Fernand Braudel

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Targa commemorativa dedicata a Fernand Braudel, in Rue Brillat-Savarin, Parigi

Fernand Braudel (1902 – 1985), storico francese.

Citazioni di Fernand Braudel[modifica]

  • [...] colline di Toscana, coi loro celebri poderi, le ville, i paesi che sono quasi città, nella più commovente campagna che esista.[1]
  • E Napoli ha continuato a dare molto all'Italia, all'Europa e al mondo: essa esporta a centinaia i suoi scienziati, i suoi intellettuali, i suoi ricercatori, i suoi artisti, i suoi cineasti.... Con generosità, certo. Ma anche per necessità. Mentre non riceve nulla, o pochissimo, da fuori. L'Italia, secondo me, ha perso molto a non saper utilizzare, per indifferenza, ma anche per paura, le formidabili potenzialità di questa città decisamente troppo diversa: europea prima che italiana, essa ha sempre preferito il dialogo diretto con Madrid o Parigi, Londra o Vienna, sue omologhe, snobbando Firenze o Milano o Roma....
    Non attendiamoci da essa né compiacimenti, né concessioni. Questo capitale oggi sottoutilizzato, sperperato fino ai limiti dell'esaurimento – poiché non si può dare indefinitamente senza ricevere – quale fortuna per tutti noi, se ora, domani, potesse essere sistematicamente mobilitato, sfruttato, valorizzato. Quale fortuna per l'Europa, ma anche e soprattutto per l'Italia. Questa fortuna, Napoli merita, più che mai, che le sia data.[2]
  • Genova, con i suoi colossali bastimenti famosi allora nel mondo intero, con le sue case ammonticchiate che spuntano come candele – l'ho amata e l'amo ancora.
    Anche Genova bisogna incontrarla venendo dal mare. Avendo proclamato a gran voce che l'amavo, mi sono visto arrivare lettere, segni di amicizia. Ma anche delle domande: dicevo proprio quello che pensavo? Anche in tempo di maestrale, che cola come una sfilza di rivoletti ghiacciati per strade e stradette, Genova mi incanta. Dalla città alta un breve movimento delle spalle, una svolta ad angolo retto, ed eccovi nella città vecchia, nera, un altro universo, segreto, pieno di odori forti... Siete perduti. Ci si riprende, si torna alla ragione solo al termine del pendio, quando appare il mare.[3]
  • Impossibile, nondimeno, per me non vagheggiare per Napoli una sorte diversa da quella che le conosco oggi e non invitare i miei amici italiani, per assaporarne reazioni, tanto più inorridite in quanto siano originari di Milano, di Bologna o di Firenze, a immaginare quale avrebbe potuto essere il destino dell'Italia ed il volto attuale di questa città se essa fosse stata preferita a Roma come capitale del nuovo Stato. Roma, che nulla qualificava a svolgere questo ruolo, salvo la sua leggenda e il suo passato, quando Napoli era – e di gran lunga –, malgrado i rapidi progressi di Torino, la sola città ad essere, verso il 1860-70, all'altezza del compito.[2]
  • L'acqua, sempre l'acqua: è la materia, il materiale della città. E prima di tutto l'acqua della laguna, che di Venezia è la matrice. Ma chi lo sa? I canali, anche i più gloriosi, la cui immagine canta nella nostra memoria, sono conseguenze, non la causa prima. La causa prima è quella piatta distesa liquida che circonda e circoscrive la città, al tempo stesso malamente aperta e malamente chiusa dalla parte dell'Adriatico. Senza di essa, nulla sarebbe stato possibile. Qui Venezia è cominciata [...]
    Questo dominio, questa signoria della laguna, solo i veneziani li conoscono, e li hanno cantati o anche descritti in libri eruditi. Lo straniero, affascinato, monopolizzato dalla città, disdegna troppo facilmente il mare interno, che a essa fa capo, come una viva pianta al suo fiore. Rifiuta di perdersi nella malia di quelle distese d'acqua, tanto unite, tanto irreali, che la luce del giorno rende di volta in volta bianche, azzurre, rosa, grigie, più raramente viola e più raramente ancora verdi, come i canali della città e come le ha dipinte Abert Marquet. Lontano, all'orizzonte, la riva delle isole o delle lingue di sabbia disegna appena un filo di ocra sul pelo dell'acqua.[4]
  • Ma l'errore dell'Unità risiede probabilmente altrove: nella volontà di costruire ad ogni costo uno Stato centralizzato su un modello francese del quale noi francesi abbiamo tanta difficoltà a disfarci oggi, voltando le spalle a ciò che faceva la sua ricchezza, quella pluralità di città abituate a dominare e guardare lontano. Si vagheggia volentieri di una rotazione, di cinque anni in cinque anni. Ma Napoli avrebbe saputo attendere tranquillamente? Temo di no: essa ama troppo la vita e le gioie della potenza per cedere a simili generosità.... Facilmente la credo capace di un immenso coraggio, non del gusto del sacrificio. Non la vedo rientrare nei ranghi dopo avere occupato la prima pagina: per conservare questo posto, ha scelto di essere diversa.[2]
  • Ne consegue l'obbligo di rivolgersi ai mercati d'oltremare. In una corsa di questo genere, l'Inghilterra è la meglio piazzata, in quanto ha utilizzato la via più sicura e veloce: quella dei legami della finanza. Da allora, legata a Londra, l'America latina resterà alla periferia dell'economia-mondo europea, dalla quale anche gli Stati Uniti, costituiti nel 1787, avranno, nonostante i precoci vantaggi, molte difficoltà a uscire del tutto. È alla Borsa di Londra, e secondariamente a quella di Parigi, che si registrano, con le quotazioni dei prestiti, gli alti e i bassi dei nuovi destini dell'America.[5]
  • Nessuno è mai riuscito a governare Napoli.[6]
  • Non dimentichiamolo, essa [Napoli] sarà l'unica città dell'Occidente, dopo il riflusso dell'Islam, a dare il proprio nome ad un regno; qualcosa di più di una capitale, e l'asserzione di un diritto di proprietà eminente.[2]
  • Questa straordinaria città divorante il mondo è la più grande avventura umana del secolo XVI. Genova sembra allora la città dei miracoli.[7]
  • Se mai esiste una città diabolicamente capitalistica assai prima dell'età capitalistica europea e mondiale è proprio Genova, opulenta e sordida al tempo stesso.[8]
  • Tutti, anche, hanno dovuto fare i conti con questa città enorme, che sfuggiva loro incessantemente e che controllavano solo in apparenza. Ma tutti hanno finito per lasciarsi prendere dal gioco; ed io capisco come Murat abbia cercato disperatamente di salvare il suo trono e di averlo preferito, non senza coraggio, alla propria vita. Quale governo, oggi, sarebbe capace di un simile atteggiamento? Tenere Napoli è correre un rischio, e accettare di pagarne il prezzo. Nessuno, di quei sovrani di ieri, che non abbia dovuto annegare nel sangue di molteplici rivolte; nessuno, neppure, che non abbia lasciato dei rimpianti, nemmeno gli spagnoli, nemmeno i Borboni, che a Napoli hanno ancora i loro seguaci inconsolabili.[2]
  • Tutti da bambini, abbiamo sognato la fortuna di Robinson Crusoe, il naufragio davanti all'isola che tanto opportunamente lo priva di ogni suo bene [...] tutti abbiamo sognato le stranezze di una vita inedita in un regno inaccessibile, un'isola di libertà, frutto, in qualche modo, di una diversa distribuzione delle cose della vita.
    Ebbene, anche Venezia è un'isola, un mondo altro, per persone adulte o quasi, per bambini troppo cresciuti ma ancora capaci di sognare. Un'isola certo non inaccessibile, ma che forse non si raggiunge mai veramente. La si è troppo immaginata, prima di conoscerla, per vederla così com'è. La amiamo attraverso noi stessi. Sortilegio, illusione, inganno, specchio deformante, ecco quel che è, quel che le chiediamo di essere. [...] Mondo a metà visto a metà sognato, si richiude su di noi come per virtù propria. Ed è quanto ci aspettiamo. Ciascuno di noi ha il suo modo di amare Venezia, che non è quello del vicino, e di racchiudervisi a piacer suo, di trovarvi ciò che vuole, la decrepitezza della morte, un attimo di tregua, un alibi, una stravaganza o il semplice intermezzo di una vita diversa.[9]

Il mondo attuale[modifica]

  • Dietro ad ogni umanista possiamo individuare, con un sorriso di complicità o di malizia, l'ombra del modello antico che lo ispira, e denuncia così le intenzioni del suo spirito. Erasmo da Rotterdam, chiamato il principe degli umanisti, non è che Luciano, insinuarono gli avversari; e «lucianiani» furono anche Rabelais e Bonaventure des Périers, mentre Machiavelli s'ispirò a Polibio... ( vol II, p. 393)
  • Chi non può visitarla [l'America latina] di persona, cerchi almeno di conoscerla attraverso la sua letteratura, mirabile, franca, poco sofisticata, ingenuamente e schiettamente impegnata. Vi troverà la possibilità di mille viaggi in ispirito, e una testimonianza di tale chiarezza da superare tutto ciò che i servizi giornalistici, gli studi sociologici, economici, geografici e storici (quest'ultimi spesso eccellenti) possono offrirci. La letteratura ci restituisce anche l'inestimabile profumo di paesi e società isolate, avare dei loro segreti, nonostante la cordialità e la franchezza dell'accoglienza. (vol. II, pp. 486-487)
  • La prima Russia, formata da una mescolanza di popoli europei e asiatici, fu quella dei «piccoli russi». La fusione dei popoli, la prosperità delle città e tutto il fervore di vita tra Novgorod la Grande a nord e Kiev a sud, non si spiegherebbero, senza la presenza di una via di prospero commercio tra il Baltico e il mar Nero, con le sue diramazioni da un lato fino a Bisanzio – la ricchissima città le cui luci abbagliarono i kievani, ispirando loro folli spedizioni – e dall'altro fino a Baghdād – che in quell'epoca cominciava a raggiungere il suo pieno splendore. [...] Da Novgorod a Kiev, tutta una fila di città vicine fra loro si scambiavano merci, conflitti e principi
    Lo splendore di quella prima Russia si spiega in un contesto di storia generale. Infatti, chiuso per lungo tempo il Mediterraneo occidentale dalla conquista islamica dei secoli VII e VIII, gli si sostituì la via continentale tra Novgorod e Kiev come via di collegamento tra i paesi del nord e le ricche contrade del sud. Il giorno in cui, fra il secolo XI e il XII, con la fine della supremazia musulmana sul mare, il Mediterraneo fu nuovamente aperto ai traffici, decrebbe l'interesse di questa interminabile via, fatta di strade fluviali e carovaniere, fino a scomparire definitivamente con l'occupazione latina di Costantinopoli nel 1204. La via marittima uccise quella continentale.
    Già prima di quella data i principi di Kiev avevano incontrato crescenti difficoltà a difendere le loro frontiere e ad assicurare la continuità del percorso dal Baltico al mar Nero. Secondo un antico proverbio «se è per mangiare e per bere, tutti vanno a Kiev, ma al momento di difenderla tutti spariscono». Fu proprio così. (vol. II, pp. 598-599)
  • [...] nel nord si era andato sviluppando, tra una miriade di feudi e tra oscure lotte, il principato di Mosca, fondato nel secolo XIII, che andò poco a poco «assorbendo» la terra russa (come i Capetingi quella francese a partire dall'Ile-de-France) e riuscì a liberarsi della tutela tatara (1480). [...] In generale, i sovrani dell'Orda d'Oro favorirono e appoggiarono lo sviluppo di Mosca; convertitisi tardi e male all'islamismo, essi furono di solito tolleranti e permisero ai popoli loro soggetti di conservare statuti e religione, tanto che a Saraj c'era una chiesa ortodossa.
    Tra padroni e tributari furono d'altronde numerosi i matrimoni, e si poté dire che in Moscovia esisteva un'aristocrazia «semi-orientale». [...] Per lungo tempo i Mongoli avevano imposto il loro prestigio ai principi moscoviti. La loro civiltà era molto più raffinata di quella russa, il loro stato meglio organizzato, tanto da essere preso a modello, e la loro economia monetaria non aveva equivalente nel nord. [...] La civiltà superiore dell'Orda d'Oro trasmise un certo carattere asiatico agli usi e costumi della Moscovia. In realtà questa si era comportata come una popolazione barbarica, illuminata e soggiogata da una civiltà superiore. Questa convivenza ricorda da vicino – anche se con conflitti meno forti – i rapporti tra la Spagna cristiana e la brillante Spagna musulmana. Va notato che lo zar di Mosca prese il sopravvento sul khan musulmano verso il 1480, nel momento in cui la reconquista spagnola andava avvicinandosi al suo ultimo atto, con la presa di Granada del 1492. (vol. II, pp. 605-606)
  • [Su Palazzo Ostankino] «Grattate il russo e ritroverete il moscovita» dice un proverbio venuto forse dalla Russia, che fece fortuna in Occidente. Ma perché il moscovita non dovrebbe restare tale, con i suoi gusti, la sua originalità, le sue reticenze? [...] Al visitatore sorpreso della freschezza delle pitture interne, delle dorature, della decorazione, dei soffitti a trompe l'œil, spesso solo appena ritoccati, viene spiegato che tutta la costruzione non è in muratura, come lo spessore dei muri indurrebbe a pensare, ma in legno, materiale refrattario all'umidità. Diceva il principe, non a torto, che nulla poteva uguagliare la comodità delle case russe in legno, cui egli era abituato. Utilizzò dunque il legno, facendolo rivestire alla francese. (vol. II, p. 610)
  • Un nugolo di ingegneri, architetti, pittori, artigiani, musicisti, maestri cantori e governanti si abbatté su un paese avido di apprendere e deciso a sopportare tutto per raggiungere lo scopo prefisso. Gli edifici di San Pietroburgo, dove, piccolo particolare significativo, si conserva, ancora intatta, la biblioteca di Voltaire e più ancora l'incredibile massa di corrispondenza e di pubblicazioni in lingua francese ammucchiate nei pubblici archivi, sono altrettante prove del grande cimento cui l'intelligencija russa si sottopose con entusiasmo in quel periodo. (vol. II, p. 610)
  • Così a Leningrado, per contrasto, tutto appare più raffinato, le donne più eleganti, la lingua che si parla più pura. Forse anche a causa dello stile dell'edilizia, restaurata a meraviglia dopo la guerra, si ha qui l'impressione di trovarsi in una vecchia città europea, simpatica, raffinata, di gran classe e, grazie al suo porto, sempre aperta alla vita internazionale. La campagna non l'ha sommersa, ma forse Leningrado, nonostante la sua periferia industriale, resta un po' estranea al grandioso fenomeno di rimpasto sociale, che offre altrove già l'immagine della Russia di domani e che dà incontestabilmente a Mosca il suo tono di capitale. (vol. II, pp. 630-631)

Memorie del mediterraneo[modifica]

  • Che cosa sarebbe "avvenuto dell'Italia se Alessandro, trascurando l'Asia, avesse diretto la sua spedizione contro l'Occidente?". A una domanda come questa di von Hassel si risponderà sempre che è inutile rifare la storia. Ma non resistiamo alla tentazione di immaginare Siracusa che, con Alessandro, sarebbe diventata la metropoli del mare Interno, di un impero greco vincitore allo stesso tempo di Roma e di Cartagine, allargando fino a noi, occidentali, un ellenismo diretto, senza l'intermediazione e il filtro di Roma. Una guerra che non ha avuto luogo è comunque una guerra persa. La grandezza del mare Interno, già a quell'epoca, si gioca, che lo si voglia o no, nel luogo che fa da cerniera tra i due Mediterranei.
  • Nessuno è riuscito a spiegare come Alessandro sia riuscito a conquistare l'impero persiano. Più di ogni altra cosa, è l'apparente facilità di questo successo a costituire un problema.
  • Dieci secoli: uno spazio cronologico in cui "quasi tutta la storia della Francia starebbe comoda". Ora, "dopo dieci secoli, dall'oggi al domani, al primo colpo di sciabola arba, tutto crolla [...] per sempre; la lingua e il pensiero greci, gli schemi occidentali, tutto va in fumo; questi mille anni di storia è come se, localmente, non fossero mai esistiti. Non sono bastati all'Occidente per affondare la seppur minima radice in quel terreno orientale.
  • Il numero, per Pitagora e per i suoi allievi, è in effetti la spiegazione del mondo, come il fuoco per Eraclito.
  • E il pensiero greco vola verso di noi, si reincarna ostinatamente, come le anime dei morti che il sacrificio di Ulisse riportava in vita. Si trova a Mileto, ai tempi dei grandi ioni; a Atene, quando parla Socrate; a Alessandria d'Egitto, prima di brillare a Siracusa, con Archimede; sarà a Roma, poiché la derisoria riduzione della Grecia a provincia romana (146 a.C.) si conclude con la conquista spirituale del vincitore; sarà un prezioso fiore di serra a Bisanzio, la seconda Roma; fiorirà di nuovo a Firenze di Lorenzo de' Medici e di Pico della Mirandola. E ancora oggi giunge fino a noi...
  • Non è forse un'illusione credere che i grandi uomini tengano il destino nelle loro mani?
  • Il dramma delle città greche è in parte quello delle città del Rinascimento italiano. Nessuna – né Firenze, né Venezia, né Genova, né Milano – ha saputo realizzare l'unità d'Italia.
  • Fra greci e persiani si è stabilita, per stanchezza, una specie di coesistenza pacifica e diffidente.
  • Nel 280 il re dell'Epiro viene chiamato in aiuto di Taranto; quando sbarca "con circa trentamila uomini e trenta elefanti", ha già alle spalle un passato favoloso, pieno di avventure: ostaggio ad Alessandria durante la giovinezza, sposato con una principessa egizia, poi padrone di Corcira (Corfù), e per breve tempo dell'intera Macedonia [...] I suoi elefanti portano lo scompiglio nelle legioni romane a Eraclea, durante l'estate del 280; [...] nel 278 sbarca in Sicilia, che probabilmente è la terra dei suoi sogni e delle sue ambizioni [...].

Citazioni su Fernand Braudel[modifica]

  • Insegnava il mercoledì e il sabato mattina al College de France e il giovedì pomeriggio all'école des Hautes Etudes. Finita la lezione ci invitava in un caffè a chiacchierare piacevolmente di tutto. Lì ho fatto amicizia con parecchi storici che poi sarebbero diventati importanti, come Geremek e Hobsbawm. Eric era stato messo al bando da tutte le università inglesi perché considerato un pericoloso comunista. E Braudel, uomo di destra, sincero gollista, lo accolse tranquillamente. Non guardava le idee politiche, ma solo se eri bravo. (Corrado Vivanti)

Note[modifica]

  1. Da Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, 1965, p. 49.
  2. a b c d e Citato in Fernand Braudel su Napoli, altaterradilavoro.com, 1 dicembre 2018.
  3. Da L'Italia che mi ha incantato, in Corriere della Sera, 31 ottobre 1982, p. 3.
  4. Da Venezia, in Il Mediterraneo, Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, traduzione di Elena De Angeli, Bompiani, Milano, 19977, p. 245. ISBN 88-452-1869-4
  5. Da Civiltà materiale: secoli XV-XVIII, p. 446.
  6. Citato in www.ischiaonline.it.
  7. Citato in Pasquale Costanzo, Lineamenti di diritto costituzionale della regione Liguria, G. Giappichelli Editore, 2011, p. 6. ISBN 9788834818718
  8. Da Il secondo Rinascimento, traduzione di Corrado Vivanti, Einaudi, Torino, 1986, p. 78. ISBN 88-06-59364-1
  9. Da Venezia, in Il Mediterraneo, p. 245. ISBN 88-452-1869-4

Bibliografia[modifica]

  • Fernand Braudel, Il mondo attuale, traduzione di Gemma Miani, vol. II, Einaudi, Torino, 1966.
  • Fernand Braudel, Memorie del mediterraneo, Bompiani 2004.

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