Mauro Forghieri
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Mauro Forghieri (1935 – 2022), ingegnere automobilistico italiano.
Citazioni di Mauro Forghieri
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- [Su Gilles Villeneuve] Lui voleva correre. Correva sempre. Gli dava piacere fisico farlo. Ovunque, comunque... Lo ricordo dopo le qualifiche di Anderstorp '78. Eravamo in macchina io e lui. Per arrivare all'albergo dovevamo attraversare un bosco di betulle e lui inscenò una sorta di prova speciale di un rally: sempre in controsterzo a 180 km/h; io avevo una fifa boia mentre lui sorrideva.[1]
- Ferrari era un uomo di intuito. Mi ha creato e, a differenza di quanto accaduto con altri, non mi ha distrutto. Un uomo eccezionale, aggrappato alla concretezza della nostra terra. Abbiamo avuto discussioni accese. Lui urlava e io più di lui, ma alla fine ci si intendeva. Lui dava ai suoi collaboratori la massima libertà, spronando sull'innovazione. Noi due simili? No. Io sono un tecnico che ragiona sulla base di dati, lui lo faceva sulle sensazioni, peraltro spesso azzeccate.[2]
- A volte ho invidiato Colin Chapman, perché genio lo è stato davvero. Però va anche detto che molte delle soluzioni Lotus a lui attribuite in realtà le avevano pensate altri. E qui era la sua forza: sapeva acquisire le buone idee.[3]
- [Sulla vittoria della Ferrari alla 24 Ore di Le Mans 1965] Per fortuna vincemmo con la 275 Le Mans della scuderia Nart di Chinetti, guidata da Grégory e Rindt. Ma le nostre vetture ebbero problemi con i dischi freno che si crepavano. Però avevamo visto che si trattava di pezzi di serie, montati anche sulle berlinette 275 GTB. Ce n'erano parecchie nei parcheggi. Così mandammo i meccanici a smontarli per piazzarli sulle vetture da corsa. Lasciammo un biglietto sui parabrezza, chiedendo scusa e che li avremmo restituiti. I clienti furono grandiosi, non dissero nulla, anzi ci ringraziarono.[4]
- [Sulla Ferrari 312 T4] Dopo almeno due anni di assoluti divieti il Commendatore [Enzo Ferrari] ci aveva dato il permesso di costruire una monoposto con le minigonne. Evidentemente Ferrari aveva rinunciato a combattere una guerra politica contro gli inglesi, pur sapendo che la Federazione aveva tollerato delle vetture che erano illegali. [...] Quando la definirono brutta ci rimasi male, perché la T4 era il frutto di un grosso lavoro in galleria del vento da parte di Poncini: noi sapevamo di non avere tutta l'esperienza degli inglesi in fatto di minigonne e quindi abbiamo estremizzato dei concetti nella parte superiore della macchina. [...] Però la nostra down force non era pari a quella di Williams e Ligier, pagavamo qualcosa agli inglesi perché ci mancava l'esperienza sulle minigonne. All'epoca si disse che i problemi erano dovuti al motore piatto che non favoriva lo sfogo dei tunnel Venturi: non era vero niente, avevamo raggiunto degli ottimi risultati anche con il boxer. [...] gli inglesi avevano trovato un sistema affinché le minigonne restassero sempre sigillate al terreno, mentre noi sulle piste veloci e con dei sobbalzi come Brands Hatch ci trovavamo in difficoltà perché la bandella restava alzata sulle gibbosità e perdevamo molto carico all'improvviso.[5]
- [Sulla Ferrari 312 B] Tanto per cominciare, smettiamola di chiamarlo Boxer, perché era un propulsore piatto di 180 gradi. La sigla era 312 B non per richiamare la parola Boxer, ma solo perché era la monoposto che seguiva la 312. [...] Avevamo 450 cavalli a 12 mila giri al minuto, mentre gli inglesi giravano a 10 mila giri! [...] Le forme della 312 B sono un po' particolari perché questa monoposto l'avevo pensata perché fosse la prima Ferrari a quattro ruote motrici. Doveva avere un giunto idraulico centrale progressivo che era stato studiato in collaborazione con il Centro Ricerche Fiat di Orbassano e che doveva essere in grado di ripartire la coppia sui due assi al variare del comportamento della monoposto: sull'anteriore quando si manifestava del sovrasterzo e viceversa quando c'era del sottosterzo. [...] Mi bloccò il Commendatore, le trazioni integrali furono vietate per regolamento e sono sicuro che Ferrari ci mise lo zampino nel far prendere la decisione alla Federazione. Insomma avevo trovato il... nemico in casa.[6]
- [Su Frank Williams] [...] era nato per essere un combattente, ed è combattendo che si è guadagnato il rispetto di tutta la F1. Era un uomo puro, dedicato anima e corpo a quel mestiere, al mestiere delle corse.[7]
- Non posso dimenticare la fase di sviluppo della 312 T, in un'epoca, per fortuna, in cui ci potevamo permettere il lusso di effettuare importanti trasferte invernali per sostenere test privati con il bel tempo, prima dell'avvio del campionato Formula 1. Proprio sul tracciato di Kyalami riuscimmo a mettere perfettamente a punto la 312 T la vigilia di Natale del 1974 [...] realizzando sul posto con mezzi di fortuna un nuovo serbatoio dell'olio, perché quello portato in Sud Africa evidenziava notevoli problemi nelle curve e controcurve veloci. Tante volte nella mia carriera mentre disegnavo motori, telai o sospensioni, mi convincevo di realizzare un capolavoro, quando poi il responso della pista confermava l'entità della mia "cazzata". Venne dunque in nostro soccorso un bidone di latta abbandonato nel box che, con i dovuti adattamenti, si rivelò un serbatoio di gran lunga migliore rispetto a quello per il quale avevo passato notti insonni. Una volta montato sulla monoposto – con ottimi risultati in pista – adottammo tutte le precauzioni affinché non venisse fotografato, in quanto i test della Ferrari erano seguiti con grande attenzione in qualsiasi parte del mondo andassimo a provare. Prima di lasciare Kyalami per ritornare in Italia, avevo telefonato a Enzo Ferrari – una notizia che valeva per lui un regalo di Natale – informandolo che avevamo risolto il problema con successo, costruendo un serbatoio tutto nuovo che funzionava alla perfezione. Quando arrivammo a Maranello, il "Vecchio" ci stava aspettando perplesso ma curioso di vedere la nuova realizzazione: "Ma cos'è questa roba qui?", esclamò incredulo Enzo Ferrari nel vedere un grande contenitore in alluminio della Coca Cola, modificato e adattato all'uso per una Ferrari di Formula 1. Quello fu il vero motivo per cui non volevamo venisse fotografata. La Ferrari salvata nell'onore da un bidone di Coca Cola. Altri tempi.[8]
- [Su Chris Amon] Chris è il più bravo tester e sviluppatore cha ho mai avuto in squadra. Numero uno. Anche migliore di Nicky Lauda.[9]
- Le Lotus del 1977 e dell'anno successivo furono monoposto fantastiche, esploravano l'effetto suolo garantito dalle minigonne con grandi risultati. Però Chapman non aveva messo a fuoco un dettaglio fondamentale, come molti di noi avremmo capito da lì in poi e cioè che l'elemento davvero fondamentale per ottenere il massimo della deportanza era l'alettone posteriore. [...] Non appena iniziammo a cimentarci con l'effetto suolo, apparve via via sempre più chiaro che un alettone posteriore a sbalzo costituiva un fattore di grande rilievo. Io l'avevo capito già con la Ferrari T4 del 1979, che con il suo fondo e con le minigonne di depressione ne provocava tanta. E furono in tanti a sottostimarne l'aspetto aerodinamico: sostenevano che la nostra forza erano i cavalli regalati dal 12 cilindri, ma non era vero. Da tempo ormai tutti noi progettisti eravamo alla ricerca della massima depressione e quel fondo e quel retrotreno, quegli scarichi, diedero un apporto molto importante.[10]
- Fino al 1973, più o meno, in Ferrari sulle corse facevo tutto io. Ovviamente il Vecchio mi copriva le spalle, ma Enzo non veniva alle gare. Quindi il sottoscritto si occupava della tecnica, dei piloti, dei regolamenti, dei rapporti con la stampa, ogni cosa. [...] Non funzionava, ero oppresso dalle incombenze e quando Ferrari mi disse che aveva trovato un giovane per sgravarmi da certi compiti, beh, mi rese felice. [«Il giovane era Montezemolo»] Lui. Uno di Luca può dire quello che vuole, ma sul lavoro era perfetto. Dopo il suo arrivo come diesse, allora si diceva così, io ho potuto dedicarmi alla macchina, alla tecnologia, agli sviluppi. [«E (ri)nacque il mito»] Eh, gli anni di Lauda, di Gilles, di Jody sono stati formidabili.[11]
- Di tutti quelli che hanno lavorato con me in Formula Uno, decisamente Niki [Lauda] è stato il migliore, il più completo.[11]
Intervista di Claudio Pavanello, automoto.it, 3 maggio 2013.
- La mia ambizione era lavorare nel settore aereonautico, ed in particolare avevo contatti con la Northrop. Entrai in Ferrari nel 1959 grazie alla collaborazione che mio papà aveva con il Commendatore (Enzo Ferrari, nda), ma lo consideravo un lavoro a termine; allora c'era come direttore tecnico Carlo Chiti e personaggi del calibro di Vittorio Jano, il mitico progettista dei motori Alfa Romeo da corsa degli anni Venti e Trenta, Gian Paolo Dallara, Giotto Bizzarrini e lo sfortunato Giancarlo Bussi [...]. Nel 1961 un gruppo di otto dirigenti, tra cui Chiti, decise di lasciare l'azienda in aperta polemica con Enzo Ferrari per fondare la ATS (Automobili Turismo e Sport), una nuova Casa automobilistica che si illudeva di poter sfidare la Ferrari stessa. Enzo Ferrari mi chiamò nel suo ufficio e a sorpresa mi comunicò, in dialetto modenese come s'usava parlare tra di noi, che aveva intenzione di nominarmi responsabile tecnico; avevo 27 anni e mai mi sarei immaginato una proposta simile. Ferrari intuì il mio spavento e disse "non preoccuparti, tu fai il tuo lavoro, al resto ci penso io". Devo dire che fu di parola, perché in quasi tre decenni mi sostenne sempre.
- Ho conosciuto tanti industriali che vivevano intensamente l'azienda, ma per Ferrari la sua fabbrica era veramente tutto, e pretendeva dai più stretti collaboratori una dedizione assoluta. [...] Non esistevano sabati, domeniche, ferie o vigilie di Natale. Una volta che andai in vacanza per qualche giorno a Portofino senza comunicarglielo mandò la Polizia Stradale a rintracciarmi.
- A un Gran Premio del 1981 Enzo Ferrari mi telefonò dicendo che avrebbe mandato un motore sperimentale da montare sulla vettura di Villeneuve la domenica mattina. Mi incaricò di dire a Gilles che l'importante era testarlo in gara, per saggiarne la resistenza: era schierato tipo in quinta fila, e gli ripetei più volte il concetto: "Gilles, siamo indietro, non ci interessa il risultato, porta il propulsore fino al termine che dobbiamo capire come va!". Lui mi rispose certo Mauro, sicuramente, capisco. Al verde superò subito le due monoposto davanti a lui, sfiorandole miracolosamente, e poi cercò un impossibile varco tra quelle successive, decollò sopra le ruote di un avversario e fini contro i tabelloni della prima curva. Questo è un aneddoto che ricordo spesso e che ben esprime il carattere del canadese. [...] Gilles considerava ogni gara per se stessa. Lui aveva il piacere fisico della velocità, ed era in questo una vera forza della natura, capace di regalarci vittorie impossibili.
- Se devo proprio fare il nome di un pilota cui sono particolarmente legato tra i tanti, direi Mario Andretti, per il suo carisma, la sua affidabilità e la sua dedizione alla Ferrari. Secondo me è stato l'ultimo rappresentante di una generazione di piloti che correva indifferentemente su qualsiasi vettura: Formula 1, Indy, Sport Prototipi, Can Am. Quando, in quel terribile 1982 [dopo la morte di Gilles Villeneuve e l'incidente di Didier Pironi] ci trovammo alla vigilia di Monza senza un pilota, la decisione fu spontanea: "Chiamiamo Mario!" Lui prese il primo aereo dall'America, arrivò con la sua serena professionalità, salì sulla 126C2 e fece subito la pole position, tra il tripudio generale.
Intervista di Claudio Pavanello, automoto.it, 17 maggio 2013.
- Alla Ferrari si era molto restii a valorizzare le nostre innovazioni, creando l'impressione che fossimo meno creativi e tecnologici degli inglesi. Questo non corrisponde a verità, e vorrei citare alcuni esempi. Gli alettoni in Formula 1 li introducemmo noi, mentre i team inglesi contribuirono solo ad esasperarli, molto spesso mettendo a rischio la sicurezza dei loro piloti. Utilizzammo anche la prima ala regolabile elettricamente dal pilota. L'iniezione indiretta la introducemmo già nel 1964, facendo girare il motore a 11.000 giri. Il cambio trasversale in Formula 1 fu applicato da noi, così come il semiautomatico, che provammo a Fiorano con Gilles già nel 1980. Questi alcuni esempi macroscopici, ma sono molte le novità che Ferrari introdusse negli anni.
- [...] pur ammirandone le ardite soluzioni tecniche, non ero un sostenitore della filosofia costruttiva di Colin Chapman, perché le sue monoposto erano troppo esili, troppo sacrificate sull'altare della leggerezza. Mi ricordo che rimasi stupito in particolare dai sottilissimi alberi dei freni a disco della macchina di Rindt [morto a Monza nel 1970 e campione del mondo lo stesso anno, nda]: feci due calcoli matematici e mi convinsi che le possibilità di cedimento in gara erano elevate. Da questo punto di vista devo dire che non ho mai progettato una vettura che non ritenessi sicura, e anche Enzo Ferrari mi invitava a cercare la massima leggerezza possibile solo sulle parti non strutturali. Poi magari si imbufaliva perché avevamo rotto un motore superleggero, ma non mi chiese mai alcun compromesso sulla sicurezza.
- Nel 1983 a lottare per il mondiale eravamo noi, la Renault e la Brabham BMW, team di proprietà di Ecclestone. Non riuscivamo a capire come a un certo punto il quattro cilindri BMW, un propulsore di concezione antiquata, potesse essere diventato più potente dei nostri moderni sei cilindri. Scoprimmo che, in sordina, Ecclestone aveva fatto cambiare il regolamento tecnico eliminando la parola "commerciale" dietro al termine "benzina". Quella benzina che andava utilizzata dalle Formula 1. A Monza, dove la Brabham vinse, la macchina venne verificata e si accertò che usava un carburante pesante realizzato da una azienda chimica con un numero di ottani superiore al consentito. La situazione era molto delicata e si tenne una riunione tanto tardiva quanto segretissima a Maranello con il Presidente della Federazione Jean Marie Balestre, Bernie Ecclestone (che era anche leader della Federazione Costruttori di Formula 1), Enzo Ferrari e un rappresentante della Renault. Alla fine venne deciso di lasciare le cose così come stavano e Piquet vinse il titolo con due punti su Prost e dieci sul nostro Arnoux. Chiaramente per noi che avevamo combattuto duramente in pista, questa soluzione fu molto traumatica da digerire, e ancora di più per la Renault che era a caccia del primo titolo. Questo aneddoto per dire che Ecclestone era un gran furbone, ma gli va dato atto di avere fatto crescere e diventare ricca la Formula 1, grazie anche al fatto che era magistrale nel trattare con Enzo Ferrari. Se guardo chi comanda oggi la Formula 1 vedo tanti ex impiegati Brabham, il che la dice lunga sul suo grande potere.
- [Sulle vetture di Formula 1 degli anni Duemiladieci] Se pitturiamo tutte le vetture odierne di bianco sarebbe molto difficile distinguerle una dall'altra, questo perché si è compresso troppo il regolamento in fatto di aereodinamica. Non per cadere nei rimpianti, ma ai miei tempi ogni vettura era molto diversa dall'altra, con soluzioni tecniche assai differenti, oltre al fatto che ogni team aveva dei progettisti carismatici che anche per orgoglio personale mai avrebbero copiato un rivale.
Intervista di Alberto Sabbatini, auto.sabbatini.news, 21 maggio 2019.
- [Su Niki Lauda] Era perfetto. Il tipo di pilota che ho sempre sognato di avere in squadra. Un uomo preciso, meticoloso, velocissimo, determinato, con una sensibilità innata nella guida. Ma anche un lavoratore indefesso.
- [Gilles] Villeneuve era un asso della guida. Ma umanamente parlando era un puro, un ingenuo. E come pilota non aveva il senso del limite e della misura. Tornava al box con la macchina demolita, senza ruote e cambio e chiedeva: si può riparare? Posso continuare?
- Quando è arrivato a Maranello, a 23 anni nell'inverno del 1973, Lauda era tecnicamente "ignorante". Sapeva dire soltanto: "c'è sottosterzo" o "c'è sovrasterzo". E io gli dicevo: Niki, non basta. Devi essere più preciso e più specifico. Lauda è cambiato durante quel lungo inverno fra il 1973 e il 1974. Lavoravamo tutto il giorno in pista, con lui e Regazzoni a Fiorano, guidando e facendo sviluppo e messa a punto della monoposto dalle 9 del mattino fino alle otto di sera. Tante volte Niki guidava col buio pesto. A quel tempo a Fiorano c'era un sistema di 29 fotocellule sul circuito che rilevavano i tempi intermedi fra ogni curva. Un antesignano della moderna telemetria. Con gli occhi di oggi era un sistema rudimentale, ma permetteva di capire se uno guidava bene o male, se sbagliava una curva e dove. Mentre Regazzoni, finito di guidare prendeva e se ne andava, Lauda alla fine dei test si faceva dare quella lunga stampata di tempi intermedi e passava ore ad analizzarla per capire dove migliorarsi. Per questo è diventato bravo come pilota.
- [Sul Gran Premio del Giappone 1976] Lauda arrivò alla gara decisiva al Fuji, in Giappone, in grande tensione. Il giorno della corsa c'era un diluvio, la pista era quasi impraticabile, gli avversari avevano capito la debolezza psicologica di Niki in quel frangente e lo spiazzarono. Prima decisero di non correre, poi all'ultimo istante presero il via perché i loro team manager li minacciarono altrimenti di non pagare loro l'ingaggio. Niki rimase sconcertato perché ormai era entrato nell'ordine di idee che non si sarebbe corso. Poi salì in machina e partì lo stesso, ma dopo un giro si ritirò perché non riteneva ci fossero le condizioni per guidare. Pensava che anche gli altri facessero lo stesso e invece loro andarono avanti. E perse il mondiale. Io resto sempre dell'idea che ci fu un mezzo complotto fra tutto l'entourage inglese per fregare Niki e la Ferrari che erano invisi ai britannici approfittando della sua debolezza psicologica di quei giorni. Guarda caso Hunt, che aveva fatto una pessima gara quel giorno guidando male nelle retrovie, proprio negli ultimi quattro giri superò quattro macchine e riuscì così ad assicurarsi in extremis i punti indispensabili per vincere il titolo. Ho sempre avuto il sospetto che quei sorpassi gli furono agevolati perché a molti team faceva più comodo che a vincere fosse lui e non Lauda e la Ferrari. [...] Quando Niki si ritirò, io mi rendevo conto del suo stato d'animo, della delusione e della sensazione di vuoto che provava per come era stato l'epilogo della corsa. Perciò, per proteggerlo, gli proposi di raccontare una scusa. Gli dissi: Niki, diciamo che c'è stata una infiltrazione d'acqua dovuta alla pioggia e che perciò la centralina non faceva funzionare bene il motore e che ti sei fermato per quello. Ma lui mi guardò e rispose: No, diciamo la verità. È giusto che ci metta io la faccia. Perché sono io che sono venuto meno al mio impegno di pilota.
Da Machina.3 – "70X1, Formula 1 1950-2020", FormulaPassion, 2021; citato in formulapassion.it, 19 dicembre 2020.
- La denominazione Formula 1 venne adottata nel 1948. Circa dieci anni dopo entravo in Ferrari. Ero poco più che un ragazzo fresco di laurea in ingegneria, considerato un "imparatore" in quanto dovevo ancora conoscere tutto del lavoro che mi aspettava. Però avevo già chiara l'idea – che nel tempo si è sempre più rafforzata in definitivo convincimento – sul ruolo avuto dall'Alfa Romeo nel mondo delle competizioni. Autentiche opere d'arte di ingegneria meccanica, sono state automobili che hanno marchiato l'inizio della storia che ha generato lo sviluppo delle corse fino alla Formula 1. Le prime gare nate tra fine '800 e inizio '900, nel 1906 vengono chiamate Gran Premi. Dal '20 Formula Grand Prix: prima vittoria assoluta del Campionato Costruttori dell'Alfa Romeo nel 1925 e Campionato Internazionale Piloti nel 1931 e nel '32 con "Nivola", Tazio Nuvolari. Ritengo di poter affermare che senza i presupposti segnati dall'Alfa Romeo, oggi probabilmente non esisterebbe il campionato mondiale della massima espressione motoristica così come lo conosciamo.
- I colori italiani occupavano incontrastati la scena nelle gare dei primi anni '50: Alfa Romeo, Ferrari e Maserati. Maserati mi pare fosse la marca più diffusa sui circuiti perché la sua produzione era finalizzata principalmente per la vendita ai piloti, in quanto vettura "facile da capire". Ferrari regalò a Juan Manuel Fangio il Mondiale 1956 con una automobile avveniristica per quell'epoca, la D50, ricevuta dalla Lancia, costruttore che l'aveva ideata con il geniale Vittorio Jano e messa in pista con Alberto Ascari. Lancia avrebbe potuto rappresentare un perfetto completamento della nostra forza automobilistica sulle piste di tutto il mondo, ma la morte del pilota lombardo segnò la fine dell'impegno della Casa torinese in Formula 1 e al contempo il successo della stessa vettura con il marchio della Scuderia Ferrari. Curiosa la storia intrecciatasi tra Ferrari e Lancia quasi trent'anni dopo, quando ho progettato un motore Ferrari appositamente per la Lancia Stratos da un'idea di Cesare Fiorio.
- Nel decennio che prende avvio nel '60, Giampaolo Dallara mi aveva appena raggiunto al reparto tecnico di Maranello dove stavamo vivendo il passaggio del motore da anteriore a quello posteriore. Una bestemmia per Enzo Ferrari, convinto che i buoi dovessero stare davanti per tirare il carro e non dietro. Erano stati gli appassionati inglesi ad introdurre il motore di motociclette alle spalle del pilota sulle vetturette con le quali disputavano gare di club, collegando l'assale delle ruote posteriori con una catena.
- Sulle vicende della Formula 1 è stato scritto molto, ragione per cui non è il caso di ripetere vicende note ampiamente documentate, bensì [...] trovo importante sottolineare come dalla fine degli anni '70 fino alla scomparsa di Ayrton Senna, quello sia stato il tempo che considero "Periodo aureo". La Formula 1 di allora aveva tutto: innovazioni tecnologiche epocali logiche e utili, un seguito di spettatori sempre più folto, personaggi che animavano quel mondo identificati come gli eroi che insieme alle squadre appartenevano alla gente che li poteva "toccare" per cui erano gli amati "cavalieri del rischio", appassionati che capivano lo svolgimento delle gare. Mai come allora i team sono stati così numerosi. La Formula 1 proprio in quel decennio ha seminato il virus contagioso della popolarità per le generazioni più giovani, garantendo uno squarcio di futuro a questo sport.
Intervista di Andrea Cremonesi, gazzetta.it, 9 marzo 2021.
- Si può fare economia senza bloccare le idee. Ai miei tempi c'era più libertà, si rischiava molto di più in termini tecnici, oggi i progettisti sono assai condizionati dall'aspetto economico.
- [«[...] lei inventò gli alettoni o quantomeno lì applicò alla F.1»] Si e ho fatto male perché l'aerodinamica che ne è scaturita ha rovinato un po' tutta la F.1.
- [«Che cosa le chiedeva il Commendatore [Enzo Ferrari] quando si accingeva a progettare la macchina per l'anno successivo?»] Da persona estremamente intelligente e furba, se ne guardava bene dall'esprimersi. Per farci sorridere delle volte mi diceva "fa na machina c'venz", fai una macchina vincente. Si rendeva conto che era difficile da un anno all'altro interpretare lo sviluppo perché è sempre stato un processo molto rapido. Ci si copiava a vicenda con facilità. In quel periodo sono stati compiuti progressi tecnologici e ingegneristici di tutto rispetto grazie al fatto che c'era l'ansia di vincere.
Citazioni non datate
[modifica]- [Sulla Ferrari 348] Il peggior progetto dei primi 40 anni della Ferrari.[12]
- [Su Niki Lauda] Se gli davi una monoposto in grado di vincere, Niki vinceva. Non c'è molto altro da dire.[13]
Citazioni su Mauro Forghieri
[modifica]- Abbiamo fatto un po' di strada insieme e anche un po' di pista. Devo dire che tra tutti quelli che ho conosciuto dell'ambiente, piloti, progettisti, giornalisti, era forse quello di maggior carisma. Effettivamente è stato un grande innovatore. Da buon inventore e genio italiano spaziava in tutto lo scibile della tecnica. Era ammirevole come riuscisse ad intuire quanto fosse importante l'aerodinamica. Riusciva a progettare i motori, aveva capito l'importanza del turbo e aveva compreso addirittura che il mondo delle corse stava cambiando. In effetti, lo spostamento del motore dall'anteriore della macchina alla parte posteriore non veniva accettata dal grande Vecchio [Enzo Ferrari]. Quando lui me lo raccontava col sorriso, mi raccontava che il Vecchio gli aveva detto: "Mi scusi ingegnere, ma che cosa mi dice? Un motore dietro? Ma li ha mai visti lei i buoi che spingono il carro?". L'aveva accettata così come era, un'idea folgorante, perché faceva parte del buon senso, ma non se la sentiva di andargli addosso dicendogli che sbagliava tutto. Infatti, si è arrivati a mettere il motore dietro soltanto dopo un anno, perché Ferrari non si era convinto, così come non si era convinto del turbo. Forghieri lo diceva con grazia e dolcezza, soprattutto riuscendo a dire che il Vecchio apparteneva a un altro tempo, ma che aveva avuto grandi meriti nel riuscire a sviluppare il mito del Cavallino. Perciò lo assecondava in tante cose e lo guardava con tenerezza. Questo mi faceva divertire, perché faceva parte del suo carattere. Sul lavoro lo chiamavano Furia, perché aveva degli scatti improvvisi e voleva che le cose venissero fatte in un certo modo. Era perfezionista, però era di animo dolce, gentile, disposto a voler bene alla gente e le assecondava, soprattutto il vecchio Ferrari. [...] Tante volte non veniva nemmeno capito dal punto di vista tecnico da quelli che gli stavano intorno. Questo perché vedeva lontano e nessuno riusciva a seguirlo. (Ezio Zermiani)
- Era prima di tutto un amico e poi è stato un grande del Novecento, quello che ha vinto più titoli negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta fino agli anni Novanta. Era un un grande tecnico, ma anche un grande personaggio come uomo e soprattutto come amico. [...] Era l'ultimo dei grandi che costruiva tutto, dal telaio al motore: era il babbo del dodici cilindri. È un personaggio di un'altra epoca che oggi non esiste più. (Gian Carlo Minardi)
- Forghieri era impegnato nel progetto Lambo. [...] Durante un Gran Premio dissi in diretta che il motore della Lambo – vedendo la classica fumata bianca uscire dai condotti di scarico – si era rotto. Forghieri, ferito nell'orgoglio di progettista, mi riprese dicendomi "Come ti permetti di dire che il motore ha ceduto?". In quel momento mi sono sentita una ragazzina schiacciata dalla sua autorevolezza, dai suoi saperi e soprattutto dalla sua fama. [...] ho avuto prova di quale fosse il peso esercitato dai personaggi che dominavano la scena della Formula 1 di allora. (Maria Leitner)
- Ha la delicatezza psicologica di una vipera. (Niki Lauda)
- Il più bravo di tutti. Un genio allo stato puro. Okay, c’era Chapman, ma Colin di motore capiva poco. Invece Mauro sapeva fare tutto. Telai, assetti, propulsori. Anzi, più fu coinvolto nei motori, più la Ferrari divenne competitiva. Forghieri tra i tecnici era quello che Clark rappresentava tra i piloti. (Chris Amon)
- La Formula 1 è cambiata radicalmente. [...] Il progresso tecnico ha rivoluzionato il modo di costruire la macchina. Le componenti della vettura vengono progettate attraverso un processo integrato tra specialisti diversi. [...] In una condizione come questa non penso che Forghieri avrebbe un ruolo [...]. Lui era il deus ex machina, inventando e progettando tutto, dal motore al telaio, dalle sospensioni al cambio per spaziare, tra i primi a farlo, nell'aerodinamica. Oggi ognuna di queste componenti è studiata e realizzata da team di ingegneri votati a trovare la più avanzata soluzione possibile. Forghieri, estremizzando, "romperebbe" il team, non perché inadatto, ma per la velocissima evoluzione imposta dalla ricerca specialistica. Forghieri è il testimone di una genialità e di un'esperienza umana unica e irripetibile. (Maria Leitner)
- La vita insieme a lui è semplicemente troppo difficile. (Niki Lauda)
- Mauro Forghieri era davvero il numero uno fra gli ingegneri e progettisti di auto da corsa. Non perché le sue Ferrari avessero vinto più titoli mondiali; questo no. Se contiamo rigidamente i campionati vinti, Adrian Newey fra Williams, McLaren e Red Bull per esempio ne ha conquistati almeno una decina, e anche Patrick Head e John Barnard possono vantarsi di aver raccolto altrettanti mondiali F1 e per di più in un periodo più breve. Ma Forghieri resta nella storia delle corse motorsport una eccellenza vera. Perché era un progettista vero. Completo. Il più eclettico. L’unico capace di disegnare una intera F1: dal telaio, al motore all'aerodinamica fino pure al cambio! Tutti gli altri sono specialisti. Tecnici fantastici ma specializzati in un solo aspetto della monoposto. Telaisti, oppure aerodinamici o ancora motoristi. Forghieri invece sapeva fare tutto della macchina. Sapeva progettarla e costruirla dalla prima all'ultima vite. Questa è stata la sua vera grandezza. Un genio. E questa dote eclettica purtroppo è anche quella che l'ha paradossalmente allontanato dal mondo della F1 quando ancora poteva dare tanto. Perché si era diffusa a un certo punto la mania della specializzazione spinta: si riteneva fosse più importante – per costruire la macchina – che una squadra avesse tanti specialisti di settore e non un'unica grande figura completa. Ma al di là del tecnico puro, di Forghieri mi ricordo la grandezza della sua figura umana. Era un signore. Nel vero senso della parola. Un uomo affabile e di cultura, prima che un ingegnere. Aveva una spiccata e innata curiosità per ogni vicenda umana. Era una mente aperta, non blindata dentro argomenti settoriali delle corse. In tre parole potrei definirlo un pozzo di cultura e di conoscenza. E poi sapeva disegnare benissimo. E questo non è scontato neanche per un progettista. (Alberto Sabbatini)
- Non fate alla memoria di Mauro Forghieri il torto di ricordarlo "soltanto" per le grandi imprese della Ferrari. [...] No. Mauro Forghieri [...] è stato ben più di un formidabile ingegnere da corsa [...]. A ben vedere, "Furia", come lo chiamavano i meccanici ai box per certi scatti d'ira, ha rappresentato l'Italia migliore del Novecento. Non sto esagerando: era una Italia in cui l'ascensore sociale funzionava ancora e il merito [...] un obiettivo da tutti condiviso. Figlio di Reclus, operaio della primissima Ferrari, capo partigiano nei giorni crudeli della Guerra Civile (nella sua fabbrica Ferrari gli permetteva di confezionare i chiodi che facevano saltare le gomme dei camion nazisti), Mauro si era laureato in ingegneria trasformando la passione di famiglia per la meccanica in cultura tecnologica. E siccome era bravo, nel 1962 il Drake gli aveva messo in mano, a lui non ancora ventisettenne!, l'intero reparto corse del Cavallino. Provate ad immaginare una cosa del genere nel Bel Paese di oggi. Trovatemi una azienda tricolore famosa nel mondo (la Ferrari già allora tale era) pronta [...] ad affidarsi ad un Under 30. Semplicemente perché è bravo [...]. Ecco, Forghieri ha incarnato tutto questo. È stato un volto dell'Italia del Boom, quello sano e non malato alla radice. (Leo Turrini)
- Quando sono entrato in azienda, nel 1965, condividevo l'ufficio con il Cavalier Giberti, il primo dipendente della Ferrari, e Mauro Forghieri, che era stato assunto qualche anno prima, era nell’ufficio accanto. Ci separavano dieci anni di età e un vetro. Di fatto ci vedevamo tutto il giorno tutti i giorni. Forghieri metteva energia e passione in ogni sua attività. Aveva un carattere sanguigno e ricordo che in più di una di quelle interminabili riunioni di Gestione Sportiva, che iniziavano alla sera e finivano di notte, mi sono trovato a fare da mediatore tra lui e mio padre [Enzo Ferrari]. Ma so anche che mio padre apprezzava in lui l'instancabile voglia di fare, sapeva che dietro un suo eventuale errore c'era sempre e solo il tentativo di fare di più e meglio, di guardare avanti. È un pezzo della nostra storia che se ne va, un uomo che ha dato molto alla Ferrari e al mondo delle corse in assoluto. (Piero Ferrari)
- Un uomo della Ghirlandina, un cosmopolita attaccato visceralmente alle radici, un ingegnere ammirato in ogni continente che però, alla fine della fiera, invocava il diritto di esprimersi in dialetto. Ah, Mauro! Quanti viaggi, quanti convegni, quante serate. Il popolo dell'automobilismo pendeva dalle sue labbra e lui non se la tirava mai, aveva in mente le origini, Modena, la nebbia di una volta, il tortellino e lo zampone. Possedeva una cultura straordinaria, aveva conosciuto capi di stato e rockstar, ma mi diceva "Cat vegna un cancher" se lo riportava a casa tardi dalla sua amatissima Betta, nel verde di Magreta. Nella casa dove si è spento nel sonno, perché, benedetto lui, è stato sempre in anticipo sui tempi, si trattasse di inventare un alettone o di realizzare un dodici cilindri dotato di cambio trasversale. (Leo Turrini)
- Una delle figure più straordinarie nella nostra storia. Nominato a capo del team a 27 anni, con le sue intuizioni geniali è stato uno degli ultimi ingegneri totali del mondo dell'automobilismo. Mi è capitato di incontrarlo in varie occasioni e ogni volta è stata un'emozione speciale: il suo carisma è rimasto intatto nel tempo. Le sue idee rivoluzionarie, insieme al carattere acceso e alla capacità di essere un grande motivatore, gli hanno permesso di scrivere alcune delle pagine più significative della storia della Ferrari e alimentare come pochi altri il mito del Cavallino Rampante (Mattia Binotto)
- È consuetudine associare il nome di Forghieri alla Formula 1, ma Mauro ha progettato vetture che sono state protagoniste in tutti i settori della competizione: dai Campionati Europei della Montagna, alle grandi gare di durata, alla Formula 2, e alle gare Gran Turismo da competizione. La versione finale della Ferrari GTO è frutto del suo lavoro. Forghieri ideava tutta la vettura, dal motore al cambio e al telaio. E di motori ne ha inventati tanti: 8 cilindri a 90°, 12 cilindri da 60 a 180 gradi, 6 cilindri e 12 cilindri sovralimentati. È senza alcun dubbio il progettista più prolifico, più versatile e più vittorioso della storia dell'automobilismo da competizione italiana.
- Era bravo, sì, ma a fare tutto: era questa la differenza.
- Mi ricordo quando ha fatto il primo cambio trasversale, con l'obiettivo di ridurre il momento di inerzia della vettura e di dare anche maggiore libertà aerodinamica al posteriore. Ho pensato: "Questa volta Mauro ci è rimasto dentro, chi glielo fa fare, c'è anche una maggiore coppia conica e si perde qualcosa in prestazioni". In molti avevano un'opinione simile alla mia. Dopo quattro anni, però, tutte le vetture avevano un cambio trasversale come per primo aveva fatto lui. È stata una delle tante incredibili innovazioni che ha sviluppato Mauro.
Note
[modifica]- ↑ Dall'intervista di Mario Donnini, Autosprint nº 19, 2007.
- ↑ Citato in Pino Allievi, Forghieri, il genio non va mai in pensione, gazzetta.it, 12 gennaio 2015.
- ↑ Dall'intervista ad Autosprint nº 3, 2015; citato in Forghieri ottanta voglia di stupire, Autosprint Gold Collection nº 10, dicembre 2020, p. 14.
- ↑ Dall'intervista di Cristiano Chiavegato, Forghieri, l'ultimo degli ingegneri "totali": «Che avventura il trionfo Ferrari nel 1965», ilmattino.it, 12 giugno 2015.
- ↑ Citato in Franco Nugnes, Ferrari 312 T4: sono passati 40 anni dal mondiale di Scheckter e Villeneuve, motorsport.com, 18 gennaio 2019.
- ↑ Citato in Franco Nugnes e Giorgio Piola, Ferrari 312B: Forghieri l'aveva pensata a trazione integrale, motorsport.com, 17 gennaio 2020.
- ↑ Dall'intervista di Andrea Fanì, Williams, il ricordo di Forghieri: "Un puro nato per lottare in F1", gazzetta.it, 3 dicembre 2021.
- ↑ Da Mauro Coppini (a cura di), Machina.0 – "Mauro Forghieri Deus Ex Machina", FormulaPassion, gennaio 2019, ISBN 9788894414912; citato in Pillole F1 / Forghieri e il Natale in Ferrari, formulapassion.it, 24 dicembre 2021.
- ↑ Da Autosprint Gold Collection nº 11, gennaio 2021, p. 72; citato in Mario Donnini, Formula 1: Amon Af101, brutta e impossibile, autosprint.corrieredellosport.it, 1º aprile 2020.
- ↑ Da Machina.3 – "70X1, Formula 1 1950-2020", FormulaPassion, 2021; citato in Carlo Platella, Cambio trasversale: il manifesto di Mauro Forghieri, formulapassion.it, 13 gennaio 2023.
- ↑ a b Da una conversazione inedita con Leo Turrini; pubblicata postuma in L'ultima intervista con Forghieri, quotidiano.net, 13 gennaio 2023.
- ↑ Citato in Nicola Materazzi, Vi scrivo qualche precisazione sulle mie interviste con Davide Cironi, driveexperience.it.
- ↑ Citato in Roberto Boccafogli, Charles Leclauda, formulapassion.it, 12 aprile 2022.
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