Alexandre Dumas padre

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Alexandre Dumas

Alexandre Dumas (1802 – 1870), scrittore e drammaturgo francese.

Citazioni di Alexandre Dumas[modifica]

  • Abitualmente comincio un libro solo dopo ch'è stato già scritto.
En général, je ne commence un livre que lorsqu'il est écrit.[1]
  • C'è una donna in ogni caso; appena mi portano un rapporto, io dico: "Cherchez la femme."[2]
Il y a une femme dans toutes les affaires; aussitôt qu'on me fait un rapport, je dis: Cherchez la femme!.
  • Chi legge la storia, se non gli storici quando correggono le loro bozze?[3][4]
  • Ci sono certe città sconosciute il cui nome, per inattese, terribili, clamorose catastrofi, talvolta acquista improvvisa fama europea e che s'ergono in mezzo al secolo come una di quelle paline storiche piantate dalla mano di Dio per l'eternità: tale è il destino di Pizzo. Senza annali nel passato e probabilmente senza storia nell'avvenire, essa vive sulla sua gloria di un giorno ed è diventata una delle stazioni omeriche dell'Iliade napoleonica. Infatti è noto che fu nella città di Pizzo che Gioacchino Murat venne a farsi fucilare, là che quest'altro Aiace trovò una morte oscura e cruenta.[5]
  • [In ricordo di Emma Mannoury-Lacour] Credo proprio che tre quarti del mio cuore, se non il cuore intero, siano morti con lei.[6]
  • Dio, nella sua divina previdenza, non ha dato la barba alle donne perché esse non sarebbero state capaci di tacere mentre venivano rasate.[7]
  • E il genio, che ne sarà mentre baderò all'ordine?[8][4]
  • [Francesco Mario Pagano] Godeva di una grande reputazione e la meritava sotto tutti i rapporti. [...] La dolcezza della sua parola, la soavità della sua morale l'avea fatto soprannominare il Platone campano, ancora giovane aveva scritto la giurisdizione criminale opera che fu tradotta in tutte le lingue, e che fu menzionata dall'assemblea nazionale francese.[9]
  • L'orgoglio ha quasi sempre una compagna ancora peggiore: l'invidia.
L'orgueil a presque toujours une compagne encore pire que lui: cest l'envie.[10]
  • La sorella era degna compagna del fratello. Libertina per fantasia, empia per temperamento, ambiziosa per calcolo, Lucrezia bramava piaceri, adulazioni, onori, gemme, oro, stoffe fruscianti e palazzi sontuosi. Spagnola sotto i capelli biondi, cortigiana sotto la sua aria candida, aveva il viso di una madonna di Raffaello e il cuore di una Messalina.[11]
  • Nulla riesce meglio del successo, che è la calamita morale che tutto attira a sé.[12][4]
  • Roma e Venezia si riuniranno all'Italia ma chissà se Napoli non sfuggirà all'Italia. Facile prender Napoli, difficile il conservarla.[13]
  • Tutto il delitto della prima [Eleonora Pimentel Fonseca] fu d'esser una patriotta ardente; d'aver prima d'ogni altro levato il grido di libertà, quando la libertà apparve in Napoli; d'aver fondato il Monitore Napolitano. Questo delitto bastò a mandarla al patibolo, anzi alla forca.
    Per un'oscena cortesia del tribunale verso la plebaglia napolitana, la forca era alta trenta piedi.
    Eleonora Pimentel camminò al supplizio col sorriso sulle labbra; nel lasciar la carcere aveva bevuto una tazza di caffè: nel giunger a piè della forca, le fu chiesto se desiderava qualcosa: avevano l'ordine di accordarle l'ultima sua domanda: speravasi che chiederebbe la vita.
    – Datemi un paio di mutande, disse.
    Lucrezia[14] non avrebbe nulla trovato di meglio.[15]

Ascanio[modifica]

Incipit[modifica]

Alle quattro pomeridiane del 10 luglio dell'anno di grazia 1540, un bel giovane, alto, bruno con grandi occhi neri, vestito con elegante semplicità e armato soltanto d'un pugnaletto dal manico mirabilmente cesellato, stava presso la pila dell'acqua benedetta che è sull'entrata della chiesa dei Grandi Agostini, nel recinto dell'Università di Parigi.
Questo giovane, senza dubbio per pia umiltà, non si era mosso dal suo posto per tutta la durata dei vespri, e a fronte china, in atteggiamento di dovuta contemplazione, aveva mormorato non so quali parole, forse le preghiere, poiché le aveva dette a voce tanto bassa, che soltanto lui e Dio potevano sapere ciò che egli dicesse.

Citazioni[modifica]

  • V'è una sola cosa al mondo eternamente bella, giovane e feconda: l'arte divina. (p. 205)
  • Che cos'è, per lo più, l'amore? Il capriccio d'un giorno, un'allegra unione, mediante la quale due esseri s'ingannano reciprocamente e spesso in buona fede. (p. 205)

I tre moschettieri[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

Le premier lundi du mois d'avril 1626, le bourg de Meung, où naquit l'auteur du Roman de la Rose, semblait être dans une révolution aussi entière que si les huguenots en fussent venus faire une seconde Rochelle. Plusieurs bourgeois, voyant s'enfuir les femmes le long de la grande rue, entendant les enfants crier sur le seuil des portes, se hâtaient d'endosser la cuirasse, et appuyant leur contenance quelque peu incertaine d'un mousquet ou d'une pertuisane, se dirigeaient vers l'hôtellerie du Franc-Meunier, devant laquelle s'empressait, en grossissant de minute en minute, un groupe compacte, bruyant et plein de curiosité.

[Alexandre Dumas, Les Trois Mousquetaires, MM. Dufour et Mulat, Paris, 1849.]

Giuseppe Aventi[modifica]

Il primo lunedì dell'aprile 1625, il borgo di Meung, che diede i natali all'autore del Romanzo della Rosa, era in preda al più grande disordine, come se vi fossero capitati gli Ugonotti a farne una seconda Rochelle. Molti borghesi, nel veder le donne scappare verso la Strada Grande, e nel sentir gli strilli dei bambini sugli usci delle case, si affrettavano a indossare la corazza, e fortificando la loro risolutezza un po' dubbia, con un moschetto o una partigiana, si avviavano alla locanda del Buon Mugnaio, davanti alla quale c'era un gruppo compatto, chiassoso e pieno di curiosità, che ingrossava di momento in momento.

[Alexandre Dumas, I tre moschettieri, traduzione di Giuseppe Aventi, Rizzoli, 2011. ISBN 88-58-61145-6]

Maria Bellonci[modifica]

Il primo lunedì d'aprile del 1625 nella città di Meung (dove nacque l'autore del Roman de la rose), sembrava che fosse scoppiata una violenta rivoluzione come se stessero arrivando gli ugonotti per una seconda La Rochelle. Molti cittadini, vedendo le donne precipitarsi verso la strada principale e sentendo i bambini gridare sulle porte di casa, corsero ad armarsi, e, resi più sicuri dal loro moschetto o dalla loro alabarda, si diressero verso l'osteria del Franc Meunier dove stava ammassandosi, di minuto in minuto più fitta, una folla vociante e curiosa.

[Alexandre Dumas, I tre moschettieri, traduzione di Maria Bellonci, Giunti, 2010. ISBN 9788809753570]

Antonio Beltramelli[modifica]

Il primo lunedì del mese d'aprile del 1625, il borgo di Meung, dove nacque l'autore del Romanzo della Rosa, sembrava essere in piena rivoluzione, come se gli ugonotti fossero venuti a fare una seconda Rochelle. Parecchi abitanti, vedendo le donne fuggire verso la Grande-Rue e sentendo i bimbi strillare sulle soglie, si affrettarono a indossare la corazza e, puntellando il loro contegno un po' incerto con un moschetto o una partigiana, si diressero verso la locanda del Franc Meunier, davanti alla quale si accalcava, ingrossando di minuto in minuto, un gruppo di persone compatto, rumoroso e molto incuriosito.

[Alexandre Dumas, I tre moschettieri, traduzione di Antonio Beltramelli revisionata da Stefano Mazzurana, Mondadori, 2016. ISBN 9788852077920]

Angiolo Orvieto[modifica]

Il primo lunedì del mese d'aprile 1625 il borgo di Méung ove nacque l'autore del Romanzo della Rosa, sembrava esser in una così completa rivoluzione, come se gli ugonotti vi fossero venuti a fare una seconda Rochelle. Molti borghigiani vedendo correre le donne lungo la strada maestra, sentendo i fanciulli gridare sul limitare delle porte, si sollecitavano ad indossare la corazza, equilibrando il loro portamento alquanto incerto col mezzo di un moschetto o di una partigiana, o dirigendosi verso l'osteria del Franc-Meunier, davanti alla quale si affrettava ed ingrossava di minuto in minuto, un gruppo compatto, rumoroso e pieno di curiosità.

[Alessandro Dumas, I tre moschettieri, traduzione di Angiolo Orvieto, G. Rondinella Editore, 1853]

Guido Paduano[modifica]

Il primo lunedì d'aprile del 1625 la cittadina di Meung, dove nacque l'autore del Roman de la Rose, sembrava completamente sconvolta, come se gli ugonotti fossero venuti a farne una seconda Rochelle. Molti borghesi, vedendo fuggire le donne dalla parte della Grande-Rue e sentendo piangere i bambini sulle porte, si affrettarono a indossare la corazza e, rafforzando il loro contegno un po' incerto con un moschetto o una partigiana, si diressero verso la locanda del Franc Meunier, davanti alla quale si accalcava, ingrossandosi di minuto in minuto, una folla compatta, rumorosa e curiosa.

C. Siniscalchi[modifica]

Il primo lunedì d'aprile del 1625 il borgo di Meung sembrava in aperta rivoluzione come se gli Ugonotti, vi fossero venuti a formare una seconda Rocella. Diversi borghesi, vedendo le donne fuggire lungo la strada maestra, sentendo i fanciulli gridare sulla soglia delle porte, si affrettavano ad indossare la corazza, ed animando il loro coraggio, sebbene poco marziale con un moschetto od una partigiana, correvano tutti verso l'albergo del Franc-Meunier, dinanzi al quale si stipava un gruppo compatto, clamoroso e pieno di curiosità.

[Alessandro Dumas, I tre moschettieri, traduzione di C. Siniscalchi, Tipografia editoriale Lucchi, Milano, 1975]

Citazioni[modifica]

  • [Sul XVII secolo] [...] quell'epoca di libertà minima e d'indipendenza massima [...]. (cap. II, L'anticamera del signor de Tréville; 2013)
  • Quest'altro moschettiere formava un perfetto contrasto con colui che lo interrogava e che gli aveva dato il nome di Aramis. Era un giovane di ventidue o ventitré anni appena, dall'espressione candida e dolce, dall'occhio nero e mite e dalle gote rosee e vellutate come una pesca d'autunno; i suoi baffi sottili disegnavano sul labbro superiore una linea perfettamente diritta, le sue mani pareva evitassero di abbassarsi per timore di fare un po' gonfie le vene, e di tanto in tanto lo si vedeva pizzicarsi l'orlo delle orecchie, per mantenerle di un incarnato tenero e trasparente. Per abitudine, egli parlava poco e con lentezza, salutava molto, rideva senza far strepito e mostrando i denti, di cui pareva avere molta cura come il resto della persona. (cap. II, L'anticamera del signor Tréville)
  • Il coraggio è sempre rispettato, anche in un nemico. (cap. V, I moschettieri del re e e le guardie del cardinale; 2013)
  • [...] tutti per uno e uno per tutti [...]. [motto] (D'Artagnan: cap. IX, D'Artagnan si rivela; 2013)
  • – Non avete qualche amico con l'orologio che va indietro?
    – E allora?
    – Allora andate a trovarlo, in modo che possa testimoniare che alle nove e mezza eravate da lui. È quello che in linguaggio giudiziario si chiama avere un alibi. (cap. X, Una trappola per topi nel secolo diciassettesimo; 2013)
  • L'amore è la più egoista di tutte le passioni. (cap. XI, L'intrigo si complica; 2013)
  • [...] quella brutalità ingenua che le donne preferiscono spesso all'affettazione della cortesia, perché scopre il fondo del pensiero e prova che il sentimento ha la meglio sulla ragione. (cap. XI, L'intrigo si complica; 2013)
  • [...] ciò che è perduto oggi può non essere perduto per l'avvenire. (Signora Bonacieux: cap. XI, L'intrigo si complica; 2013)
  • — Milord, — esclamò la regina — voi dimenticate che io non ho mai detto di amarvi.
    — Ma nemmeno mi avete detto che non mi amavate, e veramente dirmi tali parole sarebbe, da parte della Maestà Vostra, un'ingratitudine troppo grande. Poiché, dove troverete, ditemi, un amore simile al mio, un amore che né il tempo, né la lontananza, né la disperazione possono spegnere; un amore che si accontenta di un nastro smarrito, di uno sguardo perduto, di una parola sfuggita? (Buckingham: cap. XII)
  • In piedi davanti al caminetto, c'era un uomo di media statura, di aspetto nobile e altero, con gli occhi penetranti, la fronte ampia, un volto smagrito e ancor più allungato dal pizzo e dai baffi. Benché quell'uomo avesse trentasei o trentasette anni appena, capelli, baffi e pizzo cominciavano a farsi grigi. Quell'uomo non aveva spada, ma sembrava, in tutto il resto, un uomo di guerra: i suoi stivali di pelle di bufalo leggermente coperti di polvere indicavano che nella giornata era stato a cavallo. Quell'uomo era Armand Jean Duplessis, cardinale di Richelieu, non quale viene di solito rappresentato a noi, affranto come un vecchio, sofferente come un martire, il corpo piegato, la voce spenta, sepolto in una grande poltrona come in una tomba anticipata, vivo solo per il suo genio e capace ancora di sostenere la lotta con l'Europa soltanto per la forza del suo pensiero, diuturnamente applicato, ma quale egli era realmente in quel tempo, vale a dire destro e galante cavaliere, già debole nel corpo, ma sostenuto da quella potenza morale che ha fatto di lui uno degli uomini più straordinari che siano mai esistiti; quale egli era in quel tempo in cui si preparava, dopo aver validamente appoggiato il duca di Nevers nel ducato di Mantova, dopo aver preso Nimes, Castres e Uzès, a cacciare gli inglesi dall'isola di Ré, e ad assediare la Rochelle. (cap. XIV, L'uomo di Meung)
  • D'Artagnan non poté fare a meno di pensare quanto fragili e sconosciuti siano i fili che talora regolano i destini di un popolo e la vita degli uomini. [Dopo che il Duca di Buckingham decide di stabilire l'embargo e dichiarare guerra alla Francia soltanto per una questione d'amore] (cap. XXI, La contessa di Winter)
  • — Noialtri diciamo: fiero come uno scozzese, — mormorò Buckingham.
    — E Noi. fiero come un guascone, — disse di rimando D'Artagnan. — I guasconi sono gli scozzesi della Francia. (cap. XXI, La contessa di Winter)
  • C'è un Dio per gli ubriachi e gli innamorati. (cap. XXIII, L'appuntamento; 2013)
  • In tutti i casi, ragazzo mio, credete a un uomo che vive da trent'anni alla corte: non vi addormentate nella vostra sicurezza, o siete perduto. Al contrario, ve lo dico io, dovete vedere nemici dappertutto. Se cercano di attaccare briga con voi, evitatelo, fosse anche un bambino di dieci anni; se vi attaccano, di notte o di giorno, battete in ritirata senza vergogna; se attraversate un ponte, tastate le assi, che non vi manchino sotto i piedi; se passate davanti a una casa in costruzione, guardate bene che non vi cada una pietra sulla testa; se rientrate tardi, fatevi seguire dal vostro domestico, e che sia armato, purché siate sicuro del vostro domestico. Diffidate di tutti, del vostro amico, di vostro fratello, della vostra amante... soprattutto della vostra amante. (Signor de Tréville: cap. XXIII, L'appuntamento; 2013)
  • Un mariuolo non ride alla stessa maniera di un uomo onesto, un ipocrita non piange le stesse lacrime di un uomo in buona fede. Ogni falsità è una maschera, e per bene che sia fatta la maschera, con un po' d'attenzione si arriva sempre a distinguerla dal viso. (cap. XXV, L'amante di Porthos; 2013)
  • [...] non c'è amicizia che resista a un segreto scoperto, soprattutto quando questo segreto tocca l'amor proprio; inoltre si ha sempre una certa superiorità morale sulle persone di cui si conosce la vita. (cap. XXVI, La tesi di Aramis; 2013)
  • [...] nascondete bene le vostre ferite quando ne avrete. Il silenzio è l'ultima gioia degli infelici; guardatevi bene dal mettere chicchessia sulla traccia dei vostri dolori: i curiosi succhiano le nostre lacrime come le mosche il sangue d'un daino ferito. (Aramis: cap. XXVI, La tesi di Aramis; 2013)
  • Niente fa passare il tempo e abbrevia la strada come un pensiero che assorbe su di sé tutte le facoltà di chi pensa. L'esistenza esterna assomiglia allora a un sonno, di cui quel pensiero è il sogno. Grazie al suo influsso, il tempo non ha più misura, lo spazio non ha più distanza. Si parte da un luogo e si arriva a un altro, ecco tutto. Dell'intervallo percorso, non resta presente al vostro ricordo che una vaga foschia in cui svaniscono mille immagini confuse di alberi, montagne, paesaggi. (cap. XXVI, La tesi di Aramis; 2013)
  • [...] l'amore è una lotteria dove chi vince vince la morte. (Athos: cap. XXVII, La moglie di Athos; 2013)
  • La vita stessa si può riassumere in tre parole: erat, est, fuit. (Aramis: cap. XXVIII, Il ritorno; 2013)
  • [...] in tutte le cose il merito sta nella difficoltà. (Aramis: cap. XXVIII, Il ritorno; 2013)
  • [...] si domandano consigli solo per non seguirli, o, se li si segue, per avere qualcuno a cui si possa rimproverare di averli dati. (Athos: cap. XXXIV, Dove si tratta dell'equipaggiamento di Aramis e di Porthos; 2013)
  • Il cuore della donna migliore è spietato verso i dolori d'una rivale. (cap. XXXV, La notte tutti i gatti sono bigi; 2013)
  • Milady sorrise di un sorriso strano.
    — Così, voi mi amate? — disse.
    — Ho forse bisogno di dirvelo? Non ve ne siete accorta?
    — Oh, sì, ma come sapete, i cuori più fieri sono più difficili da conquistare.
    — Oh, le difficoltà non mi sgomentano — disse d'Artagnan; — temo solo le cose impossibili.
    — Non c'è nulla di impossibile, — disse Milady — per un vero amore. (cap. XXXVI, Sogno di vendetta)
  • [...] dietro a ogni felicità presente è nascosto un timore futuro. (cap. XXXIX, Una visione; 2013)
  • Nessuna speranza è folle, tranne che per gli sciocchi [...]. (Richelieu: cap. XL, Il cardinale; 2013)
  • Il tempo, amico mio, il tempo porta con sé l'occasione, e l'occasione è la martingala[16] dell'uomo: più ha scommesso e più guadagna, se sa aspettare. (Athos: cap. XLII, Il vino d'Angiò; 2013)
  • In tutti i tempi e tutti i paesi, soprattutto se sono divisi in materia di religione, ci saranno fanatici che non chiedono di meglio che diventare martiri. (Richelieu: cap. XLIV, L'utilità dei tubi di stufa; 2013)
  • – Allora, – disse d'Artagnan, lasciando cadere le braccia con scoraggiamento, – è inutile lottare ancora: tanto vale che mi bruci le cervella e facciamola finita!
    – Questa è l'ultima sciocchezza da fare, – disse Athos, – perché è la sola cui non c'è rimedio. (cap. XLVII, Il consiglio dei moschettieri; 2013)
  • [...] ci prendono per pazzi o per eroi, due categorie di imbecilli molto simili tra loro. (Athos: cap. XLVII, Il consiglio dei moschettieri; 2013)
  • [...] bisogna puntare sui difetti delle persone, non sulle loro virtù. (Athos: cap. XLVIII, Una questione di famiglia)
  • Beneficio rinfacciato, offesa arrecata. (Athos: cap. XLVIII, Una questione di famiglia)
  • La vita è un rosario di piccole miserie che il filosofo sgrana ridendo. (Athos: cap. XLVIII, Una questione di famiglia; 2013)
  • L'amore è un sentimento che si nutre di agi e ingigantisce attraverso la corruzione. (cap. LVI)
  • I grandi criminali portano con sé una specie di predestinazione che fa loro superare tutti gli ostacoli, li salva da tutti i pericoli, fino al momento che la Provvidenza, stanca, ha fissato come scoglio per la loro empia fortuna. (cap. LIX, Il convento delle Carmelitane a Béthune; 2013)
  • [...] non conosco nessun uomo che meriti di essere rimpianto durante tutta la vita di un altro uomo [...]. (Buckingham: cap. LIX, Il convento delle Carmelitane a Béthune; 2013)

Citazioni su I tre moschettieri[modifica]

  • Da mia parte, non provo il rossore di cui altri sentirebbe inondato il volto nel dire che mi piacciono e giudico condotti con grande brio e spigliatezza i Trois mousquetaires di Alessandro Dumas padre. Ancora molti li leggono e li godono senza nessun'offesa della poesia, ma nascondono in seno il loro compiacimento come si fa per gli illeciti diletti; ed è bene incoraggiarli a deporre la falsa vergogna e il congiunto imbarazzo. (Benedetto Croce)
  • I tre moschettieri è in verità la storia del quarto. (Umberto Eco)
  • Il romanzo I tre moschettieri è una serie ininterrotta di vendette, dal principio alla fine. C'è una vendetta ad ogni pagina. Ogni tanto, una esaltazione tutta esplicita della vendetta, definita qualche volta come "le plaisir des dieux", il piacere degli Dei. (Beniamino Placido)
  • In questa favola, Alessandro Dumas sfoggia non poche qualità del grande scrittore: e non delle secondarie. In primo luogo una sovrana impudenza; un insieme di complicità ed oltraggio nei confronti del lettore; nessun patetismo, neppure quando ricorre a situazioni obiettivamente patetiche: giacché nelle sue mani anche la morte dell'innocente si fa avventura, è «divertente». E ancora, il gusto del gioco, della mistificazione; l'onesta carenza morale, che ci rassicura che nei labirinti di questa deliziosa macchinazione non si nasconde la pia frode di un messaggio; una nobile guitteria, che gli detta la mossa esatta per scatenare la saggiamente consenziente credulità del pubblico, e che insieme proibisce qualsiasi identificazione emotiva: il lettore è tenuto a bada nel momento stesso in cui è affascinato; è e deve restare spettatore. (Giorgio Manganelli)

Pietro Citati[modifica]

  • Il personaggio di d'Artagnan è uno dei più straordinari ritratti simbolici della prima parte del secolo. Athos è degno di Dostoevskij. Milady è una bellissima creatura del male. E quella leggerezza, che ci trascina di pagina in pagina, non nasce soltanto da una natura felice, ma da una squisita arte intellettuale.
  • Non credete ai denigratori. I tre moschettieri emana un vero profumo storico: non meno di Guerra e Pace; un profumo che Dumas ricava con astuzia e grazia dalle memorie, dalle lettere e dai romanzi del primo Seicento.
  • Come in una cavalcata fantastica, tutta la geografia, la storia e la letteratura della Francia, sfilano davanti ai nostri occhi. Conosciamo i guasconi, i piccardi, i normanni, gli abitanti del Berry, e il loro dialetto, che il colto Aramis si rifiuta di capire; e quanti paesi e chiese e osterie sorvolate dal vento dell'avventura. C'è Parigi, avvolta da una nebbia cupa. I moschettieri bevono generosamente, attaccano briga, pagano malvolentieri i conti degli osti, come gli eroi di Rabelais e di Scarron. Il borghese gentiluomo, L'Avaro e Il Barbiere di Siviglia ci fanno conoscere i loro lacchè e le loro soubrettes, che danzano ancora per noi. Abbiamo mercanti e avvocati, avidi e sordidi come nel Romanzo borghese di Furetière. Aramis ci ricorda la mondanità preziosa degli abati. Gli epigrammi della tradizione moralistica francese brillano alla fine di ogni capitolo. Poi il tempo cambia. Entriamo nella Parigi del primo Ottocento, nei teatri e nei piccoli giornali. C'è qualche traccia della sapienza filosofica e fisionomica di Balzac. E il giovane d'Artagnan, che a diciott'anni arriva dalla Guascogna per far fortuna, l'abbiamo già incontrato nelle vesti di Gil Blas e di Jacob: l'abbiamo ritrovato in quelle di Lucien de Rubempré e di Julien Sorel, che come lui cercano di conquistare la Francia.
  • Non so se Dumas avesse letto Baltasar Gracián: una parte dei Tre moschettieri ha un sapore che ci ricorda, sebbene mescolato e manipolato dall'"abile irrigatore", le massime del gesuita spagnolo. Il Seicento si incarna nella figura del cardinale di Richelieu, per il quale Dumas ha una vera passione. Richelieu è la rapidità e l'astuzia, che solo d'Artagnan sa fronteggiare. Rappresenta gli Arcana imperii: il segreto profondissimo del potere e la macchinazione; l'arte di spiare e di ascoltare i segreti.
  • Ormai è tempo di riprendere in mano I tre moschettieri. Non possiamo fermarci: gli oggetti non ci arrestano con il loro volume, e i personaggi sembrano (e non sono) formati di una sola dimensione. Tutto quello che, nella vita, ci sbarra il passo, viene trascinato dal volo velocissimo della fantasia. Il cavallo di d'Artagnan corre verso l'Inghilterra più rapido del nostro occhio che legge, le navi attraversano in un baleno i mari, Milady ripete le sue affascinanti menzogne, un'occhiata fa scoccare all'improvviso un amore... La leggerezza trionfa sul peso: la frivolezza sul significato, l'immaginazione sull'esperienza. Mentre leggiamo, rimbalzando di fatto in fatto, anche noi senza peso, tutto ci accade: siamo d'Artagnan e Richelieu, Buckingham e Athos, l'uomo dal mantello rosso e Milady, eppure nulla ci tocca e ci ferisce. Veloci come il vento, indenni e inconsapevoli come l'aria, attraversiamo senza conoscerle tutte le esperienze del mondo.

Il conte di Montecristo[modifica]

Incipit[modifica]

Giovanni Ferrero[modifica]

Il 24 febbraio 1815 la vedetta di Nostra Signora della Guardia segnalò il tre-alberi Pharaon che arrivava da Smirne, via Trieste e Napoli.
Come al solito, un pilota costiero partì immediatamente dal porto, costeggiò il castello d'If e raggiunse la nave tra il Capo Morgiou e l'isola di Rion. E tosto, come al solito, il belvedere del forte Saint-Jean si riempì di curiosi poiché a Marsiglia l'arrivo di un bastimento, soprattutto se è stato costruito, attrezzato e stivato nei cantieri della vecchia Fhochée e appartiene a un armatore della città, è sempre un grande avvenimento.
[Alessandro Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Giovanni Ferrero, Fabbri Editori, 2001]

Emilio Franceschini[modifica]

Il 24 febbraio 1815 la vedetta della Madonna della Guardia dette il segnale della nave a tre-alberi il Faraone, che veniva da Smirne, Trieste e Napoli.
Com'è d'uso, un pilota costiere [sic] partì subito dal porto, passò vicino al Castello d'If e salì a bordo del naviglio fra il capo di Morgiou e l'isola di Rion.
Contemporaneamente com'è egualmente d'uso, la piattaforma del forte San Giovanni si ricoprì di curiosi; poiché è sempre un avvenimento di grande interesse a Marsiglia l'arrivo di qualche bastimento, in particolare poi quando questo legno, come il Faraone, si sapeva costrutto, arredato e stivato nei cantieri della vecchia Phocée e appartenente ad un armatore della città.
[Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Emilio Franceschini, RCS Libri, 1998]

Citazioni[modifica]

  • I rossi sono buoni del tutto, o del tutto cattivi.
  • Gli uomini veramente generosi sono sempre pronti a diventare misericordiosi, quando la disgrazia del nemico oltrepassa i limiti della loro collera.
  • Non sarei artista se non mi restasse qualche illusione.
  • Siate in guardia: un consiglio è peggio d'un favore.
  • A chi vuol male accade male.
  • E' degli spiriti deboli vedere tutte le cose attraverso un velo nero.
  • Un uomo dell'indole del Conte non poteva fluttuare lungamente in quella malinconia che può far vivere gli spiriti volgari dando loro un'apparente originalità, ma che uccide le anime elevate.
  • "Morituri te salutant" (cit.)
  • [...] le invenzioni umane progrediscono dal composto al semplice, e il semplice è sempre la perfezione. (Dantès: Rizzoli)
  • Gli uomini veramente generosi sono sempre pronti a diventare misericordiosi quando la disgrazia del loro nemico oltrepassa la loro collera.
  • Negli affari non ci sono amici, solo soci.
  • Vi capisco, Fernand; voi vi battereste con lui perché io non vi amo; voi incrocereste il vostro coltello catalano con il suo pugnale. Ma a che servirebbe? A perdere la mia amicizia se rimaneste vinto, a veder cambiarsi in odio la mia amicizia se vincitore. Credetemi, il muovere contesa a un uomo è un cattivo mezzo per piacere alla donna che ama quest'uomo. No, Fernand, non vi lascerete trasportare da così cattivi pensieri; se non mi potete avere in moglie, accontentatevi di avermi come amica e sorella.
  • Il commissario di polizia batté col martello tre colpi. La porta si aprì, i due gendarmi spinsero il prigioniero che esitava; Dantès oltrepassò il limitare terribile, e la porta si richiuse subito con fracasso dietro a lui. Egli respirava un'altra aria, un'aria mefitica e pesante; era l'aria della prigione. (cap. 8)
  • Se qualcuno avesse fatto morire fra le torture inaudite, in mezzo a tormenti senza fine, vostro padre, vostra madre, la vostra donna, uno di questi esseri, insomma che quando vengono rapiti al nostro cuore lasciano un vuoto eterno e una piaga sempre sanguinosa, vi parrebbe sufficiente la riparazione accordatavi dalla società, sareste soddisfatti solo perché il ferro della ghigliottina è passato fra la base dell'occipite e i muscoli delle spalle dell'uccisore, e perché chi vi ha fatto patire anni di morali sofferente ha provato qualche secondo di dolore fisico?
  • Io sono uno di questi esseri eccezionali; sì, monsieur, lo credo; fino a oggi nessun uomo si è trovato in circostanze simili alle mie. I regni dei monarchi sono circoscritti da montagne, da fiumi, da cambiamenti di costumi o di lingua. Il mio regno, invece, è grande come l'universo perché non sono né italiano, né francese, né indiano, né americano, né spagnolo: io sono cosmopolita. Nessun paese può dire di avermi visto nascere; Dio solo sa quale terra mi vedrà morire. Io adotto tutti gli usi, parlo tutte le lingue. Voi mi credete francese, non è vero? Perché parlo il francese con la stessa facilità e purezza di voi. Ebbene! Alì, il mio moro, mi crede arabo; Bertuccio, il mio intendente, mi crede romano; Haydée, la mia schiava, mi crede greco. Dunque capirete che, non essendo di alcun paese, non chiedo protezione ad alcun governo; non riconoscendo alcun uomo per mio fratello, non può arrestarmi né paralizzarmi alcuna sorta di scrupoli che arrestano i potenti o di ostacoli che paralizzano i deboli. Io non ho che due avversari, non dirò due vincitori, perché li sottometto con la tenacia: la distanza e il tempo.
  • Questa specie di confettura verde è l'ambrosia che Ebe serviva alla tavola di Giove. [...] Siete un uomo positivo, e l'oro è il vostro idolo? Gustate di questa, e le miniere del Perù, di Gizerate e di Golgonda vi saranno aperte. Siete un uomo di immaginazione? Siete poeta? Gustate di questa, e le barriere del possibile spariranno; vi si apriranno i campi dell'infinito, e passeggerete libero di cuore, di spirito nei domini senza confine dell'ideale. Siete ambizioso? Correte dietro le grandezze della terra? Gustate di questa, e dopo un'ora sarete idealmente, non re di un piccolo regno nascosto in un angolo d'Europa, come la Francia, la Spagna o l'Inghilterra, ma sarete il Re del mondo. Il vostro trono sarà eretto sopra le montagne di Satanasso, e senza aver bisogno di fargli omaggio, senza essere costretto a baciarne gli artigli, sarete il sovrano, padrone di tutti i regni della terra. [...] Una certa erba che li trasportava nell'Eden, in mezzo a piante sempre fiorite, a frutti sempre maturi. [...] Questo è hashish, tutto ciò che si fa di meglio e di più puro in hashish ad Alessandria, l'hashish d'Abou Gor, il gran confetturiere, l'uomo al quale si dovrebbe fabbricare un palazzo con questa iscrizione:
    AL MERCANTE DELLA FELICITÀ, IL MONDO RICONOSCENTE. (cap. 31, p. 235)
  • – Mercedes! – ripeté Montecristo. – Mercedes! Ebbene sì, avete ragione, mi è ancora dolce pronunciare questo nome… È la prima volta, dopo lunghi anni, che risuona così chiaro sulle mie labbra. Ah, Mercedes! Il vostro nome l'ho pronunciato con i sospiri della malinconia, con i gemiti del dolore, col la rabbia della disperazione; l'ho pronunciato gelido per il freddo, rattrappito sulla paglia della mia prigione; l'ho pronunciato divorato dal caldo; l'ho pronunciato rotolandomi sul pavimento del mio carcere. Mercedes, bisogna che mi vendichi perché ho sofferto per quattordici anni, ho pianto, ho maledetto. Ve lo ripeto Mercedes, bisogna che mi vendichi! E il conte di Montecristo, temendo di cedere alle lacrime di colei che aveva amato tanto, chiamava in aiuto del suo odio il passato.
  • – Pazzo che fui – disse egli – A non strapparmi il cuore il giorno in cui giurai di vendicarmi! (Edmondo Dantès)
  • Che cosa è la morte per me? Un grado di più nella calma, e forse due nel silenzio. (Edmondo Dantès)
  • Soltanto colui che provò le più grandi sventure è atto a godere le più grandi felicità. Vivete dunque e siate felici, figli diletti del mio cuore, e non dimenticate mai che, fino al giorno in cui Dio si degnerà di svelare all'uomo i segreti dell'avvenire, tutta la più alta sapienza d'un uomo consisterà in queste due parole: "Attendere e sperare". Il vostro amico. (Edmondo Dantès – Conte di Montecristo)
  • «Non c'è alcuna speranza», rispose Faria, scuotendo la testa, «ma non importa. Dio vuole che l'uomo da lui creato e nel cuore del quale ha profondamente scolpito l'amore della vita, faccia tutto ciò che può per conservare questa esistenza, spesso penosa, ma sempre cara.» (pg. 211)
  • Certamente, quantunque meno espansiva, la gioia di Montecristo non era meno grande: la gioia, per i cuori che hanno lungamente sofferto, è simile alla rugiada, cuore e terra assorbono la pioggia benefica, e niente appare al di fuori. (cap. XCI, Suicidio; 2010, p. 743)
  • Ci vuole la sciagura per scavare certe miniere misteriose nascoste nell'intelligenza umana; ci vuole la pressione per far esplodere la polvere. Con la prigionia tutte le facoltà che fluttuavano qua e là si sono adunate in un sol punto, hanno colliso in uno spazio angusto, e voi lo sapete, dal cozzo delle nubi si genera l'elettricità, dall'elettricità la folgore, dalla folgore la luce. (Faria; Donzelli, p. 132)
  • La filosofia non si apprende; la filosofia è l'incontro tra le scienze acquisite e il genio che le applica. (Faria; Donzelli, p. 139)
  • [Il] grande lago che chiamano il Mediterraneo [...]. (XXII; Donzelli, p. 177)
  • «Ah, il duello!», esclamò il conte. «Sull'anima mia, risibile modo di raggiungere il proprio scopo, quando lo scopo è la vendetta! Un uomo vi ha rubato la vostra amante, un uomo ha sedotto vostra moglie, un uomo ha disonorato vostra figlia. Di una vita intera, che aveva il diritto di aspettarsi la parte di felicità che Iddio ha promesso a ogni essere umano nel crearlo, egli ha fatto un'esistenza di dolore, di miseria o d'infamia, e voi vi ritenete vendicato perché a quest'uomo, che vi ha gettato il delirio nella mente e la disperazione nel cuore, voi avete sferrato un fendente in petto o piazzato una pallottola in capo? Suvvia, dunque! Senza contare che spesso è costui a uscire trionfante dalla tenzone, mondato agli occhi del mondo e in qualche modo assolto da Dio. No, no – rincarò il conte – se mai dovessi vendicarmi, non è in questo modo che mi vendicherei». (Donzelli, p. 323)
  • Forse quel che sto per dire sembrerà bizzarro a lor signori socialisti, progressisti, umanitari, ma io non mi curo mai del prossimo, ma io non tento mai di tutelare la società che non mi tutela e, dirò di più, che in generale di me non si cura se non per nuocermi. (Il conte di Montecristo; LV; Donzelli, pp. 388-89)

Citazioni su Il conte di Montecristo[modifica]

  • È forse il piú «oppiaceo» dei romanzi popolari: quale uomo del popolo non crede di aver subito un'ingiustizia dai potenti e non fantastica sulla «punizione» da infliggere loro? Edmondo Dantès gli offre il modello, lo «ubbriaca» di esaltazione, sostituisce il credo di una giustizia trascendente in cui non crede più «sistematicamente». (Antonio Gramsci)
  • È il romanzo di una vendetta, ma è anche una descrizione impareggiabile del gran mondo parigino. Tutti i suoi nemici hanno fatto carriera, ma Dantès con ogni genere di astuzia riesce a stroncarli uno per uno. Tutti lo ammirano, tutti lo invitano, neppure la sua ex fidanzata, che ha sposato un alto funzionario, lo riconosce. Quando si deciderà a parlare?, ci chiediamo col fiato sospeso.
    Siamo ben lontani da I tre moschettieri, libro di cappa e spada più celebre e molto più sempliciotto. È Montecristo il vero eroe romantico creato dallo straripante Dumas. È a lui (se ci fosse una giustizia letteraria suprema) che andrebbe appesa la fama di Alexandre Dumas. (Carlo Fruttero)
  • Forse Edmond Dantès si sbagliava, e l'unica soluzione era non fidarsi e non sperare. (Arturo Pérez-Reverte)
  • Il Conte di Monte-Cristo è una sterminata hilarotragedia, dove il riso e il delitto, il gioco e il Male Assoluto si sfiorano e si intrecciano. Il lieve tocco ironico, lo spirito settecentesco, l'allegretto sono presenti in ogni capitolo. (Pietro Citati)
  • – "Il conte di Montecrisco".
    – "Montecristo", deficiente.
    – Di Alessandro... Dum-azz... Due mazzi...
    – È francese. Sì, si legge Dumas. Lo sai di che parla? Ti piacerebbe, parla di un'evasione.
    – Allora va messo nel settore didattico. O sbaglio? (Le ali della libertà)
  • La prima parte di Montecristo, fino alla scoperta del tesoro, è un pezzo perfetto di racconto a effetto; non c'è mai stato un uomo che abbia partecipato a queste commoventi avventure senza un fremito, eppure Faria è un personaggio di cartapesta e Dantès poco più di un nome. Il seguito non è che il dilungarsi di un errore, cupo, sanguinoso, innaturale e stupido; ma quanto a questi primi capitoli, non credo esista un altro volume nel quale si possa respirare la stessa inconfondibile atmosfera di romanzo. (Robert Louis Stevenson)
  • L'architettura del Conte di Monte-Cristo possiede una meravigliosa precisione ed esattezza. Non saprei dire se il libro sia composto di romanzi diversi, che la facoltà affabulatrice di Dumas fa coabitare: o se moltissimi fili narrativi procedano gli uni accanto agli altri, fino a riunirsi ed esplodere in spettacolosi colpi di scena. Dovunque regna l'enigma: la soluzione dell'enigma viene sospesa e rinviata; ora una pagina ci suggerisce cosa accadrà, ora una voce sotterranea ci fa capire che avverranno cose completamente diverse. Il racconto corre veloce, trascina gli ostacoli, attraversa i tempi e gli spazi, copre immense tele scriveva Sainte-Beuve – «senza stancare mai il pennello di Dumas né il suo lettore». (Pietro Citati)

Il visconte di Bragelonne[modifica]

Incipit[modifica]

Era circa la metà di maggio dell'anno 1660, alle nove del mattino, quando una piccola cavalcata composta di tre uomini e due paggi, attraverso il ponte della città di Blois, senza fare altra impressione sopra coloro che passeggiavano sulla riva che un primo moto della mano per salutare, ed un altro della lingua per esprimere la seguente idea "Ecco Monsignore che ritorna dalla caccia". Un altro. Però mentre i cavalli salivano l'erta che dal fiume conduce al castello, molti garzoni di bottega si avvicinarono all'ultimo cavallo che portava appesi all'arcione della sella vari uccelli legati per il becco.
A quella vista i curiosi manifestarono con una franchezza affatto zotica il loro disprezzo per una preda così magra, e dopo una discussione sullo svantaggio della caccia al volo, ritornarono tutti alle loro occupazioni.
Monsignore montava un piccolo cavallo di bel portamento, con una larga sella di velluto rosso di Fiandra. Il cavallo era di color fulvo; la giubba di Monsignore era di color chermisi e soltanto dall'insieme di quel rossastro si poteva distinguere il principe tra i suoi due compagni, l'uno vestito di violetto, l'altro di verde. Quello a sinistra, vestito di violetto, era lo scudiero; quello a dritta, vestito di verde, era il cacciatore.
Uno dei paggi portava sopra un bastone due girifalchi, l'altro un corno da caccia nel quale soffiò a venti passi dal castello.
A quel segnale, otto guardie che passeggiavano al sole nella corte quadrata corsero a prendere le alabarde, e Monsignore fece il suo solenne ingresso nel castello.
Le otto guardie, le quali sapevano che il loro servizio era terminato per tutto il resto della giornata, si coricarono al sole, sopra le panchette di pietra; i palafrenieri scomparvero coi cavalli nelle scuderie, e, meno alcuni uccelli che si spaventavano a vicenda con acute strida tra i ciuffi di viole, si sarebbe detto che tutti dormissero.
A un tratto, in mezzo a quel dolce silenzio.

Citazioni[modifica]

  • Planchet aprì la finestra, come gli era stato prescritto, e la ventata di tumulto che s'ingolfò nella stanza, grida, stridor di ruote, abbaiamenti e passi, assordò anche d'Artagnan, come aveva desiderato.
    Bevve, allora, un bicchiere di vino bianco, e incominciò in questi termini:
    "Planchet, ho un'idea".
    "Ah, signore, come vi riconosco!", rispose il droghiere, ansante d'emozione.
  • "D'Artagran, D'Artagnan!", fece Athos, posando la mano sulla spalla del moschettiere, "voi non siete equo."
    "Ne ho il diritto."
    "No, perché non conoscete l'avvenire."
  • "Continuo", disse Luigi XIV. "È vero anche che un uomo solo abbia potuto penetrare fino a Monck, nel suo accampamento, e l'abbia portato via?"
    "Quell'uomo aveva dieci ausiliari presi tra gente inferiore"
    "Nessun altro?"
    "Nessuno."
    "E si chiama?"
    "Il signor d'Artagnan, ex luogotenente dei moschettieri di Vostra Maestà"
    Anna d'Austria arrossì, Mazzarino diventò giallo di vergogna, Luigi XIV si fece cupo e una goccia di sudore cadde dalla sua fronte pallida.
    "Che uomini!", mormorò.
  • Destinato a tutta prima al commercio, Colbert era stato commesso presso un mercante di Lione, che aveva poi lasciato per recarsi a Parigi nello studio di un procuratore allo Chatelet, chiamato Biterne. In tal modo, aveva appreso l'arte di preparare un bilancio e l'arte più preziosa d'imbrogliarlo.
  • Allora, per finirla con quello sguardo da inquisitore che bisogna far abbassare ad ogni costo, come ad ogni costo un generale riduce al silenzio una batteria che lo disturba, Aramis stende la sua bella mano bianca, nella quale riluce l'ametista dell'anello pastorale, fende l'aria col segno della croce e fulmina i sui due amici con la sua benedizione.
    Forse, distratto dai propri pensieri, empio a sua insaputa, d'Artagnan non si sarebbe affatto inchinato a quella santa benedizione; ma Porthos s'è accorto della distrazione dell'amico, e, appoggiando affettuosamente la sua mano sulla schiena del moschettiere, lo schiaccia verso terra.
    D'Artagnan si piegò: ci volle poco che non cadesse bocconi. Intanto Aramis è passato. D'Artagnan, come Anteo, non ha fatto che toccare la terra, e si rivolge verso Porthos pronto a litigare.
  • "Buongiorno, signor d'Artagnan. Parlavamo di Belle-Isle sul Mare", disse Fouquet con quell'arte del mondo e quella scienza dello sguardo che richiedono metà della vita per impararle bene, e a cui certa gente, nonostante tutto il suo studio, non arriva mai.
  • Aramis, l'abbiamo detto, era ancora alzato. Comodamente avvolto in una veste da camera di velluto, scriveva lettere su lettere, con quella scrittura così fine e così densa che d'una pagina fa un quarto di volume.
  • Monsieur era troppo gran signore per notare un tal particolare. Non c'è nulla d'efficace come l'idea ben stabilita della propria superiorità per assicurare l'inferiorità dell'uomo che ha una tale opinione di sé.
  • "Lo so, e ho agito di conseguenza: niente spazio, niente comunicazioni, niente donne, niente gioco, ma, adesso, è d'un patetico che non vi so dire", aggiunse Aramis con uno di quei sorrisi che appartenevano solo a lui, "vedere come i giovani cerchino di divertirsi, e come, di conseguenza, simpatizzino per colui che paga i divertimenti"
  • Però Dio è tanto buono per gli errori giovanili, tutto quello che è amore, anche amore colpevole, trova così facilmente grazia ai suoi sguardi paterni, che all'uscir dalla messa Luigi, levando gli occhi al cielo, poté vedere, attraverso gli strappi di una nuvola, un angolo del tappeto azzurro che è calpestato dal piede del Signore.
  • E Porthos si fece severo.
    "E la botola, signore", disse, "e la botola?"
    Di Sant-Agnan divenne estremamente pallido. Buttò indietro la sedia in tal modo, che Porthos, con tutta la sua ingenuità, s'accorse che il colpo aveva fatto centro.
    "La botola", mormorò il conte.
    "Ebbene, signore, datene una spiegazione, se potete", fece Porthos scuotendo il capo.
    Di Sant-Agnan abbassò la fronte.
    "Oh! sono tradito!", mormorò; "si sa tutto!"
    "Si sa sempre tutto", replicò Porthos, che non sapeva nulla.
  • "No, è l'impotenza! Abbiamo forse la pretesa di prendere, in tre, la Bastiglia?"
    "Se ci fosse d'Artagnan", esclamò Porthos, "non dico di no."
    Raul fu preso d'ammirazione davanti a quella fiducia, eroica tanto era candida. Erano quelli gli uomini famosi che, in tre o quattro, affrontavano eserciti o attaccavano fortezze! Uomini che avevano spaventato la morte e che, sopravvissuti a tutto un secolo ormai in dissoluzione, erano ancora più forti dei più forti giovani del giorno.
  • Baisemeaux impallidì di fronte a quella fredda sicurezza. Gli parve che la voce di Aramis, così gaia e sorridente poco prima, fosse divenuta funebre e sinistra; che i ceri dei candelabri si fossero cambiati in ceri da cappella sepolcrale; che i bicchieri di vino si fossero trasformati in calici di sangue.
  • Ad un tratto, il capo del giovane si inchinò. Il suo pensiero ridiscese sulla terra. il suo sguardo si indurì, la fronte gli si coprì di rughe, la bocca assunse una espressione di feroce risolutezza; poi il suo sguardo divenne fisso ancora una volta; ma ora rifletteva la fiamma dei mondani splendori; ora somigliava allo sguardo di Satana sulla montagna, quando passava in rivista i regni e le potenze della terra per sedurre Gesù.
  • "Colpite, Porthos!", risuonò la voce sepolcrale di Aramis.
    Porthos mandò un gran sospiro, ma obbedì.
    La sbarra di ferro calò verticalmente sul capo di Biscarat, che fu ucciso prima ancora di finire il suo grido. Poi la leva formidabile si alzò e si abbassò dieci volte in dieci secondi, e fece dieci cadaveri.
  • Ed ora cercate in questa tomba ardente, in questo vulcano sotterraneo, cercate le guardie del re dagli abiti azzurri gallonati d'argento.
    Cercate gli ufficiali splendenti d'oro, cercate le armi su cui essi avevano contato per difendersi, cercate le pietre che li hanno uccisi, cercate il suolo che li sosteneva.
    Un solo uomo ha fatto di tutto questo un caos più confuso, più informe, più terribile del caos che esisteva un'ora prima che Dio avesse avuto l'idea di creare il mondo.
  • Per un istante, le braccia di Porthos si piegarono; ma l'ercole riunì tutte le forze, e si videro le due pareti della prigione, in cui era sepolto, aprirsi lentamente fargli largo. Per un attimo, apparve in quella cornice di granito, simile all'angelo antico del caos;

La regina Margot[modifica]

Incipit[modifica]

Il lunedì, diciottesimo giorno del mese di agosto 1572, vi era festa grande al Louvre. Le finestre dell'antico palazzo reale, sempre tanto cupe, erano sfarzosamente illuminate; le piazze e le vie attigue, di solito tanto deserte sin da quando a Saint-Germain-l'Auxerrois erano suonate le nove, erano, benché fosse mezzanotte, affollate di gente. [Alessandro Dumas, La regina Margot, BUR Rizzoli, Milano 2017, Traduzione di M. Dazzi]

Citazioni[modifica]

  • [su Margherita di Valois] La giovane sposa, figlia di Enrico II, era la perla della corona di Francia, Margherita di Valois, che con affettuosa familiarità il re Carlo IX chiamava sempre mia sorella Margot. Certo, accoglienze tanto lusinghiere non erano mai state più meritate di quelle che si facevano in quel momento alla nuova regina di Navarra. Margherita a quel tempo aveva appena vent'anni, e già era oggetto delle lodi di tutti i poeti che la paragonavano alcuni all'Aurora altri a Venere citerea. Era in realtà la bellezza senza rivali di quella Corte nella quale Caterina de' Medici aveva riunito, per farne le proprie sirene, le più belle donne che aveva potuto trovare. La giovane sposa aveva i capelli neri, il colorito brillante, gli occhi voluttuosi velati da lunghe ciglia, la bocca rossa e fine, il collo elegante, il corpo tornito e snello e, perduto in una pianella di seta, un piede di bambina. I francesi cui apparteneva, erano fieri di vedere sbocciare nella loro terra un così splendido fiore e gli stranieri di passaggio per la Francia ripartivano abbagliati dalla sua bellezza se l'avevan soltanto vista, storditi dalla sua cultura se avevano parlato con lei. Certo è che Margherita era non soltanto la più bella, ma anche la più colta delle donne del suo tempo; si citava la frase di un dotto italiano che le era stato presentato e dopo aver parlato con lei un'ora in italiano, in spagnolo, in latino e in greco, l'aveva lasciata dicendo nel suo entusiasmo:
    «Vedere la Corte senza vedere Margherita è non vedere né la Francia, né la Corte».
    Così i panegirici non mancarono al re Carlo IX e alla giovane regina di Navarra; si sa quanto gli ugonotti siano fecondi. Inevitabilmente, allusioni al passato e domande per l'avvenire furono accortamente insinuate in mezzo a quegli indirizzi al re; ma a tutte le allusioni egli rispondeva con le sue labbra pallide e il suo sorriso astuto:
    «Nel dare mia sorella Margot a Enrico di Navarra, io do il mio cuore a tutti i protestanti del regno».
    La frase rassicurava gli uni e faceva sorridere gli altri poiché aveva in realtà due sensi: uno paterno e del quale in buona coscienza Carlo IX non voleva sovraccaricare il suo pensiero; l'altro ingiurioso per la sposa, per il marito e anche per chi lo pronunciava, poiché ricordava alcuni sordi scandali con i quali la cronaca di Corte aveva già trovato il modo di lordare la veste nuziale di Margherita di Valois. (pp. 26-27)

La signora di Monsoreau[modifica]

Incipit[modifica]

La sera della domenica di carnevale del 1578, nel magnifico palazzo dei Montmoreney, situato quasi in faccia al Louvre, ma sull'altra riva della Senna, si svolgeva una sontuosa festa per celebrare le nozze di Francesco d'Epinay di Saint-Luc, intimo e favorito del re Enrico III, con Giovanna di Cossé-Brissac, figlia del Maresciallo di Francia.

Citazioni[modifica]

  • [...] in tempi in cui la canaglia veste come i principi, credo che questi diano prova di buon gusto vestendosi, per distinguersi, come la canaglia. (p. 9)
  • No, non è il corpo che è ammalato. È l'anima! Piuttosto che un medico... un confessore. (p. 37)

Lo Schiaccianoci[modifica]

Incipit[modifica]

Vi fu un tempo a Norimberga un presidente assai famoso, il dottor Silberhaus, nome che in tedesco significa «casa d'argento». Il presidente aveva un figlio e una figlia: Fritz di nove anni, e Maria di sette e mezzo: due bambini simpaticissimi, ma molto diversi per carattere e per aspetto fisico, tanto che era difficile credere, così a prima vista, che potessero essere fratelli. Fritz era grassottello, spaccone e piuttosto birichino: faceva le bizze alla minima contrarietà, convinto come era che tutto fosse stato creato per il suo divertimento e per sottostare ai suoi capricci; e restava di questa opinione finché il dottor Silberhaus, stanco delle sue grida, dei suoi pianti e del suo batter di piedi, usciva dallo studio e, levando il dito all'altezza del sopracciglio aggrottato, si limitava a esclamare: – Signor Fritz!...

Citazioni[modifica]

  • Norimberga è una città della Germania famosissima per i giocattoli, le bambole e i fantocci che spedisce a casse piene in tutti gli altri paesi del mondo: per questo i bambini di Norimberga sono i più felici della terra, a meno che non succeda a loro come agli abitanti di Ostenda che le ostriche a ceste piene se le vedono soltanto passare sotto il naso. (p. 11)
  • A perpendicolo | ticchetta il pendolo, | avanza e arretra | bello squadron! || L'orologio piano piano | mezzanotte suonerà; | quando arriva la civetta | fugge fugge sua maestà. (p. 45)
  • Sorella, un pezzetto di lardo | per me devi avere riguardo, | anch'io come te son regina | e gusto la buona cucina. (p. 50)
  • Dal tuo consorte uccisi, senza peccati o torti, | i miei figli e nipoti ormai son tutti morti, | ma guai a te, regina! | ché sul bimbo regale da te tanto aspettato | sul tuo tenero amore ho già deliberato | di far la mia vendetta! | Tuo marito ha fortezze, ha cannoni e soldati, | consiglieri e ministri illustri e illuminati, | e tu hai ciò che chiedi. | La regina dei topi non ha nulla, però | denti aguzzi e potenti la sorte le donò | da usar contro i tuoi eredi! (p. 56)

Mastro Adamo il calabrese[modifica]

Incipit[modifica]

Se i nostri lettori provano qualche curiosità per gli episodi, della veridica storia che stiamo per raccontare è necessario che abbiano la compiacenza di seguirci in Calabria dove li abbiamo già condotti due volte, la prima per raccontare loro le avventure di Cherubino e Celestino, la seconda per farli assistere alla morte di Murat.

Citazioni[modifica]

  • La Calabria è una magnifica regione; d'estate ci si arrostisce come a Tambouctou, d'inverno vi si gela come a San Pietroburgo; inoltre non vi si conta punto ad anni, a lustri o a secoli come negli altri paesi, ma a terremoti. (p. 7)
  • Era un vecchio uomo felice mastro Adamo; una di quelle persone facile a illuminarsi e che si aprono naturalmente alla speranza ed alla gioia come i fiori.
  • In effetti l'ufficio postale sembrava una di quelle case miracolose trasportate dagli angeli come il duomo della madonna di Loreto.
  • Non c'era nessun dubbio sulla decisione. Le urla di: Viva la Madonna! Abbasso gli sbirri! risuonarono da ogni lato e le povere guardie, richiamate dai diversi luoghi dove vegliavano da otto giorni con una tenacia ed un coraggio degni di maggior ricompensa, partirono la stessa notte per Monteleone.

Pascal Bruno[modifica]

Incipit[modifica]

Bellini era di Catania. La prima cosa che i suoi occhi, aprendosi, avevano visto, erano state le onde che, dopo aver bagnato le mura di Atene, vengono a spegnersi melodiosamente sulle rive di un'altra Grecia; e l'Etna favolosa e antica, sui cui fianchi vivono ancora, dopo diciotto secoli, la mitologia di Ovidio e i racconti di Virgilio. Ecco perché l'indole di Bellini era tra le più poetiche che si potessero incontrare; e il suo genio, che bisogna apprezzare con il sentimento e non giudicare con la ragione, un canto eterno, dolce e malinconico come un ricordo; un'eco simile a quella che se ne sta assopita nei boschi e sulle montagne, e che sussurra appena fino a quando il grido delle passioni e del dolore non venga a svegliarla. Bellini era l'uomo che faceva al caso mio. Aveva lasciato la Sicilia ancora giovane, e dell'isola nativa gli era rimasta una memoria crescente, dentro la quale custodiva religiosamente, lontano dai luoghi in cui era cresciuto, i ricordi poetici dell'infanzia.

Citazioni[modifica]

  • Era un giovane di venticinque ventisei anni che, a prima vista, si pensava dovesse appartenere alla classe del popolo. Portava un cappello calabrese, fasciato da un largo nastro che gli ricadeva ondeggiante sulla spalla; una giacca di velluto con bottoni d'argento; pantaloni della stessa stoffa e con le stesse guarnizioni, stretti alla vita da una fascia di seta rossa con ricami e frange verdi come quelle che si fanno a Messina, a imitazione di quelle lavorate in Oriente. Infine, gambaletti e scarpe di cuoio completavano il costume montanaro, che non mancava di una certa eleganza e che sembrava fatto apposta per mettere in risalto le belle e armoniose forme del corpo di chi lo indossava. Il volto era di una bellezza selvaggia: aveva tratti fortemente marcati propri dell'uomo meridionale, occhi arditi e fieri, capelli e barba neri, naso aquilino e denti perfetti.

Vent'anni dopo[modifica]

Incipit[modifica]

In una delle stanze del Palazzo del Cardinale, che noi già conosciamo, vicini ad una tavola con gli angoli d'argento dorato, piena di carte e di libri, era seduto un uomo con la testa appoggiata sulle mani. Proprio dietro di lui era un vasto camino, rosso dal fuoco ed i cui tizzoni cadevano sopra larghi alari dorati. La luce di quel focolare schiariva di dietro le magnifiche vesti di quel meditabondo, illuminato davanti ad un candelabro carico di lumi.
Al vedere quella zimarra rossa e quei vistosi merletti, al vedere quella fronte pallida curvata sotto la meditazione, la solitudine di quel gabinetto, il silenzio delle anticamere, i passi misurati della guardia sul pianerottolo si sarebbe potuto credere che l'ombra del cardinale Richelieu fosse ancora nella stanza.
Era Mazzarino. Ora Mazzarino era solo, e si sentiva debole.
– Straniero! Mormorava, Italiano! Ecco la gran parola!
Con questa parola hanno assassinato Concini, e, se li lasciassi fare, mi assassinerebbero come lui, sebbene non abbia loro fatto altro male che pelarli un poco. Infingardi! Non vedono dunque che il loro nemico non è questo italiano che parla male il francese, ma bensì coloro che hanno il talento di dir loro delle belle parole con un purissimo e buon accento parigino. Sì, sì, continuò il ministro con un fiero sorriso, sì, i vostri clamori me lo dicono, la sorte dei favoriti è precaria; ma se sapete ciò, dovete pure sapere che io non sono un favorito ordinario. Il conte d'Essex aveva uno splendido anello, ricco di diamanti [...]
[Alexandre Dumas, Vent'anni dopo, traduzione di Albertina Palau, Mondadori, 2001]

Citazioni[modifica]

  • In politica non v'è altra idea sublime fuor di quella che porta al risultato; quelle che non l'ottengono sono stolide ed aride.[17] (Cromwell: cap. LXXIII)
  • Ma il sonno è una divinità capricciosa e proprio quando lo si invoca, si fa aspettare. (Lucchi 1968)
  • Ma l'immaginazione ha il volo dell'angelo e del lampo: varca i mari dove noi rischiammo di naufragare, le tenebre in cui si perdettero le nostre illusioni, i pregiudizi in cui fu sommersa la nostra felicità. (Lucchi 1968)
  • "E al suo ritorno lo farete passare da me; gli darò uno scudo contro l'amore." "Ohimé, oggi l'amore è come la guerra, e lo scudo è divenuto inutile." (cap. XCIII, "Nel quale è provato come talvolta sia più difficile ai re rientrare nella capitale che uscirne")

Incipit di alcune opere[modifica]

Garibaldi e Montevideo[modifica]

Al viaggiatore che viene d'Europa su quelle navi che i primi abitanti di quel paese scambiarono per case volanti, prime ad aprirsi allo sguardo, dopo il grido del marinaio in vedetta che annunzia la terra, son due montagne. L'una di mattoni, che è la cattedrale, la chiesa-madre, la matriz, come la si chiama; l'altra poi di massi e verdura, su cui s'innalza un faro, vien detta il Cerro.

Robin Hood[modifica]

Era il tramonto di un giorno di primavera dell'anno di grazia 1162, sotto il regno di Enrico II Plantageneto. Due uomini a cavallo percorrevano i sentieri della foresta di Sherwood, nella contea di Nottingham; essi apparivano sfiniti almeno quanto le loro cavalcature.[18]

Storia di uno schiaccianoci[modifica]

Norimberga, 2010.
Da qualche giorno, la piccola Maria, è attratta dalla porta chiusa della soffitta, in casa della nonna. La nonna si chiamava Maria, proprio come lei, come la bisnonna e... Che strano, quasi tutte le donne della famiglia, tranne sua madre e una prozia, si chiamavano Maria.
La porta della soffitta è lì, massiccia, chiusa da una grossa chiave annerita dal tempo. La piccola Maria la guarda, poi, finalmente, la fa girare: tac tac, un rumore secco, come di noci rotte, due giri. Ora appoggia la mano sulla maniglia, che cede facilmente. La porta si sta aprendo, si apre, gira piano sui cardini, senza rumore:
- Vieni, vieni, piccola Maria, ti stavamo aspettando.

Citazioni su Alexandre Dumas[modifica]

  • I due Dumas hanno capovolto la teoria dell'economia. Il padre è stato il prodigo, e il figlio è stato l'avaro. (Jules Renard)

Note[modifica]

  1. Da Propos d'art et de cuisine.
  2. Da I Mohicani di Parigi, 1854; vedi anche la voce in Wikipedia.
  3. Da Il corricolo.
  4. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  5. Da Viaggio in Calabria.
  6. Citato in Corriere della Sera, 4 novembre 2004.
  7. Citato in Franco Fossati, Chi dice donna..., Armenia, 1987, p. 41. ISBN 8834401786.
  8. Da Kean o Genio e sregolatezza, IV, 2.
  9. Da I Borboni di Napoli: Vol. III, Napoli, 1862, p. 10-11.
  10. Da Le Roi des quilles- racconto per bambini, 1859.
  11. Da I Borgia; citato in Corrado Augias, I segreti di Roma, Oscar Mondadori, 2007, p. 264.
  12. Da Il corricolo.
  13. Dal giornale L'Indipendente del 19 dicembre 1862.
  14. Allusione alla Lucrezia romana, moglie di Collatino, suicida per l'oltraggio di Sesto Tarquinio.
  15. Da Da Napoli a Roma, traduzione di Eugenio Torelli, Stabilimento tipografico del Plebiscito, Napoli, 1863, cap. III, p. 71.
  16. Tipo di scommessa che prevede a ogni successiva puntata il raddoppio della posta. [N.d.T.]
  17. Alessandro Dumas, Venti anni dopo, 7 voll., traduzione di Cesare Coriani, Ernesto Oliva, Milano, 1855, vol. VI, p. 40.
  18. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Alexandre Dumas, Ascanio, Adriano Salani Editore, Firenze 1930.
  • Alexandre Dumas, Garibaldi e Montevideo, F. Manini, 1859.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Emilio Franceschini, Rizzoli, 1998.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Giovanni Ferrero, Fabbri Editori, 2001.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Emilio Franceschini, introduzione di Umberto Eco, Rizzoli, 2010. ISBN 9788817009676
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Gaia Panfili, Donzelli, 2010. ISBN 8860364035
  • Alexandre Dumas, Il visconte di Bragelonne, Tipografia Editoriale Lucchi, Milano 1964.
  • Alexandre Dumas, I tre moschettieri, traduzione di A. Beltramelli, Mondadori, 2004.
  • Alessandro Dumas, I tre moschettieri, traduzione di Angiolo Orvieto, G. Rondinella Editore, 1853.
  • Alessandro Dumas, I tre moschettieri, traduzione di C. Siniscalchi, Tipografia editoriale Lucchi, Milano, 1975.
  • Alexandre Dumas, I tre moschettieri, introduzione e traduzione di Guido Paduano, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2013.
  • Alexandre Dumas, La regina Margot, traduzione di Maria Dazzi, BUR, Milano, 2008.
  • Alexandre Dumas, La signora di Monsoreau, traduzione di Luigi A. Garrone, Tipografia Editoriale Lucchi, Milano, 1937.
  • Alexandre Dumas, Lo Schiaccianoci (Histoire d'un casse-noisette), traduzione di Antonio Lugli, EDIPEM, Novara 1974.
  • Alexandre Dumas, Mastro Adamo il calabrese, traduzione di A. Coltellaro, Pellegrini Editore, 1999.
  • Alexandre Dumas, Pasquale Bruno (Romanzo storico siciliano), traduzione di C. Rizza, La Zisa Edizioni. ISBN 978-8881280421
  • Alexandre Dumas, Storia di uno schiaccianoci (liberamente tratta dal racconto di Alexandre Dumas), traduzione e cura di Gabriella Messi, Edizioni Angolo Manzoni, 2010. ISBN 9788862040761
  • Alexandre Dumas, Vent'anni dopo, traduzione di U. Caimpenta, Tipografia Editoriale Lucchi, Milano, 1968.
  • Alexandre Dumas, Vent'anni dopo, traduzione di Albertina Palau, Mondadori, 2001.
  • Alexandre Dumas, Viaggio in Calabria, traduzione di Antonio Coltellaro, Rubbettino 1996. ISBN 884981545X

Filmografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]