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Cartesio

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René Descartes

René Descartes, noto come Cartesio (1596 – 1650), filosofo e matematico francese.

Citazioni di Cartesio

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  • C'è una grande differenza tra mente e corpo.[1]
  • Che cos'è che io sono? Sono una cosa pensante.[2]
  • Chi vede come noi siamo ridotti | E pensa che la guerra è bella, | O che assai più vale della pace, | Storpio è nel suo cervello.[3]
  • Come gli attori [...] veston la maschera, così io sul punto di salire su questa scena mondana, [...] mi avanzo mascherato.[4]
  • Con me tutto diventa matematica.[5]
  • Dirò solamente in generale che tutto quel che dicono gli atei per impugnare l'esistenza di Dio dipende sempre, o dal fingere in Dio affezioni umane, o dall'aver attribuito ai nostri spiriti tanta forza e saggezza da far presumere di determinare e comprendere ciò che Dio può e deve fare.[6]
  • È necessario, almeno una volta nella vita, dubitare di tutte le cose.[7]
  • È vero che i sei giorni della creazione sono descritti nella Genesi in modo da far pensare che l'uomo ne sia l'oggetto principale: ma si deve anche dire che, poiché la storia della Genesi è stata scritta per l'uomo, lo Spirito Santo vuole specificare soprattutto le cose che lo riguardano, e non ha parlato di nessuna cosa se non in rapporto all'uomo.[8]
  • Ho presto scoperto chiaramente che tutti [i movimenti degli animali] potevano avere origine dal principio corporeo e meccanico, e da allora in poi ho ritenuto certo e stabilito che noi non possiamo affatto provare la presenza di un'anima pensante negli animali. Non mi preoccupano l'astuzia e l'abilità dei cani e delle volpi, o tutte le cose che gli animali fanno spinti dal desiderio di cibo, sesso o paura; anzi, affermo di poter facilmente spiegare l'origine di tutti loro dalla costituzione dei loro organi.[9]
  • Io supporrò, dunque, che vi è un certo cattivo genio, non meno astuto e ingannatore che possente, che ha impiegato tutte le sue energie per ingannarmi.[10]
  • La matematica è uno strumento di conoscenza più potente di ogni altro tramandatoci dall'opera umana.[11]
  • Mi sono reso conto della necessità [...] di ripartire dalle fondamenta se volevo costruire nelle scienze qualcosa che fosse stabile e duraturo.[12]
  • Non mancano dolcezze nell'amare qualcuno senza osare di dichiararglielo.[13]
  • Ora, le due regole dipendono evidentemente dal semplice fatto che Dio è immutabile e che, agendo sempre nello stesso modo, produce sempre lo stesso effetto. Infatti, supponendo che, fin dal primo istante della creazione, Dio abbia messo in tutta la materia in generale una certa quantità di movimenti, bisogna ammettere che ne conservi sempre esattamente altrettanta: altrimenti non si crede che Dio agisca sempre nello stesso modo. Supponendo inoltre che fin da quel primo istante le diverse parti della materia, nelle quali questi movimenti si sono trovati diversamente distribuiti, abbiano cominciato a conservarli o a trasmetterli dall'una all'altra, in proporzione alla loro forza, bisogna necessariamente pensare che Dio fa sí che esse continuino a compiere sempre la stessa cosa. E questo è ciò che stanno a significare queste due regole.[14]
  • Prima che ci accingiamo alla conoscenza delle cose particolari, bisogna almeno una volta nella vita aver ricercato diligentemente di quali cognizioni l'umana ragione sia capace.[15]
  • [A proposito della geometria] Problemi che si possano costruire solo per mezzo di cerchi e linee rette.[16]
  • Quando qualcuno dice: «Io penso, dunque sono o esisto» deduce la sua esistenza con una semplice intuizione della mente.[17]
  • Quando rifletto su me stesso, non soltanto conosco di essere una cosa imperfetta, incompleta, dipendente da altro, che tende e aspira senza posa a qualcosa di migliore e di più grande di quel che sono, ma conosco anche, nello stesso tempo, che colui dal quale dipendo possiede in sé tutte quelle grandi cose a cui aspiro e di cui trovo in me l'idea, e che non le possiede solo indefinitamente e allo stato potenziale, ma ne gode in effetti attualmente ed infinitamente, e perciò è Dio.[18]
  • Questa regola poggia sullo stesso fondamento delle altre due, e anche essa dipende esclusivamente dal fatto che Dio conserva ogni cosa mediante un'azione continua, e che quindi non la conserva affatto come poteva essere qualche tempo prima, ma esattamente come è nell'istante in cui la conserva. Ora, di tutti i movimenti l'unico perfettamente semplice, e la cui natura è contenuta in un solo istante, è quello rettilineo. Infatti, per concepirlo è sufficiente pensare che un corpo compia l'azione di muoversi verso una certa direzione, cosa che si riscontra in ogni istante determinabile durante il tempo in cui si muove. Mentre per concepire il movimento circolare, come qualsiasi altro, è necessario considerare almeno due istanti, o meglio due parti del movimento stesso, e il rapporto fra loro sussistente.[19]
  • Se qualcuno vuol seriamente cercare la verità, non deve scegliere dunque una scienza particolare: perché esse sono tutte connesse tra loro e dipendenti l'una dall’altra; ma deve pensare soltanto ad aumentare il lume della ragione naturale, non per risolvere questa o quella difficoltà di filosofia, ma perché in ogni circostanza l'intelletto indichi alla volontà ciò che si deve scegliere; e ben presto si meraviglierà di aver fatto progressi di gran lunga maggiori di coloro che si interessano alle cose particolari e di aver conseguito non soltanto tutto ciò che gli altri desiderano, ma altresì risultati più grandi di quanto quelli possano attendersi.[20]
  • Spero che i posteri mi giudicheranno con benevolenza, non solo per le cose che ho spiegato, ma anche per quelle che ho intenzionalmente omesso, così da lasciare ad altri il piacere della scoperta.[21]
  • Suppongo che il corpo non sia altro che una statua o macchina di terra che Dio forma espressamente per renderla il più possibile simile a noi: per modo che non solo dia ad essa all'esterno il colore e la figura di tutte le nostre membra, ma vi metta anche all'interno tutti i pezzi che si richiedono per fare sì che cammini, mangi, respiri e imiti infine tutte quelle nostre funzioni che si può immaginare procedano dalla materia e non dipendano che dalla disposizione degli organi.[22]

Lettera al Marchese di Newcastle

23 novembre 1646; citato in Ditadi 1994.

  • Non posso condividere l'opinione di Montaigne e di altri che attribuiscono agli animali la capacità di comprendere e di pensare. Non sono preoccupato dal fatto che la gente dice che l'uomo ha l'impero assoluto su tutti gli altri animali; perché sono d'accordo che alcuni di loro sono più forti di noi, e credo che ce ne possano essere anche alcuni che hanno un'astuzia istintiva capace di ingannare gli esseri umani più abili. Ma osservo che loro ci imitano o ci sorpassano solo in quelle delle nostre azioni che non sono guidate dalla ragione.
  • [...] non si è mai saputo di un animale così perfetto da usare un segno per far capire ad altri animali qualcosa che non esprimesse passione; e non esiste alcun essere umano così imperfetto da non farlo, dato che persino i sordomuti inventano segni speciali per esprimere i loro pensieri. Questa mi sembra un'argomentazione molto forte per provare che la ragione per cui gli animali non parlano come noi non è che a loro mancano gli organi ma che loro non hanno pensieri.
  • So che gli animali fanno molte cose meglio di noi, ma questo non mi sorprende. Si può citare questo esempio persino per provare che essi agiscono naturalmente e meccanicamente, come un orologio che segna il tempo meglio di quanto faccia il nostro giudizio. Senza dubbio quando le rondini arrivano in primavera, agiscono come orologi.

Attribuite

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  • La natura ha orrore del vuoto.[23]
Natura abhorret vacuum.
  • I numeri perfetti, come gli uomini perfetti, sono molto rari.[24]
Cfr. Jean Leurechon, Récréation mathématique (1624), Pont-à-Mousson, 1626: «C'est merueille de voir, combien peu il y en a de semblables, & combien rares sont les nombres, aussi bien que les hommes parfaicts». Cartesio, in una lettera a Marin Mersenne dell'aprile del 1634 (Lettere scelte, in Opere filosofiche), indica di aver letto l'opera di Leurechon.

Regole per la guida dell'intelligenza

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REGOLA PRIMA
Il fine degli studi deve consistere nella guida dell'intelligenza perché essa pronunci giudizi saldi e veri su tutte le cose che si presentano.
C'è negli uomini l'abitudine che, ogniqualvolta riconoscono una certa somiglianza tra due cose, attribuiscono nei loro giudizi ad entrambe, anche in ciò in cui sono diverse, quello che hanno scoperto di vero di una delle due.

Citazioni

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  • Infatti, poiché tutte le scienze non sono altro che sapere umano, che rimane sempre uno e identico, per diversi che siano gli oggetti a cui viene applicato, né da essi acquisisce maggiori distinzioni di quante <ne acquisisca> la luce del sole dalla varietà delle cose che illumina, non è necessario costringere le menti entro alcun limite; [...] (p. 141)
  • E ci si deve convincere che tutte <le scienze> sono tra di loro connesse in modo tale che è molto più facile impararle tutte insieme, che isolarne una sola dalle altre. Se dunque qualcuno vuole indagare seriamente la verità delle cose, non deve scegliere una scienza particolare: esse sono infatti tutte connesse tra di loro e dipendenti l'una dall'altra; ma pensi solo ad aumentare il lume naturale della ragione, [...] (p. 143)
  • REGOLA SECONDA
    Ci si deve occupare soltanto di quegli oggetti, alla cui conoscenza certa e indubbia sembrano essere sufficienti i nostri ingegni.
    Ogni scienza è conoscenza certa ed evidente; e colui che dubita di molte cose non è più dotto di colui che non vi abbia mai pensato, anzi, sembra più ignorante di costui, se si è fatto un'opinione falsa di alcune cose; pertanto è meglio non studiare mai, che occuparsi di oggetti a tal punto difficili che, non essendo in grado di distinguere le cose vere dalle false, siamo costretti ad ammettere cose dubbie come certe; in queste non c'è tanto speranza di aumentare il sapere, quanto c'è pericolo di diminuirlo. (p. 145)
  • Ed è di gran lunga preferibile non pensare mai a cercare la verità di alcuna cosa, piuttosto che farlo senza un metodo: infatti è certissimo che con siffatti studi disordinati e con meditazioni oscure, il lume naturale sia confuso e l'intelligenza accecata; e coloro che si abituano a procedere in tal modo nelle tenebre, debilitano a tal punto l'acutezza della vista, da non poter poi sopportare la luce piena: e ciò anche provato dall'esperienza, quando molto spesso vediamo che coloro che non ha mai atteso agli studi letterari giudicano le cose che si presentano loro in modo molto più solido e chiaro, di coloro che hanno ininterrottamente frequentato le scuole. (p. 163)
  • Per metodo poi intendo delle regole certe e facili, osservando esattamente le quali, nessuno assumerà il falso in luogo del vero, e, senza logorarsi inutilmente in tentativi mentali, ma gradualmente aumentando sempre il sapere, perverrà alla vera cognizione di tutte quelle cose di cui sarà capace. (pp. 163, 165)

Discorso sul metodo

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Monica Barsi e Alessandra Preda

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Se questo discorso sembrasse troppo lungo per essere letto interamente in una sola volta, lo si potrà suddividere in sei parti. Nella prima si troveranno diverse considerazioni relative alle scienze. Nella seconda, le principali regole del metodo che l'autore ha cercato. Nella terza, alcune regole della morale ricavate da tale metodo. Nella quarta, le ragioni con le quali egli prova l'esistenza di Dio e dell'anima umana: sono questi i fondamenti della sua metafisica. Nella quinta, l'ordine dei problemi di fisica che ha indagato e, in particolare, la spiegazione del movimento del cuore e di altre questioni nell'ambito della medicina, e ancora la differenza tra la nostra anima e quella degli animali. Nell'ultima, quali cose egli ritiene necessarie per avanzare nella ricerca della natura più di quanto non sia stato fatto, e quali ragioni lo hanno indotto a scrivere.

Italo Cubeddu

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Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti. E si troveranno, nella prima, diverse considerazioni sulle scienze. Nella seconda, le principali regole del metodo che l'autore ha cercato. Nella terza, qualche regola della morale ch'egli ha tratto da questo metodo.
Nella quarta, gli argomenti con i quali prova l'esistenza di Dio e dell'anima dell'uomo, che sono i fondamenti della sua metafisica. Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha esaminato, in particolare la spiegazione del movimento del cuore e di qualche altra difficoltà della medicina e, ancora, la differenza tra l'anima nostra e quella dei bruti. Nell'ultima, le cose ch'egli crede siano richieste per andare avanti nello studio della natura più di quanto si è fatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere.

Adolfo Levi

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Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una volta, si potrà dividerlo in sei parti. E, nella prima, si troveranno diverse considerazioni sulle scienze; nella seconda, le principali regole del metodo che l'Autore ha ricercato; nella 3.° alcune regole della morale ch'egli ha ricavata da questo metodo; nella 4.°, le ragioni con cui prova esistenza di Dio e dell'anima umana, che sono le basi della sua metafisica; nella 5.°, l'ordine delle questioni di fisica, che egli ha studiato, e particolarmente la spiegazione del movimento del cuore e di alcune altre difficoltà che riguardano la medicina, poi anche la differenza che c'è tra la nostra anima e quella delle bestie; nell'ultima, le cose che egli crede siano necessarie per progredire nello studio della natura e le ragioni che lo hanno spinto a scrivere.

Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una volta, lo si potrà distinguere in sei parti. E, nella prima, si troveranno diverse considerazioni riguardanti le scienze. Nella seconda, le principali regole del Metodo, che l'Autore ha cercato. Nella terza, alcune di quelle della Morale, che egli ha tratto da questo Metodo. Nella quarta, le ragioni per mezzo delle quali egli prova l'esistenza di Dio e dell'anima umana, che sono i fondamenti della sua Metafisica. Nella quinta, l'ordine delle questioni di Fisica che egli ha cercato, e particolarmente la spiegazione del movimento del cuore e di alcune altre difficoltà che appartengono alla Medicina, poi anche la differenza che è tra la nostra anima e quella delle bestie. E nell'ultima, quali cose egli crede essere richieste per procedere più avanti nella ricerca della Natura di quel che non siasi fatto, e quali ragioni lo hanno indotto a scrivere.

Citazioni

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  • Il buon senso è la cosa meglio distribuita nel mondo poiché ciascuno pensa d'esserne così ben provvisto che anche coloro che più difficilmente si accontentano di ogni altra cosa non sogliono desiderarne più di quel che ne hanno. (I; 1937, p. 4)
  • [...] non basta avere un'intelligenza buona; l'essenziale è applicarla bene. (I; 1937, p. 5)
  • Le più grandi anime sono capaci tanto dei maggiori vizi, quanto delle maggiori virtù [...]. (I; 1937, p. 5)
  • Quelli che si occupano di dare precetti, debbono stimarsi più abili di quelli ai quali li dànno; e se sbagliano nella più piccola cosa, meritano biasimo. (I; 1937, p. 8)
  • Io sono stato educato allo studio delle lettere fin dalla mia fanciullezza, e poiché mi avevano persuaso che, per loro mezzo, si poteva acquistare una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò ch'è utile alla vita, avevo un grandissimo desiderio di apprenderle. Ma appena ebbi compiuto tutto questo corso di studi, alla fine del quale si è di solito ricevuti nel numero dei dotti, cambiai interamente d'opinione; perché mi trovavo impigliato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di avere ottenuto, cercando d'istruirmi, il solo profitto di avere scoperto sempre di più la mia ignoranza. (I; 1937, p. 8)
  • [...] la lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati, che ne sono stati gli autori, e anzi una conversazione premeditata, in cui essi ci fanno conoscere soltanto i loro migliori pensieri [...]. (I; 1937, p. 10)
  • [...] quando s'impiega troppo tempo a viaggiare, si diventa alla fine stranieri nel proprio paese [...]. (I; 1937, p. 12)
  • Coloro che ragionano meglio e che ordinano più facilmente i loro pensieri, per renderli chiari e intelligibili, possono sempre meglio persuadere di quel che propongono [...]. (I; 1937, pp. 12-13)
  • [...] la filosofia [c'insegna] il mezzo per parlare di tutto con verosimiglianza e farci ammirare da quelli che ne sanno di meno. (I; 1996)
  • A conversare con gli uomini del passato accade quasi lo stesso che col viaggiare. (I; 1996)
  • [...] il mondo è composto quasi esclusivamente di due specie di intelligenze [...]: cioè di coloro i quali, credendosi più abili che non siano, non possono far a meno di precipitare i loro giudizi, né avere abbastanza pazienza per condurre con ordine tutti i loro pensieri – onde deriva che, se si fossero una volta presa la libertà di dubitare dei principî che hanno accettato e di scostarsi dalla via comune, non potrebbero restare in quella che bisogna prendere per andar più diritto, e rimarrebbero fuor di strada tutta la loro vita. E poi, di coloro i quali, avendo sufficiente ragione, o modestia, per giudicare ch'essi sono meno capaci di distinguere il vero dal falso di altri da cui possono essere istruiti, debbono piuttosto contentarsi di seguire le opinioni di questi altri che cercarne essi stessi delle migliori. (II; 1937, p. 27)
  • [...] non si potrebbe immaginar nulla di tanto strano e di così poco credibile che non sia stato detto da qualche filosofo [...]. (II; 1980, p. 46)
  • Nella foggia dei nostri abiti la stessa cosa che ci è piaciuta dieci anni fa, e che forse ci piacerà di nuovo prima che ne passino altri dieci, ci sembra oggi stravagante e ridicola. (II; 1996)
  • [...] il maggior numero degli assensi non è una prova che valga nel caso di verità difficili a scoprirsi [...]. (II; 1996)
  • [I quattro precetti del metodo] Il primo era, di non accettare mai per vera alcuna cosa, che non conoscessi evidentemente essere tale: cioè, d'evitare con cura la precipitazione e la prevenzione; e di non includere nei miei giudizi niente più di quello che si presentasse così chiaramente e così distintamente alla mia intelligenza che io non avessi alcuna occasione di metterlo in dubbio.
    Il secondo, di dividere ciascuna delle difficoltà che esaminassi, in tante particelle quante fossero possibili, e necessarie per risolverle meglio.
    Il terzo, di condurre in ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili da conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, fino alla conoscenza del più composti; supponendo ordine anche tra quelli che non si precedono naturalmente l'un l'altro.
    E l'ultimo, di fare ovunque enumerazioni così complete e rassegne così generali da esser sicuro di non ometter nulla. (II; 1937, pp. 31-33)
  • [...] [tra] tutte le cose le quali possono cadere sotto la conoscenza degli uomini, [...] non poss[o]no esservene di così lontane, alle quali infine non si pervenga, né di così nascoste che non si scoprano. (II; 1937, pp. 33-34)
  • [...] ogni verità trovata [era] una regola che mi serviva dopo a trovarne altre [...]. (II; 1937, p. 36)
    • Ogni problema che ho risolto è diventato regola che è servita più tardi per risolvere altri problemi.[25]
  • [...] essendoci una sola verità per ogni cosa, chiunque la trovi ne sa tanto quanto se ne può sapere [...]. (II; 1937, p. 37)
  • Mi sembrava [...] che, per sapere quali erano veramente le loro [delle persone più sensate fra quelle colle quali avrei dovuto vivere] opinioni, dovessi far attenzione a quello che facevano piuttosto che a quello che dicevano; non soltanto perché, nella corruzione dei nostri costumi, vi sono poche persone che vogliano dire tutto quello che credono, ma anche perché molte volte lo ignorano esse stesse; giacché, essendo l'atto del pensiero con cui si crede una cosa, diverso da quello con cui si sa di crederla, spesso l'uno è senza l'altro. (III; 1937, pp. 42-43)
  • [...] siccome le azioni della vita non permettono spesso alcun indugio, è una verità certissima che, quando non è in nostro potere discernere le opinioni più vere, dobbiamo seguire le più probabili; e anzi, anche se non notiamo maggiore probabilità nelle une che nelle altre, dobbiamo tuttavia deciderci per alcune, e considerarle dopo, non più come dubbie, in quanto si riferiscono alla pratica, ma come verissime e certissime, perché tale è la ragione che ci ha fatto decidere per esse. (III; 1937, p. 44)
  • La mia terza massima [della morale provvisoria] era di cercare di vincere me stesso piuttosto che la fortuna, e di cambiare i miei desideri piuttosto che l'ordine del mondo; e, in generale, di abituarmi a credere che non c'è nulla che sia interamente in nostro possesso se non i nostri pensieri, sicché quando abbiamo fatto del nostro meglio, rispetto alle cose fuori di noi, tutto quello che non ci riesce è per noi assolutamente impossibile. (III; 1996)
  • Dal momento che ora desideravo occuparmi soltanto della ricerca della verità, pensai che dovevo fare proprio il contrario e rigettare come assolutamente falso tutto ciò in cui potevo immaginare il minimo dubbio, e questo per vedere se non sarebbe rimasto, dopo, qualcosa tra le mie convinzioni che fosse interamente indubitabile. (IV; 1996)
  • [...] non v'è proprio niente in questa proposizione: io penso, dunque io sono, che m'assicuri che io dico la verità, se non che veggo molto chiaramente che, per pensare, bisogna essere [...]. (IV; 1937, p. 57)
  • Anche quella che ho assunto poc'anzi come regola, cioè che le cose che concepiamo molto chiaramente e distintamente sono tutte vere, non è certa se non perché Dio è o esiste, perché è un essere perfetto e perché da Lui riceviamo tutto quello che è in noi. (IV; 1996)
  • [I criteri per distinguere una macchina da un essere umano] Qui in particolare mi ero fermato per far vedere che se ci fossero macchine con organi e forma di scimmia o di qualche altro animale privo di ragione, non avremmo nessun mezzo per accorgerci che non sono in tutto uguali a questi animali; mentre se ce ne fossero di somiglianti ai nostri corpi e capaci di imitare le nostre azioni per quanto è di fatto possibile, ci resterebbero sempre due mezzi sicurissimi per riconoscere che, non per questo, sono uomini veri. In primo luogo, non potrebbero mai usare parole o altri segni combinandoli come facciamo noi per comunicare agli altri i nostri pensieri. Perché si può ben concepire che una macchina sia fatta in modo tale da proferire parole, e ne proferisca anzi in relazione a movimenti corporei che provochino qualche cambiamento nei suoi organi; che chieda, ad esempio, che cosa si vuole da lei se la si tocca in qualche punto, o se si tocca in un altro gridi che le si fa male e così via; ma non si può immaginare che possa combinarle in modi diversi per rispondere al senso di tutto quel che si dice in sua presenza, come possono fare gli uomini, anche i più ottusi. L'altro criterio è che quando pure facessero molte cose altrettanto bene o forse meglio di qualcuno di noi, fallirebbero inevitabilmente in altre, e si scoprirebbe cosí che agiscono non in quanto conoscono, ma soltanto per la disposizione degli organi. (V; 1996)
  • Non c'è un altro [errore] che allontani maggiormente gli spiriti deboli dalla retta via della virtù, che l'immaginare che l'anima dei bruti abbia la stessa natura della nostra. (V; 1996)
  • Ma se si domanda come il sangue delle vene non si esaurisca, scorrendo così continuamente nel cuore, e come le arterie non ne siano troppo piene, poiché tutto quello che passa per il cuore va a finire in esse, a questa domanda non ho bisogno di rispondere altro che quello che è stato già scritto da un medico d'Inghilterra [William Harvey], al quale bisogna concedere la lode d'aver rotto il ghiaccio su questo punto e d'essere stato il primo ad insegnare che ci sono molti piccoli passaggi all'estremità delle arterie, attraverso i quali il sangue che esse ricevono dal cuore entra nei piccoli rami delle vene, donde ritorna di nuovo al cuore, di modo che il suo corso non è altro che una circolazione perpetua. (V; 1937, p. 80)
  • [...] per quello che riguarda i costumi, ciascuno esagera tanto nella propria opinione, che si potrebbero trovare tanti riformatori quante teste [...]. (VI; 1937, p. 93)
  • [...] non vale niente chi non è utile ad alcuno [...]. (VI; 1937, p. 98)
  • [...] è bene omettere le cose che potrebbero forse arrecare qualche profitto ai viventi, quando così si ha lo scopo di farne altre che ne arrechino uno maggiore ai propri nipoti. (VI; 1937, p. 98)
  • [...] coloro che scoprono a poco a poco la verità nelle scienze [...] si possono paragonare ai capi degli eserciti, le cui forze sogliono crescere in proporzione delle loro vittorie, e che hanno bisogno di maggiore abilità, per sostenersi dopo la perdita di una battaglia, di quanto non ne abbiano, dopo averla vinta, per prendere città e province. Perché il cercar di vincere tutte le difficoltà e gli errori che ci impediscono di giungere alla conoscenza della verità, è davvero dar battaglia, ed è perderne una l'accettare qualche falsa opinione su un argomento un po' generale e importante: occorre, dopo, molto maggior abilità, per rimettersi nella stessa condizione di prima, che non ne occorra per fare grandi progressi, quando si hanno già dei principî certi. (VI; 1937, p. 98)
  • [...] quando si apprende una cosa da qualche altro, non la si può concepire e rendere propria così bene come quando la s'inventa da sé. (VI; 1937, p. 100)

Le passioni dell'anima

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In nessuna cosa appare meglio quanto le scienze che abbiamo noi degli Antichi sono difettose che nei loro scritti sulle passioni.

Citazioni

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  • [...] l'amore congiunto con la tristezza, è la causa principale delle lagrime. (parte II, Del numero e dell'ordine delle passioni; spiegazione delle sei primitive, cap. CXVII, Come si arrossisce spesso quando si è tristi, p. 104)
  • Io non noto in noi che una sola cosa, che possa darci un giusto motivo per stimarci, cioè l'uso del nostro libero arbitrio, e l'impero che abbiamo sulle nostre volontà. Perché non ci sono che le nostre azioni che dipendono da questo libero arbitrio, per le quali noi possiamo a ragione essere lodati o biasimati; ed esso ci rende in qualche modo simili a Dio, facendoci padroni di noi stessi, a condizione che non perdiamo per viltà i diritti che da esso ci derivano. (parte II, Del numero e dell'ordine delle passioni; spiegazione delle sei primitive, cap. CLII, Per quale causa si può stimarsi, p. 133)
  • [...] è un motivo per stimarsi sapersi stimati dagli altri. (parte terza, Delle passioni particolari, cap. CCIV, Della gloria, p. 169)
  • [...] sebbene il popolo giudichi assai male, tuttavia, siccome non possiamo vivere senza di lui, e ci interessa esser stimati, dobbiamo spesso seguire le sue opinioni, piuttosto che le nostre, per ciò che riguarda l'apparenza esteriore delle nostre azioni. (parte terza, Delle passioni particolari, cap. CCVI, Dell'uso di queste due passioni, pp. 169-170)

Principia philosophiae

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Principia philosophiae, 1685
  • Nell'istante in cui respingiamo [...] tutto ciò di cui possiamo dubitare [...], non possiamo supporre alla stessa stregua che non esistiamo noi che dubitiamo della verità di tutto ciò: infatti la repugnanza a concepire che quello che pensa non esiste all'atto che pensa, non è tale da impedirci, malgrado ogni stravagante supposizione di credere che la conclusione: Io penso, dunque sono[26], sia vera e che sia pertanto la prima cosa e più certa che si presenti a un pensiero ordinato.[27] (parte I, 7)
  • Le percezioni dei sensi non insegnano che cosa ci sia veramente nelle cose; ma che cosa giovi o nuoccia al corpo umano. (parte II, 3; in Estensione e movimento, p. 144)
  • La natura del corpo non consiste nel peso, nella durezza, nel colore o simili; ma nella sola estensione. (parte II, 4; in Estensione e movimento, p. 144)
  • [...] se dal solo fatto che un corpo è esteso in lunghezza, larghezza e profondità concludiamo giustamente che esso è una sostanza, perché ripugna del tutto che il nulla abbia un'estensione, lo stesso si deve concludere anche per lo spazio supposto vuoto; infatti, poiché in esso vi è estensione, necessariamente vi è anche sostanza. (parte II, 16; in Estensione e movimento, p. 150)

Citazioni su Cartesio

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  • Anche la Filosofia di Renato Delle Carte, che i suoi seguaci chiamano Cristiana, fu, come l'altre, stravolta e tirata dove nessuno voleva. Si sa che Benedetto Spinoza, e Tommaso Burnet valente medico, non d'altro fonte attinsero le loro bestemmie, che dalla Fisica di costui, dove lo Spazio, che è sempre stato, e sempre sarà, altro non è, che la Materia, la quale perciò è eterna: e dove le leggi del Moto anno dalla materia meccanicamente prodotto il Mondo, e ciò ch'è nel Mondo, è perciò sorto senza architetto. (Domenico Aulisio)
  • Cartesio prese anche un abbaglio, sostenendo che l'essenza di Dio implica la sua esistenza tanto quanto l'essenza di un triangolo implica il fatto che la sua somma angolare sia 180°. Per sua sfortuna, Cartesio non avrebbe potuto scegliere un esempio peggiore di «necessità», visto che la somma angolare di un triangolo è pienamente «contingente»: essa è minore, uguale o maggiore di 180°, a seconda che la geometria sia iperbolica, euclidea o ellittica. Non si può neppure aggirare l'ostacolo riferendosi alla geometria del mondo fisico, visto che Einstein ha provato che essa, qualunque cosa sia, non è euclidea. (Piergiorgio Odifreddi)
  • Cartesio quel filosofo eccellente, | Che tanto in te le cose andava drento, | L'hà fatto quel bellissimo argomento | Contro quei, che credeva d'esser gnente. (Giorgio Baffo)
  • Cartesio sembra aver creduto in buona fede che le bestie non abbiano anima e, cosa ancor più sorprendente, è riuscito a persuadere della cosa i suoi discepoli. Un principio male inteso e portato alle estreme conseguenze, lo condusse a tale idea. [...] Egli cercò forse di fondare un sistema cosi paradossale solo per piacere ai teologi: ma accadde esattamente il contrario. Essi temettero che, ammettendo un tal meccanismo come causa di tutte le azioni delle bestie, non si arrivasse a sostenere che esso era sufficiente a spiegare anche quelle degli uomini; che le bestie non avendo anima, anche gli uomini potessero pensare di farne a meno: si gridò allo scandalo e all'empietà. (Pierre Louis Moreau de Maupertuis)
  • Descartes era piccolo di persona, avea la testa grossa, ciglia sporgenti, naso prominente, capelli neri, che gli cadevano sulle sopracciglia; di temperamento freddo ed egoistico. Per quanto concerne il livello de' suoi studî, egli non era molto colto, e spregiava ad un tempo quella scienza e quell'arte, dalle quali non si potesse trarre alcun che di reale. (Dionisio Gambioli)
  • Descartes non si distingue tanto per la novità degli argomenti, quanto per il suo metodo, per il modo con cui tratta le materie e soprattutto per la sua chiarezza; invece Bruno, come i suoi Maestri, ha inviluppato i suoi pensieri e li ha nascosti sotto il velo dei versi. (Giovanni Vincenzo Gravina)
  • Descartes, seguito da molti altri, è il primo filosofo che abbia osato trattare le bestie come «mere macchine»; [...] paradosso che gli ha assicurato straordinaria fortuna nel mondo. Non avrebbe mai sostenuto tale opinione se la gran verità della distinzione tra anima e corpo, che pose per primo in piena evidenza, congiunta al pregiudizio tradizionale contro l'immortalità dell'anima delle bestie, non lo avesse per così dire costretto ad abbracciarla. Il concetto di macchina schivava due grandi obiezioni: l'una riguardante l'immortalità dell'anima, l'altra la bontà di Dio. Se ammettete il sistema degli automi queste due difficoltà scompaiono; non si era però notato che ne sorgevano molte altre dal suo stesso fondo. Si può osservare, per inciso, che la filosofia di Descartes – checché ne abbiano detto gli invidiosi – era assai propizia alla religione: l'ipotesi delle macchine ne è appunto una prova. (Claude Yvon)
  • Descartes si diverte troppo a ragionare sulle parti invisibili del nostro corpo, prima di aver cercato quelle visibili [...]; si è ingannato completamente sul movimento del cuore e dei muscoli. Per grande sventura per la fisica e la medicina perdette la vita credendosi abile nella medicina, trascurando così di ascoltare gli altri. [...] Se la sua arroganza glielo avesse permesso, si sarebbe ricreduto di alcuni errori [...].
    Descartes ignorava la chimica, senza la quale è impossibile progredire nella fisica applicata. Ciò che egli dice dei sali fa pietà. [...] Presto si dimenticherà il bel romanzo della fisica che ha scritto. (Gottfried Wilhelm von Leibniz)
  • La completa diversità, assunta a dispetto di ogni evidenza, tra l'uomo e l'animale [...] fu enunciata nel modo più risoluto e stridente da Cartesio, come necessaria conseguenza dei suoi errori. (Arthur Schopenhauer)
  • La grande superiorità della teoria cartesiana non consiste soltanto nel fatto d'aver messo l'analisi al servizio della geometria. Secondo me, il punto capitale è questo, la geometria dei greci dà la preferenza a certe forme (retta, piano); altre, per esempio l'ellisse, non le sono accessibili se non in quanto costruite o definite con l'aiuto di forme come il punto, la retta e il piano. Invece nella dottrina cartesiana tutte le superfici, ad esempio, sono equivalenti per principio e la preferenza nell'edificio geometrico non è deliberatamente accordata alla forma lineare. (Albert Einstein)
  • La grandezza di Descartes consistette principalmente nel suo metodo, nella sua determinazione a non accettare nulla sulla fiducia. Il suo Discours de la méthode (1637) e le Méditations (1641) influenzarono molto il moderno assunto secondo il quale il perseguimento della verità è di natura esclusivamente individuale, indipendente logicamente dalla tradizione e invero più facile da raggiungere prescindendo da questa. (Ian Watt)
  • La semplice percezione di un oggetto bastava a lui per iscoprirne tutto il fondo. Era egli arrivato al punto di elevazione, e superiorità, che parve una Divinità fra gli uomini. Datemi, soleva dire, materia e modo, ed io vi farò un Mondo. Promessa fastosa, ma da lui adempiuta con innumerabili scoperte, e dottrine sublimi. (Alexandre Savérien)
  • La vera originalità di Cartesio deriva innanzitutto dal fatto che la sua opera fondamentale prepara la scienza dell'età moderna. Con la scoperta della geometria analitica Cartesio fonda il modo di pensare scientifico moderno che trova la sua espressione matura nel calcolo infinitesimale. Il rinnovamento della riflessione sul problema della conoscenza, incontra così un nuovo oggetto; solo in questo modo la filosofia di Cartesio acquisisce il carattere di autentica rinascenza. (Ernst Cassirer)
  • Nessun filosofo del passato infatti ha contribuito in modo così decisivo al senso della fenomenologia come il maggior pensatore francese, Renato Cartesio. È lui che la fenomenologia deve onorare come suo patriarca. (Edmund Husserl)
  • Non è l'idea di una certa signoria dell'uomo sulla natura che va rimproverata a Cartesio, ma il fatto che la natura sia concepita innanzitutto come un'estensione da quantificare e una risorsa da sfruttare, e non innanzitutto come la materna sorgente del primo stupore e della prima certezza. (Fabrice Hadjadj)
  • Pare che Descartes fosse incerto nel riguardare i raggi luminosi o come provenienti dall'occhio e come suol dirsi toccanti l'oggetto, come avevano creduto i Greci, od invece come procedenti dall'oggetto e così toccanti l'occhio[28]; ma poiché egli riteneva infinita la velocità della luce, non seppe considerarne il punto particolarmente importante. (Dionisio Gambioli)
  • Perché non ha mai a venire un Cartesio in filologia come n'è venuto uno in filosofia? (Giuseppe Baretti)
  • [Cartesio] provando solo per via di geometria, e di matematica, con scoprire e diffinire l'essere della medesima, e come che questa scienza solo si estende a rappresentare la figura, non la sustanza del corpo; moltissimi sono gli ostacoli che vi potrà rinvenire uno spassionato investigatore che solo della ragione e della sperienza, non dell'altrui opinione severo seguace si è fatto. (Carlo Antonio Broggia)
  • Si è detto talora che nel cogito Cartesio attinge l'essere del suo dubbio. Di fatto l'«io penso» è un «io dubito» ed è in questo senso che si può dire che l'«io penso» è essenzialmente volontà. Perché l'atto stesso di dubitare presuppone un soggetto che dubita, di modo che dubitare di questo soggetto è ancora affermarlo. È il celebre rovesciamento: posso dubitare di tutto, ma al momento in cui dubito di tutto, non posso dubitare di dubitare e di conseguenza io penso, e di conseguenza io sono. (Ferdinand Alquié)
  • Verso il fine della sua solitudine, che ben nove anni durò, [il Vico stesso] ebbe notizia aver oscurato la fama di tutte le passate la fisica di Renato Delle Carte, talché s'infiammò di averne contezza; quando per un grazioso inganno egli ne aveva avute di già le notizie, perché esso dalla libreria di suo padre tra gli altri libri ne portò via seco la Filosofia naturale di Errico Regio, sotto la cui maschera il Cartesio l'aveva incominciata a pubblicare in Utrecht. (Giambattista Vico)

Note

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  1. Citato in AA.VV., Il libro della psicologia, traduzione di Giuliana Lupi, Gribaudo, 2018, p. 21. ISBN 9788858015018
  2. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 79. ISBN 9788858014165
  3. Da La nascita della pace, in Opere filosofiche.
  4. Cartesio, Frammenti giovanili, in Opere filosofiche, a cura di E. Garin, G. Galli, Laterza, Roma-Bari, 1994, vol. I, p. 8.
  5. Da Corrispondenza con Mersenne, nota alla riga 7 (1640), p. 36. Citato in Die Wiener Zeit, p. 532 (2008); in StackExchange Math Q/A Where did Descartes write...; in AA.VV., Il libro della matematica, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2020, p. 148. ISBN 9788858025857
  6. Da Prefazione dell'autore al lettore, in Meditazioni riguardanti la filosofia prima, 1912.
  7. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 119. ISBN 9788858014165
  8. Dalla lettera a Chanut del 6 giugno 1647; citato in Ditadi 1994, pp. 547-548.
  9. Dalla lettera a Henry More del 5 febbraio 1649; citato in Ditadi 1994, pp. 549-550.
  10. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 120. ISBN 9788858014165
  11. Citato in AA.VV., Il libro della matematica, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2020, p. 151. ISBN 9788858025857
  12. Citato in AA.VV., Il libro della matematica, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2020, p. 147. ISBN 9788858025857
  13. Citato in Dino Basili, L'amore è tutto, Tascabili economici Newton, febbraio 1996, p. 37.
  14. Da Il Mondo, 1959, p. 64; citato in Koiré 1979, p. 334
  15. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 123. ISBN 9788858014165
  16. Da La geometria. Citato in AA.VV., Il libro della matematica, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2020, p. 146. ISBN 9788858025857
  17. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 122. ISBN 9788858014165
  18. da Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima, in Opere filosofiche.
  19. Da Il Mondo, 1959, p. 64; citato in Koiré 1979, p. 336.
  20. Da Regole per la guida dell'intelligenza, in Opere filosofiche.
  21. Da La geometria.
  22. Da Opere scientifiche, L'Uomo.
  23. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 87-88.
  24. Citato in Simon Singh, La formula segreta dei Simpson, traduzione di Carlo Capararo e Daniele Didero, Bur, 2015.
  25. Citato in Ravi Kalakota, Marcia Robinson, Mobile business, Apogeo, 2002, p. 115.
  26. In lingua originale: «Ego cogito ergo sum.» Cfr. voce su wikipedia.
  27. Citato in Dario Antiseri e Giovanni Reale, Storia della filosofia, Vol. 5, Empirismo e Razionalismo, Giunti, p. 84. ISBN 8858762533
  28. Nel testo "ochio".

Bibliografia

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  • Renato Descartes, Discorso sul metodo e meditazioni filosofiche, vol. I, traduzione di Adriano Tilgher, Laterza, Bari, 1912.
  • Cartesio, Discorso sul metodo, a cura di Adolfo Levi, Luigi Loffredo Editore, Napoli, 1937.
  • Cartesio, Discorso sul metodo, a cura di Guido De Ruggiero, Mursia, Milano, 1980.
  • Cartesio, Discorso sul metodo, curatore e traduttore Italo Cubeddu, Editori Riuniti, 1996. ISBN 8835941067
  • Cartesio, Discorso sul metodo, traduzione di Monica Barsi e Alessandra Preda, RCS Quotidiani, 2010.
  • Cartesio, Estensione e movimento. (da Principia philosophiae, 1644, parte 2, traduzione di P. Cristofolini) in Albert Einstein, Relatività. Esposizione divulgativa e scritti classici su Spazio Geometria Fisica, a cura di Bruno Cermignani, Bollati Boringhieri, Torino, 2011, pp. 143-170. ISBN 978-88-339-2199-0
  • Cartesio, Il Mondo, a cura di G. Cantelli, Boringhieri, Torino, 1959.
  • Renato Cartesio, Le passioni dell'anima, traduzione di Adolfo Zamboni, R. Carabba, Lanciano, 1928.
  • Cartesio, Opere scientifiche. Vol. I La Biologia, a cura di G. Micheli, UTET, Torino, 1966.
  • Cartesio, Opere filosofiche, a cura di Bruno Widmar e Ettore Lojacono, UTET, Torino, 2013.
  • Gino Ditadi, I filosofi e gli animali, vol. 2, Isonomia editrice, Este, 1994. ISBN 88-85944-12-4
  • Alexandre Koyré, Lezioni su Cartesio (Entretiens sur Descartes), traduzione di Hélene Tenda e Paolo Guidera, a cura di Paolo Guidera, Tranchida Editori, Milano, 1990.
  • Alexandre Koyré, Studi galileiani (Etudes galiléennes, 1966), traduzione di Maurizio Torrini, Einaudi, Torino, 1979.
  • René Descartes, Regole per la guida dell'intelligenza (Regulae ad directionem ingenii), traduzione di Lucia Urbani Ulivi, Fabbri, Milano, 2003.

Filmografia

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Voci correlate

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