Vai al contenuto

Giovanni Giolitti

Al 2024 le opere di un autore italiano morto prima del 1954 sono di pubblico dominio in Italia. PD
Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
(Reindirizzamento da Giolitti)
Giovanni Giolitti

Giovanni Giolitti (1842 – 1928), politico italiano.

Citazioni di Giovanni Giolitti

[modifica]
  • Carlo Marx è stato mandato in soffitta. (da un discorso alla Camera dei Deputati, 8 aprile 1911; da Discorsi parlamentari di Giovanni Giolitti, vol. III, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma, 1953-1956; citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 202)
  • [Scrivendo da Nizza a Luigi Ambrosini il 1º gennaio 1923, dopo la formazione del governo Mussolini] Certo le cose politiche e specialmente le parlamentari non potevano continuare senza portare il Paese alla rovina. La maledetta legge elettorale (fondata sulla proporzionale anziché sul collegio uninominale) aveva frazionato la Camera in modo da rendere impossibile un governo omogeneo, forte, capace di avere e di attuare un programma. Le cose erano giunte ad un punto che un pretuncolo intrigante [don Luigi Sturzo], senza alcuna qualità superiore, dominava tutta la politica italiana e ciò unicamente per raggiungere miseri fini elettorali. Riuscirà il nuovo ordine di cose? Io lo spero, intanto è certo che ha tratto il Paese dal fosso in cui finiva per imputridire. Caro Ambrosini, non riesco a essere pessimista. (citato in Nino Valeri, Giovanni Giolitti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1971, p. 377)
  • [Nel suo ultimo discorso alla Camera il 16 marzo 1928] Con la presentazione del disegno di legge ora in discussione il governo ha riconosciuto che un grande paese civile come l'Italia deve avere, fra gli organi costituzionali dello Stato, una rappresentanza nazionale. Però il metodo proposto per la formazione della nuova Camera, non può costituire una rappresentanza. Affinché un'assemblea possa essere la rappresentazione della nazione occorre che i suoi componenti siano scelti, con piena libertà, dagli elettori, nei collegi elettorali, come del resto prescrive l'articolo 39 dello Statuto. Ogni facoltà di scelta invece qui è esclusa dal fatto che, per legge, una sola lista può essere proposta agli elettori. Questa legge la quale, affidando la scelta dei deputati al Gran Consiglio fascista, esclude dalla Camera qualsiasi opposizione di carattere politico, segna il decisivo distacco del regime fascista dal regime retto dallo Statuto. Per queste ragioni a me e ad alcuni colleghi non è possibile dare voto favorevole al disegno di legge. (citato in Nino Valeri, Giovanni Giolitti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1971, pp. 386-387)
  • [Parlando di Salandra] Egli afferma che io esprimevo avviso contrario all'entrata in guerra per sfiducia del valore dell'esercito. Ciò è falso. Il valore del nostro esercito fu sempre fuori di discussione... Non uscì mai dalla mia bocca il turpe linguaggio che Salandra mi attribuisce. Non io potevo dimenticare il valore dimostrato dai nostri soldati in Libia ed in tutte le guerre. (citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 666-667)
  • Il Governo ha due doveri, quello di mantenere l'ordine pubblico a qualunque costo ed in qualunque occasione, e quello di garantire nel modo il più assoluto la libertà di lavoro. (30 aprile 1901; da Discorsi parlamentari di Giovanni Giolitti, vol. II)
  • Il governo quando interviene per tener bassi i salari commette un'ingiustizia, un errore economico e un errore politico. Commette un'ingiustizia perché manca al suo dovere di assoluta imparzialità tra i cittadini, prendendo parte alla lotta contro una classe. Commette un errore economico perché turba il funzionamento economico della legge della domanda e dell'offerta, la quale è la sola legittima regolatrice della misura salari come del prezzo di qualsiasi altra merce. Il Governo commette infine un errore politico perché rende nemiche dello stato quelle classi le quali costituiscono in realtà la maggioranza del Paese. (da un discorso al parlamento, 4 febbraio 1901)
  • Il paese, dice l'onorevole Sonnino, è ammalato politicamente e moralmente, ed è vero: ma la causa più grave di tale malattia è il fatto che le classi dirigenti spesero enormi somme a beneficio proprio quasi esclusivo e vi fecero fronte con imposte, il peso delle quali cade in gran parte sulle classi più povere; noi abbiamo un gran numero di imposte sulla miseria: il sale, il lotto, la tassa sul grano, sul petrolio, il dazio di consumo, ecc.; non ne abbiamo una sola che colpisca esclusivamente la ricchezza vera; perfino le tasse sugli affari e le tasse giudiziarie sono progressive a rovescio; quando nel 1893, per stringenti necessità finanziarie, io dovetti chiedere alle classi più ricche un lieve sacrificio, sorse da una parte delle medesime una ribellione assai più efficace contro il governo che quella dei poveri contadini siciliani; e l'onorevole Sonnino, andato al governo dopo di me, dovette provvedere alle finanze rialzando ancora il prezzo del sale e il dazio sui cereali. Io deploro quanto altri mai la lotta di classe; ma, siamo giusti, chi l'ha iniziata?[1]
  • [Riferendosi alla secessione dell'Aventino] L'onorevole Mussolini ha tutte le fortune politiche: a me l'opposizione ha sempre dato fastidi e travagli, con lui se ne va dal Parlamento e gli lascia libero il campo.[2]
  • La ragione principale per cui si osteggiano le Camere del Lavoro è questa: che l'opera loro tende a far crescere i salari. Il tenere i salari bassi comprendo che sia un interesse degli industriali, ma che interesse ha lo Stato? Il governo quando interviene per tener bassi i salari commette un'ingiustizia, un errore economico e un errore politico. Commette un'ingiustizia perché manca al suo dovere di assoluta imparzialità tra i cittadini, prendendo parte alla lotta contro una classe. Commette un errore economico perché turba il funzionamento economico della legge della domanda e dell'offerta, la quale è la sola legittima regolatrice della misura salari come del prezzo di qualsiasi altra merce. Il Governo commette infine un errore politico perché rende nemiche dello stato quelle classi le quali costituiscono in realtà la maggioranza del Paese. Il moto ascendente delle classi popolari si accelera ogni giorno di più ed è un moto invincibile perché comune a tutti i paesi civili e perché poggiato sul principio dell'uguaglianza fra gli uomini. (da Discorso alla Camera dei Deputati, 4 dicembre 1901)
  • La retorica è un veleno micidiale. (citato in Alfredo Frassati, Giolitti, Parenti, 1959)
  • [A Camillo Corradini in una lettera scritta il 30 aprile 1927] La vita politica è una gran brutta cosa. Io vi entrai senza volerlo: ma dovessi nascere un'altra volta mi farei frate: e sono molto contento che nessuno dei miei figli, né dei miei nipoti sia entrato o accenni menomamente al proposito di entrarvi. (citato in Nino Valeri, Giovanni Giolitti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1971, p. 384)
  • Nessuno si può illudere di potere impedire che le classi popolari conquistino la loro parte di influenza economica e di influenza politica. Gli amici delle istituzioni hanno un dovere soprattutto, quello di persuadere queste classi, e di persuaderle con i fatti, che dalle istituzioni attuali esse possono sperare assai più che dai sogni dell'avvenire. (da un discorso alla Camera dei Deputati, 1901; da Discorsi parlamentari di Giovanni Giolitti, vol. II)
  • Perdonare sempre, ma dimenticare mai. (citato in Pitigrilli, La donna di 30, 40, 50, 60 anni, Sonzogno, Milano 1967)
  • Potrebbe essere, e non apparirebbe improbabile, che nelle attuali condizioni dell'Europa, parecchio possa ottenersi senza una guerra; ma su di ciò chi non è al governo non ha elementi per un giudizio completo. (24 gennaio 1915, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 629)
  • Quando si va in cucina, bisogna pur cucinare con gli ingredienti che si trovano. (citato in Alfredo Frassati, Giolitti)
  • [Confidandosi col socialista Leonida Bissolati il 29 ottobre 1903] Se voi sapeste il numero sterminato di accuse che contro tutto e tutti riceve un povero diavolo incaricato di fare un ministero! Quanti sfoghi di rancori, di invidie, di ambizioni deluse! Verrà anche il giorno in cui il partito socialista dovrà sobbarcarsi di questo antipatico mestiere, e vedrete allora (se il mondo non sarà mutato) quale arrabbiato mestiere sia il mettere insieme le persone! (citato in Nino Valeri, Giovanni Giolitti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1971, p. 385)
  • Un sarto quando taglia un abito per un gobbo, deve far la gobba anche all'abito.[3][4]

Attribuite

[modifica]
  • Le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici.[5]

Memorie della mia vita

[modifica]
  • Primo dovere del governo è e sarà sempre di mantenere l'ordine a qualunque costo; [...]. (vol. 1, p. 158)
  • Agli uomini politici che passano dalla critica all'azione, assumendo le responsabilità del governo, si muove spesso l'accusa di mutare le loro idee; ma in verità ciò che accade, non è che essi le mutino, ma le limitano adattandole alla realtà e alle possibilità dell'azione nelle condizioni in cui si deve svolgere necessariamente. (vol. 1, pp. 190-191)
  • [...] la mia esperienza è che nelle masse il buon senso domina più che generalmente non si creda. (vol. 1, p. 192)
  • La libertà, se è indispensabile al progresso di un popolo civile, non è fine a se stessa; [...]. (vol. 1, p. 194)
  • Le mie previsioni ottimiste infatti si avverarono totalmente, perché lo sciopero [generale del 1904] non poté durare che pochissimi giorni. Esso si esaurì per stanchezza, e i primi a stancarsene furono gli scioperanti stessi, i quali, rendendosi a poco a poco conto della mancanza di vere ragioni che giustificassero e i loro sacrifizi e il turbamento recato alla vita generale del paese, cominciarono un po' da per tutto a ritornare al lavoro. Le classi borghesi, che da principio si erano assai spaventate, come avviene pur troppo frequentemente per qualunque minaccia, quando ebbero visto finalmente in faccia questo spauracchio dello sciopero generale, di cui si era parlato con tanto allarme prima di conoscerne i reali effetti, ed ebbero constatato che non produceva i guai temuti, si rinfrancarono. Gli stessi elementi rivoluzionari finirono per comprendere che questo strumento, che poteva parere così terribile sino a quando si limitavano a parlarne ed a minacciarne l'uso, alla prova dei fatti si era rivelato presso a che innocuo, e tale da mettere forse in maggiori imbarazzi chi lo usava che quelli contro i quali era diretto. (vol. 1, pp. 211-212)
  • L'on. San Giuliano, di cui ricordo sempre la fidata amicizia e il grande disinteresse patriottico, era un uomo di ingegno pronto, sottile, ed equilibrato ad un tempo; [...]. Egli aveva la capacità piuttosto rara, di considerare le questioni in tutte le loro faccie prima di prendere una risoluzione: come pure di fare giusta ragione alle critiche che si potevano opporre alle sue vedute, assimilando le opinioni degli altri. (vol. 2, pp. 331-332)
  • Ricordo che [il 12 maggio 1915] in un comizio tenuto al teatro Costanzi[6], vicino a casa mia[7], il D'Annunzio incitò il pubblico ad ammazzarmi; e difatti la folla, uscendo dal teatro, si diresse tumultuosamente verso casa mia. Gli agenti di polizia la lasciarono passare, ma uno squadrone di cavalleria ed un plotone di carabinieri l'arrestò e non permise che arrivasse fino a me. La sera dopo, quando non c'era più alcuna minaccia, si fece intorno a casa mia uno spiegamento enorme di forze, bloccando tutte le strade che conducevano a Piazza Esquilino. (vol. 2, p. 543)

Citazioni su Giovanni Giolitti

[modifica]
  • È stata fatta una politica di incubazione del fascismo. Il signor Churchill, il signor Daladier, hanno fatto con Hitler esattamente quello che ha fatto in Italia Giolitti con Mussolini. (Emilio Lussu)
  • Egli ha un fondo di invincibile antipatia e diffidenza delle cose francesi, che lo trae ad esagerare tutto ciò che appaia loro sfavorevole nella situazione. Così mi osserva che l'esercito francese con l'aiuto dei belgi, degli inglesi e dei coloniali non è riuscito a cacciare metà dell'esercito tedesco. Alla mia obbiezione che non metà, ma la gran parte dell'esercito tedesco era stata rovesciata in Francia, passa ad altro argomento, fornitogli da Enrico Ferri. I francesi sono degli alcoolisti; bevono un milione e centomila ettolitri di alcool all'anno contro trecentomila che consumano gli italiani. L'alcoolismo rende proclivi alla polmonite, e i francesi non reggeranno l'inverno nelle trincee come i loro avversari, di fibra assai più robusta e sana. (Olindo Malagodi)
  • Giolitti amministrò il flusso delle rimesse migratore con un criterio tuttora sub judice: per Gaetano Salvemini, veemente accusatore del "ministro della malavita", ingrassò cinicamente il Nord a spese del Mezzogiorno, rendendo cronica e insolubile la "questione meridionale". (Paolo Pavolini)
  • Giolitti credeva di poter allevare Mussolini: lo riscaldò, lo accarezzò, lo portò persino con sé trionfalmente alle elezioni politiche, sicuro di servirsene per domare il partito socialista; ma l'uccello ha dimostrato quello che era, e noi sappiamo che cosa è successo. (Emilio Lussu)
  • Giolitti è un piemontese riservato e taciturno, che non ama la retorica corrente, i suoi discorsi sono raramente brillanti, redatti in stile burocratico o notarile, ma hanno almeno il pregio della chiarezza. (Romano Bracalini)
  • Incolore, amorfo, banale, era passato attraverso la vita levandosi solo di tanto in tanto verso l'alto come fa il passero. Impiegato civile fino all'età di quarant'anni, poi funzionario amministrativo e quindi parlamentare, non amava né la retorica di Crispi né la magniloquenza di D'Annunzio; gli piacevano l'aritmetica e la contabilità, il che lo rendeva particolarmente sensibile alle sottili sfumature della cupidigia umana e alle debolezze degli altri nella misura in cui esse gli potevano essere addebitate oppure accreditate. (Robert Katz)
  • Merita schiaffi, pugni e fucilate nella schiena l'italiano che manifesta in sé la più piccola traccia del vecchio pessimismo imbecille, denigratore e straccione che ha caratterizzata la vecchia Italia ormai sepolta, la vecchia Italia di mediocristi antimilitari (tipo Giolitti). (Manifesti futuristi)
  • Quando, il 10 maggio 1892, l'on. Giolitti divenne per la prima volta presidente del Consiglio, il tempo, gli parve maturo a un suo esperimento: fare nella vita pubblica una parte più larga agli uomini del ceto industrioso. Per lui, gli antichi uomini politici sino al Rudinì, al quale succedeva, avevano commesso l'errore di non riconoscere accanto alla monarchia altro potere se non i «partiti».
    Giolitti pensava invece che i «partiti» fossero spuma e schiuma e che la realtà vera d'Italia fossero, oltre la forza rappresentata dalla monarchia, le classi del commercio e dell'industria. (Arturo Labriola)
  • Se ci fu una personalità politica totalmente estranea all'idea della romanità, nella sua accezione trionfalistica, si trattò certamente di Giovanni Giolitti: anche come uomo, pur dopo aver vissuto per lunghi decenni nella capitale, egli rimase sostanzialmente un ospite di passaggio in Roma. Vissuto in un edificio e in un quartiere[7] che ripeteva i modi edilizi ed urbanistici della lontana Torino, il Giolitti fu espressione fedele di quel ceto impiegatizio che ha sempre considerato e continua a considerare Roma la città dove è comandato, non la propria vera città. (Armando Ravaglioli
  • Soprattutto accentuò la sua sfiducia nell'Esercito che probabilmente, a suo dire, non si sarebbe battuto o non avrebbe resistito ad una lunga guerra. In Libia, egli diceva, si era vinto soltanto quando eravamo dieci contro uno. (Antonio Salandra)
  • Trovo Giolitti, contro il quale sono state organizzate, d'accordo col ministero degli interni e la polizia, manifestazioni tanto alla sua partenza da Torino che al suo arrivo a Roma, assai eccitato.
    Ha perduta la sua bella freddezza abituale. Per prima cosa mi dice: – La gente che è al governo meriterebbe di essere fucilata. Vogliono portare l'Italia alla guerra, per gli altri, senza bisogno; quando sono già state fatte concessioni adeguate. E una idea fissa di Sonnino, di fare la guerra per salvare la Monarchia, che non è affatto in pericolo. (Olindo Malagodi)
  • Uomo di molta accortezza e di grande sapienza parlamentare [...] di profonda perizia amministrativa, di concetti semplici o, meglio, ridotti nella sua mente e nella sua parola alla loro semplice e sostanziosa espressione la quale vinceva le opposizioni con l'evidenza del buon senso. (Benedetto Croce, da Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Napoli 1927)
  • Uomo astuto, ma poco sincero. (Vittorio Emanuele III, da Parla Vittorio Emanuele III, Bologna 1993, p. 3)
  • Alla fine della sua lunga egemonia nella vita politica ed amministrativa, Giolitti non era riuscito a risolvere i principali problemi da lui stesso indicati come fondamentali per lo sviluppo del paese e della democrazia: la conquista del consenso delle classi popolari e la conversione dei cattolici e dei socialisti allo Stato liberale per il consolidamento delle istituzioni.
  • Giolitti aveva cercato di conservare lo Stato risorgimentale con l'apertura verso gli «esclusi» – socialisti e cattolici –, ed una politica favorevole all'integrazione delle masse, con la concessione di miglioramenti economici. Alla fine del periodo che da lui prende il nome, lo Stato appariva più screditato, più instabile, con un bilancio in grave passivo e una burocrazia pletorica, irrequieta e inefficiente.
  • L'avvento di Giolitti al potere non modificò la sostanza della politica estera iniziata da Visconti Venosta e continuata da Prinetti. Uomo di politica interna, Giolitti ebbe sempre chiaro il disegno di una politica di equilibrio, cercando di mantenere distinte la politica interna e quella estera, con una pacifica ricerca di collaborazione con tutte le potenze europee, senza progetti immediati di alterazione dello status quo e delle tradizionali relazioni ufficiali.
  • Egli non sa vivere fuori del Parlamento, non sa vedere più lontano del parlamentarismo.
  • [Dopo la caduta del IV governo Giolitti] Giolitti ora, come sempre, ha voluto la crisi extraparlamentare, non solo, ma ha voluto cadere senza un voto appunto perché il Re non avesse indicazione di sorta per il successore. Più la situazione gli sarebbe apparsa torbida e più egli avrebbe potuto dominarla.
  • Giolitti riduce tutta la politica ad un fenomeno eminentemente e soltanto elettorale.
  • Giolitti vede chiaro, e vede chiaro appunto perché miope, in un orizzonte limitato da percepire. Non arriva lontano collo sguardo, ma dove arriva vede.
  • Quello è un masso erratico. Occorre o scavalcarlo o frantumarlo. Non c'è nessuno che abbia le gambe tanto lunghe da scavalcarlo, e non credo ci sarà mai chi avrà il coraggio di frantumarlo.

Note

[modifica]
  1. Citato in Denis Mack Smith, Storia d'Italia dal 1861 al 1997, volume I (Modern Italy. A Political History, 1997), Laterza, Bari, 1997, pp. 237-238.
  2. Citato in Arrigo Petacco, L'uomo della provvidenza. Mussolini, ascesa e caduta di un mito, Mondadori, Milano, p. 85. ISBN 9788852012921. Citato anche in Alessandro Marzo Magno, Vi piace l’Aventino? Rilanciò il Fascismo, Linkiesta, 13 ottobre 2011.
  3. In risposta a chi lo criticava per i metodi troppo "disinvolti" nel procurar voti ai candidati governativi.
  4. Citato in Paolo Granzotto, Indro Montanelli, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 13. ISBN 88-15-09727-9
  5. Citato in Storia e critica, edizioni 69-72, Deutsches Historisches Institut in Rom, 1996, p. 36.
  6. Attuale Teatro dell'Opera di Roma.
  7. a b Dal 1891 al 1928, durante i suoi soggiorni romani, Giolitti dimorava in un edificio di via Cavour 72, nei pressi del rione Esquilino, a poche centinaia di metri dal teatro Costanzi.

Bibliografia

[modifica]
  • Giovanni Giolitti, Memorie della mia vita, con uno studio di Olindo Malagodi, volume primo, Fratelli Treves Editori, Milano 1922.
  • Giovanni Giolitti, Memorie della mia vita, volume secondo, Fratelli Treves Editori, Milano 1922.

Altri progetti

[modifica]