Virginia Woolf

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Virginia Woolf nel 1902

Virginia Woolf (1882 – 1941), scrittrice, saggista e attivista britannica.

Citazioni di Virginia Woolf[modifica]

  • [Sul Teatro greco di Siracusa] Abbiamo visto Medea con una parrucca color zolfo e Alcesti, con cappello e soprabito, che declamavano le loro parti. È stato bello. In realtà tutto è un incanto. [1]
  • [Sui mosaici di Monreale] Ce n'è uno con una scena di caccia che mi è piaciuto, ma la doratura finisce per essere troppo sfavillante. [1]
  • Carissimo,
    sono certa che sto impazzendo di nuovo: sento che non possiamo affrontarlo un'altra volta ancora. E stavolta non mi riprenderò. Comincio a sentire voci e non riesco a concentrarmi. Quindi sto per fare quella che mi sembra la cosa migliore. Tu mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso tutto quanto potevi essere. [...] So che ti sto rovinando la vita, so che senza di me potresti lavorare. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere bene questo biglietto. Non riesco a leggere. Voglio dirti che ti devo tutta la felicità della mia vita. Sei stato estremamente paziente con me, e incredibilmente buono. [...] Tutto mi ha abbandonato, tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto siamo stati noi.[2]
  • Cime tempestose è un libro più difficile da capire di Jane Eyre, perché Emily era più poeta di Charlotte. Scrivendo, Charlotte diceva con eloquenza e splendore e passione «io amo», «io odio», «io soffro». La sua esperienza, anche se più intensa, è allo stesso livello della nostra. Ma non c'è «io» in Cime tempestose. Non ci sono istitutrici. Non ci sono padroni. C'è l'amore, ma non è l'amore tra uomini e donne. Emily si ispirava a una concezione più generale. L'impulso che la spingeva a creare non erano le sue proprie sofferenze e offese. Rivolgeva lo sguardo a un mondo spaccato in due da un gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di riunirlo in un libro. [...] Il suo è il più raro dei doni. Sapeva liberare la vita dalla sua dipendenza dai fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di una faccia che non aveva più bisogno di un corpo; parlando della brughiera far parlare il vento e ruggire il tuono.[3]
  • L'essenza dello snobismo è il desiderio di fare colpo sugli altri.[4]
  • L'umorismo è la prima qualità che va perduta in una lingua straniera.[5]
Humour is the first of the gifts to perish in a foreign tongue.
  • La Sicilia è un lembo greco in terra italiana. [1]
  • [Su Palermo] Mi affascinano molto il clero e le vecchie signore. L’architettura mi pare divina. Colonne di marmo verde pallido e rosa simili a viali di betulle che spariscono una dietro l'altra; immense distanze; ampi spazi; le persone sembrano formiche; tutto molto arioso, ridente e spazioso. Perché, ti chiedo, noi non sappiamo costruire così? Non puoi immaginare come risulti bella la figura umana perfettamente ambientata su queste scalinate. [1]
  • Non bisognerebbe lasciare specchi appesi nelle stanze più di quanto non si dovrebbero lasciare in giro libretti di assegni aperti o lettere confessanti qualche odioso crimine.[6]
  • Ogni onda del mare ha una luce differente, proprio come la bellezza di chi amiamo.[7]
  • Più si invecchia più si ama l'oscenità.[8]
  • Scrivendo, scegliete le parole comuni; evitare il ditirambo e l'eloquenza – pure, è vero, la poesia è incantevole; la prosa migliore è quella che è più piena di poesia.[9]

Diario[modifica]

  • La noia è il dominio legittimo dei filantropi. (10 settembre 1918)[10]
  • Se il mio cervello, distratto da un'ansia o da altra causa, deve distogliersi dalla carta bianca, è come un bimbo sperduto, che gira per casa e siede a piangere sull'ultimo gradino. (5 dicembre 1919)
  • Perché mai è così tragica la vita; così simile a una striscia di marciapiede che costeggia un abisso. Guardo giù; ho le vertigini; mi chiedo come farò ad arrivare alla fine. (25 ottobre 1920)
  • A volte mi piacerebbe annotare quello che la gente dice, invece di descriverla. Purtroppo dicono così poco. (26 maggio 1921)
  • Ho terminato l'Ulisse e mi sembra un colpo mancato. Genio ne ha, direi, ma di una purezza inferiore. Il libro è prolisso. È torbido. È pretenzioso. È plebeo, non solo nel senso ovvio, ma nel senso letterario. Uno scrittore di classe, voglio dire, rispetta troppo la scrittura per ammettere le trovate, le sorprese, le bravure. (6 settembre 1922)
  • Il lavoro deve nascere da un sentimento profondo, diceva Dostoevskij. È il mio caso questo? O mi limito a inventare con le parole, amandole come le amo? No, non credo. In questo libro ho anche troppe idee. Voglio dare la vita e la morte, la saggezza e la follia; criticare il sistema sociale e mostrarlo all'opera, nel momento di massima intensità. Ma questa potrebbe anche essere una posa. (19 giugno 1923)
  • I personaggi non devono essere altro che punti di vista: bisogna evitare la personalità a qualunque costo. [...] Appena si specifica l'età, i capelli ecc., s'insinua nel libro qualcosa di frivolo o di trascurabile. (5 settembre 1923)
  • Se non vivessimo audacemente, prendendo il toro per le corna e tremando sui precipizi, non saremmo mai depressi, senza dubbio; ma già saremmo appassiti, vecchi, rassegnati al destino. (2 agosto 1924)
  • Con quanta interezza vivo nella mia immaginazione; come dipendo assolutamente da zampilli di pensiero che mi vengono mentre cammino, mentre mi siedo; cose che roteano nella mia mente, componendovi un incessante corteo, che dovrebbe essere la mia felicità. (7 settembre 1924)
  • Io non amo il mio prossimo. Li detesto tutti. Li rasento appena. Lascio che si rompano su di me come gocce di pioggia sporca. (27 giugno 1925)
  • Ho la grande e stupefacente sensazione di qualche cosa, lassù, che è «quello». Non mi riferisco alla bellezza, non esattamente. È che la cosa basta in se stessa: soddisfacente; compiuta. È la sensazione della mia straordinarietà, di me che cammino sulla terra: dell'infinita stranezza della condizione umana. (27 febbraio 1926)
  • Avevo appena l'idea di che cosa parlasse quel racconto. Ma il sollievo di volgere la mente in quella direzione fu tale che mi sentii più felice di quanto non fossi stata per mesi. (22 ottobre 1927)
  • Nella mia mente c'è un'irrazionale scala di valori. (20 dicembre 1927)
  • Questo insaziabile desiderio di scrivere qualcosa prima di morire, questo senso divorante della febbrile fugacità della vita, che mi fa avvinghiare, come un uomo a una roccia, alla mia sola ancora. (20 dicembre 1927)
  • Sì, è finito – Orlando – iniziato l'8 ottobre come uno scherzo, e ora un po' troppo lungo per i miei gusti. Può anche darsi che caschi per non saper da che parte stare: troppo lungo per essere uno scherzo e troppo frivolo per essere un libro serio. Ma respingo tutto questo dal mio spirito avido soltanto di verdi campi, di sole, di vino; di starmene seduta a non far niente. (22 marzo 1928)
  • Eppure l'unica vita eccitante è quella immaginaria. Appena metto in moto le rotelle nella mia testa non ho più molto bisogno di soldi o di vestiti, e neppure di una credenza, un letto a Rodmell o un divano. (21 aprile 1928)
  • Penso come contiamo poco, come tutti contino poco; com'è travolgente e frenetica e imperiosa la vita, e come tutte queste moltitudini annaspano per restare a galla. (27 ottobre 1928)
  • Si crede di avere imparato a scrivere in fretta e non è vero. E, cosa strana, non scrivo con gusto o con piacere perché devo concentrarmi troppo. Non mi viene filato, naturale, ma lo metto giù faticosamente, frase per frase. (11 ottobre 1929)
  • Con molto sforzo scrivo due pagine completamente assurde: scrivo varianti di ogni frase, compromessi, tentativi falliti, possibilità, finché il mio quaderno sembra l'incubo di un pazzo. (Boxing Day, 1929)
  • Dio quanto soffro! Che spaventosa capacità di sentire intensamente, la mia! (25 maggio 1932)
  • In fondo la conquista della cultura è di lasciare qualcosa di fatto, solido, per sempre. (13 luglio 1932)
  • Provo un'impressione stranissima, ora, come se fossimo tutti coinvolti in qualche enorme operazione: la sensazione dello splendore di questa impresa – la vita: la capacità di morire: un'immensità mi circonda. No – non riesco a esprimerla – lascerò che maturi in «un romanzo», senza dubbio. (È così che nasce in me lo spunto da cui si coagula il libro.) (5 agosto 1932)
  • Penso vagamente alla possibilità di morire d'improvviso e mi dico «Beh, allora mangia, bevi, ridi e da' da mangiare ai pesci». (20 agosto 1932)
  • Credo che vorrei, per l'avvenire, quest'esistenza più umana: dissiparmi prodigalmente tra gli amici, sentire la vastità e il gusto del vivere umano. (20 agosto 1932)
  • L'arte è libertà da ogni predicazione – le cose in se stesse, la frase bella in se stessa; mari sconfinati; narcisi selvatici che appaiono prima che la rondine osi [...]. (2 ottobre 1932)
  • Dovrei tendere a un'ampiezza e a un'intensità immense, Dovrei metterci metterci satira, commedia, poesia, narrativa: e quale forma può comprendere tutte queste cose? Dovrei forse introdurre una commedia, lettere, poesie? Credo di cominciare a vedere l'insieme. E deve finire con l'urgenza della normale vita quotidiana che continua. E devono esserci milioni di idee ma nessun sermone – storia, politica, femminismo, arte, letteratura – insomma, un compendio di tutto ciò che so, sento, derido, disprezzo, amo, ammiro, odio e via dicendo. (25 aprile 1933)
  • È facile ripromettersi di prendere appunti, ma scrivere è un'arte difficilissima. Bisogna scegliere continuamente [...]. Scrivere non è per niente un'arte facile. Pensare ciò che si vuole scrivere sembra facile; ma il pensiero evapora, sfugge qua e là. (13 maggio 1933)
  • Mi viene da pensare che questo stato, questo mio stato di depressione, è lo stato abituale della maggior parte della gente. (30 maggio 1933)
  • Quando scrivo a pieno ritmo vorrei soltanto passeggiare e avere una vita infantile e assolutamente spontanea [...]; la necessità di comportarmi in maniera accorta e ragionata con gli estranei mi strappa in un'altra sfera: perciò il collasso. (12 agosto 1933)
  • Che fonte inesauribile di piacere sono i libri per me! [...] Credo che potrei vivere qui beatamente, leggendo in eterno. (24 agosto 1933)
  • Continuerò ad azzardare, a cambiare, ad aprire la mente e gli occhi, rifiutando di lasciarmi incasellare e stereotipare. Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli. (29 ottobre 1933)
  • Mi sono costretta in una certa misura a rompere ogni schema e a trovare una forma inedita di essere – cioè di espressione – per ogni cosa che sento o penso. (27 luglio 1934)
  • Credo che pochi siano torturati come me dallo scrivere. [...] Il mio cervello è come una bilancia di precisione: basta un granello a farlo precipitare. (23 giugno 1936)
  • Vecchio problema: come mantenere il volo della mente e insieme essere precisi? L'enorme differenza tra l'abbozzo e l'opera compiuta. (22 giugno 1940)
  • Sono una grande dilettante nell'arte della vita, decisa a succhiare la mia arancia, e poi via subito come una vespa se il boccio su cui mi poso appassisce. (29 dicembre 1940)

Gita al faro[modifica]

Incipit[modifica]

Giulia Celenza[modifica]

«Sì, di certo, se domani farà bel tempo,» disse la signora Ramsay. «Ma bisognerà che ti levi al canto del gallo,» soggiunse.
Queste parole procurarono al suo bambino una gioia immensa, come se la gita dovesse effettuarsi senz'altro, come se il prodigio che a lui sembrava d'aver atteso per anni e anni, fosse ormai, alla distanza d'una notte nel buio e d'una giornata sul mare, quasi a portata di mano.

Anna Luisa Zazo[modifica]

«Sì, naturalmente, se domani sarà bello» disse la signora Ramsay. «Ma dovrai alzarti all'alba» aggiunse.
Per suo figlio quelle parole furono messaggere di una gioia straordinaria, come fosse ormai deciso che la gita avrebbe avuto luogo, che il prodigio atteso con tanta ansia, per anni e anni gli sembrava fosse ora, dopo una notte di oscurità e un giorno di navigazione, a portata di mano.

[Virginia Woolf, Gita al faro, traduzione di Anna Luisa Zazo, La Biblioteca di Repubblica, 2002]

Citazioni[modifica]

  • [...] sin dalla prima fanciullezza, qualunque oscillazione nella ruota della sensibilità ha il potere di cristallizzare e fissare il momento su cui un'impressione diffonde ombra o splendore [...]. (parte I, cap. 1; 1954, p. 3)
  • Sembrava così assurdo a lei quell'inventar differenze, quando le persone, lo sa il Cielo, sono già disparate abbastanza. Di differenze reali, ella pensava sostando presso la finestra del salotto, ce n'è abbastanza, proprio abbastanza. (parte I, cap. 1; 1954, p. 10)
  • È pur lecito a un eroe pensare, morendo, all'opinione dei posteri sulla sua vita. (parte I, cap. 6; 1954, p. 43)
    • È concesso anche a un eroe morente chiedersi prima di morire come parleranno di lui gli uomini dopo la sua morte. (2002, p. 41)
  • Perdendo personalità, si perdono crucci, fretta, inquietudine [...]. (parte I, cap. 11; 1954, p. 78)
  • Quanto era strana, pensò, la tendenza dello spirito umano a volgersi in solitudine verso le cose, le cose inanimate — alberi, torrenti, fiori —, come a forme d'espressione; col senso d'assimilarle, d'esserne inteso, di farne parte; con un senso di tenerezza illogica (ed ella guardò il lungo raggio fisso) al pari di quella che proviamo per noi stessi. (parte I, cap. 11; 1954, p. 79)
  • [...] l'amicizia, sia pure nella forma più schietta, è cosa peritura. (parte I, cap. 17; 1954, p. 111)
  • Bankes parlò della puntualità come d'una di quelle virtù secondarie che s'acquistano tardi nella vita. (parte I, cap. 17; 1954, p. 116)
  • [...] non c'è nulla di tedioso, puerile, disumano quanto l'amore; eppur esso è bello e necessario. (parte I, cap. 17; 1954, p. 128)
  • [...] la nostra penitenza merita appena una visione fugace, e il nostro travaglio soltanto una tregua. (parte II, cap. 3; 1954, p. 160)
  • Qual è il senso della vita? Ecco tutto: una semplice domanda. Una domanda che poteva non darle tregua con l'avanzare degli anni. La grande rivelazione non era giunta. La grande rivelazione non sarebbe forse giunta mai. Era sostituita da piccoli miracoli quotidiani, illuminazioni, fiammiferi accesi all'improvviso nel buio; come allora. (parte III, cap. 3; 1954, pp. 202-203)
  • «Chi può sapere quello che siamo, quello che sentiamo? Chi, sia pure in momenti d'intimità, può credere d'averci capito? E allora non è stolto,» rifletteva probabilmente la signora Ramsay (accadeva tanto spesso ch'ella si cingesse di silenzio), «tentar di dire qualcosa? Non ci esprimiamo forse meglio così?» (parte III, cap. 5; 1954, p. 215)
  • Ma la bellezza non era tutto. La bellezza aveva un inconveniente: si manifestava a un tratto, tutta in una volta. Pietrificava la vita; la congelava. (parte III, cap. 5; 1954, p. 223)
  • Del resto, gran parte delle idee che si hanno degli altri sono, in fondo, grottesche. Servono a intenti personali. (parte III, cap. 11; 1954, p. 247)

Explicit[modifica]

A un tratto, come per subito richiamo, Lily si volse al cavalletto. Eccolo là, il suo quadro. Eccolo là con tutti i suoi verdi e i suoi turchini, col suo intreccio di righe, con la sua ambizione d’esser qualcosa. «Finirà in soffitta,» ella pensò, «sarà distrutto.» Eppoi, riprendendo il pennello: «Che importa?» si chiese. Guardò i gradini: erano deserti. Guardò la tela: era confusa. Con intensità repente, quasi che le fosse dato di veder chiaro per un attimo solo, tirò una linea là, nel mezzo. Il quadro era finito, compiuto. «Sì,» pensò la ragazza, posando il pennello, «ho avuto anch'io una visione.»

[Traduzione di Giulia Celenza]

La camera di Jacob[modifica]

Incipit[modifica]

"Ragione per cui" scriveva Betty Flanders, affondando sempre più i calcagni nella sabbia "ragione per cui non restava che andarsene".
Lentamente, scaturendo dalla paura del beccuccio d'oro, il pallido inchiostro turchino si effuse sul punto: lì, infatti, la sua penna si fermò, i suoi occhi si fissarono e lentamente si riempirono di lacrime. Tutto il golfo tremava, il faro oscillò, e l'illusione fu che l'albero del piccolo vascello di Mr. Connor pendesse come una candela di cera nel sole. Subito essa batté le palpebre: le disgrazie sono sempre orrende. Daccapo batté gli occhi. L'albero si ergeva diritto, le onde si succedevano regolarmente, il faro era perpendicolare: ma la macchia d'inchiostro s'era sparsa.

Citazioni[modifica]

  • Ciascuno portava chiuso in sé il proprio passato, come pagine di un libro che conoscesse a memoria. Gli amici potevano soltanto leggerne il titolo. (p. 95)
  • Troppo spesso le parole sono state usate, maneggiate, rivoltate, lasciate esposte alla polvere della strada. Le parole che cerchiamo pendono accanto all'albero: con l'aurora le troviamo, dolci sotto le fronde. (p. 139)
  • Lo strano della vita è che, sebbene la natura di essa sia stata chiara a ognuno per centinaia d'anni, nessuno ne ha steso un adeguato resoconto. Mentre le strade di Londra hanno una loro carta, le nostre passioni rimangono non descritte. Chi mai incontreremo se voltiamo quest'angolo? (cap. VIII; p. 142)
  • Un sorso di mare in una coppa perde il suo lume non altrimenti che una seta. (p. 172)

La Signora Dalloway[modifica]

Incipit[modifica]

Pier Francesco Paolini[modifica]

La signora Dalloway disse che i fiori sarebbe andata a comprarli lei.
Poiché Lucy aveva già il suo bel da fare. Bisognava tirar giù le porte dai cardini: venivano gli operai di Rumpelmayer. Eppoi, pensò Clarissa Dalloway, che mattinata! ... limpida, come per farne dono ai bimbi su una spiaggia.
Che delizia! Che tuffo! Sempre, infatti, le aveva fatto questo stesso effetto, a quei tempi, allorquando, spalancata la porta finestra, con un lieve cigolio dei cardini, che ancora le pareva di udire, lei si tuffava nell'aria aperta, a Bourton.
[Virginia Woolf, Mrs Dalloway, traduzione di Pier Francesco Paolini, Newton Compton]

Nadia Fusini[modifica]

La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei.
Quanto a Lucy aveva già il suo daffare. Si dovevano togliere le porte dai cardini; gli uomini di Rumpelmayer sarebbero arrivati tra poco. E poi, pensò Clarissa Dalloway, che mattina – fresca come se fosse stata appena creata per dei bambini su una spiaggia.
Che gioia! Che terrore! Sempre aveva avuto questa impressione, quando con un leggero cigolio dei cardini, lo stesso che sentì proprio ora, a Bourton spalancava le persiane e si tuffava nell'aria aperta.
[Virginia Woolf, La signora Dalloway, traduzione di Nadia Fusini, Feltrinelli, 2014]

Citazioni[modifica]

  • Avrebbero potuto star lontani anche cent'anni, lei e Peter; lei non gli aveva scritto neppure una lettera, e le lettere di lui non erano un granché; ma poi d'improvviso pensava, se fosse qui con me adesso, che direbbe? Certi paesaggi, certe giornate glielo riportavano alla mente, ma con calma ora, senza l'antica amarezza – il che forse era la ricompensa del suo voler bene alla gente; e si ritrovavo insieme nel bel mezzo di St. James Park, in una bella mattinata, proprio come adesso. Ma Peter – non importa quanto fosse bella la giornata, e gli alberi e l'erba, e la fanciulla vestita di rosa – Peter non vedeva nulla. Se lei glielo chiedeva, si metteva gli occhiali; guardava. Ma era lo stato del mondo che gli interessava: Wagner, la poesia di Pope, il carattere della gente, e i difetti dell'anima di lei. Come la rimproverava! Quanto litigavano! Avrebbe sposato un primo ministro, sì, già la vedeva in piedi, immobile, in cima a una scalinata, una perfetta padrona di casa, la definiva (lei aveva pianto per questo nella sua stanza); sì, aveva proprio la stoffa di una perfetta padrona di casa, diceva. (2014, p. 5)
  • Bene, facesse pure – l'unica consolazione della vecchiaia, pensò Peter Walsh, uscendo da Regent's Park, col cappello in mano, era proprio questa: le passioni restano forti come sempre, ma almeno si guadagna – alla fine! – quella capacità che dà all'esistenza il suo gusto supremo – la capacità di tenere l'esperienza nelle proprie mani, e di volgerla, con una lenta rotazione, verso la luce. (2014, p. 70)
  • Anche l'amore distrugge. Tutto ciò che era bello, tutto ciò che era vero, finiva. Prendiamo Peter Walsh. Ecco un uomo affascinante, intelligente, che aveva su di tutto le sue idee. Se si voleva sapere qualcosa di Pope, oppure di Addison, o chiacchierare del più e del meno, com'era quello o quell'altro, che cosa significavano le cose, Peter ne sapeva più di tutti gli altri. Peter l'aveva sempre aiutata, Peter le aveva prestato i libri. Ma poi, guardate che donne aveva amato – volgari, insignificanti, banali. Pensate a Peter innamorato – era venuto a trovarla dopo tanti anni, e di chi s'era messo a parlare? Di sé. Che orrenda passione! pensò. Che passione degradante! pensò, immaginando la Kilman ed Elizabeth che andavano insieme ai magazzini dell'Unione Militare. (2014, p. 114)

Explicit[modifica]

"Vengo," disse Peter, ma rimase seduto un altro momento. Che cos'è questo terrore? che cos'è quest'estasi? pensò tra di sé. Che cos'è che mi riempie di una tale straordinaria emozione?
È Clarissa, disse.
Perché, eccola, era lì.

Le onde[modifica]

Incipit[modifica]

«Vedo un anello» disse Bernard «sospeso sulla mia testa. Pendente, tremulo e vibrante, in un cerchio di luce.»
«Io vedo una lastra di un giallo pallido» disse Susan «che fugge via fino a perdersi in una striscia violetta.»
«Io odo un suono» disse Rhoda «cip cip, cip, cip; su e giú tra i rami.»
«Io vedo un globo» disse Neville «pendulo come una goccia contro i fianchi immensi di una qualche collina.»
«Vedo una nappa color cremisi» disse Jinny «con fili d'oro intrecciati.»
«Io sento come uno scalpitío» disse Louis. «Il piede di un grosso animale è stato incatenato. E la bestia scalpita, scalpita, scalpita.»

Citazioni[modifica]

  • Ma guarda, si porta velocemente la mano dietro al collo. Per gesti come questo ci si innamora irrimediabilmente per tutta una vita.
  • Già a diciott'anni sono capace di un tale disprezzo che gli allevatori di cavalli mi odiano. Questo è il mio trionfo; non scendo a compromessi. Non sono timido; non ho nessun accento. Non mi preoccupo esageratamente, come Louis, per timore di quello che la gente pensa di "mio padre banchiere a Brisbane". (Neville: II; p. 61)
  • Non mi ascolti. Stai creando frasi su Byron. E mentre gesticoli col mantello e il bastone da passeggio, io cerco di rivelare un segreto non ancora detto a nessuno; ti sto chiedendo (con la mia schiena contro di te) di prendere nelle tue mani la mia vita e dirmi se sono condannato per sempre a provocare repulsione in coloro che amo. (Neville con Bernard: III; pp. 74 sg.)
  • Perché io ho molte piú identità di quanto non pensi Neville. Non siamo semplici come ci vorrebbero i nostri amici per venire incontro alle loro necessità. Eppure l'amore è semplice. (Bernard: III; p. 76)
  • [Percival entra nel ristorante.] «Ora» disse Neville «il mio albero fiorisce. Il mio cuore si solleva. Ogni oppressione è scomparsa. Ogni ostacolo è rimosso. Il regno del caos è finito. Egli ha imposto l'ordine. I coltelli tagliano nuovamente.»
    «[...] noi ora ci riavviciniamo; e stringendoci piú vicini sul nostro bastone da pappagalli in questo ristorante dove gli interessi delle persone sono sempre in contrasto, e il traffico incessante ci irrita e ci distrae e la porta aprendo eternamente la sua gabbia di vetro ci sollecita con mille e mille tentazioni e porge insulti e ferite alla nostra fiduciosità – seduti qui tutti assieme ci amiamo l'un l'altro e crediamo nella nostra tolleranza.» (IV; pp. 102 sg.)
  • [Su Percival] Adesso, attraverso la mia debolezza capisco finalmente che cosa egli fosse per me: il mio opposto. Essendo sincero per natura, non capiva il perché di queste esagerazioni, e si lasciava trascinar via da un senso naturale di ciò ch'era opportuno, era veramente un gran maestro dell'arte di vivere; quindi sembra che abbia vissuto a lungo, e abbia diffuso la tranquillità intorno a sé, quasi si direbbe l'indifferenza, e questo sicuramente per quello che riguardava il suo interesse personale, se non avesse avuto anche una gran compassione. [...] Non abbiamo cerimonie, solo canti funebri e nessuna conclusione, solo sensazioni violente, l'una separata dall'altra. Niente di quello che è stato detto fa al caso nostro. [...] Dopo una lunga vita, casualmente, in un momento di rivelazione, potrò forse metterci la mano sopra, ma ora l'idea mi si spezza tra le mani. Le idee si spezzano mille volte per una sola volta che si conglobano in un tutto. [...] Sto sbadigliando. Sono sazio di tentazioni. Sono esaurito per la tensione e per il tempo troppo lungo – venticinque minuti, mezz'ora – che mi sono tenuto fuori dal meccanismo, solo. (Bernard: V; pp. 129 sg.)
  • Abbiamo pranzato bene. Il pesce, le cotolette di vitella, il vino, hanno smussato il dente aguzzo dell'egotismo. L'ansia si è acquietata. Il piú vano di noi, forse è Louis, non si cura di quello che pensano gli altri. Le torture di Neville si sono acquietate. Possano gli altri prosperare – ecco ciò che penso. Susan ode il respiro di tutti i suoi bambini che dormono tranquillamente. Dormite, dormite, mormora. Rhoda ha portato a spiaggia le sue navi. Non le importa piú se siano affondate o abbiano affondato l'ancora. (Bernard: VIII; p. 186)
  • «Il fiore» disse Bernard, «il garofano rosso che era nel vaso sulla tavola del ristorante quando pranzammo insieme a Percival, è diventato un fiore esagonale; fornito di sei vite.[11] (VIII; p. 189)
  • Non c'era una spada, niente con cui abbattere queste pareti, questa protezione, questo generare figli e diventare ogni giorno piú implicati e impegnati, con libri e con quadri? Meglio bruciar la propria vita come Louis, anelando alla perfezione; e abbandonarci come Rhoda, fuggendo via da noi nel deserto; o sceglierne uno su un milione e uno solo, come Neville; meglio esser come Susan e amare e odiare il calore del sole o l'erba gelata; o essere onesti come Jinny, essere un animale. Tutti avevano il loro rapimento; il loro senso di comunità con la morte; qualcosa che riusciva loro utile. Cosí visitai ciascuno dei miei amici a turno, cercando con dita brancolanti di forzare i loro scrigni chiusi. Andai dall'uno all'altro porgendo il mio dolore – no, non il mio dolore, ma la natura incomprensibile di questa nostra vita – alla loro attenzione. C'è chi si rivolge ai preti, chi alla poesia; io ai miei amici, al mio cuore, a cercare tra le frasi e i frammenti qualcosa di intatto – io per cui non c'è bellezza sufficiente nella luna o in un albero; io per cui il contatto di una persona con l'altra è tutto, eppure non posso afferrare neppur questo, io che sono cosí imperfetto, debole, indicibilmente solo. Sedevo là. (Bernard: IX; p. 220)
  • I nostri amici, quanto di rado visitati, quanto poco conosciuti – è vero; eppure, quando incontro una persona sconosciuta, e cerco di sganciarmi, qui, a questo tavolo, ciò che io chiamo la mia vita, non è una sola vita che io possa voltarmi a guardare; non sono una sola persona; sono molte persone; non so precisamente chi io sia – Jinny, Susan, Neville, Rhoda, oppure Louis: né so come distinguere la mia vita dalla loro. (Bernard: IX; p. 228)

Citazioni su Le onde[modifica]

  • Le onde è un poema in prosa su un gruppo di amici le cui vite, quasi fin dalla nascita, sono l'una in rapporto alle altre come gli strumenti di un quartetto o di un quintetto. Pure ogni membro di questo gruppo è una proiezione del senso di isolamento di Virginia Woolf. Le onde è al tempo stesso una reale armonia tra vite saldamente collegate fra loro e una maschera sfaccettata della solitudine umana. Mi sembra che sia un libro di grande bellezza e un poema in prosa di grande genialità. (Stephen Spender)

Le tre ghinee[modifica]

  • Ci chiediamo soltanto perché quell'educazione facesse sì che chi la riceveva fosse consciamente e inconsciamente in favore della guerra. Consciamente, perché, è ovvio, era obbligata a usare tutta la sua influenza per tenere in piedi il sistema che le forniva servitù, carrozze, bei vestiti, ricevimenti: che erano i mezzi per arrivare al matrimonio. Consciamente, doveva usare tutta la sua bellezza e le sue attrattive per adulare e blandire l'uomo d'affari, l'uomo d'armi, l'uomo di legge, l'ambasciatore, il ministro che volevano ricrearsi dopo le fatiche della giornata. Consciamente doveva accettare i loro punti di vista e assecondare i loro dettami perché solo così poteva indurli a concederle i mezzi per sposarsi o a sposarla. Insomma, ogni suo sforzo cosciente non poteva che essere in favore di quello che Lady Lovelace ebbe a definire "il nostro glorioso Impero" ..."il cui prezzo", aggiunge, "viene pagato principalmente dalle donne". E chi può smentirla, o dubitare che fosse un prezzo molto alto? Ma ancora più decisamente in favore della guerra era forse la sua influenza inconscia. Come possiamo spiegare altrimenti l'assurda agitazione dell'agosto del 1914, quando si videro le figlie degli uomini colti che avevano ricevuto questo tipo di educazione precipitarsi negli ospedali, alcune accompagnate dalla cameriera, guidare autocarri, lavorare nei campi e nelle fabbriche di munizioni, e usare le loro inesauribili riserve di fascino e di simpatia per convincere i giovani che combattere era eroico, e che i feriti sul campo di battaglia erano degni di tutte le loro cure e di tutto il loro encomio? La spiegazione va cercata, ancora una volta, in quel tipo di educazione. Così profondo era il disgusto della figlia dell'uomo colto per la casa paterna, con la sua crudeltà, la sua grettezza, la sua ipocrisia, la sua immoralità, la sua vacuità, che era disposta a intraprendere qualunque lavoro, per servile che fosse, a esercitare qualunque fascino, per fatale che fosse, pur di sfuggirvi. Perciò consciamente voleva "il nostro glorioso Impero"; perciò inconsciamente voleva la nostra gloriosa guerra.
  • Dunque, Signore, se vuole che La aiutiamo a prevenire la guerra, la conclusione è una sola; dobbiamo dare un contributo per la ricostruzione del college che, con tutte le sue carenze, costituisce l'unica alternativa alla casa paterna. Non ci resta che sperare che col tempo quell'educazione cambierà. (p.64)
  • Se riuscissimo a persuadere le donne che sono in grado di guadagnarsi da vivere e pertanto hanno di fatto in mano questa nuova arma, la nostra unica arma, l'arma dell'indipendenza di pensiero frutto dell'indipendenza economica, se riuscissimo a persuaderle a usare quella arma contro la guerra, vi saremmo più utili che non chiedendo aiuto alle donne che devono insegnare a guadagnarsi da vivere alle giovani, o aggirandoci all'infinito attorno ai luoghi proibiti e ai sacri cancelli delle università dove questo appunto si insegna. (pag.65)
  • L'atmosfera è uno dei nemici più potenti, in parte perché è così impalpabile, contro i quali le figlie degli uomini colti devono combattere [...] La donna che deve respirare quel veleno e combattere quel verme silenziosamente e senza armi, nel chiuso di un ufficio, non combatte forse contro il fascismo e il nazismo esattamente come chi lo combatte con le armi in pugno, con tanta fanfara e sotto gli occhi di tutti? Non è forse quella della donna una lotta che consuma tutte le sue forze e esaurisce il suo spirito? (pp.82-83)

Notte e giorno[modifica]

Incipit[modifica]

Era una domenica pomeriggio d'ottobre e come molte altre giovani signore della sua classe sociale Katharine Hilbery stava servendo il tè. Questo compito impegnava forse un quinto della sua intelligenza, mentre con la parte rimanente aveva già superato il breve spazio di tempo che separava il lunedì mattina da quel momento alquanto scialbo e col pensiero girava intorno alle cose che normalmente si fanno volentieri alla luce del giorno. Ma anche se rimaneva silenziosa, era chiaramente padrona di una situazione ben conosciuta e propensa a lasciar che essa seguisse per la seicentesima volta il solito corso, senza impegnare nessuna delle sue facoltà mentali inattive.
[Virginia Woolf, Notte e giorno, traduzione di Pietro Meneghelli, Newton Compton]

Citazioni[modifica]

  • La sensazione di essersi comportata scorrettamente, che era riuscita a esorcizzare cercando di indagare a fondo i difetti di Rodney, ora la colpí e quasi la sopraffece. Quanto contavano i difetti di lui in confronto al fatto che le voleva bene? Quanto le virtú di lei, in confronto al fatto che non gli voleva bene? In un lampo, la convinzione che non voler bene è il peggiore dei peccati le s'impresse nell'intimo dell'animo; e si sentí marchiata per sempre. (cap. XVIII; 1987, p. 188)
  • Possiamo solo contare su di noi, Mary, come esploratori nel deserto. Possiamo solo continuare, con pazienza a esporre la verità. (cap. XX; 1987, p. 198)
  • Stava chino su di lei, pronto a cogliere il primo indizio di assenso. Proprio in quel momento, forse in seguito alle vicissitudini che aveva attraversato il suo amore per William, ogni senso di affetto sparí, come quando la nebbia in un attimo svanisce. E scomparsa la nebbia rimase solo un mondo cadaverico e vuoto: un panorama orribile per gli occhi dei vivi. Lui vide l'espressione terrorizzata sul volto di Katharine e, senza capirne la causa, le prese la mano. Con la sensazione di calda amicizia tornò in Katharine il desiderio (un desiderio simile a quello del bambino che cerca protezione) di accettare ciò che lui aveva da offrirle e, in quel momento, pareva le offrisse l'unica cosa atta a rendere tollerabile la vita. Lasciò che le labbra di lui le premessero la guancia e gli appoggiò il capo sul braccio. Fu il momento del trionfo di William. L'unico momento in cui gli appartenne, in cui la protesse. (cap. XXIX; 1987, p. 325)
  • Tuttavia, il signor Hilbery, mentre leggeva, dubitava fortemente che l'operazione avesse un effetto superficiale. Il vivere civile quella sera era stato mandato a carte quarantotto in maniera totale e sgradevole; l'entità del danno era ancora da valutare; lui aveva perso la pazienza, disastro materiale non riscontrabile nel corso di almeno dieci anni; e in quelle occasioni aveva urgente bisogno di venire tranquillizzato e riassestato per mano dei classici. La sua casa era sottosopra; prevedeva incontri poco piacevoli nelle scale; i pasti nei prossimi giorni sarebbero stati avvelenati; la letteratura era un rimedio specifico contro simili amare prospettive? Mentre leggeva, la sua voce risuonava falsa. (cap. XXXII; 1987, p. 375)

Orlando[modifica]

Incipit[modifica]

Egli, poiché dubbio non v'era sul suo sesso, per quanto la foggia di quei tempi alquanto lo dissimulasse, stava prendendo a piattonate la testa di un moro, che dondolava appesa alle travi del soffitto. Aveva essa la tinta d'una vecchia palla di cuoio; e quasi ne avrebbe avuto la forma, se non fosse stato per il cavo delle guance, e i pochi capelli duri e aridi come barbe d'una noce di cocco. Il padre di Orlando, o forse il nonno, l'aveva spiccata dal busto del gigantesco Infedele che gli s'era parato davanti all'improvviso al chiaro di luna, nelle barbare distese africane, e ora essa oscillava dolcemente, incessantemente, alla brezza perenne che soffiava per le logge in cima alla vasta dimora del signore che aveva decapitato l'Infedele.
[Virginia Woolf, Orlando, traduzione di Alessandra Scalero, Mondadori.]

Citazioni[modifica]

  • Con l'acqua che gli arrivava ai ginocchi, urlò contro la donna infedele tutti gli insulti da sempre riservati al suo sesso. Infedele, incostante, infida, le gridava; demonio, adultera, ingannatrice. E le vorticose acque si portarono via le sue parole, e gli gettarono tra i piedi una pentola rotta e una pagliuzza.
  • Il gusto per i libri gli era venuto presto. Più volte, da bambino, un paggio lo aveva trovato, a mezzanotte suonata, ancora immerso nella lettura. Gli portavano via la candela e lui rimediava allevando lucciole. Gli portavano via le lucciole, e lui per poco non mandata a fuoco la casa con un acciarino. Per farla breve, lasciando al romanziere il compito di spianare le pieghe della seta e le sue implicazioni, diciamo che era un aristocratico malato d'amore per la letteratura. Molti suoi contemporanei, e più ancora molti del suo rango, si sottrassero a quel contagio, e così furono liberi di correre, di cavalcare e fare l'amore a loro piacimento. Ma alcuni s'infettarono presto di un germe che si diceva derivato dal polline dell'asfodelo e portato dai venti di Grecia o d'Italia; un germe di natura così virulenta da far tremare la mano che si alzava per colpire, da annebbiare l'occhio che cercava la presa e da far balbettare la lingua che pronunciava parole d'amore. Era nella funesta natura del morbo sostituire un fantasma alla realtà: a Orlando, cui la fortuna aveva dato tutti i doni – argenteria, biancheria, casa, servitori, tappeti, letti a profusione – bastava aprire un libro perché quell'enorme cumulo di ricchezze venisse avvolto dalla nebbia. I nove acri di pietra che formavano la sua dimora, svanivano; sparivano i centocinquanta domestici; diventavano invisibili gli ottanta cavalli; e sarebbe troppo lungo enumerare i tappeti, i divani, le bardature, le porcellane, le argenterie, le ampolle, gli scaldavivande e gli altri oggetti, spesso d'oro massiccio, che a causa di quel miasma svaporavano come bruma sul mare. Era così: Orlando, davanti a un libro, si ritrova solo, un uomo nudo.
  • Il senso di tutte quelle frasi era che mentre la Fama ostacola e costringe l'uomo, l'oscurità lo avvolge come una nebbia; l'oscurità è cupa, vasta e libera; l'oscurità permette allo spirito di seguire la propria via senza impacci. Sull'uomo oscuro, l'ombra distende il proprio velo misericordioso. Nessuno sa dove va, né donde viene. A lui è concesso di cercare la verità, e di dirla; lui solo è libero; lui solo è sincero; lui solo è in pace. Così, all'ombra della quercia, sprofondò in una calma dolce, e la durezza delle radici, a fior di terra, gli era quasi un conforto. Orlando rimase lungo tempo a meditare sui pregi dell'oscurità e la gioia di non avere un nome, di essere come l'onda che ritorna nel profondo corpo del mare. L'oscurità, pensava, libera l'animo dall'assillo dell'invidia e del rancore; fa scorrere libere nelle vene le acque della generosità e della magnanimità; e permette di dare e prendere senza ringraziamenti né lodi; questa dev'essere stata la vita di tutti i grandi poeti, immaginava (ma la sua conoscenza del greco non era sufficiente a confermarlo in questa opinione); Shakespeare, pensava, deve avere scritto così, e i costruttori di cattedrali devono aver costruito così, anonimi, senza bisogno di riconoscenza o di fama, ma solo di lavorare il giorno, e forse di un bicchiere di birra la sera.
  • La vita è un sogno. È il risveglio ad ucciderci.[12]
  • Le illusioni sono per l'anima ciò che l'atmosfera è per la terra. Toglietele quell'aria tenera, e la pianta morirà, i colori svaniranno. La terra su cui camminiamo è cenere estinta. È marga quella che calpestiamo, e ciottoli spietati ci feriscono i piedi. La verità ci annienta. La vita è un sogno. È il risveglio ad ucciderci. Chi ci deruba dei sogni ci deruba della vita... (e così via, se volete, per sei pagine, ma lo stile è noioso ed è meglio tagliar corto).
  • Mai fanciullo aveva mendicato una mela quanto Orlando aveva mendicato un foglio di carta; una caramella, quanto lui aveva mendicato l'inchiostro.
  • Perché una volta che il male di leggere si è impadronito dell'organismo, lo indebolisce tanto da farne facile preda dell'altro flagello, che si annida nel calamaio e che suppura nella penna.

Una stanza tutta per sé[modifica]

  • Ahimè, una volta sull'erba, com'era piccolo, com'era insignificante questo mio pensiero; proprio uno di quei pesci che il buon pescatore butta di nuovo nell'acqua perché possano divenire più grossi e meritare un giorno la padella. Non voglio parlarvi adesso di quel pensiero, benché, se guardate attentamente, lo troverete da sole, nelle pagine seguenti.
    Ma per quanto piccolo, possedeva tuttavia quella misteriosa qualità che hanno tutti i pensieri della sua specie: non appena immerso nella mente, immediatamente diventava molto eccitante e molto importante; guizzando e sommergendosi come un dardo, scintillando qua e là, creava attorno a sé un turbine tale di altre idee, che non si riusciva più a stare seduti. (cap. I)
  • Ancora mancava un'ora per la colazione, che cosa potevo fare? Passeggiare per i campi? Sedere accanto al fiume? Certo era un bel mattino d'autunno; le foglie rosse scendevano ondeggiando a terra; la prima possibilità mi attirava tanto quanto la seconda. Ma una musica mi raggiunse. Ci doveva essere una funzione o celebrazione religiosa. Quando passai davanti alla cappella, l'organo magnificamente si lamentava. In quell'aria serena, perfino il dolore del cristianesimo sembrava più il ricordo di un dolore che non il dolore stesso; perfino i gemiti del vecchio organo sembravano avvolgersi nella pace. (cap. I)
  • Avete un'idea di quanti libri si pubblicano sulle donne in un anno? Avete un'idea di quanti fra questi libri sono scritti da uomini? Sapete di essere, forse, l'animale più discusso dell'universo? (cap. II)
  • Chi può misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando questo si trova prigioniero e intrappolato nel corpo di una donna? (cap. III)
  • Cos'altro posso fare per incoraggiarvi a far fronte alla vita? Ragazze, dovrei dirvi (e per favore ascoltatemi, perché ha inizio la mia perorazione): nella mia opinione siete vergognosamente ignoranti. Non avete mai fatto scoperte di alcuna importanza. Non avete mai fatto tremare un impero, né condotto un esercito alla guerra. Non avete scritto le tragedie di Shakespeare, e non avete mai impartito i benefici della civiltà a una razza barbara. Come vi potete giustificare? È facile dire, indicando le strade, le piazze, le foreste del globo gremite di abitanti neri e bianchi e caffellatte, tutti indaffarati e occupati nel commercio, l'industria e l'amore: abbiamo avuto ben altro da fare. Senza il nostro intervento nessuno avrebbe solcato questi oceani, e queste fertili terre sarebbero ancora un deserto. Abbiamo partorito e allevato e lavato e insegnato, forse fino all'età di sei o sette anni, i milleseicentoventitré milioni di esseri umani che secondo le statistiche popolano il mondo; e questa fatica, anche ammettendo che ci hanno aiutate, esigeva molto tempo.
    C'è qualcosa di vero nella vostra risposta, debbo riconoscerlo. Ma allo stesso tempo vi ricorderò che fin dal 1866 esistevano qui in Inghilterra almeno due collegi universitari per donne; che dopo il 1880 una donna sposata poteva, per legge, entrare in possesso dei propri possedimenti; e che nel 1919 – cioè quasi dieci anni fa – le è stato concesso il voto. Debbo anche ricordarvi che da ben dieci anni vi è permesso di dedicarvi a quasi tutte le professioni? Se riflettete su questi immensi privilegi e sui lunghi periodi trascorsi da quando vi sono stati concessi, e pensate che in questo momento ci devono essere quasi duemila donne in grado di guadagnare cinquecento sterline l'anno, in un modo o nell'altro, dovrete ammettere che la scusa di mancanza di opportunità, di preparazione, d'incoraggiamento, di tempo e di denaro non regge più. D'altronde gli economisti ci dicono che la signora Seton ha avuto troppi figli. Dovete naturalmente continuare a fare dei figli ma, dicono loro, soltanto due o tre a testa, e non dieci o dodici come prima. (cap. VI)
  • D'altronde, fra cent'anni, pensavo, giunta sulla soglia della mia casa, le donne non saranno più il sesso protetto. Logicamente condivideranno tutte le attività e tutti i lavori che finora sono stati loro negati. La balia scaricherà il carbone. La fruttivendola guiderà una macchina. Ogni supposizione basata sui fatti osservati quando le donne costituivano il sesso protetto sarà ormai priva di senso; per esempio (poiché un plotone di soldati passava per la strada), l'idea che le donne e i religiosi e i giardinieri vivono più a lungo. Togliete quella protezione, esponete le donne agli stessi sforzi e alle stesse attività, lasciatele diventare soldati, marinai, camionisti e scaricatori di porto, e vi accorgerete che le donne muoiono assai più giovani e assai più presto degli uomini; finché questi dovranno dire "Oggi ho visto una donna" come in altri tempi si diceva "Oggi ho visto un aereo". Una volta che la femminilità abbia smesso di essere l'occupazione più protetta, chissà che cosa potrà accadere, pensavo, aprendo la porta. (cap. II)
  • È quando oziamo, quando sogniamo, che la verità sommersa, a volte, viene a galla. (cap. II)
  • Eccomi a domandare perché le donne non scrivevano poesie nell'epoca elisabettiana, eppure non so come venivano educate, se imparavano a scrivere, se avevano qualche salotto dove stare da sole; quante donne diventavano madri prima dei ventun anni; che cosa insomma facevano dalle otto del mattino alle otto di sera. Evidentemente non avevano denaro; secondo il professor Trevelyan si sposavano, volenti o nolenti, non appena lasciavano la mano della balia, probabilmente a quindici o a sedici anni. Sarebbe stato estremamente strano, anche con questi pochi dati, che una di loro, a un tratto, si fosse messa a scrivere le opere di Shakespeare, conclusi, pensando a quel vecchio signore, ormai defunto (credo fosse un vescovo), il quale ha dichiarato che era impossibile immaginare una donna, passata presente o futura, il cui genio si potesse paragonare a quello di Shakespeare. Lo scrisse perfino sui giornali. E una volta disse anche, a una donna che gli aveva chiesto delle informazioni, che i gatti in realtà non vanno in paradiso, benché abbiano, aggiunse, una specie di anima. Quanti pensieri ci risparmiavano quei vecchi signori! Quando essi apparivano, come si restringevano i confini dell'ignoranza! I gatti non vanno in paradiso. Le donne non possono scrivere le opere di Shakespeare.
    A ogni modo non potevo non pensare, mentre guardavo le opere di Shakespeare nello scaffale, che almeno in questo il vescovo aveva avuto ragione; sarebbe stato impossibile, completamente e interamente impossibile, che una donna scrivesse nell'epoca di Shakespeare le opere di Shakespeare. (cap. III)
  • I gruppi numerosi di persone non sono mai responsabili di quello che fanno. (cap. II)
  • La bellezza del mondo che dovrà così presto soccombere, ha due tagli, uno di gioia, l'altro di angoscia, che ci dividono il cuore. (cap. I)
  • La storia dell'opposizione degli uomini all'emancipazione delle donne è forse più interessante della storia stessa di quella emancipazione. (cap. III)
  • Non potete mettere alcun cancello, alcun catenaccio, alcun lucchetto alla libertà del mio pensiero. (cap. IV)
  • Non si può pensare bene, né amare bene, né dormire bene, se non si è pranzato bene. (cap. I)
  • Perché le donne [...] sono assai più interessanti per gli uomini di quanto gli uomini possano essere interessanti per le donne? (cap. II)
  • Una donna, se vuole scrivere romanzi, deve avere soldi e una stanza per sé, una stanza propria. (cap. I)

Incipit di alcune opere[modifica]

Gli anni[modifica]

Era una primavera incerta, dal tempo perpetuamente variabile... A Londra la gente non faceva che aprire e richiudere gli ombrelli, scrutando il cielo.[13]

La casa degli spiriti[modifica]

A qualunque ora tu ti fossi svegliato, avresti udito il socchiudersi di una porta. Vagavano di camera in camera, la mano nella mano, sollevando qui, aprendo là, rassicurandosi che... Una coppia di fantasmi.[14]

Citazioni su Virginia Woolf[modifica]

  • Nessuno che non abbia buttato almeno un'occhiata sulla solenne etichetta di Cambridge o di Oxford potrà ammirare abbastanza quel che la sapiente e capricciosa penna della Woolf ne trasse, citando i responsabili di aule dove la scienza, il greco, il latino, la filosofia conducono una vita liberalmente conventuale. (Anna Banti)

Note[modifica]

  1. a b c d Citato in Maria Oliveri, Il breve viaggio (felice) di Virginia Woolf, da Palermo a Siracusa: "Qui è tutto un incanto",Balarm.it, 26 dicembre 2023.
  2. Dalla lettera di addio al marito; citato in Michael Cunningham, Le ore, traduzione di Ivan Cotroneo, La nave di Teseo, Milano, 2020. ISBN 978-88-3460-202-7
  3. Da Voltando pagina, a cura di Liliana Rampello, traduzioni di Daniela Daniele; Adriana Bottini; Livio Bacchi Wilcock; J. Rodolfo Wilcock; Mirella Billi; Daniela Gugliemino; Nadia Fusini; Masolino d'Amico; Flora de Giovanni; Anna Rossi-Doria; Mirella Billi, il Saggiatore, 2011; pp. 202-203.
  4. Da Sono una snob?, in Momenti di essere, a cura di Liliana Rampello, traduzione di Adriana Bottini, Ponte alle Grazie, Milano, 2020. ISBN 978-88-3331-430-3
  5. Da On Not Knowing Greek.
  6. Da La signora nello specchio: un'immagine riflessa, in Tutti i racconti.
  7. Citato in Dino Basili, L'amore è tutto, Tascabili economici Newton, 1996, p. 16.
  8. Da Quartetto d'archi, in Tutti i racconti.
  9. Da Montaigne, in Voltando pagina.
  10. Da Diari. Volume I (1915-1919), a cura di Giovanna Granato, Bompiani, Firenze-Milano, 2022. ISBN 978-88-587-9615-3
  11. L'originale inglese "vite" (lives) è un gioco di parole con "foglie" (leaves).
  12. Da Orlando, traduzione di Maura Del Serra, in Tutti i romanzi, Newton Compton, Roma, 2012. ISBN 9788854141919
  13. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  14. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, traduzione di Giuliana De Carlo, minimum fax, Roma, 2019. ISBN 9788833891439
  • Virginia Woolf, Gita al faro, traduzione di Giulia Celenza, Garzanti, Milano, 1954.
  • Virginia Woolf, Gli anni, a cura di Paola Faini, Newton Compton, Roma, 1994.
  • Virginia Woolf, La camera di Jacob, traduzione e postfazione di Anna Banti, I libri della Medusa, Arnoldo Mondadori Editore, 1980.
  • Virginia Woolf, La signora Dalloway, traduzione di Nadia Fusini, Feltrinelli, 2014.
  • Virginia Woolf, Le onde, traduzione di Giulio De Angelis, BUR classici moderni, 197910. ISBN 8817122114
  • Virginia Woolf, Le tre ghinee, traduzione di Adriana Bottini, Feltrinelli, Milano.
  • Virginia Woolf, Notte e giorno, traduzione di Maria Vittoria Malvano, Einaudi, 1987.
  • Virginia Woolf, Orlando (1928), traduzione di Alberto Rossatti, Rizzoli, 2016.
  • Virginia Woolf, Tutti i racconti, traduzione di Lucio Angelini, Newton Compton, Roma, 2012. ISBN 978-88-541-3907-7
  • Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, traduzione di J. Rodolfo Wilcock e Livio Bacchi Wilcock, Feltrinelli Editore, Milano, 2013. ISBN 9788858801895
  • Virginia Woolf, Voltando pagina, a cura di Liliana Rampello, traduzioni di Aa. Vv., il Saggiatore, Milano, 2011.

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]

donne Portale Donne: accedi alle voci di Wikiquote che trattano di donne