Andrea Emo

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Andrea Emo Capodilista (1901 – 1983), filosofo italiano.

Citazioni di Andrea Emo[modifica]

  • Gentile Signora, la lettura del suo ultimo libro[1]in cui splende la gloria mistica e calpestata del tappeto e risuona la nostalgia evocatrice del flauto è un avvenimento e una promozione per lo Spirito che si avventura tra le scene del suo teatro magico, è una rivelazione, se questo termine non fosse divenuto troppo povero, dopo tanto prodigarsi... Fuorché un articolo di Carlo Laurenzi, non ho udito alcun commento astronomico al passaggio di questo astro nei nostri squallidi cieli, nessuna notizia di questa apparizione, nessun annuncio di questo annuncio. Questi silenzi di critici distratti danno l'ardire a me, philosophorum minimus, di scriverLe perché Lei sappia che questa opera ha trovato dei lettori appunto perché non li ha cercati.[2]
  • Il pensiero è maschile, il sentimento è femminile.[3]
  • Il timido è un animo gentile che dà tanta importanza agli altri, non si ritiene degno di esistere e si vergogna di sé stesso.[4]
  • Il poeta è colui che viene creato dalle parole, che è salvato, nel profondo dell'animo, dalle parole e che a sua volta salva le parole trasmettendole ai posteri incastonate nel suo entusiasmo, temprate per sempre dal suo fuoco.
    Il poeta è la pura immagine della riconoscenza; egli restituisce all'avvenire il capitale ricevuto dal passato, moltiplicato dagli interessi che suscita. Tesoro aureo che si moltiplica quanto più lo si spende.[5]
  • Il vuoto, il nulla dell'arte moderna è Orfeo che si volge a guardare Euridice.[6]
  • In alcune circostanze il silenzio è il più riuscito degli epigrammi.[7]
  • In un certo momento della nostra età noi non sappiamo o vogliamo leggere altro libro che il nostro, altro libro che quello della nostra memoria, della nostra esperienza, della nostra vita, del nostro destino. In esso ritroviamo la nostra similitudine e il nostro linguaggio, intraducibile nel linguaggio di un'altra vita, e che noi crediamo di sapere interpretare, perché talvolta dal profondo della memoria sale il canto della Sirena. Ma è forse proprio il nostro linguaggio quello che per noi è il più incomprensibile, quello che ci sforziamo continuamente di capire e che ha il fascino di ciò che è insieme intimo e incomprensibile.[8]

Aforismi per vivere[modifica]

  • L'uomo non può vivere senza immaginare alla vita dei fondamenti impossibili; quello che per l'uomo è necessario è sempre l'impossibile: per esempio la divinità. (p. 27)
  • Quando da qualche aquila o da qualche vento cosmico siamo rapiti tanto in alto che anche il posarsi su una vetta è uno scendere, quando non abbiamo più niente da leggere, da apprendere, quando nessuno spirito può essere consonante col nostro, allora non possiamo leggere altro testo che noi stessi, che il nostro intraducibile spirito e questa lettura è lo scrivere. (p. 43)
  • È un pregiudizio del secolo scorso che l'uomo desideri la libertà; in realtà esso desidera soltanto "espiare" la sua libertà, trovare un riposo e un perdono in una certezza o in una norma (tutte antitesi della libertà). L'uomo moderno come l'uomo di tutti i tempi, teme la libertà come una vertigine e la odia come un privilegio. Essa è il contrario della eguaglianza. (p. 48)
  • Anche la stupidità ha i suoi capolavori, come la pazzia ha il suo metodo. (p. 52)
  • Hanno il massimo significato tutte quelle cose che non vogliono averne. (p. 57)
  • Dove è luce ivi è fuoco, cioè una terribile distruzione. Non è possibile che sorga una luce, una illuminazione, senza che ad essa corrisponda come causa diretta, una distruzione essenziale, una spaventosa tragedia. Anzi la luce è l'altro aspetto, (l'aspetto spirituale?) della tragedia. (p. 58)
  • La memoria cioè gli altri divenuti noi stessi. (p. 68)
  • Quando apro la finestra del mattino e vedo le regioni dell'aurora, vedo la memoria di Adriano così potentemente pietrificata e l'angelo della resurrezione che rimette nel fodero la spada dell'ira, il gladio della notte, e apre le ali verso il cielo e l'avvenire come un appello all'eternità dell'aurora. (p. 93)
  • L'uomo è un dio che non ha pietà di sé. (p. 99)
  • Se chiedessero quale è la più bella parola, risponderei che è l'Amen. Amen è il suggello del silenzio. (p. 111)
  • La coscienza di sé è lo specchio, lo specchio magico in cui ci vediamo, in cui diveniamo immagine; la suprema gloria, lo specchio, la coscienza, è la fine dell'Eden. (p. 118)

Il dio negativo[modifica]

  • Le soluzioni fallaci e di cui bisogna dubitare sono quelle che distruggono il problema, che lo rendono inutile; quelle vere sono quelle che lo trasformano continuamente lasciandolo vivere. Per cui sono soluzioni fallaci quelle che servono a risolvere tutti i problemi possibili, le soluzioni generiche; che sono appunto quelle che distruggono la particolarità, l'individualità del problema (p. 88)
  • L'astrazione è ciò che vi è di meno antropomorfo, è la negazione dell'antropomorfismo, se riferita e confrontata alla vita, all'io, alla personalità, ecc., ed è però ciò che vi è di più antropomorfo, l'onore supremo dell'uomo; l'idea universale e analitica che costituisce la nostra mente, la nostra ragione. Anche l'astrazione è una contraddizione di cui viviamo e moriamo. (p. 107)
  • Il pensiero della morte è realmente la nera pietra di paragone a cui si provano tutte le convinzioni soddisfacenti e riposanti, è il terreno su cui le edificate dimore crollano. Tutti i nostri pensieri resistono alla sua comparsa solo se sentono con umiltà e nell'umiltà il proprio valore. Solo se i pensieri stessi sentono di poter accettare, senza disonore, la propria morte. (p. 139)
  • Lo sforzo delle razionalità moderne (o sociali) consiste nell'abolire i paradisi perduti, la cui presenza indistruttibile nell'anima della memoria rende risibili e assurdi i paradisi reali, razionali e artificiali. – I paradisi perduti, l'idea di paradiso, è la causa dei nostri inferni, che forse sarebbero tollerabili senza il ricordo. –
    Tempo e razionalità sono opposti. – Il tempo è l'irrazionale perfetto. – Il tempo, la memoria sono irriducibili alla razionalità. –
    L'inferno è un paradiso perduto: il tempo è un creatore di inferni appunto perché la memoria è il paradiso e il paradiso un inferno perduto. – Se i morti potessero "essere" sarebbero tutti in paradiso. – (pp. 190-191)
  • – Nell'immenso tempio dell'infinito e dell'eternità, l'eternità secolarizzata, quali sono ancora i fiumi, umani e cosmici, i fiumi sempre più disseccati, in cui si battezza la divinità? – Il linguaggio dell'eternità non è più la legge, ma la musica, figlia e madre del tempo, coscienza e follia del tempo. – (p. 193)
  • Il tempo è una tragedia, è la tragedia per definizione; il tempo, la continuità del tempo è l'insegnamento dell'eternità, l'aldilà del tempo. – L'eternità è trascendente, ma insieme è immanente nel tempo che la nega. – Forse soltanto la negazione è eterna. – Perciò siamo perpetua origine e perpetua fine d'istante eterno. – La continuità del tempo esprime il desiderio dell'eternità. – Il tempo è la tragedia, il sacrificio dell'eternità? Forse il tempo è più bello dell'eternità, è la coscienza dell'eternità. – Nietzsche che volle esprimere, inaugurare l'aldilà del tempo, l'aldilà della tragedia, cominciò appunto esplorando l'origine della tragedia – Geburt der Tragödie. – Ma la tragedia è appunto l'origine. (p. 219)
  • Dio si afferma mediante la sua negazione (e si nega affermandosi) – perciò Dio si rivela soltanto velandosi e nascondendosi. Dio è iconoclasta; distrugge ogni immagine di sé e ogni nostra immagine. Distrugge tutte le immagini che noi inconsapevolmente creiamo e che rendono tanto dolce e luminosa la vita. Non vuole riconoscersi in alcuna immagine, come in nessuna diversità (e perciò le crea tutte – l'universo, cioè la divina, infinita, innumerevole diversità, è l'unica creazione, l'unica creatura, l'unigenita dell'Uno). Non vuole riconoscersi in nessun mito, essendo il mito supremo. (p. 224)
  • Il «mistero», la sacra rappresentazione della vita è la metamorfosi del futuro in passato, della speranza in rimorso, o in rimpianto; è la continua e progressiva morte del Dio (del futuro) – fino a che egli muore definitivamente, e noi con lui. (p. 226)
  • L'immagine è diabolica quando non è consacrata da una iconoclastia – l'iconoclastia, l'espiazione e la tomba da cui la immagine rinasce – in questo senso il cinema è diabolico, è la immagine senza valore artistico, perché senza iconoclastia né mediazione, né mistica morte, né resurrezione. Che può insegnarci, quale salvezza ci insegna un'arte, una immagine senza intima iconoclastia, senza intima negazione di sé, senza l'immagine della tragedia che è perciò stesso vittoria sulla tragedia? La vera arte è sempre un mistero di salvezza, anche quando è l'immagine di un mistero di perdizione; l'immagine senza iconoclastia è un mistero profano così profanato. (pp. 235-236)

Quaderni di metafisica[modifica]

  • Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce. (Introduzione, p. XXXI)
  • L'aforisma pretende di spiegare tutto senza creare nulla sul già costruito, lo sfrutta e non vi apporta nulla di suo – salvo forse il sorridere malcontento del mondo presente, la malinconia, nostalgia di un mondo futuro. (q. 7, 1929, p. 90)
  • Un pensiero in sé perfetto non esiste; un pensiero è perfetto solo nella serie innumerabile dei pensieri che nascono da esso; appunto perché ogni pensiero è infinito. (q. 27, 1934, p. 195)
  • Credere in Dio è credere nel nulla. (q. 105, 1949, p. 477)

Supremazia e maledizione[modifica]

  • La democrazia è il deserto; ed è monoteista; l'eguaglianza è il deserto del monoteismo democratico – le estreme civiltà riproducono il deserto dei nomadi – tutti si pentono degli Olimpi della civiltà. (p. 18)
  • Il tentativo di conoscere il soggetto, di conoscere la conoscenza, l'individualità, la divinità, è sempre punito dal fulmine celeste o dalle rivendicazioni o dagli inferi – tentativo di conoscere che si perpetua come gloria e come colpa, come supremazia e maledizione [...] (p. 30)
  • L'angoscia è una delle forme con cui conosciamo il tempo; un nostro modo di individuare il tempo; forse perché è il modo con cui individuiamo, riconosciamo la morte, la morte in noi e nel tempo; il tempo è l'araldo della morte. (pp. 34-35)
  • La Musa Clio suona la sua lira, melodiosa come la memoria, assisa su una spaventevole montagna di cadaveri – essa tenta di evocare, dai defunti dei secoli defunti, delle figure più viventi di quelle di noi attuali. (p. 36)
  • Gli spiriti della notte sono i figli delle tenebre e dell'abisso, sono gli arcangeli della disperazione, oppure sono i sogni della salvezza? (p. 52)
  • Il bambino che deve essere iniziato alle lettere apprende, per cominciare, le vocali – il fondamento apparentemente solido ed evidente di un sottostante mistero – tutte le catacombe inestricabili dei misteri, delle oscurità, delle solitudini. Ogni evidenza ha un inesplorato sottosuolo – la vocale è la pace e il colore del Verbo; le cinque stagioni del Verbo, lo spettro newtoniano del Verbo; appena inquinato nei dittonghi in lingue non abbastanza meridionali, non abbastanza solari. Ma il Verbo non può rimanere vocale, deve divenire verbo anche nel senso grammaticale della parola – comincia così il mistero delle consonanti che non hanno fondamento, sono impronunziabili se non alleate alla stabilità arcaica della vocale. (pp. 73-74).
  • La socialità è il nido della menzogna; l'uomo pubblico sa di avere fatto un patto col diavolo, di avere venduto l'anima, cioè di avere rinunciato alla verità. Il diavolo è l'unica verità dell'uomo pubblico. L'uomo pubblico, colui che mente a se stesso, per ritornare nel suo equilibrio con se stesso deve essere più forte del diavolo, deve, e più o meno coscientemente vuole, opprimere il diavolo, cioè la società. Il diavolo è la società a cui ha venduto l'anima. (p. 109)
  • La poesia diffonde le ombre create dalla sua luce, e la luce creata dalle sue ombre. La poesia, con la sua luce, sveglia tutte le ombre che sono in noi. Essa è un oasi nel mondo delle evidenze. L'ombra di un sole impossibile che si rivela solo con l'ombra – in principio era la luce, e da essa derivarono le tenebre. (p. 124)
  • La grande storia, o meglio la grande storiografia, è una trasfigurazione della realtà, come la memoria. Le epoche storiche hanno molte vite, ma la loro vera vita è la vita postuma. La vita postuma è un accenno all'immortalità. (pp. 126-127)
  • Nell'epoca del destino il tempo non è più creatore, ma lento subdolo fatale distruttore; e distruttore di se stesso. Le epoche del destino, che noi abbiamo creato e che, come ogni creatura, strappa il potere al creatore, sono le creature del tempo e tentano di distruggerlo, nell'atto in cui lo sono. Ma il tempo è distruttore di se stesso, come il destino. (p. 131)
  • Io ho passato la mia vita inseguendo le Chimere e me ne congratulo; non vi è nulla di più interessante, piacevole e degno. La caccia alle Chimere è la più bella ed esaltante delle cacce.[9] (p. 151)
  • L'amore nasce dalla contemplazione della diversità assoluta in una vita in cui riconosciamo la nostra identità; anche i sessi sono identità perfetta e diversità totale. Perciò cercano di possedersi. Cercano la pace nella esaltazione della diversità; e il possesso di sé nella propria distruzione. L'amore è la propria esaltazione e la rinuncia a sé. Amiamo l'assoluta diversità in ciò che è assolutamente identico a noi – la meravigliosa apparizione del diverso, che rende l'identico sempre più identico e più diverso. (pp. 153-154)
  • La comicità dello scrittore e dell'uomo in generale comincia quando egli è sincero nel prendersi sul serio. Che cosa vi è di più comico e che cosa vi è di più tragico che prendersi sul serio? La serietà è il nido necessario della comicità; senza la serietà originaria, la comicità si perde nel vuoto e diventa anch'essa tragica. L'uomo perennemente tragico, l'uomo che si prende sul serio, insieme alla sua tragedia, finisce per essere comico. Ma chi prende sul serio la sua comicità? La comicità che si prende sul serio non è più nulla – è tragica. (p. 165)
  • Non esiste nulla di più serio, nulla di più alto, di più sublime, di più trascendente a tutto che la vita; e niente di più fragile. Niente di più tragicamente effimero. Il mistero vivente è senza fondo e senza confine; ma se noi potessimo intenderlo, saremmo colti da follia. La follia che ferirebbe gravemente la nostra facoltà di intendere e anche quella di volere. Noi non perverremo mai all'altezza del mistero che siamo, alla possibilità di comprendere l'origine e il destino del fenomeno che siamo. Il sentire di non poter mai pervenire all'altezza di ciò che siamo è orgoglio o umiltà? Tocchiamo la realtà e la verità quando orgoglio e umiltà possono coincidere. Ma grande è lo scandalo di un assoluto che sia effimero. Quale è il segnale cosmico che corrisponde a questo scandalo? Forse il fatto che l'assoluto è negativo. (p. 167)
  • Il potere è un mistero diabolico, un mistero d'iniquità, o un potere benefico di origine divina? Forse il potere è benefico appunto perché diabolico; ma appunto perché diabolico, non ammetterà mai questa origine; e i più evidentemente beneficati non ammetteranno mai il beneficio. Movimenti di origine ideale e celeste, preconizzati da belle anime, riescono a esorcizzare il diabolismo del potere. Cioè a indebolire la potenza, evocando catastrofi e la necessità di instaurare una potenza maggiore. Dobbiamo credere che nella storia dell'umanità tanto poco angelica, un'essenza diabolica sia una necessaria componente; così come con terribili veleni si compongono farmachi di salute e di salvezza. Ma, questa diabolica potestà, forse creata dalla Provvidenza, non sembri sacrilegio, ha bisogno di propaganda, di poeti di corte, che ammantino il diavolo, benefico suo malgrado con una toga d'ipocrisia. Così, all'egro fanciul porgiamo aspersi – di soave licor gli orli del vaso – succhi amari ingannato intanto ei beve e dall'inganno suo vita riceve. (pp. 177-178)
  • Il divieto di conoscere riguarda noi stessi; noi siamo nell'atto stesso Orfeo ed Euridice, amore e psiche, Lohengrin ed Elsa. Noi abbiamo un nome scritto forse nei cieli, ma perciò noto anche agli inferi. Esso è il paesaggio dai cieli agli inferi. Ma questo nostro nome segreto, il nome che vive in noi, noi lo viviamo, ma non possiamo conoscerlo. (p. 178)

Note[modifica]

  1. Il lauto e il tappeto.
  2. Da Lettera a Cristina Campo, 7 febbraio 1972, in Lettere a Cristina Campo. 1972-1976 In forma di parole, III, 2001, p. 19 . Citato in Cristina De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Milano, Adelphi, 2002, p. 161. ISBN 88-459-1678-2
  3. Citato in Marcello Veneziani, Imperdonabili, Venezia, 2017, p. 477, ISBN 978-88-317-2858-4
  4. Citato in Marcello Veneziani, Imperdonabili, Venezia, 2017, p. 479, ISBN 978-88-317-2858-4
  5. Da La voce incomparabile del silenzio, a cura di Massimo Donà e Raffaella Toffolo, Gallucci, Roma, 2013, p. 176. ISBN 978-88-6145-560-3
  6. Da Le voci delle Muse. Scritti sulla religione e sull'arte 1818-1891, a cura di Massimo Donà e Romano Gasparotti, Marsilio, Venezia, 1992, p. 177; citato in Supremazia e maledizione, nota 13, p. 198.
  7. Da La voce incomparabile del silenzio, p. 35.
  8. Da In principio era il Verbo, poi venne la conversazione (inediti dai Quaderni 1964-1981), a cura di Romano Gasparotti, in Itinerari filosofici, 6/7, 1993, pp. 149-159. Citato in Supremazia e maledizione, nota 34, p. 209.
  9. Citato in: Marcello Veneziani, Alla luce del mito, Marsilio editori, 2017, p. 58. ISBN 978-88-317-2639-9

Bibliografia[modifica]

  • Andrea Emo, Aforismi per vivere. Tutte le parole non dette si ricordano di noi, a cura di Raffaella Toffolo, postfazione di Massimo Donà, Mimesis, Milano, 2017. ISBN 978-88-8483-586-4
  • Andrea Emo, Il dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, a cura di Massimo Donà e Romano Gasparotti, prefazione di Massimo Cacciari, ricordo dell'autore di Ernesto Rubin de Cervin, Marsilio, Venezia, 1989. ISBN 88-317-5155-7
  • Andrea Emo, Quaderni di metafisica. 1927-1981, a cura di Massimo Donà e Romano Gasparotti, Bompiani, 2006.
  • Andrea Emo, Supremazia e maledizione. Diario filosofico 1973, a cura di Massimo Donà e Romano Gasparotti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998. ISBN 99-7078-513-0

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