Alberto Sabbatini

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Alberto Sabbatini (1958 – vivente), giornalista italiano.

Citazioni di Alberto Sabbatini[modifica]

  • [«[...] quale la sua visione sul rapporto tra mezzi tradizionali, quelli cartacei e la televisione, nella coesistenza con web, webmagazine e socialnetwork?»] Io sono un produttore e fruitore di tutti questi mezzi. La passione per la tecnologia mi ha spinto a seguire il web sin dal 1995, epoca in cui non era frequente avere una connessione a Internet. Sono stato uno dei primi abbonati a Twitter avendolo scoperto quasi per caso negli Stati Uniti, e rendendomi conto immediatamente delle sue grandi potenzialità, più quale strumento di lavoro che mezzo di informazione. Ritengo di essere stato tra i primi a comprendere l'importanza dei social: all'epoca in cui Bruno Senna debuttò con la HRT a metà stagione, lo annunciò su Twitter, anticipando la notizia che nessuna agenzia ancora conosceva. In quella occasione ho compreso la velocità con la quale liinformazione rendeva immediatamente vecchi e superati i canali tradizionali della comunicazione, annullando in parte la rete di informatori credibili e autorevoli che il giornalista si crea per poter svolgere il proprio lavoro. Tra tutti i media, tradizionali e quelli nuovi, il circolo virtuoso della notizia dovrebbe seguire un percorso in cui prima appare sui social in 140 battute, poi sul web in un articolo di venti o trenta righe senza fornire troppi dettagli e infine sul giornale di carta con gli approfondimenti e tutti i dettagli del caso. In questo modo ogni mezzo di informazione gode della propria esclusività evitando sovrapposizioni. È il giornalista il vero detentore della notizia e non possiamo pensare che i giornali tradizionali siano finiti con l'avvento del web o minacciati dai social. Ogni "mezzo" deve essere un ingranaggio diverso nel complesso meccanismo dell'informazione e tra loro devono convivere in una ideale complementarietà.[1]
  • [Su Gilles Villeneuve] Un pilota dal talento smisurato, che a quei tempi riusciva ancora ad imporre la bravura del pilota sul mezzo, anche quando quest'ultima non era particolarmente competitivo. La sua morte è stata una tragedia che ha paralizzato il mondo dello sport. Ancora oggi, nelle classifiche dei 10 piloti più forti della storia della Formula 1, Villeneuve è sempre presente nonostante abbia vinto soltanto 6 GP. Questo significa che la vittoria non è preponderante rispetto al messaggio di velocità e di spettacolarità che trasmette il pilota.[2]

Citazioni tratte da articoli[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Era il 21 luglio [...] quando in una afosa mattinata fu presentata la Ferrari F40. La prima vera supercar dell'era moderna. Un'auto importantissima per quello che ha significato. Prima di tutto fu la prima Ferrari celebrativa: la volle Enzo Ferrari in persona per omaggiare i quarant'anni dalla fondazione dell'azienda, nata nel 1947. Ma [...] è anche l'ultima vera Ferrari nata sotto la direzione e la volontà del grande costruttore di Maranello, che sarebbe morto un anno dopo [...]. La F40 è un'automobile figlia ancora dei quei tempi in cui le auto sportive erano dure e pure. [...] fu anche la macchina che inaugurò la moda delle supercar a prezzi mozzafiato. D'altronde eravamo nei lussuriosi anni '80, e la F40 costruita in tiratura limitata (mille esemplari previsti diventati poi 1311), era ambita da tanti nuovi ricchi. Talmente esclusiva che, venduta in origine da Maranello a 374 milioni di lire dell'epoca, nelle aste andò facilmente sopra il miliardo. Ferrari usava la F40 persino come benefit/cambio merce per pagare lo stipendio ai suoi piloti di F1 dell'epoca (Mansell, Prost) ed abbassare l'importo dovuto in contanti.[3]
  • Negli Anni '80 in Formula Uno dominava il motore turbo e la Ferrari era all'avanguardia nello sviluppo dei propulsori sovralimentati. Così fu deciso che la supercar pensata per celebrare i 40 anni del Cavallino doveva sfoggiare quella tecnologia [...]. La F40 fu il frutto dell'evoluzione estrema di un modello precedente, la 288 GTO, la prima berlinetta turbo di Maranello. [...] Nicola Materazzi, il responsabile tecnico del progetto [...] ricorse alla tecnologia più avanzata che Maranello potesse offrire. Soltanto per il telaio si optò per una tecnologia tradizionale: il classico traliccio in tubi, di tradizione Ferrari. [...] Si ricorse invece a vetroresina e kevlar [...] per realizzare porte e cofani [...]. Seguendo alla lettera la regola numero uno delle corse: ogni chilo di troppo è dannoso perché penalizza le prestazioni. Per questo motivo l'interno [...] è molto spartano: i sedili erano due gusci ricoperti di stoffa rossa, cruscotto ridotto al necessario, niente autoradio, persino i vetri furono sacrificati per finestrini di plastica con feritoia scorrevole come sulle auto da corsa. Unica concessione al comfort: l'aria condizionata perché il motore appena dietro l'abitacolo con gli enormi scambiatori di calore del turbo sovrastanti, scaldava più di una stufa. Per l'aerodinamica [...] l'ing. Materazzi prese ad esempio le forme dei prototipi gruppo B, le GT da corsa dell'epoca. Il muso divenne quasi a cuneo con i fari incastonati all'interno, ampio labbro deportante anteriore, un'enorme ala posteriore fissa per tenere giù il retrotreno perché la potenza era spaventosa per l'epoca. Il motore V8 2 litri turbo della GTO fu portato a 3 litri, mantenendo le bancate a 90° e si ottennero la bellezza di 478 cavalli. Al confronto con le hypercar di oggi da mille cavalli sembrano ben poca cosa, ma quei 478 cavalli erano peggio di altrettanti muli: scalciavano nella schiena come pazzi se non sapevi dosare il gas. E nel 1987 non c'erano software che addolcissero l'erogazione della coppia per rendere più "guidabile" un motore scorbutico come il turbo che soffriva di ritardi alla risposta. [...] Michele Alboreto [...] raccontò di come, durante un collaudo stradale, semplicemente sgasando da fermo al semaforo, avesse praticamente ustionato un ciclista dietro di lui per via della sfiammata in rilascio dallo scarico del turbo![3]
  • Probabilmente non esiste un altro marchio automobilistico che abbia preso parte alle corse in modo così trasversale e totale come ha fatto la Renault, innovando in ogni campo del motorsport in cui si è cimentato. Direttamente o attraverso i brand che gli appartenevano, Renault ha corso e vinto dappertutto: dalla F1 alla 24 Ore di Le Mans, dal Mondiale Rally alle gare Turismo, dalla Parigi-Dakar fino alla Formula E elettrica, di cui Renault è stata la prima dominatrice [...] La grande forza di Renault è stata però anche l'impegno nelle categorie minori del motorsport: è stata Renault ad inventare le corse monomarca per allevare giovani piloti e far correre a costi ridotti intere generazioni di ragazzi per scoprire campioni. [...] Tanti campioni sono usciti da lì: uno per tutti Kimi Raikkonen.[4]
  • Renault è stata la prima casa automobilistica a sviluppare e portare alla vittoria in F1 un motore turbocompresso. Un fatto epocale che ha aperto un nuovo capitolo tecnologico nella storia della F1. La tecnologia del turbo fino agli anni '70 sembrava troppo complicata ed acerba. Tanto che la prima Renault F1 turbo del 1976 venne soprannominata la "teiera" perché dopo alcuni minuti di gara cominciava a fumare vistosamente, presagio della rottura del motore che arrivava immancabilmente poco dopo. Renault insistette caparbiamente finché il 1 luglio 1979 il francese Jabouille, vinse finalmente a Digione con la Renault turbo il GP di Francia. La prima storica affermazione di un motore sovralimentato in F1. Ma quell'episodio così importante fu offuscato da un'altra vicenda: il leggendario duello Villeneuve-Arnoux a ruotate per conquistare la seconda posizione. Un gesto sportivo che conquistò le prime pagine dei giornali per settimane e fece passare in secondo piano l'impresa tecnica della Renault.[4]
  • [Le] statistiche dimostrano quanto la Formula elettrica sia molto più imprevedibile e assai meno scontata della Formula 1. Ad ogni corsa i rapporti di forza sul campo tra le varie squadre cambiano ed è estremamente difficile pronosticare la vittoria. Questo dipende da almeno tre motivi. Primo: l'elevatissimo livello tecnico e agonistico dei piloti. [...] ci sono [...] ex piloti di F1, [...] campioni del mondo Prototipi, [...] Turismo [e] DTM (Turismo tedesco), [...] vincitori della 24 Ore di Le Mans e diversi piloti che hanno corso e raccolto successi nella GP2 (la categoria di contorno alla F1) o nelle gare per vetture GT. Non sono piloti abituati ad accontentarsi. Secondo aspetto: la Formula E è una categoria monotipo. Significa che le vetture di base sono tutte uguali tra loro; differiscono soltanto in pochi componenti, fra cui la personalizzazione del motore elettrico e la gestione di funzionamento di quest'ultimo. Perciò sono tutte estremamente competitive e non c'è in Formula E quella abnorme differenza di prestazioni fra primo e ultimo in griglia cui ci ha abituato la Formula 1. Terzo aspetto che accentua l'imprevedibilità della categoria: il fatto che si corra su circuiti cittadini, stretti e delimitati da muretti e barriere, dove difficoltà ed imprevisti sono più frequenti. Spesso un incidente o una collisione tra i piloti in testa alla gara ha condizionato il risultato.[5]
  • [Su Kimi Räikkönen] [...] nell'estate 2000, il finlandese guidò per la prima volta una F1. Iniziò proprio in Toscana la sua carriera di pilota professionista. All'epoca Kimi era un ragazzino 21enne che aveva corso fino a quel momento soltanto con la Formula Renault. D'improvviso fu catapultato nel grande mondo della F1. [...] Il test fu organizzato dal titolare della Sauber di allora, Peter Sauber, che era in cerca di giovani talenti da valorizzare. E Raikkonen stupì subito tutti quanti. [...] Quel giorno del 2000 al Mugello la Sauber non era sola in pista: i test erano stati organizzati dalla Ferrari che era scesa in pista con Schumacher per sviluppare la F2000. Siccome la Sauber era motorizzata Ferrari era stata invitata anche lei a svolgere collaudi. Per cui a un certo punto il debuttante Raikkonen si trovò a precedere sulle curve del tracciato proprio Schumacher che rimase impressionato dalla velocità dimostrata da quel giovane esordiente. Tanto che al rientro al box chiese ai suoi tecnici chi fosse quel ragazzino con la Sauber che andava così veloce. Da quel giorno la carriera di Kimi è decollata in F1.[6]
  • [Sulla Ferrari SF90 Stradale] È la Ferrari stradale più potente mai costruita. Sviluppa mille cavalli tondi tondi, poco meno di una F1 moderna. E come le F1 anche questa berlinetta Ferrari possiede tecnologia ibrida. Con la differenza che in questo caso non ha un solo motore elettrico come le monoposto dei Gran Premi, ma addirittura tre: uno dietro al motore V8 e due sulle ruote anteriori. Il nome SF90 è un omaggio alla storia sportiva del Cavallino perché fa riferimento ai 90 anni dalla nascita della Scuderia Ferrari, e cioè non la fabbrica di auto che conosciamo oggi (che venne costruita soltanto nel dopoguerra) ma la squadra corse cui Enzo Ferrari diede vita nel 1929 e che gareggiava con vetture Alfa Romeo. Questa Ferrari SF90 stradale è stata mostrata al mondo per la prima volta nel 2019, esattamente a 90 anni fa dalla nascita della Scuderia. Da qui il nome SF90. La Ferrari SF90 Stradale è un mostro da mille cavalli e prestazioni mozzafiato. [...] Una vera hypercar perché discende, nella linea genealogica di Maranello, da vetture esclusive come la F40, la F50, la Enzo e LaFerrari. Con due differenze: primo ha un motore 8 cilindri turbo ibrido e non un 12 cilindri come la maggior parte delle antenate; secondo non è costruita in serie limitata come quelle supercar del passato, ma non c'è un limite numerico agli esemplari che verranno costruiti. Soltanto un limite... economico che farà selezione fra i clienti [...][7]
  • Come ve l'immaginate da guidare una Ferrari? Rabbiosa, brutale, estrema? Difficile da portare al limite? Beh, la nuova Ferrari 296 GTB non è niente di tutto questo. Non genera ansia da prestazione quando si schiaccia il piede sul gas ma al contrario è facile, tremendamente facile da guidare forte e ispira rapidamente confidenza. È un'auto che il pilota "sente" subito in mano. Con la quale chi possiede un minimo di esperienza di guida sportiva riesce presto a compiere manovre spettacolari con grande naturalezza: derapate, sovrasterzi di potenza e controsterzi. Un'auto che ti dona il vero piacere di guida. Quello che gli inglesi, con un termine molto esplicito, definiscono "fun to drive". Divertimento puro al volante. Un'auto dalla quale dopo mezz'ora al volante scendi con un sorriso euforico stampato sul viso.[8]

Autologia.net[modifica]

  • [...] una Formula 1 che ha fatto epoca: la Ferrari 312B del 1970, la monoposto con cui Maranello ha aperto una nuova era tecnica nella F1 dopo anni di ombre, introducendo la prima generazione di quel motore 12 cilindri boxer che ha restituito negli Anni '70 alla Ferrari la supremazia tecnologica e avrebbe portato a Maranello tre titoli mondiali in dieci anni con Lauda e Scheckter. [...] scolpitevi nelle orecchie il rombo indimenticabile di quel 12 cilindri, erroneamente passato alla storia come boxer (mentre tecnicamente parlando era un V12 a 180 gradi). In una F1 dominata dal sibilo anonimo dei turbo ibridi, quel rombo vero e maschio del 12 cilindri [...] fa davvero vibrare il cuore.[9]

Analisi critica della Formula E, il test

autologia.net, 13 aprile 2019.

  • [Sulla Formula E] La cosa che mi ha impressionato di più non è l'accelerazione, ma la velocità nel più assoluto silenzio. [...] Si sente solo il fruscio dell'aria contro il casco. Si va forte senza sentire rumore. Strano, no? Io per esempio non mi accorgevo di andare forte. Non avevo punti di riferimento e mancava il rumore a darmi la controprova della velocità. È una sensazione strana. Ripensandoci, ho messo a fuoco una spiegazione. Da che mondo è mondo, il nostro cervello è abituato a generare la sensazione della velocità abbinando i due sensi più importanti: vista e udito. Su un'auto da corsa o su una sportiva molto potente noi vediamo l'orizzonte scorrere sempre più in fretta e sentiamo il rombo del motore aumentare sempre di più. Poi magari aggiungeteci le vibrazioni che genera il motore e le forze fisiche che si trasmettono al corpo tramite le cinture che si stringono quando accelerate, e il gioco è fatto. Dall'insieme delle sensazioni dei due sensi fondamentali – vista e udito (se si aggiunge anche il tatto, cioé le vibrazioni, tanto meglio) il nostro cervello ricava la percezione che stiamo andando più veloci. Ma se manca l'apporto di uno di questi sensi – nella fattispecie l'udito – il nostro cervello si disorienta. Non capisce più che sensazioni trasmettere al corpo. È quello che ho sperimentato al volante della Formula E. Non mi rendevo conto che stavo andando sempre più veloce in rettifilo perché non sentivo il rombo del motore. Quando manca uno dei sensi, le tue sensazioni sono limitate [...]
  • [...] ricorderò sempre i brividi che mi trasmise l'Audi R15 di Le Mans, un turbodiesel V10 da 5,7 litri che aveva quasi mille newtonmetri di coppia. Quando affondavi il gas le cinture ti sfondavano il petto e con le dita dovevi aggrapparti al volante per non perdere la presa, tanto era brutale l'accelerazione di quella barchetta.
  • [...] mi ha entusiasmato la cattiveria della Lambo Huracan SuperTrofeo, che aveva un rombo talmente deflagrante, grazie al suo motore V10, che ti faceva vibrare ogni poro della pelle. Trasmetteva potenza e brutalità da ogni parte.
  • [Sulla Formula E] È scattante, frena forte grazie a pinze e dischi in carbonio, permette di staccare sotto le curve ed è pure abbastanza rapida nell'inserimento. Ma le manca il sound per sembrare "cattiva". C'è poco da fare. Ai giovani piacerà pure, ma a me un'auto da corsa priva di un vero rombo non eccita. È come ascoltare musica rock in sottofondo a volume bassissimo. Quindi una delusione? Assolutamente no. Soltanto che è un'auto diversa. Le emozioni, il piacere della guida vengono da qualcos'altro che la pura guida.
  • [Sull'Halo] Sulla bruttezza non si discute. Ma in nome della sicurezza tutto è lecito.

Autosprint[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Per via del fisico minuto, la de Filippis era soprannominata "pilotino" nell'ambiente delle corse. Faceva scalpore vedere questa donna minuta domare e gestire in corsa la più pesante, grossa e potente F1 dell'epoca, la Maserati 250 F a motore anteriore quando già cominciavano a comparire le piccole e agili F1 inglesi a motore posteriore. Ma al volante si meritò più volte i complimenti di Fangio che però sosteneva che prendesse troppi rischi alla guida.[10]

Quei 3 grandi meriti di Marchionne

Da Autosprint, 24 luglio 2018; citato in auto.sabbatini.news.

[Su Sergio Marchionne]

  • Si fa torto a qualcuno dicendo che Sergio Marchionne è stato il più grande manager italiano del dopoguerra? Manager, non imprenditore, capiamoci bene. Marchionne non ha posseduto società, ma le ha gestite, le ha fatte funzionare e ne ha decuplicato il valore ricavando profitti miliardari ai proprietari ma garantendo anche il lavoro a centinaia di migliaia di dipendenti. Basta questo a renderlo il più grande. È l'uomo che nel bene e nel male ha salvato la Fiat, rilanciato la Ferrari e cambiato profondamente la stessa società italiana. Sia a livello industriale che sociale. Non solo Marchionne ha trasformato un'azienda privata italiana in un gruppo industriale globale con radici sparse fra l'Europa e gli Stati Uniti, ma ha anche cambiato le regole del gioco fra impresa e lavoratori. Ha introdotto il concetto di flessibilità cancellando abitudini di accordi sindacali consolidati e uscendo persino da Confindustria per agire più liberamente. Soprattutto, cosa cui non tutti gli rendono sufficiente merito, ha salvato la Fiat dal fallimento. Senza di lui centomila dipendenti non avrebbero più avuto un lavoro dopo il 2004. Quando gli sono state affidate le redini della Fiat, nel 2004, la società era in profonda crisi e capitalizzava poco più di 5 miliardi di euro. Era tecnicamente fallita. Non aveva i soldi per pagare i propri debiti e gli stipendi nei mesi successivi. In quattordici anni Marchionne l'ha portata a un valore complessivo di oltre 65 miliardi facendola diventare la settima industria automobilistica del mondo, scorporando e quotando in borsa la Ferrari che prima era parte del gruppo Fiat mentre poi, da sola, ha capitalizzato quasi 25 miliardi. Marchionne insomma ha creato valore per le aziende che guidava e ha creato lavoro per i dipendenti Fiat salvando l'azienda dal fallimento. Questo merito nessuno, nemmeno il più acerrimo dei suoi nemici come i sindacalisti della Fiom che l'hanno spesso combattuto, potrà mai toglierglielo.
  • A Torino Marchionne arrivò praticamente da sconosciuto nel 2004. Era appena morto Umberto Agnelli e la famiglia aveva estromesso brutalmente l'ad Giuseppe Morchio, che aveva avuto l'ardore di chiedere, direttamente al funerale di Umberto, di entrare come socio nell'azienda. Ma chi mettere al suo posto? Montezemolo fu scelto presidente, ma a chi affidare il gravoso compito della gestione quotidiana dell'azienda che deve sorbirsi l'amministratore delegato? Qualcuno si ricordò che Umberto Agnelli, prima di morire, aveva parlato benissimo di un tal Sergio Marchionne, esperto di economia, italiano di Chieti emigrato in Canada e ora cittadino svizzero che dirigeva una piccola compagnia finanziaria satellite del gruppo, la Sgs. Marchionne fu convocato e assunse l'incarico. All'epoca indossava ancora giacca e cravatta. La Fiat a quell'epoca aveva un indebitamento di qualcosa come otto miliardi di euro. Era alle soglie del fallimento. In cassa c'erano soldi per pochi mesi di stipendio delle maestranze. Marchionne all'inizio non diresse direttamente il settore dell'auto, ma l'intero gruppo industriale. C'erano altri manager alla guida di Fiat, Alfa e Lancia. Un ingegnere austriaco e uno tedesco ex BMW. Bastò un anno e mezzo a Marchionne per capire che non facevano al caso suo. [...] quei manager-tecnici erano lenti e troppo esitanti a prendere decisioni per riuscire a rivoluzionare. Erano abituati con calma, alla tedesca, a sperimentare ben bene prima di costruire. Marchionne gli fece capire che non c'era tempo. Mancavano i soldi per sopravvivere così a lungo se non si costruivano in fretta nuove auto da vendere per fare cassa. Li mandò via e assunse in prima persona l'incarico di amministratore delegato di Fiat Auto, Alfa e Lancia. Un finanziere alle prese con la meccanica. Cosa ci avrebbe capito? Qui è uscita fuori la grande dote di Marchionne [...]: saper individuare quelli bravi e sottostimati. E valorizzare il loro coraggio di osare. Così ha dato un impulso formidabile all'azienda e il primo anno nacque la nuova Punto, l'anno dopo la 500. Due boom. Con i soldi guadagnati la Fiat poté risollevare le finanze e investire sul futuro.
  • Tre sono stati i grandi meriti di Marchionne che col senno di poi hanno salvato la Fiat dal fallimento. Primo e meno conosciuto, ma basilare per il futuro, è la rinegoziazione del famoso "convertendo" con la General Motors. Nel 2005 Marchionne è riuscito a farsi pagare dagli americani un miliardo e mezzo di euro per svincolarli da un impegno firmato cinque anni prima che non volevano più rispettare. Quei soldi, versati nelle casse torinesi, hanno ridato ossigeno ai conti Fiat. Con quel denaro Marchionne si è pagato lo sviluppo dei nuovi modelli Panda, Punto e 500 prodotti fra il 2006 e il 2007 che hanno portato altri capitali freschi. La terza grande impresa è stata l'aver acquistato nel 2009 la quasi fallita Chrysler a costi ridottissimi grazie alla mediazione di Obama e del governo Usa. Cosa che gli ha portato in dote anche la Jeep che è diventata la vera fabbrica di soldi del gruppo FCA [...]. La Ferrari è un successo a parte. Il suo fiore all'occhiello. La sua passione recente. Che gli piaceva così tanto da tenere sempre sott'occhio, durante le conferenze stampa ai saloni dell'auto invernali, un telefonino dove riceveva gli aggiornamento in tempo reale dei crono durante i test invernali.

Giochi di squadra e ipocrisie

autosprint.corrieredellosport.it, 1º ottobre 2018.

  • Ma diciamoci la verità senza fare i falsi ingenui: non trovate davvero ipocrita lamentarvi del gioco di squadra in F1? [...] Inutile fare le verginelle. L'amara verità è che i grandi team hanno sempre dato team orders. Tutti quanti. Perché quando l'interesse è alto, non si guarda in faccia a nessuno. Nemmeno al rispetto per gli uomini della propria stessa squadra. Tutti si scandalizzano e giocano a fare i puri, però quando viene utile il gioco di squadra lo fanno eccome. [...] Per un motivo semplicissimo: perché chi comanda sono i team, non i piloti che da questi sono stipendiati. Il titolo mondiale Piloti dà prestigio al corridore. Ma è il mondiale Costruttori che riversa denaro nelle casse della squadra. Perché il particolare meccanismo del Patto della Concordia, che regola gli accordi commercial-sportivi della F1, prevede che i punti iridati e la posizione di classifica valgano milioni e milioni di euro. Vincere il titolo Costruttori o arrivare secondi può fare una differenza anche di decine di milioni di euro. E nessuna squadra rinuncia a quei soldi perché è determinante per il bilancio finanziario. Quindi siccome sono le squadre che stipendiano i piloti, è anche logico e giusto che il team chieda ai suoi piloti di anteporre gli interessi della squadra a quelli personali.
  • [...] la prima squadra a dare un plateale team order in F1 fu proprio la Ferrari. Nel lontano 1956. Al GP d'Argentina di quell'anno, Juan Manuel Fangio con la Lancia-Ferrari dovette ritirarsi. E il team del Cavallino cosa fece? Costrinse l'altro pilota della squadra, Luigi Musso, a fermarsi ai box; lo fece scendere dall'auto per far salire al suo posto Fangio; il quale così vinse la corsa e quei punti preziosi gli servirono per laurearsi campione del mondo. Incredibile no? Ma all'epoca era permesso che un pilota del team sostituisse un altro in corsa sulla stessa macchina perché nei primi anni della F1 era un'eredità del regolamento delle gare sport dov'è la macchina a vincere, non l'uomo che la guida. Poi questa stortura fu vietata perché in F1 era giusto fosse il pilota il protagonista principale e non più l'auto. Ma pensate se quella libertà esistesse ancora oggi, cosa succederebbe? Meglio non pensarci.
  • La madre di tutti i giochi di squadra [...] fu l'ordine perentorio di Todt a Barrichello al GP Austria 2002 di rallentare all'ultimo giro per far vincere Schumacher. Fu clamoroso e indecente perché portò davanti agli occhi di tutti in modo sfacciato quella che fino a quel tempo era sempre stata una pratica nascosta. Far rallentare il pilota da sacrificare con qualche scusa concordata e un linguaggio in codice ma senza mai scoprire il gesto. Invece Todt lo rese palese al mondo dicendolo via radio in chiaro, e lo ascoltarono le orecchie di milioni di spettatori perché ebbe la sfortuna che all'epoca il cameraman della F1 fosse al muretto Ferrari per inquadrarlo da vicino in quel momento topico. Così il microfono della telecamera, all'insaputa del team principal ferrarista, registrò e diffuse in mondovisione le parole con cui Todt prima supplicava, poi ordinava a Barrichello di rallentare. La plateale violazione di un codice etico in modo così lampante fece impazzire di rabbia il presidente della Fia Mosley perché dimostrò al mondo che quello sport di eroi che sembrava puro agli occhi della gente la F1 perché i suoi protagonisti rischiavano la vita per vincere, si poteva manipolare per interesse come una qualsiasi partita di calcio. Così Mosley, non potendo penalizzare la Ferrari per lo scambio di posizioni – era permesso dalle regole – ma volendoli comunque punire per il cattivo esempio sportivo in qualche modo, comminò al Cavallino una multa salatissima esemplare. Un milione di dollari per l'infrazione della cerimonia di premiazione. Una punizione che fece scalpore sia per l'entità della cifra che per il pretesto con cui fu data. Un po' come quando lo stato americano, non potendo incarcerare Al Capone per omicidio perchè non trovava le prove, non trovò altro modo che metterlo in manette per evasione fiscale...
  • Chiunque in F1 si lamenta o fa la verginella accusando scandalizzato gli altri di aver praticato giochi di squadra o dato team order, probabilmente ha compiuto pure lui il "misfatto". Volete un altro esempio? Jacques Villeneuve. [...] Pochi sanno che anche lui fu costretto a farlo. Addirittura proprio nel GP Europa 1997 – quello famoso di Jerez del fallo di Schumacher – che sancì la vittoria del mondiale di Jacques. Villeneuve, dopo che Schumi era finito fuori gara nel tentativo di speronarlo, aveva il titolo iridato in tasca. Ed era primo. Poteva chiudere in bellezza l'impresa vincendo anche la gara. Invece rallentò e fece passare le McLaren-Mercedes di Hakkinen e Coulthard che ottennero vittoria e doppietta. Un caso? No, perché mesi dopo si scoprì che via radio l'ingegnere di pista di Villeneuve in Williams, Jock Clear [...] lo aveva supplicato in corsa di lasciar passare Hakkinen dicendogli: "Devi farlo Jacques! Ricordi? Ne avevamo parlato prima della corsa se andava in un certo modo...". Evidentemente la Williams aveva stretto un'alleanza con la McLaren per la gara in chiave anti-Ferrari per aumentare le proprie probabilità di successo. E la contropartita evidentemente era di lasciargli la vittoria del GP. Se Villeneuve avesse conquistato il titolo, avrebbero dovuto lasciar trionfare la McLaren-Mercedes. In realtà la McLaren in gara non aiutò più di tanto Jacques perché fu Schumacher a danneggiarsi da solo con quella scorrettezza. Ma tanto bastò al team per ricordare al suo pilota di onorare il patto stretto prima del via.

Sabbatini.news – blog[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Cambiano i tempi e la Ferrari di inizio anni '90 è un'azienda in transizione. Le berlinette GT faticano a vendersi e Maranello è di fronte alla necessità di rinnovare completamente la linea di modelli. In più la Federazione ha appena deciso di cambiare il regolamento in F1 e limitare il frazionamento dei motori a 10 cilindri, perciò la Ferrari si trova costretta a buttare alle ortiche i suoi eccezionali V12 usati negli ultimi anni in F1. [...] parliamo dei primi anni '90, quando in una stagione di F1 si costruivano anche cento motori [...] fra propulsori da qualifica, da test e da gara. Così anche la Ferrari si trova a dover ottimizzare i costi per far tornare i conti. In questo scenario Montezemolo e Piero Ferrari hanno un'idea geniale. Costruire una supercar in tiratura limitata (solo 349 esemplari) fortemente imparentata con la tecnologia Formula Uno, da vendere a prezzo stratosferico (850 milioni di lire) a pochi, fortunati e ricchi clienti nel mondo. Una vera F1 a ruote coperte in cui riutilizzare sapientemente i basamenti dei tanti motori V12 ex Formula Uno e molta tecnologia delle monoposto per riconquistare quell'immagine di supremazia tecnologica che si stava appannando. [...] i tempi (ed i bilanci) stringevano e la Ferrari non poteva permettersi di aspettare il 1997 per giungere alla data esatta del mezzo secolo. Per cui la F50 – il nome celebrava il cinquantenario della fondazione dell'azienda – fu realizzata in anticipo di due anni sulla scadenza dell'anniversario: nella primavera del 1995. Ma perché il parallelo d'immagine con la F1 funzionasse, il legame con le soluzioni tecniche dei gran premi doveva essere totale. Ecco perché la F50 resta ancora oggi l'auto stradale più fortemente imparentata dal punto di vista tecnico e strutturale con una Formula Uno. Una vera monoposto vestita. Telaio formato da una monoscocca in carbonio a cui veniva imbullonato il motore V12 che aveva funzione portante per trasmissione e retrotreno. Sospensioni anteriori push-rod montate direttamente sul telaio e ammortizzatori collocati orizzontalmente. Mozzi ruota racing con un singolo dado centrale. Tutto come su una F1. E poi il motore, direttamente derivato dal V12 a 65° usato nella mondiale F1 1990/91. [...] Che la F50 sia una vera derivata da una F1 lo comprendo subito seduto a bordo [...]: il rumore nell'abitacolo è assordante![11]
  • [Sul Quadrifoglio Alfa Romeo] A volere il quadrifoglio su un’auto da corsa fu un pilota dei primi Anni Venti: Ugo Sivocci. Faceva parte dello squadrone Alfa Romeo ed era amico fraterno di Enzo Ferrari, anzi fu proprio Sivocci a introdurre il più giovane Ferrari al mondo delle competizioni. Sivocci era un pilota temerario, ma molto sfortunato. Più volte aveva subìto guai meccanici che gli avevano precluso la vittoria. Nel maggio 1923 lo squadrone Alfa Romeo che contava su quattro piloti di punta, i famosi "moschettieri" e cioè Antonio Ascari, Enzo Ferrari, Giuseppe Campari e Ugo Sivocci si stava preparando per la Targa Florio. Una delle corse più impegnative dell'epoca. Sivocci, che da bravo casertano era forse anche superstizioso, alla vigilia della gara fece dipingere sulla sua Alfa Romeo RL un quadrifoglio verde iscritto in un quadrato bianco. Forse perché gli portasse fortuna in gara oppure semplicemente per distinguersi fra le quattro rosse Alfa. Incredibilmente, il simbolo fece valere il suo potere: in gara Sivocci era secondo, ma davanti a lui Ascari, che aveva tagliato il traguardo prima, fu penalizzato per una irregolarità. Così Sivocci si aggiudicò la sua prima corsa, la Targa Florio. Grazie al benefico influsso del quadrifoglio. Purtroppo quattro mesi dopo, il potere del quadrifoglio fece sentire ancora una volta il proprio effetto. Ma nella sua forma più tragica. Durante le prove del GP d'Europa a Monza, nel settembre di quello stesso 1923, Sivocci uscì di pista alla curva del Vialone [...] e perse la vita nell'impatto contro un albero. Solo dopo l'incidente ci si accorse che quel giorno sulla carrozzeria dell'Alfa mancava il simbolo del quadrifoglio. Un tragico scherzo del destino: per la fretta di approntare la nuova Alfa P1 per le prove, non c'era stato il tempo di dipingerlo. [...] Dopo l'incidente l'Alfa Romeo, per ricordare il suo sfortunato pilota, ha dipinto il quadrifoglio verde sulla carrozzeria di tutte le Alfa Romeo da corsa e anche su quelle stradali più sportive. Ma con una differenza: il simbolo verde era iscritto non più in un quadrato a quattro punte, ma in un triangolo per ricordare che una delle "punte" dello squadrone Alfa non c'era più.[12]
  • È stata la prima supercar ibrida del Cavallino. Ed anche l'ultima nata sotto la gestione Montezemolo, che le ha dato quel curioso nome: LaFerrari. Articolo attaccato al nome. Per sottolineare undici anni di evoluzione tecnologica dalla Enzo del 2002 a LaFerrari del 2013 bastano pochi numeri. 20 km/h in più di velocità alla staccata del breve rettifilo di Fiorano – 265 km/h contro 245 – e 30 metri guadagnati in frenata nella decelerazione da 200 km/h a zero. Alla fine del giro fanno 5 secondi in meno sul cronometro rispetto alla Enzo: 1'20" contro 1'24"9. È la magia dell'ibrido, la grande innovazione tecnologica adottata da Maranello con LaFerrari. Eppure questi numeri se anche spiegano quale mostro di potenza e tenuta di strada sia LaFerrari, non rendono l'idea di che auto fantastica sia questa supercar ibrida. Vi aspettate un mostro ruvido e indomabile, invece è una coupé docilissima. Facile da guidare e gestire sia a bassa che ad alta velocità. Si lascia condurre con la maneggevolezza di un'utilitaria e l'elasticità di un diesel. Ma quando schiacciate il gas, i 963 cavalli del motore termico più il kers vi portano nell'iperspazio. Nel senso che cambiano tutti i riferimenti fisici: i rettifili si accorciano, la pista si stringe, le curve diventano all'improvviso di raggio più corto. LaFerrari divora la strada davanti a voi. Ma il bello è che "ci sta". Anzi, è talmente facile andarci forte che ci si illude di essere più bravi al volante di quanto siate realmente perché tutto riesce semplice. Persino se staccate i controlli elettronici. Questa apparente facilità di guida è la vera differenza rispetto alla Enzo [...][13]
  • Le Mans è la gara più bella del mondo. Ma anche la più rischiosa, esaltante e nello stesso tempo crudele. Almeno per i piloti. [...] Purtroppo a Le Mans bisogna prevedere tutto quanto. E non basta perché l'imprevisto è sempre in agguato. E la corsa alla miniaturizzazione, all'alleggerimento può essere vitale per andare più forte ma ti espone sempre a possibili rischi. [...] alla fine ha ragione quel pilota che un giorno aveva detto: "Non sei tu – pilota o squadra – che vinci a Le Mans, ma è Le Mans che decide di sceglierti come vincitore".[14]
  • [...] sapete che l'idea di portare le qualifiche [di Formula 1] alle ore 14 del sabato è farina del sacco proprio della Rai? Fino agli anni '80 le qualifiche F1 si svolgevano alle 13, non alle 14. Poi un bel giorno qualcuno da viale Mazzini, in fase di rinnovo del contratto tv, convinse Bernie [Ecclestone] a spostare l'inizio delle prove del sabato alle 14 spiegandogli che in Italia (ma anche in altri paesi europei) i ragazzi alle 13 erano ancora a scuola e la F1 si stava perdendo l'audience dei giovanissimi. Bernie scaltramente capì che era una buona idea e l'applicò subito. Ecclestone aveva questo pregio: la rapidità nel cambiare idea se capiva che lo status quo non funzionava bene. Da bravo mercante, sapeva come dar valore al proprio show per monetizzarlo meglio.[15]
  • [Su Lewis Hamilton] [...] non ha il senso della corsa. È il suo punto debole più grave. Lewis possiede una velocità pura ineguagliabile sul giro secco e sul passo gara. Però non ha la visione della corsa. Non si rende conto di quel che succede attorno a lui in pista. E sopratutto davanti a lui. È capace di pestare sul gas, ma spesso deve farsi "guidare" dai box sul ritmo di gara e sulle tattiche perché è incerto sulle decisioni da prendere. Gli manca quella dote unica e speciale, per un pilota, di "leggere la corsa", di capire cosa sta succedendo in gara davanti e dietro di te, elaborare in fretta con la mente una strategia di corsa a medio termine in funzione di come si sta sviluppando il GP e seguirla con determinazione per ottenere il massimo risultato possibile. Quella dote che gli addetti ai lavori, nel gergo delle corse, definiscono la capacità di fare in modo che la gara "ti venga incontro". Che per un pilota vuol dire mettersi nelle condizioni ideali per prevedere l'evoluzione degli eventi e trarne vantaggio. [...] A Hamilton manca proprio questo.[16]
  • Credeteci. È nata una stella. O meglio, si è affermata e si è fatta notare. Perché chi segue le corse con attenzione Charles Leclerc lo aveva già scoperto un paio di anni fa quando aveva cominciato a vincere a ripetizione nelle categorie minori. [...] Ma prima ancora che la sua velocità, la grande dote di Charles Leclerc è la freddezza. L'autocontrollo. Che gli permette di dominare le emozioni. Questo monegasco dagli occhi azzurri nasconde dietro un'aspetto timido un carattere davvero ferreo. Due anni fa alla vigilia della gara di Baku, in Azerbaijan, morì il padre cui era legatissimo. Pianse al funerale, si asciugò le lacrime e due giorni dopo era in pista a fare la pole con la F2 e vincere la corsa senza farsi condizionare dall'emotività del momento e da uno stato d'animo che avrebbe prostrato chiunque. Per questo non deve stupire il modo in cui ha combattuto, superato e tenuto a bada il suo "capitano" Vettel [...]. Impressionante.[17]
  • Un ingegnere cosa desidera? Un corridore veloce ma preciso, metodico, rigoroso. Capace di compiere cento giri sempre con uno scarto minimo di tempo, capace di passare sempre sulla medesima traiettoria. Di non lasciare niente al caso. Uno talmente bravo da non commettere sbavature e in grado perciò di annullare il margine d'errore umano e permettere così all'ingegnere di capire come si comporta la macchina, cosa funziona e cosa no. Una specie di computer in carne ed ossa. Una telemetria umana che era preziosissima quando le F1 erano più artigianali e non c'erano sensori a leggere le informazioni ma bisognava affidarsi al feeling del pilota per capire cosa andava e cosa invece non funzionava. Ecco, Lauda era questo. In un'epoca in cui le Formula Uno erano imprecise e incostanti, Lauda era la sicurezza. La certezza che il pilota stesse usando la macchina al massimo del suo potenziale e quindi, quando non ce n'era più, si sapeva che bisognava mettere le mani sul mezzo meccanico. E non sull'uomo.[18]
  • È la prima Ferrari ibrida plug-in della storia del Cavallino. Ha una potenza spropositata, di mille cavalli tondi tondi, e si chiama come la monoposto F1: SF90 Stradale. Inoltre può percorrere fino a 25 km in modalità soltanto elettrica, nel silenzio più assoluto. Bastano questi pochi elementi chiave a far capire di che pasta sia fatta la nuova supercar Ferrari, erede di tutte le ipersportive più estreme del Cavallino [...]. Per la sua nuova HyperCar il Cavallino ha coniato uno slogan ambizioso [...]. "Dare to immagine", che si potrebbe tradurre con "osare oltre l'immaginazione". E veramente nel progetto della nuova SF90 Stradale la Ferrari è andata al di là dell'immaginabile. Basti raccontare le specifiche davvero esclusive di quest'auto. A parte la novità della propulsione elettrica, c'è moltissimo di inedito da scoprire sotto il cofano di questa ipercar del Cavallino: dal design, all'eccellente compromesso raggiunto tra potenza, peso e guidabilità, fino al nuovo abitacolo che prevede una rivoluzionaria interfaccia di comando fra volante e cruscotto che cambia drasticamente il feeling di guida del pilota a bordo. [...] un design avveniristico, caratterizzato da un abitacolo avanzato (per far posto dietro i sedili alle batterie del motore elettrico) e un frontale veramente aggressivo con fari a led sottilissimi. Il vero capolavoro però è il retrotreno dove la Ferrari SF90 Stradale rinuncia per la prima volta al caratteristico singolo faro tondo per adottare due doppie luci quadrate con angoli arrotondati. Originalissima, e anche molto diversa dalle Ferrari del passato, la coda, dal centro della quale escono vistosissimi, a metà altezza, i due tubi di scarico. Quasi a ricordare che, benché si tratti di una Ferrari ibrida plug-in, il motore termico riveste ancora un ruolo fondamentale per una Ferrari.[19]
  • Pensate che strano: un giorno potrete dire ai vostri nipoti che il 23 giugno 2019, sotto un'afa terribile, avete avuto il privilegio di assistere in Tv al più brutto Gran Premio della storia della F1. Quello di Francia al Castellet. A definirlo così è stato un giornalista britannico del quotidiano The Telegraph. E lo dice nonostante abbia vinto un inglese. Pensate un po' a che punto siamo arrivati. [...] Gli elementi negativi ci sono tutti: un andamento monotono e triste, con i piloti di vertice tutti staccati fra loro. I primi sei arrivati al traguardo piazzati così com'erano partiti [...]. Mai un duello ravvicinato in testa alla gara. Solo una lunga processione di macchine a 230 km/h di media. Una pallosissima passeggiata delle due Mercedes inutilmente inseguite dalla Ferrari e dalla Red Bull. Nessuno che avesse lo slancio o la capacità di attaccare quello davanti. Persino Hamilton si è sentito in imbarazzo nelle interviste del post gara quando ha spiegato che per lui, contrariamente a quanto sembrasse da fuori, non è stata una passeggiata. Ha detto che aveva fatto fatica a guidare perché era assillato da piccoli problemi che dall'esterno non si colgono ma non lo lasciavano tranquillo: il sedile fissato male, la gestione delle gomme problematica e così via. E ha concluso quasi scusandosi e facendo vedere la propria testa: vedete come sono sudato? Ha detto. Pensate che se fosse stata una passeggiata sarei così accaldato e pieno di sudore in fronte? Poi però con i giornalisti inglesi, a quattr'occhi, ha ammesso: "Se dite che questa F1 è noiosa, vi capisco in pieno".[20]
  • Penalità sì o penalità no? Come decidere qual è il sottile confine tra una sanzione e nessun provvedimento? [...] La mia linea di pensiero è: lasciate i piloti liberi di correre. Basta con questa ossessione del controllo assoluto da parte di steward, commissari e giudici che vogliono ergersi loro a protagonisti del risultato invece dei piloti. Basta con queste classifiche che vengono congelate dopo la corsa e ufficializzate ore dopo. Basta con questa abitudine presa pari pari dal calcio di voler analizzare e rivedere alla moviola spezzoni di guida con la presunzione di valutare al ralenty gesti che i piloti compiono d'istinto in frazioni di secondo. E basta anche con questa abitudine di voler giudicare la posizione al millimetro dell'ala anteriore di una monoposto rispetto alla ruota posteriore del rivale per determinare chi dei due è davanti e ha diritto di traiettoria. Torniamo alla vecchia usanza: finché l'avversario non ti affianca del tutto, puoi chiuderlo. Oltre no. Tanto a quel punto bastano le leggi fisiche: se chiudi quando lui è già dentro, ci rimetti tu per primo. La linea-guida futura dovrebbe essere: i sorpassi o le difese di traiettoria non si devono calcolare al microscopio: si fanno e basta. [...] Perciò se dovessi immaginare un nuovo regolamento che codifichi le regole d'ingaggio nelle corse, l'ideale linea di demarcazione e di giudizio dovrebbe essere una sola: c'è stata scorrettezza volontaria oppure no? Se sì, deve scattare la penalizzazione. Anche severa. Se invece si tratta di naturale agonismo, allora si lasci correre. [...] Da che mondo è mondo, le corse sono sempre state così. È soltanto l'inflessibilità federale degli ultimi tempi e il sapiente gioco del piagnisteo via radio da parte di chi è stato superato che ha portato nella gente la convinzione che intimidire l'avversario, chiuderlo in frenata oppure affiancarlo e spingerlo all'esterno sia un reato. Non è così. Riportiamo un po' di sano agonismo e rude combattività nelle corse. E le polemiche lasciamole al calcio e ai vari bar sport.[21]
  • [...] non compio un azzardo a dire che Hamilton secondo me è uno dei cinque piloti più forti della storia della F1. Come Fangio era il campione degli Anni Cinquanta, Jim Clark quello degli anni Sessanta, Lauda il dominatore degli Anni '70, Senna degli anni Novanta e Schumacher il Re dei primi anni Duemila. Tutti loro in un modo o nell'altro hanno segnato una decade. Hamilton è il Re di quest'ultima. Se ci facciamo caso, di tutti quei leggendari campioni, Hamilton possiede un pezzetto delle rispettive qualità. Ha la dedizione di Lauda, la velocità di Senna, la determinazione di Schumacher, la longevità agonistica di Fangio. E poi il metro della bravura di un campione te lo dà il confronto interno a pari macchina. Uno può avere anche la migliore monoposto del mondiale, ma ce l'ha anche il suo compagno di squadra. E se uno macina regolarmente i colleghi di team, come ha fatto Hamilton negli anni con Alonso, Button, Rosberg e adesso Bottas, qualcosa vorrà dire no?[22]
  • La F1 non è il calcio, dove basta cambiare allenatore per cambiare sistema di lavoro e risultati da una settimana all'altra. Nel mondo del pallone l'allenatore è una figura-chiave perché detta schemi, metodi di gioco e ritmi di allenamento. Ma è anche una sorta di motivatore psicologico della mente dei suoi atleti. Un ruolo determinante ai fini del risultato. Cambiando allenatore si sostituiscono sia gli schemi di gioco che la motivazione dei giocatori. Gli effetti si vedono in fretta. Non ci vogliono anni ma poche settimane. La F1 non funziona così. La F1 è fatta di tecnologia e progettazione, due compiti richiedono tempi lunghi; i telai si cominciano a progettare nove mesi prima che la macchina scenda in pista. Si inizia a disegnarla a giugno/luglio per farla correre a marzo dell'anno dopo. Per fare un motore nuovo servono poi mesi e mesi. In una squadra F1 sono coinvolte mille persone che vanno gestite, fatte collaborare fra di loro e soprattutto conosciute a fondo per saperne sfruttare le qualità e le competenze specifiche di ciascuno. Ai piloti poi non serve un mental coach ma un motore con un sacco di cavalli. E un buon telaio. Cambiare "l'allenatore", cioé il team principal, sarebbe ora soltanto un gran casino [...]. Significherebbe ricominciare da zero, perdendo almeno tre anni di riorganizzazione tra impostazione e progetti. Perché il nuovo arrivato [...] dovrebbe prima imparare a capire come funzionano le cose nell'azienda [...]. Poi conoscere i tecnici, capire il metodo di lavoro per decidere se funziona o no e se è il caso di impostarne un altro. Un ribaltone gerarchico, insomma, secondo me allungherebbe i tempi, quindi peggiorerebbe le cose invece di migliorarle. Provocherebbe il caos a tempi brevi, non la riscossa. Ci vorrebbero anni per far ripartire il lavoro secondo un nuovo metodo. [...] E poi c'è un problema non da poco: [...] Un team principal non è mica come l'allenatore di calcio; non è una figura che si trova così facilmente sulla piazza. Servono competenze politiche, gestionali, finanziarie, tecniche. E cultura sportiva automobilistica. Difficile trovare il giusto candidato in fretta [...]. La gente adatta si conta sulle dita di una mano.[23]
  • Michele [Alboreto] era l'impersonificazione perfetta del pilota-gentiluomo. L'ultimo gentleman driver di un'epoca che non c'è più da tempo. Quella categoria di corridori che mettevano l'educazione, la signorilità e la disponibilità verso colleghi ed addetti ai lavori sopra ad ogni altra caratteristica caratteriale. Michele era di origini semplici, ma non si è mai montato la testa diventando uno sportivo di fama mondiale. Denaro e popolarità non lo hanno cambiato, come invece è capitato a tanti altri personaggi dello sport o dello spettacolo che si sono montati la testa. Alboreto no: ha sempre mantenuto quel carattere schietto e semplice degli inizi. Ha vissuto con discrezione e umiltà il suo ruolo di pilota. Proprio lui che è stato per cinque anni pilota Ferrari in F1 e quindi completamente al centro dell'attenzione; eppure è riuscito a non far mai parlare di sé per gli eccessi o per le polemiche, quanto per il suo stile e per l'altruismo del proprio comportamento. Nadia, sua moglie, e le due figlie Alice e Noemi possono essere fiere di aver avuto un marito e un padre che ha dato lezione di stile e di comportamento a tutto il mondo della F1.[24]
  • [...] a differenza di tanti altri piloti Elio [De Angelis] era un signore nel vero senso della parola. Educato, colto, elegante, di buona famiglia, mai un gesto fuori dalle righe. Tranne uno: una ruotata molto aggressiva che nel '78 diede a Gaillard a Montecarlo alla curva del Loews per superarlo e andare a vincere la gara di Monaco F3. Ma lo assolvo: era più veloce del francese e in palio c'era la più importante gara del mondo di F3 davanti agli occhi dell'intera F1. Elio aveva gusti raffinati e sobri: amava suonare il pianoforte, e quando i piloti a Kyalami nel 1982 scioperarono clamorosamente chiudendosi in albergo per due giorni, Elio per far passare il tempo suonò al piano musica per tutti i suoi colleghi. Ve lo vedete un pilota con le mani sporche di grasso e abituato a stringere con forza un volante, far scorrere delicatamente quelle stesse dita sulla tastiera di un pianoforte? Ecco, Elio de Angelis era un po' una mosca bianca fra gli altri piloti F1 di quell'epoca rude. Era un signore, certo, ma in pista era anche dannatamente veloce.[25]
  • Hamilton divide sempre gli appassionati. [...] Hamilton accusato di avere sempre "culo" nelle gare, Hamilton che non si merita i successi che raccoglie, Hamilton che deve ancora dimostrare di essere un campione perché corre con la Mercedes che è sempre vincente. Hamilton che viene messo in discussione ogni volta che compie un qualsiasi gesto. Beh, mi viene da dire una cosa: basta con questi moralisti da tastiera accecati dal tifo oppure dal livore che non sanno "leggere le corse" e le imprese dei piloti in modo obiettivo. [...] anche Hamilton, quando è sotto pressione, può commettere errori e sbagliare. È vero. Ma da lì a mettere in discussione la sua grandezza di pilota ce ne passa. [...] Un errore grave (di guida o di concentrazione) nel corso di una stagione ci può stare. Capita anche ai campioni. [...] Perché Hamilton viene crocifisso quando sbaglia e nello stesso tempo irriso e insultato quando invece riesce ad approfittare di un problema altrui? [...] Io non credo alla teoria del "culo" di Hamilton. Credo che Hamilton susciti gelosie ed invidie perché vince troppo (e non guida una Ferrari), perciò tutti sono pronti sempre a metterlo sulla graticola. Ma non si può non riconoscerne la grandezza ed il talento. O continuare a sostenere che deve ancora dimostrare di meritarsi i suoi successi. È altresì vero che i grandi campioni spesso sono più fortunati di altri. O per meglio dire: se non hai anche un pizzico di fortuna non diventerai mai un grande campione [...]. Io invece credo che i grandi campioni siano più opportunisti degli altri. Ne senso che sono più bravi a sfruttare gli imprevisti a loro vantaggio. Perché sanno mettersi prima nella condizione più favorevole per approfittarne. È un'attitudine, non un caso. [...] Ecco, Hamilton [...] non molla mai. Pronto ad approfittare di ogni imprevisto. [...] È culo? No, è capacità di essere riuscito a mettersi nelle condizioni ideali per sfruttare un imprevisto.[26]
  • Ci sono state tre epoche ben precise nella storia di Frank Williams: gli inizi, con la vita stentata nelle corse fatta di espedienti e sotterfugi per sbarcare il lunario, da fine anni Sessanta a metà anni Settanta; poi quella dei primi successi grazie ai soldi raccolti presso gli sponsor arabi, periodo che è andato dal 1977 fino al 1986, anno del suo incidente in auto. E infine il terzo periodo, il più glorioso ma triste: in cui ha raccolto successo e guadagnato tanto denaro in F1 ma che lo ha anche reso tetraplegico. Oggi tutti ricordano l'ultimo Frank Williams, il manager che nonostante fosse immobilizzato su una sedia a rotelle, riusciva a guidare la sua squadra con piglio forte e determinato. Un'epoca di trionfi serrati, con 5 mondiali Piloti vinti in appena dieci anni, da Piquet a Jacques Villeneuve. Ma anche di tragedie come la morte di Ayrton Senna a Imola a causa di un guasto tecnico di cui la squadra porterà sempre dentro di sé il rimorso. Ma il primo Frank Williams, quello che si barcamenava per riuscire a schierare in pista le sue monoposto prendendo pezzi di ricambio a prestito da amici e rivali, e che viveva alla giornata utilizzando una cabina telefonica stradale come collegamento per i contatti di lavoro perché non aveva nemmeno i soldi per affittare una sede, pochi lo conoscono. [...] Entrò nel mondo delle corse nel 1966, quando fondò la sua prima scuderia per far correre auto di F3 e F2, poi nel 1969 approdò finalmente alla F1. Che allora era ben diversa dal mondo scintillante di oggi. È in quegli anni che imparò bene la lingua italiana, perché fra il 1965 e il 1970 Frank Williams veniva spesso in Italia portando di nascosto pezzi di ricambio per auto da corsa inglesi per rivenderle a tutti i piloti italiani che gareggiavano con le piccole formule e che non riuscivano ad acquistare oltre Manica i ricambi di cui avevano bisogno. A furia di contrattare e scambiare soldi in cambio di ingranaggi, cambi, freni e frizioni, Williams riusciva a mettere insieme quei quattro soldi per sbarcare il lunario e pagarsi l'attività del suo team. Imparò sul campo l'arte della trattativa d'affari, del business e del mercanteggiamento. Che si rivelò molto utile quando un decennio dopo ebbe a che fare con i munifici sponsor dei paesi arabi che però, come tutti gli abitanti di quei luoghi, amano mercanteggiare quando si tratta di fare business. Tale era la sua frequentazione dell'Italia che nel giro delle corse lo chiamavano, o si faceva chiamare, Franco Guglielmi. La traduzione esatta del suo nome in italiano.[27]
  • [...] devo dire che in tanti anni da inviato di F1, dove ho visto correre dal vero e battagliare piloti come Senna, Prost, Mansell, Schumacher — e sentire pure a volte le loro giustificazioni per certi azzardi — io uno scorretto nella guida come Verstappen non l'avevo mai visto prima. Ogni volta che va dritto in staccata per un sorpasso insiste per spostare l'avversario e tenersi la posizione. È sempre al di là delle righe. Quelle metaforiche, ma anche quelle bianche che delimitano la pista. Verstappen è un pilota fantastico, lo riconosco. E lo ammiro. Uno col piede di Senna e la grinta di Mansell. Un campione di talento. È bravo bravo bravo. Ma per me è troppo scorretto. È come uno che grida sempre per avere ragione. Lui non duella e basta; lui aggredisce e spintona l'avversario. Tira delle staccate impossibili per resistere al rivale, va fuoripista e quando rientra ostruisce l'avversario pensando di avere il diritto di restare lì davanti. Nel duello con Verstappen è sempre "l'altro", è sempre il suo avversario del momento che deve preoccuparsi di evitare il contatto e l'incidente. Lui non ci pensa: si butta dentro e sta al suo avversario del momento evitare la collisione. Non si guida così. Anche se sei il più bravo del mondo! [...] Lui non desiste mai. Questo sentimento è bello in un pilota, ma fino a un certo punto. Quando la manovra va male, con la staccata finisci lungo oppure l'altro ti mette le ruote dentro, devi imparare a mollare. Fa parte del gioco delle corse. Invece Verstappen non desiste anche quando la partita è persa. E questo comportamento ne fa un irresponsabile in tante occasioni.[28]
  • [Sulla Ferrari F1-75] È una Ferrari a "tolleranza zero" quella del 2022. A tolleranza zero perché nelle sue forme si intravedono soluzioni tecniche davvero estreme, senza margini di compromesso. [...] La Ferrari "coraggiosa", l'ha definita il team principal [Mattia Binotto]. Coraggiosi sono stati soprattutto i progettisti che nel disegnare le forme di questa SF-75 hanno seguito una strada tecnica differente dagli avversari. [...] Una macchina di F1 è composta da tre componenti principali: aerodinamica, motore e sospensioni. Tutti e tre devono interagire bene tra loro per ottenere la massima prestazione. Però su questa SF-75 il Cavallino ha fatto una scelta ben precisa: ha privilegiato ad ogni costo l'aerodinamica. [...] A questa necessità è stato subordinato tutto il progetto. [...] Questo concetto spiega probabilmente anche certe scelte esteriori. Muso e pance sono gli aspetti in cui la Ferrari SF-75 si distingue di più e sono ben differenti dalle soluzioni adottate dalle altre monoposto [...]. La Ferrari è l'unica con il muso allungato e appuntito e una delle poche [...] con le pance lunghe, mentre tutti gli altri hanno seguito la strada del muso piatto e arrotondato e delle pance larghe ma corte per rastremare il più possibile la carrozzeria attorno al cofano motore. [...] Saranno state scelte tecniche azzeccate quelle della Ferrari? [...] Di certo il look della Rossa 2022 è veramente mozzafiato. Per merito anche della nuova tinta: un rosso più acceso [...]. In passato era la Philip Morris, storico sponsor della Ferrari, che voleva a tutti i costi un rosso dalle sfumature "aranciate", quasi fluo, sulla monoposto per motivi televisivi. Adesso che lo sponsor di tabacchi non c'è più, si è tornati al tradizionale rosso più carico, con le appendici alari non più bianche o color carrozzeria, ma in nero carbonio. Un look rosso-nero che riporta alla mente la Ferrari 640 dell'epoca di Mansell e Prost. Sublime nei suoi colori e nel suo minimalismo. Grazie ai nuovi colori e a quel muso lungo e affilato, la SF-75 appare davvero aggressiva e pronta a divorare gli avversari.[29]
  • Che cosa ha reso grande Villeneuve che pure non era un tipo affabile ed empatico, ma al contrario timido e scontroso? Il suo stile di guida spettacolare [...]. E poi il suo talento. La sua grinta. Le imprese impossibili che ha compiuto al volante della Ferrari. Villeneuve era la personificazione del Pilota con la P maiuscola. Tutto coraggio e temerarietà. Il cavaliere del Rischio per antonomasia. Un Nuvolari moderno. Rispecchiava quello che noi tutti, forse in privato sogniamo di essere: un supereroe con il mantello e i superpoteri capace di imprese impossibili. Vincere con un sorpasso mozzafiato all'ultimo giro oppure combattere e non arrendersi mai, cercare di portare la macchina al traguardo anche se a pezzi e senza ruote. Come Nuvolari divenne famoso per aver vinto una Mille Miglia superando Varzi a fari spenti nella notte per sorprenderlo in scia, così Villeneuve esaltò le folle concludendo un GP in Canada sotto la pioggia con l'alettone anteriore divelto, piegato davanti al casco che gli faceva da schermo e gli impediva di vedere la strada. Guidò sulla pista di Montreal a memoria, e per trovare il punto di inserimento in curva guardava di lato le tracce lasciate sul bagnato dalle gomme delle altre F1. Non sono tanto le vittorie che hanno esaltato la leggenda di Gilles, quanto le sue imprese al limite del disperato. [...] Ai tifosi Villeneuve piaceva perché era spettacolare, capace di imprese impossibili ed era il principale motivo per cui valeva la pena pagare il prezzo del biglietto di un Gran Premio. A Enzo Ferrari Gilles piaceva perché era uno che non si risparmiava: portava al limite le sue automobili e maciullava la meccanica stimolando i suoi progettisti a costruire auto sempre migliori e più solide. Solo a una certa F1 un po' altezzosa, le imprese esagerate di Gilles facevano storcere il naso. Alcuni piloti lo reputavano un pericolo pubblico perché guidava sempre al limite; diversi giornalisti e opinionisti lo snobbavano perché il suo atteggiamento spavaldo ed emotivo era così lontano dal freddo e razionale comportamento di Niki Lauda che aveva introdotto in F1 il concetto del pilota-computer, insensibile alle emozioni e portato a dosare al minimo i rischi. Gilles era l'esatto contrario.[30]
  • La storia della F1 è piena di fallimenti in cui i team principal non sono riusciti a gestire due galletti nel pollaio. A partire da Ron Dennis ai tempi di Senna e Prost, poi Frank Williams con Mansell e Piquet, a Ron Dennis fase 2 con Hamilton e Alonso nel 2007, fino ad Arrivabene con Raikkonen e Vettel. Pure Toto Wolff ha faticato a far coesistere Hamilton e Rosberg. Perché i piloti possono essere amici finché vogliono ma quando abbassano la visiera il compagno diventa il primo nemico. [...] Comunque alla fine dei conti tutto ruota attorno alla macchina: se [...] sarà [...] competitiva, tutto andrà per il meglio. [...] A quel punto ci si scorda dei problemi. Perché è sempre meglio avere due fuoriclasse al volante piuttosto che un campione e un buon secondo pilota.[31]

Enzo, la Ferrari che doveva chiamarsi F60

auto.sabbatini.news, 2 aprile 2017.

[Sulla Ferrari Enzo]

  • Quando nel 2002 esce la nuova supercar celebrativa della storia del Cavallino, la Ferrari sta vivendo un momento d'oro. È all'apice del successo commerciale e sportivo in F1 dove ormai sta vincendo da tre anni di seguito con Michael Schumacher sia il mondiale Piloti che quello Costruttori. Sarebbe il momento perfetto per celebrare questo stato di grazia con una supercar che rappresenti finalmente la sintesi di tutta la sofisticata tecnologia elettronica sviluppata per la F1: traction control, differenziale elettronico, cambio elettroattuato. Ma siccome siamo nel 2002, a metà tra cinquanta e sessanta anni di vita del Cavallino, quella che avrebbe dovuto chiamarsi F60 per celebrare una ricorrenza ancora da venire, deve abbandonare la tradizione della ricorrenza a cifra tonda. Montezemolo decide così di battezzare questa supercar col nome di Enzo Ferrari. Il massimo omaggio alla figura del fondatore scomparso 14 anni prima.
  • Un'idea vincente introdotta sull'auto che per tutti diventerà semplicemente la "Enzo" è quella di rafforzare l'interfaccia uomo-macchina sfruttando l'esperienza e l'insegnamento di Schumacher. Il tedesco è il pilota che ha cambiato la F1 moderna convincendo i tecnici a spostare sul volante della monoposto, a portata di dita, tutte le finissime regolazioni di set up dei parametri di gestione del motore, del differenziale, del cambio e dell'assetto. Così la Ferrari crea per la sua nuova supercar il primo volante "attivo", nel senso che incorpora sei pulsanti per modificare la mappatura di gestione motore, per attivare o disattivare il controllo di trazione, inserire la retromarcia e persino comandare gli indicatori di direzione. È l'antesignano di quello che diventerà due anni dopo sulla F430 il famoso "manettino", termine dialettale modenese coniato dai meccanici del reparto corse F1 che indica il pomello sul volante dove verranno raggruppate tutte queste funzioni di gestione elettronica. E di quelli che saranno i volanti di tutte le Ferrari dieci anni dopo, dalla 458 in poi.
  • Nel design della Enzo c'è una forte ispirazione F1, sia nella forma delle prese d'aria che nel musetto col puntale rialzato per far passare aria sotto la scocca: una soluzione chiaramente derivata dai musi rialzati delle F1 di quel decennio e che serve a Maranello per generare effetto suolo dall'aria convogliata sotto la scocca piuttosto che da quella sopra la carrozzeria. Infatti la Enzo non ha alettoni: solo un piccolo spoiler attivo ma in velocità, a 300 km/h, riesce a generare fino a 775 kg di spinta. Dove la Ferrari rinuncia al legame diretto con la F1 invece è nel motore: nei GP si usano da tempo motori 10 cilindri mentre la Ferrari per la Enzo resta invece fedele al tradizionale 12 cilindri a V aspirato, ma di maggior cilindrata rispetto alla F50: 6 litri tondi tondi. Ma nonostante l'elevata cilindrata, il V12 arriva a girare a ben 7800 giri/minuto, regime al quale eroga la bellezza di 660 cavalli.

Quel mistero delle strisce colorate del circuito Castellet

auto.sabbatini.news, 23 giugno 2018.

[Sul circuito Paul Ricard]

  • Fu voluto nel 1972 dall'industriale francese Paul Ricard. Costui era un produttore di liquori e aperitivi all'anice – la famosa "anisette" Ricard che in Francia è diffusissima – appassionato di corse. Era una pista caratterizzata da un lunghissimo rettifilo, quello del Mistral (nome del vento che soffia su quell'altopiano francese). Per anni il circuito del Castellet è stato uno dei pilastri del motorsport internazionale sia per auto che moto anche perché con le sue ampie vie di fuga era all'avanguardia della sicurezza nei primi anni Settanta [...]. La pista [...] era lunga oltre 6 km e aveva un disegno molto particolare: un lunghissimo rettilineo, quello del Mistral, di circa 2 km, seguito poi da una parte mista di curve e controcurve molte davvero impegnative. Leggendaria era la piega a destra di Signes alla fine del rettifilo del Mistral, dove le monoposto arrivavano a circa 300 km/h. Negli anni delle F1 turbo la curva si faceva parzializzando il gas, mentre verso la fine degli anni '80 grazie alla migliore deportanza delle monoposto, alcuni piloti – i più audaci – riuscivano ad affrontarla praticamente in pieno a 300 km/h! Era uno spettacolo!
  • Per un giornalista come me, all'epoca, il Gp di Francia era una gara da non perdere. Perché era il luogo ideale per andare a vedere in pista come guidavano i piloti e capire le differenze fra loro [...]. C'era un appuntamento rituale del venerdi al GP di Francia: la famosa "tribuna degli esperti". Non una vera tribunetta ma uno spiazzo all'interno di Signes, più o meno all'altezza del cartello dei 100 metri dalla curva, dove si ritrovavano ex piloti opinionisti come Jackie Stewart e Lauda, team manager come Dennis, Williams, e i giornalisti più curiosi per vedere dal vivo chi faceva la curva in pieno e chi alzava il piede perché non se la sentiva. Più che il rumore, ci si basava sull'osservazione del retrotreno della F1. Si guardavano gli scarichi. Se fiammeggiavano da sotto il fondo, vuol dire che il pilota aveva alzato il piede perché in rilascio le F1 dell'epoca sputavano fiamme dallo scarico. Non ci si poteva sbagliare. Signes al Castellet ed Eau Rouge a Spa erano i due punti privilegiati fra le piste di F1 per capire chi aveva fegato e chi toglieva il gas nel punto più difficile.
  • Negli anni Duemila la missione di questo circuito cambiò: uscì dal giro delle corse e fu acquistato da Bernie Ecclestone che ne volle fare una pista di collaudi. [...] furono soppresse tutte le tribune (tanto chi va a vedere i test?) e soprattutto tutte le vie di fughe in ghiaia vennero sostituite da ampi spazi in asfalto. Fu la prima pista [...] ad adottare il criterio di asfaltare l'esterno delle curve, criterio che oggi è comune a tanti circuiti. Il motivo? Semplice: per non interrompere i collaudi e non danneggiare le macchine. Essendo una pista di test, si voleva fare in modo che i piloti perdessero meno tempo possibile in caso di errori di guida. Con l'asfalto ai lati, chi usciva di pista poteva ripartire in fretta e proseguire i collaudi ottimizzando i tempi di lavoro invece di finire in ghiaia, rovinare la macchina e perdere ore per il trasporto e la riparazione ai box. In più vennero aggiunte le famose strisce colorate, quelle che oggi fanno discutere e confondono le idee. Non fu un vezzo cromatico ma una necessità: avendo asfalto ai lati, si posero fasce di asfalto più o meno ruvido ad aderenza differenziata per frenare meglio le macchine in caso di uscita di pista o di testa-coda. Le varie zone ad aderenza differenziata venivano identificate da strisce rosse oppure blu. Le seconde più ruvide delle prime. Oggi il Castellet, visto dall'alto, possiede ancora le sue belle righe rosse bianche e blu che lo fanno assomigliare al contenuto di un dentifricio.

Ferrari è Purosangue ma non è un SUV

auto.sabbatini.news, 13 settembre 2022.

[Sulla Ferrari Purosangue]

  • Per carità, non chiamatela SUV! [...] La Ferrari Purosangue è un'auto diversa dalla tradizione del Cavallino. [...] Massiccia e imponente come una sport utility, ma non morbida di assetto e votata al rollìo nella guida come tutti i SUV. Il Purosangue si picca di essere simile per carattere e comportamento dinamico alle Ferrari biposto più cattive. D'altronde il nome Purosangue sta a sottolineare proprio questo: pur se possiede dimensioni extralarge [...] nelle sue vene scorre lo stesso sangue e lo stesso carattere selvaggio di tutte le sportscar del Cavallino.
  • Ci sono state altre auto del Cavallino in passato in grado di ospitare quattro passeggeri [...], ma in realtà – secondo una definizione cara al fondatore – le (poche) Ferrari con sedili posteriori erano chiamate 2+. Una definizione di comodo per sottolineare che si trattava di vetture effettivamente perfette per chi sedeva davanti, ma con l'aggiunta di due striminziti sedili posteriori. Perché secondo Enzo Ferrari aggiungere due posti veri alle sue auto avrebbe stravolto la personalità del veicolo. Avrebbe provocato l'allungamento del passo, l'aumento il peso e questo avrebbe limitato perciò sia le prestazioni che il piacere di guida. Ora i tempi sono cambiati e la tecnologia moderna ha permesso di compensare pesi extra e dimensioni extralarge. Per cui il Purosangue è la prima Ferrari in grado di offrire quattro posti veri belli comodi, senza sacrificare la performance.
  • Sul Purosangue ci sono, un po' nascoste in verità dalla linea coupé, anche due porte posteriori per far salire più comodamente a bordo i passeggeri dei sedili dietro. Già in questo aspetto il Purosangue stabilisce un record: è la prima Ferrari della storia a quattro porte.

Addio Forghieri, il più grande degli ing. F1

auto.sabbatini.news, 3 novembre 2022.

  • Mauro Forghieri era davvero il numero uno fra gli ingegneri e progettisti di auto da corsa. Non perché le sue Ferrari avessero vinto più titoli mondiali; questo no. Se contiamo rigidamente i campionati vinti, Adrian Newey fra Williams, McLaren e Red Bull per esempio ne ha conquistati almeno una decina, e anche Patrick Head e John Barnard possono vantarsi di aver raccolto altrettanti mondiali F1 e per di più in un periodo più breve. Ma Forghieri resta nella storia delle corse motorsport una eccellenza vera. Perché era un progettista vero. Completo. Il più eclettico. L’unico capace di disegnare una intera F1: dal telaio, al motore all'aerodinamica fino pure al cambio! Tutti gli altri sono specialisti. Tecnici fantastici ma specializzati in un solo aspetto della monoposto. Telaisti, oppure aerodinamici o ancora motoristi. Forghieri invece sapeva fare tutto della macchina. Sapeva progettarla e costruirla dalla prima all'ultima vite. Questa è stata la sua vera grandezza. Un genio. E questa dote eclettica purtroppo è anche quella che l'ha paradossalmente allontanato dal mondo della F1 quando ancora poteva dare tanto. Perché si era diffusa a un certo punto la mania della specializzazione spinta: si riteneva fosse più importante — per costruire la macchina — che una squadra avesse tanti specialisti di settore e non un'unica grande figura completa. Ma al di là del tecnico puro, di Forghieri mi ricordo la grandezza della sua figura umana. Era un signore. Nel vero senso della parola. Un uomo affabile e di cultura, prima che un ingegnere. Aveva una spiccata e innata curiosità per ogni vicenda umana. Era una mente aperta, non blindata dentro argomenti settoriali delle corse. In tre parole potrei definirlo un pozzo di cultura e di conoscenza. E poi sapeva disegnare benissimo. E questo non è scontato neanche per un progettista.
  • La Ferrari P4 del 1967, l'auto che non riuscì a sconfiggere la Ford a Le Mans ma entrò nella storia per l'arrivo in parata alla 24 ore di Daytona. Uno schiaffo in casa propria che gli americani ancora si ricordano. Un prototipo V12 con motore 4,4 litri che doveva rivaleggiare con le Ford Mark IV di cilindrata quasi doppia. Un'auto dalle linee sinuose ed eleganti che vinse meno di quanto fosse bella ma che molti oggi considerano la Ferrari da corsa più bella della storia.
  • Bella non era, perché era tozza, squadrata ed apparentemente ben poco aerodinamica. Ma la 312 T4 era l'esempio perfetto del motto coniato da Enzo Ferrari, che sosteneva che qualsiasi auto che vince diventa bella.

F1 e WEC? L'alternativa esiste eccome!

auto.sabbatini.news, 20 aprile 2023.

  • [...] Endurance e F1 sono sì due mondi diversi, diversamente spettacolari, ma non è vero che la prima sia automaticamente peggiore. [...] ho visto (da casa) tutta la 6 ore di Portimao ma devo dire che mi ha annoiato meno di lunghe fasi dell'ultimo GP a Melbourne. Che si è vivacizzato soltanto quando hanno esposto le bandiere rosse, raggruppato le macchine e dato nuove ripartenze. D'altronde ci sarà un motivo per cui Liberty Media lotta per cambiare la formula e imporre gare brevi al posto del lungo GP da 300 km? Proprio perché si è resa conto che altrimenti il GP senza imprevisti dopo pochi giri diventa noioso. Ma che vuol dire noia? Che è uno spettacolo sufficientemente vivace da tenere attaccati alla tv i "nuovi tifosi", quelli arrivati alla F1 da TikTok e dai social, quelli che hanno la soglia d'attenzione che non supera il minuto che dura un reel su Instagram? Beh grazie di quegli "appassionati" le corse ne farebbero davvero a meno perché sono come la classica bolla della new economy: prima o poi si sgonfierà.
  • [...] l'Endurance è una categoria per palati più raffinati. Per i veri appassionati di corse automobilistiche. Per quei Piloti con la P maiuscola che [...] abbiamo imparato ad apprezzare negli anni che andavamo sui circuiti a vedere le sfide Senna-Mansell-Prost-Piquet. L'Endurance è come una complessa partita a scacchi dove sposti le tue pedine poco alla volta e comprendi soltanto alla fine lo schema di come si è sviluppata la partita e capisci se può darti la vittoria o la sconfitta. La F1 invece è uno sport che vuole consumato tutto e subito a suon di finti sorpassi col Drs e colpi proibiti. Altrimenti diventa una lunga penosa processione. Vieni a Le Mans una volta e ti renderai conto della differenza.
  • Io dico che spettacolo non è necessariamente il duello ravvicinato. Sennò dovremmo dire che la F1 è nettamente meno spettacolare delle gare di kart, del motocross, della MotoGP e di tutte quelle categorie dove i duelli sono davvero ruota a ruota perché c'è più equilibrio di piloti e mezzi meccanici. A volte si fa l'errore di valutare come "spettacolo" il pit stop delle F1 con diciotto uomini che ruotano freneticamente attorno alla monoposto per cambiare le gomme e farla ripartire in 2 secondi e mezzo mentre nel WEC tutta l'operazione sembra dannatamente lenta e ci vuole un minuto e mezzo per completarla. Ma è un modo diverso di intendere le gare. Più a misura d'uomo. Nel WEC sono soltanto in due a cambiare le gomme, girano attorno alla macchina di qua e di là e lavorano freneticamente pure loro. Semplicemente le regole sono scritte diversamente per apprezzare anche il gesto del singolo, non di una equipe numerosa.
  • [...] la F1 e Netflix hanno reso celebri tutti, persino Albon e Stroll che altrimenti non si filerebbe nessuno.

Il trionfo Ferrari e la mia Le Mans

auto.sabbatini.news, 12 giugno 2023.

  • [Sulla 24 Ore di Le Mans 2023] Torno da Le Mans dopo una sfacchinata durata 96 ore nelle quali ho dormito probabilmente soltanto una decina di ore in quattro giorni. Ma con la consapevolezza di aver assistito a un momento davvero storico. La prima vittoria Ferrari nei Prototipi a cinquant'anni dall'ultima apparizione in gara sulla Sarthe. La strepitosa pole position di Fuoco con la 499P a 50 anni da quella analoga di Merzario-Pace con la 312P. L'incredibile successo di Calado, Pier Guidi e Giovinazzi, sognato, atteso e realizzato dopo una girandola di emozioni in gara fatta di gioie, ansie, paure, timori e sollievo finale. La Ferrari non vinceva a Le Mans dal 1965 ma soprattutto due italiani con un'auto italiana ci hanno trionfato soltanto una volta: nel 1963 quando Bandini e Scarfiotti portarono al successo la Ferrari 250P. Basta questo per parlare di impresa leggendaria? Sì, basta eccome.
  • Per vincere a Le Mans non basta andare più forte di tutti [...]. Ma bisogna soprattutto andare forte tenendosi lontani dai guai. Sperare che non accadano problemi, imprevisti oppure avarie. Guadagnare mezzo secondo al giro sul tuo avversario durante uno stint di un'ora, che fa un totale di appena sette secondi, non serve a niente se poi ne perdi quindici di colpo andando dritto in una curva per eccesso di foga. O un minuto ai box se s'inceppa qualcosa al pit stop. [...] le macchine più lente sono un ostacolo imprevedibile e può capitare di farsi danneggiare nel doppiarle perché non ti vedono, ti chiudono e non ti danno strada, oppure frenano quando meno te l'aspetti e non riesci ad evitarle. [...] Perché a Le Mans la chiave è [...] non farsi doppiare dal leader. Se perdi uno, due o persino tre minuti dal leader di gara c'è sempre il margine per recuperare. Perché alla prima safety car che esce per incidente il plotone viene raggruppato e il distacco si azzera. A Le Mans capita spesso. Anzi, siccome la pista è lunga, ce ne sono addirittura tre di safety car [...]. L'importante però è non farsi doppiare. Perché se perdi il giro sul leader poi non lo recuperi più, a meno che il tuo avversario non subisca un grave imprevisto che lo attardi. [...] La 24 Ore di Le Mans si vince anche stando fermi meno possibile ai box. Il segreto è tenersi lontano da guai e imprevisti che ti costringano a lunghe riparazioni. [...] Quello che allunga il tempo di arresto ai box è il cambio gomme, che mediamente richiede una dozzina di secondi in più rispetto al semplice rifornimento. Perciò ogni team fa la propria strategia: allungare gli stint con le stesse gomme fa risparmiare tempo di sosta, ma se poi lo pneumatico si degrada nei giri successivi perché troppo consumato si perde ancora più tempo in pista che a cambiare le gomme. Per cui ogni squadra deve risolvere questa difficile equazione e capire quanti stint fare con ogni treno di gomme.
  • [...] realmente Le Mans è la corsa più bella del mondo. Non c'è Montecarlo o Monza F1 che tenga, Le Mans è qualcosa di speciale perché coinvolge il pubblico in forma attiva. Andare a Le Mans è una festa per l'appassionato di motorsport perché non devi stare ore intere in tribuna a spaccarsi la testa sotto il sole per tenersi stretto il posto in modo da poter vedere passare solo un'ora e mezza le monoposto come accade in F1. A Le Mans puoi andartene ovunque con il biglietto circolare, oziare nei negozietti che vendono magliette, modellini e gadget senza timore di sprecare tempo perché la gara è sempre lì che va avanti e ti romba nelle orecchie. Rifarti gli occhi nei negozi di libri e memorabilia. E poi soprattutto puoi vedere le auto da vicino in azione. Con il semplice biglietto d'ingresso. Certo, in tribuna stai seduto comodo e asciutto quando piove (e un po' di pioggia te la becchi ogni anno!). Ma ti puoi anche vedere la gara da bordo pista. Anzi, è il circuito dove puoi stare pià vicino alle auto in azione. Puoi andare attaccato alla reti alla esse Ford, quelle che immettono sul traguardo. Quasi a ridosso dei fotografi a bordo pista. È un'emozione farlo, sopratutto di notte quando il fascio dei fari penetra il buio. Oppure puoi andare con le navette per il pubblico lungo la pista a vederti le macchine in azione nelle curve più leggendarie. Mulsanne, Indianapolis, le esse del ponte Dunlop. C'è il tempo di girare la pista e fare tutto perché anche se il circuito è lungo ben 13,6 km la gara è infinita. Nessuno ti corre dietro e non corri il rischio come in F1 che la sessione finisca e tu rimani a bocca asciutta senza aver visto passare il tuo idolo o la macchina del cuore. Se hai il fisico e per un volte rinunci alle ore di sonno, la notte di le Mans è uno spettacolo unico per il vero appassionato. Il più bello al mondo del motorsport. Perché fonde l'emozione delle festa di paese, con bancarelle, divertimenti e giostre, con quella dell'odore della benzina e il rombo del motore.

Twitter.com – profilo ufficiale[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Il progresso tecnologico spesso fa a botte con lo spettacolo. Nelle corse tra i due scelgo lo spettacolo.[32]
  • Non sopporto dei social questa tendenza a insultare i piloti che sono antipatici o avversari. Se fossi un pilota mi piacerebbe radunare i critici più faziosi dicendo loro: "Li ci sono macchina, tuta e casco: fatemi vedere voi cosa fate. Ma se non ci riuscite, zitti per sempre".[33]
  • Kimi [Räikkönen] a volte fa arrabbiare per quanto sia taciturno. Ma quando parla sa essere educato, preciso, non cerca mai polemica né scuse e riconosce gli errori. E ti fa anche capire senza mezzi termini se gli fai una domanda cretina.[34]
  • [Sul Gran Premio del Giappone 2022] Per carità, titolo di Verstappen strameritato. Però pare proprio che FIA abbia fatto di tutto per farlo vincere a Verstappen proprio a Suzuka: era tutto pronto per la celebrazione, le scritte Honda sulla RB, il trono da Re pronto per Verstappen nel retropodio, i 5" di penalità dati [a Leclerc] prima del podio...[35]

Note[modifica]

  1. Dall'intervista di Antonio Azzano, Alberto Sabbatini tra Formula 1, giornali e nuovi media, formulapassion.it, 18 gennaio 2016.
  2. Dall'intervento a Circus! - Puntata 331 | Ospite Alberto Sabbatini e Gian Carlo Minardi, LiveGP.it, facebook.com, 18 gennaio 2021; citato in Carlo Luciani, Alberto Sabbatini ospite a 'Circus!': "Villeneuve simbolo di velocità e spettacolarità", livegp.it.
  3. a b Da Ferrari F40: la nostra prova in pista 30 anni dopo, auto.it, 21 luglio 2017.
  4. a b Da L'innovazione cuore Renault. La casa francese è stata la prima a credere nelle monoposto elettriche, motori.quotidianodipuglia.it, 5 maggio 2018.
  5. Da Formula E, oggi sull'asfalto dell'Eur scendono in pista per il secondo anno i bolidi elettrici, motori.ilmattino.it, 13 aprile 2019.
  6. Da Raikkonen e quel debutto di 20 anni fa che impressionò pure Schumacher: «A 41 anni mi diverto ancora tanto», motori.ilmattino.it, 11 settembre 2020.
  7. Da Ferrari, al volante della SF90 Assetto Fiorano: mille cavalli di emozioni elettrificate, motori.ilmessaggero.it, 13 giugno 2021.
  8. Da Ferrari 296 GTB, al volante dell'ibrida di Maranello. La supercar con il V6 Phev da 330 km/h è "facile" ed emozionante, motori.ilmessaggero.it, 7 marzo 2022.
  9. Da Ferrari 312B, la monoposto che ha cambiato la storia della F1: nei cinema solo per 3 giorni, autologia.net, 11 ottobre 2017.
  10. Da Morta Maria Teresa de Filippis, prima pilotessa F1, autosprint.corrieredellosport.it, 9 gennaio 2016.
  11. Da Ferrari F50, una vera F1 "vestita", auto.sabbatini.news, 2 aprile 2017.
  12. Da Vettel e la leggenda del quadrifoglio Alfa, auto.sabbatini.news, 5 aprile 2017.
  13. Da LaFerrari, quasi 1000 cv ma sorprendentemente docile, auto.sabbatini.news, 20 aprile 2017.
  14. Da Le Mans non si conquista: ti sceglie lei, auto.sabbatini.news, 18 giugno 2017.
  15. Da Rimpiangeremo la F1 di Ecclestone?, auto.sabbatini.news, 29 gennaio 2018.
  16. Da Errori terribili e punti pesanti, auto.sabbatini.news, 3 luglio 2018.
  17. Da Leclerc: è nata una stella? Parliamone, auto.sabbatini.news, 1º aprile 2019.
  18. Da Forghieri racconta Lauda, auto.sabbatini.news, 21 maggio 2019.
  19. Da Ferrari SF90 Stradale, prima ibrida plug-in, auto.sabbatini.news, 31 maggio 2019.
  20. Da Il GP F1 più brutto della storia? Riflessioni, auto.sabbatini.news, 24 giugno 2019.
  21. Da Alla F1 servono nuove regole: eccole, auto.sabbatini.news, 2 luglio 2019.
  22. Da Quanto vale Hamilton nella storia F1, auto.sabbatini.news, 15 novembre 2019.
  23. Da Ferrari, perché non serve il "ribaltone", auto.sabbatini.news, 20 novembre 2020.
  24. Da Alboreto, vent'anni dopo, auto.sabbatini.news, 23 aprile 2021.
  25. Da Quel calembour per ricordare De Angelis, auto.sabbatini.news, 16 maggio 2021.
  26. Da A proposito del "culo" di Hamilton, auto.sabbatini.news, 7 giugno 2021.
  27. Da Frank Williams e la F1, la storia segreta, auto.sabbatini.news, 30 novembre 2021.
  28. Da Verstappen ma quanto sei scorretto?, auto.sabbatini.news, 6 dicembre 2021.
  29. Da Ferrari SF-75, i segreti della F1 2022, auto.sabbatini.news, 21 marzo 2022.
  30. Da Villeneuve: 40 anni senza Gilles, auto.sabbatini.news, 8 maggio 2022.
  31. Da Hamilton-Ferrari: perché può funzionare, auto.sabbatini.news, 1º febbraio 2024.
  32. Da un post sul profilo ufficiale twitter.com, 22 marzo 2014.
  33. Da un post sul profilo ufficiale twitter.com, 7 luglio 2018.
  34. Da un post sul profilo ufficiale twitter.com, 8 luglio 2018.
  35. Da un post sul profilo ufficiale twitter.com, 9 ottobre 2022.

Altri progetti[modifica]