Beniamino Placido

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Beniamino Placido (1929 – 2010), giornalista, critico letterario e critico televisivo italiano.

Citazioni di Beniamino Placido[modifica]

  • Anche il nostro Gianni Brera (il nostro: l'abbiamo amato con passione e devozione) ha scritto dei bellissimi romanzi. Erano le sue cronache sportive. Piene di romanzesche vicende: Consolini che lancia il disco, Coppi che scala l'Izoard; e di personaggi mitico-romanzeschi. Come Gigi Riva, possente ala sinistra del Cagliari e della Nazionale che diventa una sorta di poderoso guerriero longobardo e viene ribattezzato "Rombo di tuono". Ma anche Gianni Brera deve aver avuto in vita i suoi momenti di debolezza (per questo l'amiamo ancora di più). Deve aver pensato anche lui che se vuoi essere considerato un vero scrittore – non un semplice estensore di cronache sportive, per quanto geniali – devi scrivere qualche storiella immaginaria, con personaggi immaginari.[1]
  • Che cosa si impara in otto anni di esposizione quotidiana alla televisione? Si impara a rispettarla, per cominciare. In taluni casi ad ammirarla, anche. A riconoscerne e proclamarne i meriti. Magari involontari. Ma meriti, comunque. So bene che questo irriterà il lettore.[2]
  • Che è stato tante belle cose [il Sessantotto], almeno per chi come lui [Guido Viale] vi ha così appassionatamente partecipato. Ma deve anche aver prodotto necessariamente qualcosa di mediocre, se non addirittura di spregevole. Si pensi per un attimo alla deriva armata, minacciosa. In una parola: terroristica.[3]
  • Come capro espiatorio di tutti i nostri difetti, di tutte le nostre manchevolezze – personali e sociali – c'è oggi la televisione. È davvero un elettrodomestico prezioso.[2]
  • Da cosa è venuto fuori quel movimento rivoluzionario, o pararivoluzionario, o semirivoluzionario che il '68 fu? Cosa c'era prima del '68? [...] Sembrerà strano ma pare proprio che oggi i genitori che hanno fatto il '68 non amino raccontarlo ai figli.[4]
  • Dicono che la televisione fa male alla Cultura. Ma quante sono le persone – uomini e donne indifferentemente – che vanno in giro orgogliose di sé; che si propongono come persone culturalmente esigenti solo perché "non guardano la televisione" (almeno ufficialmente)? Non parliamo di quelle altre persone – ancora più audaci – che la televisione addirittura non ce l' hanno. Ne sono così intimamente soddisfatte che tendono a portar la testa come se fosse il Santissimo Sacramento. Magari non conoscono nessun canto di Dante a memoria. Di Giacomo Leopardi ricordano solo la gobba. Alle Mostre, che attivamente frequentano, si distraggono. Ai concerti (hanno l' abbonamento) si addormentano. Pensieri particolarmente originali non ne formulano.[2]
  • Domenica sera su Raitre, in quella curiosa trasmissione-psicodramma che si intitola «Da storia nasce storia» l'attrice napoletana Rosalia Maggio ha raccontato di quando le venne la tentazione di prostituirsi, vent'anni fa. Non guadagnava una lira.
    Aveva due figlie da mantenere. Non è una storia che avrebbe interessato Balzac? Non è una storia che avrebbe ispirato De Sica?[5]
  • [...] fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, tutti gli studenti liceali di tutte le scuole d'Italia. Nei loro temi in classe non mancavano mai di infilare una citazione adorniana, gravida di fiero disdegno verso l'"industria culturale". Così rendevano felice la professoressa, e garantivano a se stessi un bel voto.[6]
  • Il "comunismo realizzato" la ricchezza non l'ha creata. Né tanto meno distribuita, conseguentemente. Domanda: ci voleva tanto – tanti anni, tanti decenni – per accorgersene? Risposta: no, non era necessario sprecare un così lungo periodo di tempo. Bastava essere un po' ignoranti di filosofia, un po' sprovveduti in fatto di economia, e però fortemente interessati alla letteratura. Giacché si dà il caso che in fatto di letteratura Marx ed Engels raramente ci cogliessero. Più spesso sbagliavano.[7]
  • Il conduttore di Mixer Cultura, Arnaldo Bagnasco, quando gli passa davanti un bel tema culturale, non lo riconosce. Anche se quello, il tema culturale, gli si presenta vestito di tutto punto, in modo impeccabile. Sono il tema culturale tal dei tali. Già trattato da Platone, Aristotele e Kant. Sono interessante, sai? Perché non mi presenti ai telespettatori? Nemmeno per idea, Arnaldo Bagnasco non se ne dà per inteso. Continua a tuonare, a strepitare, a ruggire perché non c'è stato il grande-confronto che lui voleva...[8]
  • Il romanzo I tre moschettieri è una serie ininterrotta di vendette, dal principio alla fine. C'è una vendetta ad ogni pagina. Ogni tanto, una esaltazione tutta esplicita della vendetta, definita qualche volta come "le plaisir des dieux", il piacere degli Dei.[9]
  • [...] la Dickinson è una poetessa dura, aspra, essenziale. Fatta di pietra e di quarzo. Non si fa illusioni. Non ne autorizza. Non crede nel paradiso in terra, non le piace ("I don't like Paradise").[10]
  • La preghiera è un'attività nobilissima. L'Abate Henri Bremond la paragonava alla poesia in un libro ('Preghiera e poesia', Rusconi 1983) che non perderò l'occasione di segnalare. E la poesia, per converso, è una forma di preghiera. Non ho nulla né contro la poesia, né contro la preghiera. Ma contro questa forma di preghiera televisiva: ecologico-alimentar-domenicale ce l'ho, qualcosa da dire.[11]
  • La scatenata trasmissione di Italia 1 [Drive In], una trasmissione alla quale mi sono affezionato lentamente – lo confesso –, ma stabilmente.[12]
  • Ognuno si sente in dovere di esprimere – almeno una volta alla settimana – un' opinione fermamente sdegnosa sulla televisione. [...] Mai però che venga in mente [...] di chiedersi il perché di questo "pregiudizio sfavorevole" tenace e vischioso che nel loro cuore così affettuosamente albergano. Non sarà per caso – e per l'appunto – un pregiudizio?[2]
  • Jovanotti per chi ancora eventualmente non lo sapesse è quel tale giovanotto tutto salti e gridolini, okay, è qui la festa? che ha un grande seguito nella nostra popolazione giovanile. Personalmente, lo detesto. Trovo fatuo lui, incomprensibile il suo successo.[13]
  • [...] la nuova invenzione [la televisione] ci modifica sì, ma in peggio. In peggio: e perché mai? Come si fa a dimostrarlo? Ho un ricordo piuttosto vivo di com'era il mondo prima della televisione. Nessuno è riuscito a convincermi che fosse meglio, solo perché la televisione non c' era. Quei paradisi agresti di delicata conversazione di cui si favoleggia non me li ricordo. Mi ricordo la noia, che si tagliava con il coltello. So io quel che ho sofferto a non poter vedere le partite di calcio, gli incontri di boxe o di tennis che si svolgevano lontano. Non auguro le stesse sofferenze a nessuno.[2]
  • La televisione presenta un mondo fatto di facce e di facciate, di immagini. Ti fa credere che è tutto lì. Ti fa dimenticare che dietro quelle facce, quelle facciate c'è un altro universo. Che lei, la televisione, non ha modo di esplorare.[14]
  • [Nell'ottobre 1994, rifiutando la proposta di Gianfranco Ravasi di collaborare alla stesura di una grammatica di ebraico non solo per gli specialisti] Lui ci mette la scienza e io l'ignoranza. No, non posso fargli fare brutta figura.[14]
  • [Alla domanda: «Che cosa significa fare il critico televisivo»] Ma, credo che dipenda dalle generazioni, e noi apparteniamo per tua fortuna a generazioni diverse. Per la mia generazione significa, come nei paesi, affacciarsi alla finestra e vedere che cosa accade, chi passa, che cosa si dice, né più né meno. Non l'ho mai presa in modo diverso da questo, che però è un modo, mi pare, estremamente rispettabile.[14]
  • Ma i romanzi di Jules Verne rivelano oggi a critici severissimi delle vertigini di filosofica profondità. Anche quando non si inabissano nelle viscere della Terra. Eppure, al loro tempo, chi li prendeva sul serio? I film di Totò, altro esempio ormai classico, oggi fanno parlare di surrealismo. Ma sono in grado di ricordare e di ritrovare se necessario le critiche radiofoniche Anni '50 di Elsa Morante, che proprio a proposito di Totò sceicco rivisto martedì sera su Raitre, parlava di film-spazzatura, o pressappoco. Di film paccottiglia.[15]
  • [...] Michele Santoro: che non prende mai la parola senza fare preventivamente la faccia feroce. Solo che è afflitto – poveretto – da una faccia morbida, bonaria e tondeggiante da romano pacioso. Sicché, quando appare lui in video, si ha l' impressione di ritrovarsi davanti – che fortuna – a "Gigi er Bullo", noto personaggio del folklore popolare romano, che minacciava tutti e non spaventava mai nessuno: "Scansateve tutti, che' mo' passa Giggi".[16]
  • Perché il mio paese [Rionero in Vulture] – non fo per dire – qualche bella chiesa decorosamente vecchia, qualche antica fontana (se non è stata nel frattempo distrutta, nell'ansia di «modernizzare»), qualche bel palazzo spagnolesco ce l'aveva.[17]
  • [Riferito agli italiani] Max Ascoli, famoso antifascista, diceva: "l'intelligenza è la nostra forma di stupidità". Voleva dire: siamo così intelligenti che diventiamo furbi, e da furbi poi diventiamo fessi e non sappiamo fare nemmeno i nostri interessi.[18]
  • Non tutti i lettori di Alice lo sanno. [...] Supponiamo anzi che qualcuno di loro, pur amando Alice e le sue avventure, lette magari da bambino, abbia avuto altro da fare negli ultimi decenni che seguire il dibattito critico su Alice. In questo caso non sa, non può sapere che quella innocente (innocente?) bambina è stata fatta oggetto delle interpretazioni più diverse. Non sono mancati i critici socio-marxisti (Alice come ribelle nei confronti del suo mondo borghese autoritario vittoriano). Né i critici freudiani (quel buco, attraverso il quale Alice si infila sottoterra, vi pare che gli psicoanalisti potessero lasciarselo sfuggire?). Né i critici junghiani (Alice come "anima"). Né i critici che non saprei come definire.[19]
  • Si tratta piuttosto di una infezione. Che deve interessare la medicina. Ci troviamo in presenza di una recrudescenza di quel triste fenomeno che si chiamava "il complesso del sifilitico". Ben noto ai medici ed ai trattati di medicina del primo Novecento. Quando la sifilide imperversava e faceva veramente paura. Il cosiddetto "mal francese" (Syphillis sive de morbo gallico suonava il titolo del famoso poemetto cinquecentesco di Girolamo Fracastoro: mentre i francesi ne davano la colpa ai napoletani e tutti insieme agli abitanti dell'America, appena scoperta) il mal francese, dicevo rappresentava un incubo per ogni persona, per ogni famiglia. Pare che il nonno di quel tale sia morto non già di polmonite, ma di sifilide, si sussurrava. Pare che anche sua sorella, quella che dicono suicidata, fosse affetta da quel venereo male, si insinuava sottovoce. Si diceva ancora, – e i libri di medicina lo raccontavano – che il sifilitico vero e proprio, nell'ansia di vendicarsi del mondo, lasciava in giro di nascosto, da vero untore, delle tracce fisiologiche – vuoi liquide, vuoi solide – della sua malattia.[20]
  • [Su Paolo Villaggio] Un uomo evidentemente deciso a rovinarsi con le sue mani (e siccome è bravo, vedrete che ci riuscirà a furia di partecipare a tutte le scemenze televisive possibili).[21]

Citazioni su Beniamino Placido[modifica]

  • Beniamino Placido è stato un genio moderno. Era una persona splendida, un intellettuale aperto al nuovo e curioso. I suoi articoli sui media, i suoi libri e le sue trasmissioni televisive erano lievi, eleganti e popolari. (Walter Veltroni)
  • Era un conversatore eccezionale: spiritoso, imprevedibile, ma soprattutto maieutico. Sapeva infatti tirar fuori dai suoi interlocutori, con domande pertinenti e soprattutto impertinenti, tutto quello che gli serviva per... apparecchiare la tavola. [...] Non una ma mille volte ha aiutato i suoi lettori a pensare. (Paolo Mauri)
  • Fu il sommo Beniamino Placido a domandarsi – senza ricevere risposta, più che altro commenti stizziti per leso maestro [Ermanno Olmi] – perché mai il buon contadino Batistì dovesse sacrificare un albero per fabbricare gli zoccoli al figlio (abituato alle "scarpe che mamma gli fece") quando nel cortile di casa c'erano tanti ciocchi di legna, meno poetici ma ugualmente adatti alla bisogna. Fu sempre Beniamino Placido a far notare che i paesani conducevano una vita grama, diversa dalla pittoresca rappresentazione che Olmi ne fa nel suo film. Solo qualche dettaglio: le vacche erano sempre magre, i polli si ammalavano, la gente moriva di stenti, di malattie, di maternità. (Mariarosa Mancuso)
  • Giornalista di profonda cultura e di fine e originale stile letterario, egli seppe indagare e far conoscere con spirito critico e visione lungimirante il fenomeno della televisione di massa e la sua influenza sull'evoluzione del costume sociale. (Giorgio Napolitano)
  • Meridionale colto, lucano, evase con il sogno americano e con la passione per quella letteratura entro la quale era «immigrato» più di quanto non lo fosse a Roma. Dotto e brutto, Beniamino Placido era facile da prendere in giro per l'aspetto, per il vistoso naso, ma il suo pensiero era sottile, mai banale (come quando fece indispettire i suoi colleghi di sinistra dichiarando che l'Einaudi era stata faziosa e partigiana nella scelta dei titoli e nell'indicazione di una linea culturale) e la sua prosa arguta, divertente anche quando era dissacrante (intendo non in astratto ma contro di me, suo amministrato, suo beniamino, anche se criticabile, criticabilissimo). (Vittorio Sgarbi)

Note[modifica]

  1. Da Gianni Brera, terra e sport, la Repubblica, 4 giugno 1993.
  2. a b c d e Da Addio mio video, la Repubblica, 11 aprile 1993.
  3. Da Troppi esclamativi per il '68, la Repubblica, 22 maggio 2011.
  4. Da Il sessantotto che i ragazzi non conoscono, la Repubblica, 28 settembre 2003.
  5. Da È proprio una la TV o sono tante?, la Repubblica, 26 novembre 1991.
  6. Da Istruzioni per rendersi più stupidi, la Repubblica, 20 aprile 1997.
  7. Da Marx ed Engels come fraintesero i misteri di Parigi, la Repubblica, 7 febbraio 1999.
  8. Da Chia ha paura dei ruggiti di Bagnasco?, la Repubblica, 12 gennaio 1991; citato in Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, Milano, 1992, p. 478. ISBN 88-11-73819-9
  9. Da Il giglio di Milady, la Repubblica, 8 settembre 1994.
  10. Da I due versi di Emily Dickinson, la Repubblica, 10 aprile 1994.
  11. Da Fratelli, pregate per la vostra linea..., la Repubblica, 21 luglio 1991.
  12. Da Smettete di fumare quel sigaro o vi querelo, la Repubblica, 10 ottobre 1987.
  13. Da Che bel laboratorio sarebbe Fantastico, la Repubblica, 13 ottobre 1990.
  14. a b c Citato in Aldo Grasso, Davanti allo schermo, affacciato alla finestra, Corriere della Sera, 7 gennaio 2010.
  15. Da Confessioni d'un povero critico..., la Repubblica, 29 marzo 1990.
  16. Da Una città che non conosce il dubbio, la Repubblica, 11 marzo 1988.
  17. Da Giustino Fortunato benestante e pessimista, la Repubblica, 19 settembre 1998.
  18. Da Eppur si muove, a cura di Indro Montanelli e Beneamino Placido, con Vittorio Foa, Rai 3, 6 febbraio 1994
  19. Da Alice messa a nudo, la Repubblica, 05 maggio 1994.
  20. Da Croce, Einaudi... Ma perché tanto veleno contro di loro?, la Repubblica, 14 luglio 1998.
  21. Citato in Roberto D'Agostino, Chi è, chi non è, chi si crede di essere, Arnoldo Mondadori, 1988.

Altri progetti[modifica]