Sedevo accanto alla macchina da presa nella mia sedia da regista, dicevo «Motore!», «Azione!», e pensavo ad altro. Mi sembrava, occupandomi del film e degli attori, di sciupare il mio tempo. Me ne andavo via con la testa. Amavo troppo la mia libertà per sentirmi costretto a seguire gli attori, le loro battute, i movimenti di macchina, il ritmo di una scena, le luci dell'operatore, lasciavo che se ne occupasse il mio doppio, cioè me stesso, la parte automatica di me che sentivo dire: «Questa è buona, si stampa». Oppure: «No, facciamone un'altra». [...] Non vedevo l'ora che finisse la giornata per starmene solo con me stesso. Pensavo a tutto. Tranne che al film. A cosa pensavo? Quasi sempre a un'altra storia, ad altri luoghi, ad altri attori. Il film che stavo girando ormai l'avevo metabolizzato, era fatto, già visto, non suscitava la mia curiosità, mi annoiava, non volevo saperne niente. Infatti cercavo di evitare la tortura delle proiezioni prima dell'uscita, volevo non parlarne più, dimenticarlo. Non conservavo nulla. (pp. 210-211)
  • Walter Chiari era uno che con le donne ci sapeva fare. Collezionò, come Mastroianni (più sornione ma altrettanto vincente), bellezze nazionali e internazionali. Era un caro ragazzo, anche quando era quasi vecchio. Amico di tutti e amico sincero, innamorato dell'amore. Capace di lasciare un film per raggiungere la donna amata dall'altra parte del mondo. Generoso (morì povero), volle che fosse scritto sulla sua tomba: «Non preoccupatevi, è solo sonno arretrato». Parlava, parlava, e, a differenza di quelli che parlano, parlano, diceva anche delle cose intelligenti. (p. 219)
  • L'amore oggi è diventato, come tutto, oggetto di mercato. La televisione lo usa come usa i materassi, i telefonini e la carta igienica. È l'amore-sesso, che non si è mai praticato così poco in Italia come da quando le femministe hanno intimato al compagno maschilista: «Vediamo un po' cosa sei capace di fare». E vendono il loro bel corpo (quelle che ce l'hanno) ai calendari che sventolano la bandiera della masturbazione universale. (p. 231)
  • Billy Wilder disse: «Chi ha la fortuna, o sfortuna, di sopravvivere, si accorge presto di essere diventato l'uomo invisibile». Io invece avrei voltuo sempre essere invisibile, anche da ragazzo. Mi piaceva guardare la vita degli altri. Per questo mi piaceva leggere i libri. Per questo mi piaceva (mi piace) guardare i film. E mi sarebbe piaciuto guardare i film che passano nell'anticamera del cervello di ognuno di noi. (p. 232)
  • La morte, ha detto Saul Bellow, sarà una grande noia. Non è vero. La morte sarà bellissima. E, aggiungo, ricca di sorprese. (p. 232)

Note

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  1. Citato in Risi, l'anarchico della commedia, la Repubblica, 5 febbraio 1996.
  2. Citato in Risi, l'anarchico della commedia, la Repubblica, 5 febbraio 1996.
  3. a b Citato in Risi: il pubblico sapeva tutto, la Repubblica, 28 ottobre 1993.
  4. Citato in Alberto Crespi, E il Leone Dino Risi «sorpassò» Moretti...Il regista: «Nanni? Non mi piace». Adrenalina per «Velocità massima», primo italiano in concorso, l'Unità, 2 settembre 2002, p. 21.
  5. Dall'intervista di Cristiana Paternò, Dino Risi: «I miei film? Buttateli tutti a mare», l'Unità, 24 novembre 1992, p. 21.
  6. Dall'intervista al programma televisivo TG1 delle 20:00, Rai 1, 7 giugno 2008.
  7. Citato in Risi, l'anarchico della commedia, la Repubblica, 5 febbraio 1996.
  8. Citato in La Voce di Romagna, 19 gennaio 2009.
  9. Citato in Risi: «Era un "orologiaio" pignolo come pochi altri», la Repubblica, 4 giugno 2004.
  10. Dall'intervista di Laura Gabbiano, Viva o morta la "commedia all'italiana", Stampa Sera, 28 dicembre 1982.
  11. Citato in Manin Giuseppina, Risi: sbagliati i paragoni si tratta di altre storie, Corriere della Sera, 31 ottobre 1996, p. 37.
  12. 31 maggio 1993; citato in Paolo Cucchiarelli, ‎Ferdinando Regis, Mani pulite & bocche aperte. Le frasi celebri di Tangentopoli, Mondadori, Milano, 1993, pp. 148-149. ISBN 88-04-38101-9

Bibliografia

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Filmografia

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Altri progetti

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