Vai al contenuto

Lucio Anneo Seneca

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
(Reindirizzamento da De brevitate vitae)
Busto di Seneca (Antikensammlung di Berlino, da un'erma di Seneca e Socrate)

Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65), autore, filosofo, politico romano.

Citazioni di Lucio Anneo Seneca

[modifica]
  • Chi diventa peggiore è dannoso non solo a sé, ma anche a tutti coloro ai quali avrebbe potuto giovare, se fosse diventato migliore.[1]
  • Chi domanda timorosamente, insegna a rifiutare.[2]
  • Colui al quale il delitto porta giovamento, quello ne è l'autore.[3]
Cui prodest scelus, | Is fecit.
  • Ed insieme morirono quei due elementi che era nefando fossero divisi: né infatti Catone visse dopo la morte della libertà né la libertà dopo la morte di Catone.[4]
  • Il misero è cosa sacra.[5]
Res est sacra miser.
  • Innanzi tutto è più facile respingere il male che governarlo, non accoglierlo che moderarlo una volta accolto, perché, quando si è insediato da padrone in un animo, diventa più forte di chi dovrebbe governarlo e non si lascia troncare né rimpicciolire.[6]
  • La felicità è sempre instabile e incerta.[7]
Omnis instabilis et incerta felicitas est.
  • La fortuna può togliere le ricchezze, non l'animo.[8]
Fortuna opes auferre, non animum, potest.
  • Non deviare dalla natura ed il formarci sulle sue leggi e sui suoi esempi, è sapienza.[9]
  • Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo e alla sua giornata, e che si renda conto com'egli muoia giorno per giorno? In questo c'inganniamo, nel vedere la morte avanti a noi, come un avvenimento futuro, mentre gran parte di essa, è già alle nostre spalle. Ogni ora del nostro passato appartiene al dominio della morte.[10]
  • Sacra è la voce del popolo.[11]
  • Se vuoi credere a coloro che penetrano più profondamente la verità, tutta la vita è un supplizio. Gettàti in questo mare profondo e tempestoso, agitato da alterne maree, e che ora ci solleva con improvvise impennate, ora ci precipita giù con danni maggiori dei presenti vantaggi e senza sosta ci sballotta, non stiamo mai fermi in un luogo stabile, siamo sospesi e fluttuiamo e urtiamo l'uno contro l'altro, e talvolta facciamo naufragio, sempre lo temiamo; per chi naviga in questo mare così tempestoso ed esposto a tutti i fortunali, non vi è altro porto che la morte.[12]
  • Una grande fortuna è una grande schiavitù.[13]
Magna servitus est magna fortuna.
  • Una mano lava l'altra.[14]
Manus manum lavat.

Attribuite

[modifica]
  • A me bastano poche persone, anzi anche una sola o addirittura nessuna.[15]
Citazione di un altro autore, che lo stesso Seneca indica come incerto.
  • Il linguaggio è lo specchio dell'anima: qual è [sic] la vita, tale il parlare.[16]
Imago animi sermo est: qualis vita, talis oratio.
  • L'affetto per un cane dona all'uomo grande forza.[17]
  • [riferendosi a Nerone] Per quanto tu ne uccida molti, nondimeno non puoi uccidere il tuo successore.[18]
Licet, quamplurimos occidas, tamen non potes successorem tuum occidere.

Citato in Concetto Marchesi, La dottrina morale

[modifica]
  • Dove ci porta la morte? Ci porta in quella pace dove noi fummo prima di nascere. La morte è il non-essere: è ciò che ha preceduto l'esistenza. Sarà dopo di me quello che era prima di me. Se la morte è uno stato di sofferenza, doveva essere così prima che noi venissimo alla luce: ma non sentimmo, allora, alcuna sofferenza. Tutto ciò che fu prima di noi è la morte. Nessuna differenza è tra il non-nascere e il morire, giacché l'effetto è uno solo: non essere.
  • La vera felicità è non aver bisogno di felicità.
  • Nessuno è infelice se non per colpa sua.
  • Un tale ordine non può appartenere a una materia che si agiti casualmente. Un incontro di elementi senza piano e senza disegno non avrebbe questo equilibrio, né una così saggia disposizione. L'universo non può essere senza Dio.

De beneficiis

[modifica]

Originale

[modifica]

Inter multos ac varios errores temere inconsulteque viventium nihil propemodum, vir optime Liberalis, discerni haec duo dixerim, quod beneficia nec dare scimus nec accipere.

Salvatore Guglielmino

[modifica]

Molti e differenti sono gli errori di coloro che vivono con leggerezza e senza alcun discernimento, ma direi, o mio ottimo Liberale, che ce ne sono due fra cui non si può fare alcuna differenza: cioè il non saper dare e il non saper accettare i benefici.

Fra i molti et varii errori di coloro, che vivono a caso, et inconsideratamente, niuno è quasi, o ottimo Liberale, dirò più nocevole, che il non sapere né dare i benifizii, né ricevergli.

[Lucio Anneo Seneca, De benifizii, traduzione di Benedetto Varchi, Firenze, 1554]

Citazioni

[modifica]
  • Merita di essere ingannato colui che, nell'atto stesso di dare, pensava già al contraccambio. (I, 1, 9)
Dignus est decipi, qui de recipiendo cogitavit, cum daret.
  • [...] chi non ricambia un beneficio pecca di più; chi non lo concede, pecca prima. (I, 1, 13)
[...] qui beneficium non reddit, magis peccat; qui non dat, citius.
  • [...] la riconoscenza per il beneficio è tanto più grande quanto meno esso si è fatto attendere. (II, 5, 3)
[...] ita major est muneris gratia, quo minus diu pependit.
  • [...] non è un beneficio, dal momento che non posso ricordarmene senza arrossire. (II, 8, 2)
[...] beneficium non est, cujus sine rubore meminisse non possum.
  • Chi riceve il beneficio con animo grato è come se avesse pagato la prima rata del suo debito. (II, 22, 1)
Qui grate beneficium accipit, primam eius pensionem solvit.
  • Un beneficio fatto avventatamente è il più vergognoso genere di perdita [...]. (IV, 10, 3)
Turpissimum genus damni est inconsulta donatio [...].
  • Artista è anche colui che non dispone degli strumenti per esercitare la sua arte, un esperto cantante resta sempre tale anche se lo strepito della folla non lascia sentirne la voce. (IV, 11, 3)
Artifex est etiam, cui ad exercenda artem instrumenta non suppetunt, nec minus canendi peritus, cuius vocem exaudiri fremitus obstrepentium non sinit.
  • Anche ad un ladro si rende giustizia [...] (IV, 28, 5)
Jus et furi dicitur [...].
  • L'Iperbole non ha mai speranza di tanto, quanto ardisce: ma dice cose incredibili, per giungere a quelle che si possano credere.[19] (VII, 23, 2)
Numquam tantum sperat hyperbola, quantum audet: sed incredibilis affirmat, ut ad credibilia perveniat.

De brevitate vitae

[modifica]
  • Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto. (I, 3; 1993, p. 41)
Non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto.
Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus.
  • Non afferrate né trattenete o ritardate la più veloce di tutte le cose, ma la lasciate andar via come inutile e ricuperabile. (VI, 4; 1993, p. 55)
  • [...] ci vuole tutta una vita per imparare a vivere, e, ciò che forse ti stupirà di più, ci vuole tutta una vita per imparare a morire. (VII, 3; 1993, p. 57)
Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire.
[...] vivere tota vita discendum est et, quod magis fortasse miraberis, tota vita discendum est mori.
  • Ognuno brucia la sua vita e soffre per il desiderio del futuro, per il disgusto del presente. Ma chi sfrutta per sé ogni ora, chi gestisce tutti i giorni come una vita, non desidera il domani né lo teme. Non c'è ora che possa apportare una nuova specie di piacere. Tutto è già noto, tutto goduto a sazietà. Del resto la sorte disponga come vorrà: la vita è già al sicuro. Le si può aggiungere, non togliere, e aggiungere come del cibo a uno già sazio e pieno, che non ne ha più la voglia ma ancora la capienza. Non c'è dunque motivo di credere che uno sia vissuto a lungo perché ha i capelli bianchi o le rughe: non è vissuto a lungo, ma è stato al mondo a lungo. Come credere che ha molto navigato chi la tempesta ha sorpreso all'uscita del porto menandolo qua e là in un turbine di venti opposti e facendolo girare in tondo entro lo stesso spazio. Non ha navigato molto, ma è stato sballottato molto. (VII, 8-10; 1993, pp. 59, 61)
  • Mi fa sempre meraviglia vedere alcuni chiedere tempo e chi ne è richiesto così arrendevole; l'uno e l'altro guarda allo scopo per cui si chiede il tempo, nessuno dei due al tempo in sé: lo si chiede come fosse niente, lo si dà come fosse niente. Si gioca con la cosa più preziosa di tutte. Non ne hanno coscienza, perché è immateriale, perché non cade sotto gli occhi, e perciò è valutata pochissimo, anzi non ha quasi prezzo. (VIII, 1; 1993, p. 61)
  • [...] vivi senza indugio. (IX, 1; 1993, p. 63)
Vivi adesso!
[...] protinus vive.
  • La vita si divide in tre tempi: passato, presente, futuro. Di essi il presente è breve, il futuro incerto, il passato sicuro. (X, 2; 1993, p. 65)
La vita è divisa in tre momenti: passato, presente, futuro. Di questi, il momento che stiamo vivendo è breve, quello che ancora dobbiamo vivere non è sicuro, quello che già abbiamo vissuto è certo.
In tria tempora vita dividitur: quod fuit, quod est, quod futurum est. Ex his quod agimus breve est, quod acturi sumus dubium, quod egimus certum.
  • Nessuno di loro ti costringerà a morire, tutti te lo insegneranno; nessuno di loro consumerà i tuoi anni, anzi ti aggiungerà i suoi; di nessuno di loro saranno pericolosi i discorsi, funesta l'amicizia, dispendioso l'ossequio. Otterrai da loro tutto ciò che vorrai; non saranno loro a impedirti di attingere quanto più puoi contenere. Che felicità, che bella vecchiaia attende chi si è fatto loro cliente! Avrà con chi discutere i più piccoli e i più grandi problemi, chi consultare ogni giorno su se stesso, da chi udire verità non umilianti, ricevere lodi non adulatorie, sul cui modello formarsi. (XV, 1-2; 1993, p. 83)
  • Molto dunque si estende la vita del saggio, non è confinato negli stessi limiti degli altri: lui solo è libero dalle leggi dell'umanità, tutti i secoli ubbidiscono a lui come a dio. È passato del tempo: lo blocca col ricordo; urge: ne usa; sta per venire: lo pregusta. Gli fa lunga la vita la concentrazione di tutti i tempi. (XV, 5; 1993, p. 85)
  • Brevissima e ansiosissima è la vita di quelli che dimenticano il passato, non curano il presente, temono il futuro: giunti all'ultima ora, tardi comprendono, disgraziati, di essere stati tanto tempo occupati a non far nulla. (XVI, 1; 1993, p. 85)
  • Perdono il giorno in attesa della notte, la notte per timore del giorno. (XVI, 5; 1993, p. 87)
Diem noctis exspectatione perdunt, noctem lucis metu.
  • Gli stessi loro piaceri sono ansiosi e senza pace per varie paure, e proprio al culmine dell'ebbrezza subentra il pensiero tormentoso: «Quanto durerà?». (XVII, 1; 1993, p. 87)
  • Tutti i beni più grandi sono fonte di ansia, e di nessuna fortuna è bene fidarsi meno che della più prospera: c'è bisogno di sempre nuovo successo per mantenere il successo, e si devono far voti proprio per i voti che si sono realizzati. Tutto ciò che avviene per caso è instabile; ciò che si è levato più in alto è più esposto alle cadute. Ora a nessuno fanno piacere le cose caduche: è dunque inevitabile che sia dolorosissima, e non solo brevissima, la vita di chi acquista con grande pena beni da possedere con pene maggiori. Con fatica ottengono quello che vogliono, con ansia mantengono quello che hanno ottenuto; non si fa intanto nessun conto del tempo che non tornerà mai più: nuove faccende subentrano alle vecchie, una speranza, un'ambizione ne risveglia un'altra. Non si cerca la fine delle sofferenze, ma se ne cambia la materia. (XVII, 4-5; 1993, p. 89)
  • Non mancheranno mai motivi lieti o tristi di preoccupazione; la vita si caccerà da una faccenda in un'altra: il tempo libero non sarà mai una realtà, sarà sempre un sogno. (XVII, 6; 1993, p. 91)
  • [...] il popolo affamato non sente ragioni, nulla di giusto lo placa, nessuna preghiera lo piega. (XVIII, 5; 1993, p. 93)
Un popolo affamato non ascolta ragioni, né gl'importa della giustizia e nessuna preghiera lo può convincere.
[...] nec rationem patitur nec aequitate mitigatur nec ulla prece flectitur populus esuriens.
  • Ci è stata data un vita abbastanza lunga e per il compimento di cose grandissime, se venisse spesa tutta bene; ma quando si perde tra il lusso e la trascuratezza, quando non la si spende per nessuna cosa utile, quando infine ci costringe la necessità suprema, ci accorgiamo che è già passata essa che non capivano che stesse passando. È così: non abbiamo ricevuto una vita breve, ma la rendiamo tale, e non siamo poveri di essa ma prodighi. Come ricchezze notevoli e regali, quando sono giunte ad un cattivo padrone, in un attimo si dissipano, ma, sebbene modeste, se sono state consegnate ad un buon amministratore, crescono con l'uso, così la nostra vita dura molto di più per chi la dispone bene. (I, 3-4)
  • I massimi ingegni d'ogni tempo potranno trovarsi d'accordo almeno su questo punto, eppure non finiranno mai di stupirsi per tale offuscamento degli intelletti umani: gli uomini non permettono ad alcuno di occupare i loro poderi e, se nasce una minima controversia sui confini, mettono mano alle pietre e alle armi. Tuttavia sopportano che altri si intromettano nella loro vita, anzi vi introducono essi stessi quelli che ne diventeranno i padroni. E mentre non si trova nessuno disposto a spartire il proprio denaro, a quanti ciascuno distribuisce la propria vita! Sono tirchi nell'amministrare il patrimonio, ma prodighi nel gettar via il proprio tempo, la sola cosa per cui l'essere avari farebbe onore. Mi piacerebbe chiedere a una persona anziana scelta a caso tra la folla: «Tu sei ormai vicino al termine della vita e hai cento anni sulle spalle, se non di più: prova a fare un po' di conti sul tuo passato. Calcola quanto del tuo tempo ti hanno sottratto creditori, amanti, superiori e collaboratori, quanto le liti in famiglia e le punizioni dei servi, quanto gli impegni mondani andando in giro per la città. Aggiungi le malattie che ti sei procurato da solo e il tempo rimasto inutilizzato, e ti accorgerai di avere molti meno anni di quanti ne conti di solito. Cerca di ricordare quando sei stato fermo nei tuoi propositi; quante giornate sono trascorse proprio come avevi stabilito; quando sei stato padrone di te stesso, e il tuo volto è rimasto impassibile e il tuo animo intrepido; cosa hai realizzato in una vita così lunga e quanto della tua vita ti è stato sottratto dagli altri senza che te ne rendessi conto di quel che perdevi, e il tempo che ti hanno portato via l'inutile dolore, la sciocca allegria, un'avidità insaziabile, il frivolo conversare... Vedrai quanto poco, in definitiva, ti sia rimasto del tuo; allora capirai che muori prematuramente.» Quale ne è dunque la causa? È che vivete come se doveste vivere per sempre, non vi ricordate della vostra precarietà; non osservate quanto tempo è già trascorso, lo sciupate come se ne aveste in abbondanza, mentre invece proprio quella giornata che state dedicando a qualcuno o a un affare qualsiasi, potrebbe essere l'ultima. Temete tutto come mortali, ma desiderate tutto come immortali. (III, 1-4)
  • Chi è troppo indaffarato non può svolgere bene nessuna attività, perché una mente impegnata in mille cose non può concepire nobili pensieri.
  • Fabiano, il mio maestro, si domandava se non fosse meglio non studiare per niente piuttosto che impegnarsi in studi nozionistici.
  • L'invidia si volge alle cose vicine, mentre quelle lontane sono guardate con animo schietto e sincero. La vita del saggio, dunque, spazia per ogni dove, è senza tempo, non è limitata, come quella degli altri mortali.
  • Nessuno ti renderà gli anni, nessuno ti restituirà a te stesso; andrà il tempo della vita per la via intrapresa e non tornerà indietro né arresterà il suo corso; non farà rumore, non darà segno della sua velocità: scorrerà in silenzio, non si allungherà per editto di Re o favore di popolo; correrà come è partito dal primo giorno, non farà mai fermate, mai soste. Che avverrà? tu sei affaccendato, la vita si affretta: e intanto sarà lì la morte, per la quale, tu voglia o no, devi aver tempo.
  • Noi viviamo come se dovessimo vivere sempre, non riflettiamo mai che siamo esseri fragili.
  • Volgi la mente da questa bassa aiuola a così eccelse meditazioni! Fallo adesso, finché il tuo sangue è caldo e sei ancora pieno di vigore, questo è il momento per guardare più in alto!

De ira

[modifica]
  • Se non vuoi adirarti con i singoli, devi perdonare a tutti, conceder venia all'umanità intera. (II, 10, 2; 2000, p. 74)
  • Noi siamo nati in questa condizione di viventi soggetti a malattie dell'anima, non meno numerose di quelle del corpo, non perché siamo ottusi e tardi, ma perché non facciamo buon uso del nostro acume e siamo esempio di male l'uno all'altro; chiunque segue chi, prima di lui, s'è avviato sulla strada sbagliata, perché non deve essere scusato del percorrere la strada sbagliata che tutti percorrono? (II, 10, 3; 2000, p. 74)
  • Bisogna sempre concedere un rinvio: il tempo mette in luce la verità. (II, 22, 3; 2000, p. 81)
  • [...] non sarà mai felice, chi si lascerà tormentare dalla maggior felicità altrui. (III, 30, 3; 2000, p. 112)

De providentia

[modifica]
  • [...] l'uomo buono differisce da Dio soltanto perché si trova nel tempo, ma è suo discepolo, suo emulo, suo vero figlio [...]. (1, 5; 2000, p. 6)
  • «Allora, perché capitano tanti guai ai buoni?» Ad un uomo buono, non può accadere nulla di male: i contrari non si mescolano mai. Come tutti i fiumi, tutte le piogge che cadono dal cielo, tutto il fluire delle sorgenti curative non muta la salsedine del mare e nemmeno l'attenua, così l'assalto dell'avversità non piega la costanza dell'uomo forte: egli mantiene la sua coerenza e valuta tutto l'accaduto secondo le sue prospettive, perché è realmente più forte di ogni evento esterno. (2, 1; 2000, p. 7)
  • Non c'è albero solido e robusto, se il vento non lo colpisce di frequente: quel tormento lo rende più compatto e gli abbarbica più saldamente a terra le radici: sono fragili gli alberi che crescono in valli solatie. (4, 16; 2000, p. 13)
  • Il fuoco prova l'oro, la sventura l'uomo forte. (5, 10; 2000, p. 15)

De tranquillitate animi

[modifica]

Caterina Lazzarini

[modifica]

Ero immerso nell'introspezione, Seneca, ed ecco mi apparivano alcuni vizî, messi allo scoperto, tanto che potevo afferrarli con la mano: alcuni più nascosti e reconditi, altri non costanti, ma ricorrenti di quando in quando, che definirei addirittura i più insidiosi, come nemici sparpagliati e pronti ad attaccare al momento opportuno, con i quali non è ammessa nessuna delle due tattiche, star pronti come in guerra né tranquilli come in pace. Tuttavia ho da criticare soprattutto quell'atteggiamento in me (perché infatti non confessarlo proprio come a un medico?), vale a dire di non essermi liberato in tutta sincerità di quei difetti che temevo e odiavo e di non esserne tuttavia ancora schiavo; mi ritrovo in una condizione se è vero non pessima, pur tuttavia più che mai lamentevole e uggiosa: non sto né male né bene.
[Lucio Anneo Seneca, La tranquillità dell'animo, traduzione di Caterina Lazzarini, BUR, 1997. ISBN 9788817071406]

Mario Scaffidi Abate

[modifica]

Esplorando, o Seneca, l'animo mio, vi ho trovato molti difetti, alcuni talmente evidenti da potersi, per così dire, toccare con mano, altri invece rintanati come in un nascondiglio, altri ancora saltuari, riemergenti a tratti, ad intervalli, e che sono forse i più molesti di tutti, simili a nemici sparpagliati qua e là che ti assalgono all'improvviso, quando gliene viene l'estro — come certe tribù nomadi — per cui tu vivi sempre in uno stato ambiguo, che non è di guerra ma nemmeno di pace, ed io mi sono scoperto appunto in un'analoga condizione (te lo confesso come un paziente che si confida al proprio medico), quella, cioè, di non essere né completamente libero dai miei rancori e dalle mie paure, né di trovarmi in loro balia, sicché, pur riconoscendo che la mia situazione non è delle peggiori, avverto un senso di malessere quanto mai sgradevole, che mi rende lunatico e lagnoso: insomma, non sono malato, ma non sto neppure bene.
[Lucio Anneo Seneca, La serenità, in L'ozio e La serenità, cura e versione di Mario Scaffidi Abate, Newton, 1993. ISBN 8879830082]

Citazioni

[modifica]
  • In qualunque situazione della vita, troverai momenti di soddisfazione, di riposo, di piacere, se preferirai giudicare lievi i tuoi mali invece di renderteli odiosi. (10, 1; 2000, p. 212)
  • Siamo tutti legati alla sorte, alcuni con una lenta catena d'oro, altri con una catena stretta ed avvilente, ma che importa? Ha messo tutti ugualmente sotto sorveglianza, sono legati anche quelli che ci legano [...]. La vita è tutta una schiavitù.
    Bisogna, dunque, adeguarsi alla propria condizione, lamentarsene il meno possibile, cogliere tutti i vantaggi che essa presenta: non c'è situazione tanto amara, che l'equilibrio interiore non riesca a cavarne qualche motivo di conforto. Tante volte, superfici ristrette sono diventate ampiamente utilizzabili per merito dell'ingegnere che le ha sapute suddividere e una buona ristrutturazione ha reso abitabili localucci angusti. Applica la ragione alle difficoltà: diventa possibile che il duro s'ammorbidisca, l'angusto s'allarghi e che il carico, portato avvedutamente, risulti meno pesante. (10, 3-4; 2000, p. 213)
  • È dunque meglio accettare con calma il comportamento comune ed i vizi degli uomini, senza lasciarsi andare né al riso né al pianto: il provare tormento per i mali altrui è eterna miseria, il dilettarsi dei mali altrui è voluttà disumana. (15, 5; 2000, p. 219)

De vita beata

[modifica]
  • Tutti, o fratello Gallione, vogliono vivere felici, ma quando poi si tratta di riconoscere cos'è che rende felice la vita, ecco che ti vanno a tentoni. […]
    Perciò dobbiamo prima chiederci che cosa desideriamo; poi considerare per quale strada possiamo pervenirvi nel tempo più breve, e renderci conto, durante il cammino, sempre che sia quello giusto, di quanto ogni giorno ne abbiamo compiuto e di quanto ci stiamo sempre più avvicinando a ciò verso cui il nostro naturale istinto ci spinge. Finché vaghiamo a caso, senza seguire una guida ma solo lo strepito e il clamore discorde di chi ci chiama da tutte le parti, la nostra vita si consumerà in un continuo andirivieni e sarà breve anche se noi ci daremo giorno e notte da fare con le migliori intenzioni.
    Si stabilisca dunque dove vogliamo arrivare e per quale strada, non senza una guida cui sia noto il cammino che abbiamo intrapreso, perché qui non si tratta delle solite circostanze cui si va incontro in tutti gli altri viaggi; in quelli, per non sbagliare, basta seguire la strada o chiedere alla gente del luogo, qui, invece, sono proprio le strade più frequentate e più conosciute a trarre maggiormente in inganno. Da nulla, quindi, bisogna guardarsi meglio che dal seguire, come fanno le pecore, il gregge che ci cammina davanti, dirigendoci non dove si deve andare, ma dove tutti vanno. E niente ci tira addosso i mali peggiori come l'andar dietro alle chiacchiere della gente, convinti che le cose accettate per generale consenso siano le migliori e che, dal momento che gli esempi che abbiamo sono molti, sia meglio vivere non secondo ragione, ma per imitazione. (I)
  • Cerchiamo un bene che non sia appariscente, ma solido e duraturo, e che abbia una sua bellezza tutta intima: tiriamolo fuori. Non è lontano; si troverà, bisogna soltanto che tu sappia dove allungare la mano; ora, invece, come se fossimo al buio, passiamo davanti alle cose che ci sono vicine, inciampando magari proprio in quelle che desideriamo. (III)
  • La felicità vera è nella virtù. (16, 1)
In virtute posita est vera felicitas.
  • Le ricchezze sono al servizio del saggio, allo sciocco comandano.
  • Ma se sei uomo, ammira chi tenta grandi imprese, anche se fallisce. (XX, 2)

Epistulae morales ad Lucilium

[modifica]

Comportati così, Lucilio mio: rivendica i tuoi diritti su te stesso, e il tempo che finora ti veniva portato via o ti veniva rubato o ti sfuggiva di mano, trattienilo e custodiscilo. Convinciti che le cose stanno proprio così come ti scrivo: certi momenti ci vengono strappati via, altri ci vengono sottratti furtivamente e altri ci sfuggono senza che ce ne accorgiamo. Tuttavia, la perdita più vergognosa è quella che avviene per nostra negligenza. E se vorrai fare attenzione, comprenderai che gran parte della vita se ne vola via nel fare il male, la maggior parte nel non fare nulla, tutta la vita nel disperdersi in altre cose estranee al vero senso della vita.

[Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, traduzione di Monica Natali, in Tutte le opere, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2000. ISBN 88-452-9073-5]

Citazioni

[modifica]
  • Abbandona ogni preoccupazione per la tua esistenza e te la renderai piacevole. (4, 6; 2010)
  • Agli animali è concesso soltanto il presente, che è brevissimo [e] fugace: del passato hanno un vago ricordo, che può essere richiamato alla loro memoria solo dall'impatto con le cose presenti. (124, 17; 2000)
  • Anche da un piccolo corpo deforme può uscire uno spirito veramente forte e virtuoso. (66, 3)[20]
  • Anche la sfortuna è mutevole. Forse sarà, forse non sarà, nel frattempo non è; tu spera nel meglio.
Habet etiam mala fortuna levitatem. Fortasse erit, fortasse non erit: interim non est; meliora propone. (II)
  • [...] anche gli animali ancora in tenera età e appena usciti dall'utero materno o dall'uovo sanno subito che cosa può essere pericoloso ed evitano ciò che può essere causa di morte: quelli che sono preda degli uccelli rapaci ne temono anche l'ombra, quando questi passano in volo. Nessun animale viene alla luce senza la paura della morte. (121, 18; 2000)
  • [...] c'è grande differenza fra il non volere e il non sapere fare il male. (90, 46; 2000)
  • [...] certe abitudini si possono più facilmente troncare che moderare. (108, 16; 2000)
  • Chi è nobile? Colui che dalla natura è stato ben disposto alla virtù.
Quis est generosus? Ad virtutem bene a natura compositus.
  • Chi è temuto teme: non può starsene tranquillo chi è oggetto della paura altrui. (105, 4)
  • Chi non vuole morire si rifiuta di vivere, perché la vita ci è stata data a patto di morire. La morte è il termine certo a cui siamo diretti e temerla è da insensato, poiché si aspetta ciò che è certo e solo l'incerto può essere oggetto di timore. La morte è una necessità invincibile e uguale per tutti: chi può lamentarsi di trovarsi in una condizione a cui nessuno può sottrarsi? [...]
    Ma temo che una lettera così lunga ti diventi più odiosa che la morte. Perciò concluderò: pensa sempre alla morte, se non vuoi mai temerla. (lettera 30; 1975)
  • Chi segua la sua strada ha sempre una meta da raggiungere, ma chi ha smarrito la retta via, va errando all'infinito. (lettera 16; 1975)
  • Chi si adatta bene alla povertà è ricco. (4, 11; 2000)
  • Chi vive nell'ozio senza il conforto delle belle lettere, è come morto, è un sepolto vivo. (82, 3)
Otium sine litteris mors est et hominis vivi sepultura.
  • Chiederò in prestito a Epicuro questa massima: «Per molti le ricchezze acquistate non hanno rappresentato la fine, ma solo un mutamento delle loro miserie». (lettera 17; 1975)
  • Ci chiedevamo se tutti gli animali abbiano coscienza della loro natura. Che l'abbiano appare chiaro soprattutto dal fatto che muovono le membra in modo appropriato e prontamente, come se esse fossero addestrate a tale scopo; non c'è nessuno che sia privo della capacità di muoversi agilmente. L'artigiano maneggia con facilità i suoi attrezzi, il pilota muove con abilità il timone, il pittore distingue rapidamente i colori che si è messo davanti in gran numero e varietà per fare un ritratto, e passa facilmente con lo sguardo e con le mani dalla cera all'opera: così l'animale è agile in ogni sua attività. (121, 5; 2000)
  • Ci sono, invece, esercizi facili e brevi che spossano sùbito il corpo e fanno risparmiare quel tempo che va tenuto in gran conto: la corsa, il sollevamento pesi, il salto in alto, in lungo e quello, per così dire, tipico dei Salii o, per usare una definizione più volgare, del "lavandaio": scegli uno qualsiasi di questi semplici e facili esercizi. (15, 4)[21]
  • Comandare a se stessi è la forma più grande di comando.
Imperare sibi maximum imperium est. (CXIII, 30)
  • Come una commedia, così è la vita: non quanto è lunga, ma quanto bene è recitata, è ciò che importa. (IX, 77-20)
Quomodo fabula, sic vita: non quam diu, sed quam bene acta sit, refert.
  • Dal male non può nascere il bene, come un fico non nasce da un olivo: il frutto corrisponde al seme. (87, 25)[20]
  • Devi sapere che Ulisse non affrontò tante peripezie nella navigazione perché era perseguitato da Nettuno: egli soffriva di mal di mare. Proprio come lui, dovunque dovrò andare per mare, vi giungerò dopo vent'anni. [...]
    Una leggera febbretta può sfuggire all'attenzione, ma, se aumenta e diventa un'autentica febbre che brucia, anche l'uomo più resistente e più avvezzo alle sofferenze è costretto a confessare l'infermità. [...]
    Il contrario avviene nelle infermità che colpiscono l'animo: quanto più uno sta male, tanto meno se ne accorge. Non te ne devi meravigliare, carissimo Lucilio. Infatti, chi è appena assopito, anche durante il sonno percepisce le immagini dei sogni; e talvolta, dormendo, si rende conto di dormire. Ma un sonno pesante estingue anche i sogno e sommerge l'anima in una completa incoscienza. Perché nessuno confessa i suoi vizi? Perché è ancora sotto il loro dominio. Può raccontare i propri sogni solo chi ne è guarito. Perciò, svegliamoci, per poter prendere coscienza dei nostri errori. Solo la filosofia riuscirà a destarci, e a scuoterci dal pesante sonno: consacrati tutto a lei. Tu sei degno di lei ed ella è degna di te: abbracciatevi. (lettera 53; 1975)
  • Di tempo non ne abbiamo poco, ne sprechiamo tanto. L'uomo grande non permette che gli si porti via neanche un minuto del tempo che gli appartiene.
  • Dice Ecatone: «Ti rivelerò un filtro amoroso, senza unguenti, senza erbe, senza formule magiche: se vuoi essere amato, ama». [...]
    Certo qualcosa di simile all'amicizia è nell'amore, che si potrebbe chiamare una folle amicizia. (lettera 9; 1975)
  • Dicono che Cratete, discepolo di quello Stilbone, da me menzionato nella precedente lettera, avendo visto un giovincello passeggiare in un luogo isolato, gli domandò che facesse lì solo. «Parlo con me» fu la risposta. E di rimando Cratete: «Sta' bene attento, te ne prego; tu parli con un cattivo soggetto». [...]
    Chi è privo della saggezza non deve essere lasciato in balia di se stesso [...]. (lettera 10; 1975)
  • Diverrò povero? Sarò con la maggioranza degli uomini. Andrò in esilio? Penserò di essere nato là, dove mi manderanno. Sarò messo in catene? E allora? Sono forse ora veramente libero? La natura mi ha già legato a questo grave peso del corpo. Morirò? Porrò cosi fine – dirai tu – alla possibilità di ammalarmi, di esser messo in catene, di morire. [...] Moriamo ogni giorno: ogni giorno ci viene tolta una parte della vita e anche quando ancora cresciamo, la vita decresce. Abbiamo perduto l'infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Tutto il tempo trascorso fino a ieri è ormai perduto; anche questo giorno che stiamo vivendo lo dividiamo con la morte. Come la clessidra non è vuotata dall'ultima goccia d'acqua, ma da tutta quella defluita prima, così l'ora estrema, che mette fine alla nostra vita, non provoca da sola la morte, ma da sola la compie; noi vi giungiamo in quel momento, da tempo, però, vi siamo diretti. [...] «Non viene una sola volta la morte; quella che ci rapisce è solo l'ultima morte». [...] questa morte che tanto temiamo è l'ultima, non la sola. [...] la follia umana, è così grande, che alcuni sono spinti alla morte proprio dal timore della morte. [...] Ci chiediamo: «Fino a quando sempre le stesse cose? Svegliarsi e andare a dormire, mangiare ed aver fame, aver freddo e soffrire il caldo? Nessuna cosa finisce, ma tutte sono collegate in uno stesso giro: si fuggono e si inseguono. Il giorno è cacciato dalla notte, la notte dal giorno; l'estate ha fine con l'autunno, questo è incalzato dall'inverno, che a sua volta è chiuso dalla primavera: così tutto passa per tornare. Non faccio né vedo mai niente di nuovo. Ad un certo punto, di tutto questo si prova la nausea». Per molti la vita non è una cosa penosa, ma inutile. (lettera 24; 1975)
  • È grande chi sa essere povero nella ricchezza. (20, 10)
Magnus ille, qui in divitiis pauper est.
  • È meglio imparare delle cose inutili che non imparare niente. (88, 45)
Satius est supervacua scire quam nihil.
  • È povero non chi possiede poco, ma chi brama avere di più. (lettera 2; 1975)
  • Fa' ancora il nome di Tito Livio: ha, infatti, scritto anche dei dialoghi che si possono annoverare tra le opere di filosofia così come tra quelle di storia, e dei libri di argomento espressamente filosofico: cedo il passo anche a lui. (100, 9; 2000)
  • Giurare sulle parole del maestro. (12, 10)
Jurare in verba magistri.
  • Gran parte del progresso sta nella volontà di progredire. (71, 36)
Magna pars est profectus velle proficere.
  • Guidano i fati chi li segue di buona voglia, trascinano gli altri. (107, 11)
Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.
  • I mali che fuggi sono in te. (104, 20)
  • I vizi: è più facile sradicarli che tenerli a freno. (85, 10)
Facilius sustuleris illa (vitia) quam rexeris.
  • Il destino guida chi lo segue di sua volontà, chi si ribella, lo trascina.
  • Il lavoro caccia i vizi derivanti dall'ozio. (56, 9)
  • Il sopprimere i desideri è anche un utile rimedio contro la paura. (5, 7)[20]
  • In mezzo agli stessi piaceri nascono le cause del dolore. (91, 5)
  • In verità non è povertà, se è lieta; povero è non chi possiede poco, ma chi desidera di più. (2, 6; 2000)
  • Io sono troppo grande e troppo superiore è il destino per cui sono nato, perché io possa rimanere schiavo del mio corpo. (65, 21)[20]
  • L'amore non può coesistere col timore. (47, 18)
Non potest amor cum timore misceri.
  • L'assalto del male è di breve durata; simile ad un temporale, passa, di solito, dopo un'ora. Chi, infatti, potrebbe sopportare a lungo quest'agonia? Ormai ho provato tutti i malanni e tutti i pericoli, ma nessuno per me è più penoso. E perché no? In ogni altro caso si è ammalati; in questo ci si sente morire. Perciò i medici chiamano questo male "meditazione della morte": talvolta, infatti, tale mancanza di respiro provoca la soffocazione. Pensi che ti scriva queste cose per la gioia di essere sfuggito al pericolo? Se mi rallegrassi di questa cessazione del male, come se avessi riacquistato la perfetta salute, sarei ridicolo come chi credesse di aver vinto la causa solo perché è riuscito a rinviare il processo. (54, 1-4)
  • L'infelicità non consiste nel fare una cosa per ordine altri, ma nel farla contro la propria volontà. (lettera 61; 1975)
  • L'inizio della salvezza è la conoscenza del peccato. (28, 9)
  • L'ubriachezza eccita e porta alla luce tutti i vizi, togliendo quel senso di pudore che costituisce un freno agli istinti cattivi. (83, 19)[20]
  • L'uomo è un animale che ragiona. (41, 8)
  • La fortuna aiuta gli audaci, il pigro si ostacola da solo.
Audentis fortuna iuvat, piger ipse sibi obstat.
  • La verità è sempre la stessa in ogni sua parte. (79, 16)
Veritas in omnem sui partem semper eadem est.
  • La via è lunga se si va per regole, è breve ed efficace se si va per esempi.
[L]ongum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla. (libro 1, epistola VI, 14)
  • La vita è lunga se è piena. (93, 2)
Longa est vita, si plena est.
  • La vita, senza una meta, è vagabondaggio. (95, 46)
Vita sine proposito vaga est.
  • Le idee migliori sono proprietà comune. (12, 11)
Quae optima sunt, esse communia.
  • Lunga è la via dell'insegnare per mezzo della teoria, breve ed efficace per mezzo dell'esempio. (6, 5)
Longum iterest per praecepta, breve et efficax per exempla
  • Mi piace avere qualche difficoltà da vincere, in cui esercitare la mia capacità di sopportare. Infatti, anche questa è una preziosa dote di Sestio: ti mostrerà la grandezza della felicità senza farti disperare di ottenerla: comprenderai che essa sta in alto, ma è accessibile, se uno vuole. (64, 5; 2000)
  • Molti imparano non per la vita ma per la scuola. (106, 12)
Non vitae sed scholae discimus.
  • Nasciamo diversi, moriamo uguali. (XCI, 16)
Impares nascimur, pares morimur.
  • Negli uomini tale è il modo di parlare quale quello di vivere. (114, 1)
Talis hominibus fuit oratio qualis vita.
  • Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare. (lettera 71, 3; 1975, pp. 458-459)
Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est.
  • Nessuna conoscenza, se pur eccellente e salutare, mi darà gioia se la apprenderò per me solo. Se mi si concedesse la sapienza con questa limitazione, di tenerla chiusa in me, rinunciando a diffonderla, la rifiuterei.
  • Nessuno è obbligato a correre sulla via del successo. (22, 4)
Nulli necesse est felicitatem cursu sequi.
  • Nessuno mai condannò la sapienza alla povertà.
Nemo sapientiam paupertate damnavit.
  • Niente di più lungo di quel passaggio sotterraneo, niente di più fioco di quelle fiaccole, che servono non per vedere tra le tenebre, ma per vedere le tenebre stesse. (lettera 57; 1975)
  • Noi, assai dissennati, crediamo che essa [la morte], sia uno scoglio, mentre è un porto, delle volte da cercare, ma mai da rifuggire, nel quale se qualcuno è spinto nei primi anni [di vita], non deve lamentarsi più di chi ha navigato velocemente. (70)
Scopulum esse illum putamus dementissimi: portus est, aliquando petendus, numquam recusandus, in quem si quis intra primos annos delatus est, non magis queri debet quam qui cito navigavit.
  • Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma è perché non osiamo che sono difficili. (CIV, 26)
Non quia difficilia sunt non audemus, sed quia non audemus difficilia sunt.
  • Non giova né si assimila il cibo vomitato subito dopo il pasto. [...] Troppi libri sono dispersivi: dal momento che non puoi leggere tutti i volumi che potresti avere, basta possederne quanti puoi leggerne. [...] Leggi sempre, perciò autori di valore riconosciuto e se di tanto in tanto ti viene in mente di passare ad altri, ritorna poi ai primi. Procurati ogni giorno un aiuto contro la povertà, contro la morte e, anche, contro le altre calamità; e quando avrai fatto passare tante cose, estrai un concetto da assimilare in quel giorno. (I, 2)
Non prodest cibus nec corpori accedit qui statim sumptus emittitur [...] Distringit librorum multitudo; itaque cum legere non possis quantum habueris, satis est habere quantum legas. [...] Probatos itaque semper lege, et si quando ad alios deverti libuerit, ad priores redi. Aliquid cotidie adversus paupertatem, aliquid adversus mortem auxili compara, nec minus adversus ceteras pestes; et cum multa percurreris, unum excerpe quod illo die concoquas.
  • Non si soffre, in effetti, per la mancanza di questi beni, ma per il pensiero della loro mancanza. Chi ha il possesso di sé non ha perso niente: ma quanti hanno la fortuna di possedere se stessi? (lettera 42; 1975)
  • [...] non sperare senza disperazione e non disperare senza speranza. (104, 12; 2000, p. 955)
  • Non temiamo la morte, ma il pensiero della morte. (30, 17)
Non mortem timemus, sed cogitationem mortis.
  • Noterai che nessun animale tiene in poco conto il suo corpo o si disinteressa di esso. Anche quelli più stupidi e sciocchi, per quanto siano tardi in tutto il resto, sono ben svegli quando si tratta della loro vita. (121, 24[22])
  • Occorre che la legge sia breve, perché più facilmente i mal pratici la ricordino. (94, 38)
Legem brevem esse oportet, quo facilius ab imperitis teneatur.
  • Ogni piacere ha il suo momento culminante quando sta per finire. (12, 5)
  • Pensa che a noi accade la stessa cosa: la vita conduce alcuni molto rapidamente alla meta cui, anche indugiando, dovevano giungere, altri li consuma e li tormenta. La vita non sempre va conservata: il bene, infatti, non consiste nel vivere, ma nel vivere bene. Perciò, il saggio vivrà quanto deve, non quanto può. Osserverà dove gli toccherà vivere, con chi, in che modo e che cosa dovrà fare. Egli bada sempre alla qualità della vita, non alla lunghezza. (libro VIII, 70)
  • Perché, ti domando, alimenti ed eserciti le forze fisiche? La natura le ha concesse in misura maggiore agli animali domestici e alle fiere. Perché curi tanto il tuo aspetto esteriore? Per quanto tu ti dia da fare, sarai vinto in bellezza dai muti animali. (124, 22; 2000)
  • Perciò gli uomini si immergono nelle passioni e, una volta che ne hanno fatto un'abitudine, non possono più farne a meno; e sono veramente infelici, poiché giungono a sentire come necessarie le cose prima superflue. Non godono dei piaceri, ma ne rimangono schiavi e, quella che è la peggiore disgrazia, amano anche il proprio male. Si raggiunge il colmo dell'infelicità quando le cose turpi non solo sono gradite, ma procurano un intimo compiacimento; e non c'è rimedio quando quelli che erano sentiti come vizi diventano abitudine quotidiana. (lettera 39; 1975)
  • Perciò non devi attribuire a Epicuro quei pensieri che t'ho inviato: sono di dominio pubblico, e soprattutto della nostra scuola. [...]
    Dovunque volgi lo sguardo, ti si presentano massime che potrebbero considerarsi notevoli se non si leggessero insieme con altre dello stesso valore. Perciò abbandona la speranza di poter gustare superficialmente l'ingegno dei sommi uomini; tu devi studiarlo e considerarlo nella sua unità. Ogni suo aspetto ne richiama sempre un altro, ciascuna parte, connettendosi con l'altra, dà completezza all'opera dell'ingegno umano. Niente può essere tolto senza rompere l'unità del pensiero. Non dico che non si possano considerare le singole membra, purché non si prescinda dall'intero organismo. [...]
    Ma per un uomo di matura esperienza è disdicevole cercare fiorellini, sostenersi con poche massime ben note e affidarsi alla memoria. È ormai tempo che uno poggi su se stesso, che esprima questi pensieri con parole sue e non a memoria. Ed è specialmente disdicevole per un vecchio o per uno che si affaccia alla vecchiaia una cultura basata su raccolte di esempi scolastici. «Questo l'ha detto Zenone». E tu che dici? «Questo l'ha detto Cleante.» E tu? Fino a quando ti muoverai sotto la guida di un altro? Prendi tu il comando ed esprimi anche qualcosa di tuo, che altri mandino a memoria. [...]
    Hanno esercitato la memoria sul pensiero altrui, ma altro è ricordare, altro è sapere. Ricordare è custodire ciò che è stato affidato alla memoria, mentre sapere significa far proprie le nozioni apprese e non star sempre attaccato al modello, con lo sguardo sempre rivolto al maestro. «Questo l'ha detto Zenone, questo Cleante.» Ci sia qualche differenza fra te e il tuo libro. Fino a quando penserai ad imparare? È tempo anche di insegnare. Che ragione c'è che io senta dire da te quello che posso leggere in un libro? [...]
    La verità è accessibile a tutti, non è dominio riservato di nessuno, e il campo che essa lascia ai posteri è ancora vasto. (lettera 33; 1975)
  • Poiché ho cominciato a raccontarti come da giovane mi sono accostato alla filosofia con uno slancio maggiore di quello con cui continuo a coltivarla da vecchio, non mi vergognerò di confessare quale amore mi abbia ispirato Pitagora. Sozione spiegava perché Pitagora si era astenuto dal mangiare carne di animali e perché in seguito se ne era astenuto Sestio. Le loro motivazioni erano diverse, ma entrambe nobili.
    Sestio riteneva che l'uomo avesse abbastanza per nutrirsi anche senza spargere sangue, e che divenisse un'abitudine alla crudeltà lo squarciare gli animali per il piacere della gola. Aggiungeva poi che bisogna limitare gli incentivi alla dissolutezza; concludeva che gli alimenti di varia qualità sono contrari alla salute e dannosi al nostro corpo.
    Pitagora, invece, sosteneva che esiste una parentela fra tutti gli esseri e che c'è una relazione fra le anime che trasmigrano da una forma di vita all'altra. Nessuna anima, a suo parere, muore, né cessa di agire, se non per l'attimo in cui si trasferisce in un altro corpo. (108, 17-18; 2000)
  • Quando consideri il numero di uomini che sono davanti a te, pensa a quanti ti seguono. (15, 10)
Cum aspexeris, quot te antecedant, cogita, quot sequantur.
  • Quando insegnano, gli uomini imparano. (VII, 8)
Homines, dum docent, discunt.
  • [Su Quinto Sextio] Quanto vigore c'è in lui, buoni dèi, quanto ardore! Non in tutti i filosofi lo troverai: gli scritti di certuni, che pure sono famosi, sono senza nerbo. Ammaestrano, discutono, cavillano, non infondono quell'energia spirituale, perché non ne hanno: quando leggerai Sestio, dirai: «è vivo, è vigoroso, è libero, è superiore agli uomini comuni, mi lascia pieno di un'eccezionale sicurezza». (64, 3; 2000)
  • Questo è l'unico motivo per cui non possiamo lagnarci della vita: essa non trattiene nessuno. (70, 15)
Hoc est unum, cur de vita non possimus queri: neminem tenet.
  • Sbaglia chi cerca un amico nell'atrio e lo mette alla prova nel banchetto.[23] (CXIX, 119)
Errat autem qui amicum in atrio quaerit, in convivio probat.
  • Se mi arrenderò al piacere, dovrò arrendermi anche al dolore, alla fatica, alla povertà; anche l'ambizione e l'ira vorranno le mie energie, anzi sarò straziato fra tante passioni. Aspiro alla libertà; questo è il premio a cui sono rivolte tutte le mie fatiche. Mi chiedi che cosa sia la libertà? È indipendenza da ogni cosa, da qualunque circostanza esterna, da qualunque necessità. (lettera 51; 1975)
  • Se voglio trastullarmi con qualche buffone, non devo cercarlo lontano: rido di me. (lettera 50; 1975)
  • Si volge ad attendere il futuro solo chi non sa vivere il presente. (101, 9)
  • Smetterai di temere se avrai smesso di sperare. (V, 7)
Desines timere si sperare desieris.
  • "Sono schiavi." No, sono uomini. "Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. (Epistola 47,1)
  • Sono più le cose che ci spaventano che quelle che fanno effettivamente male, e siamo travagliati più per le apparenze che per i fatti reali. (13, 4)[20]
  • Ti dirò che cosa oggi mi è piaciuto in Ecatone. «Mi chiedi» egli scrive «quale è stato il mio progresso? Ho cominciato ad essere amico di me stesso.» Grande è stato il suo progresso: non rimarrà più solo. Sappi che tutti possono avere quest'amico. (lettera 6; 1975)
  • Ti prego, Lucilio carissimo, fa' la sola cosa che può renderti felice: distruggi e calpesta questi beni splendidi solo esteriormente, che uno ti promette o che speri da un altro; aspira al vero bene e godi del tuo. Ma che cosa è "il tuo"? Te stesso e la parte migliore di te. Anche il corpo, povera cosa, benché non se ne possa fare a meno, stimalo necessario più che importante; ci procura piaceri vani, di breve durata, di cui necessariamente ci pentiamo e che, se non li frena una grande moderazione, hanno un esito opposto. Questo dico: il piacere sta sul filo, e si muta in dolore se non ha misura; ma è difficile tenere una giusta misura in quello che si crede un bene: solo il desiderio, anche intenso, del vero bene è senza pericoli. Vuoi sapere che cosa sia il vero bene o da dove venga? Te lo dirò: dalla buona coscienza, dagli onesti propositi, dalle rette azioni, dal disprezzo del caso, dal tranquillo e costante tenore di vita di chi segue sempre lo stesso cammino. (23, 6-7)
  • Tutta l'arte è imitazione della natura. (65, 3)
Omnis ars naturae imitatio est.
  • Tuttavia, questa è in sostanza la mia regola: comportati con chi ti è inferiore come vorresti che si comportasse con te chi ti è superiore. (47, 11; 2000) [etica della reciprocità]
  • Un grande pilota sa navigare anche con la vela rotta. (30, 3)
  • Una bella donna non è colei di cui si lodano le gambe o le braccia, ma quella il cui aspetto complessivo è di tale bellezza da togliere la possibilità di ammirare le singole parti. (33, 5)
Non est formosa, cuius crus laudatur aut brachium, sed illa, cuius universa facies admirationem partibus singulis abstulit.
  • Vivere vuol dir combattere. (XCVI, 5).
Vivere [mi Lucili] militare est.

Hercules furens

[modifica]

O gran re dell'Olimpo, arbitro sommo
Dell'universo mondo, oh segna alfine
Ai tormentosi affanni alcuna meta,
Alla sciagura un termine.

Citazioni

[modifica]
  • [...] il delitto | cui coronò il successo e la fortuna, virtù si chiama [...]. (Anfitrione: atto I, p. 19)
  • A sublime virtù sol raramente | perdona iniqua la Fortuna: a lungo | nessuno può così frequenti rischi | sfidar sicuro: quei che il caso tante | volte dimenticò, còlto n'è una. (Megara: atto I, p. 23)
  • [...] chi sua stirpe vanta | loda il non suo. (Lico: atto I, p. 24)
  • La prima | arte del regno è di saper durare | pur contro l'odio. (Lico: atto I, p. 24)
  • Non san misura l'armi; facilmente | né moderar si può né ritenere | d'alzata spada l'ira; il sangue piace, | piace alla guerra. (Lico: atto I, p. 27)
  • D'ogni guerra, | non il motivo, l'esito si chiede. (Lico: atto I, p. 27)
  • Lico:Ti forzerò.
    Megara: – Chi sa morir non forzi. (atto I, p. 28)
  • A Giove | vittima né più grande né più opima | offrir si può che iniquo re. (Ercole: atto III, p. 56)

Questioni naturali

[modifica]
  • Oh che cosa spregevole è l'uomo, se non si sarà innalzato al di sopra delle cose umane! (I, prefazione, 5, p. 512)
  • Se volete non aver paura di nulla, pensate che tutto è da temere. (VI, 2, 3, p. 616)
  • È naturale ammirare le cose nuove più che quelle grandi. (VII, 1, 4, p. 638)

Incipit di alcune opere

[modifica]
Seneca, scultura di Amadeo Ruiz Olmos

Apokolokyntosis

[modifica]

Voglio consegnare alla storia quel che è successo in cielo il giorno prima delle idi di ottobre, inizio di un anno straordinario, di un'età felicissima. Non ci sarà posto né per il rancore, né per l'adulazione. Quello che sto per raccontare è tale e quale a come è accaduto. Nell'ipotesi che qualcuno venisse a chiedermi la fonte di tali avvenimenti, è bene mettere subito in chiaro questo: se la cosa non mi andrà a genio, non risponderò. D'altronde, chi mi potrebbe forzare? So di essere diventato padrone di me stesso, il giorno in cui se ne andò finalmente all'altro mondo quello che aveva dimostrato la verità del proverbio: «conviene nascere re o scemi».

De constantia sapientis

[modifica]

Io non esito a dire, mio caro Sereno, che tra gli Stoici e i filosofi delle altre scuole passa la stessa differenza che tra gli uomini e le donne: i quali e le quali contribuiscono in egual misura alla vita della società, ma gli uni sono fatti per comandare, le altre per obbedire.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

De otio

[modifica]

Tutti sono d'accordo nel ritenere che, vivendo in società, è difficile essere immuni dai vizi, e allora, se non abbiamo altro mezzo per salvarci da essi, isoliamoci: già questo solo fatto ci renderà migliori. D'altronde chi c'impedisce, pur vivendo appartati, di avvicinare uomini virtuosi e ricavarne un esempio su cui modellare la nostra esistenza? E ciò non è possibile se non in una vita tranquilla, lontana dalle pubbliche faccende: solo così potremo mantenere fermi i nostri propositi, non avendo accanto nessuno che, sollecitato dalla grande massa che gli sta intorno, possa distoglierci dalla nostra decisione, ancora instabile, all'inizio, e perciò facile a sgretolarsi. Allora sì la nostra vita potrà procedere uniforme e costante, perché non turbata dalle idee più diverse e contrastanti. Pergiunta, come se già non bastassero i numerosi mali che ci affliggono, passiamo da un vizio all'altro, e questo è il guaio peggiore: restassimo almeno attaccati a un vizio solo, quello che ci è più familiare e che abbiamo ormai sperimentato! Così a questo inconveniente si aggiunge pure il tormento che ci rode nel constatare come le nostre scelte, oltre che cattive, siano anche incostanti. Siamo sballottati di qua e di là come dai flutti o dal vento, ed ora ci attacchiamo ad una cosa, ora ad un'altra, lasciamo ciò che avevamo cercato e ricerchiamo ciò che avevamo lasciato, in un altalenante avvicendarsi di desideri e pentimenti. Questo perché dipendiamo sempre dalle opinioni degli altri, ci sembra migliore ciò che ha un gran numero di aspiranti e di elogiatori e non ciò che va lodato e ricercato per il suo intrinseco valore, così come una strada la giudichiamo buona o cattiva non di per se stessa ma dalla quantità delle impronte e dal fatto che fra di queste non ce ne sia nessuna che torni indietro.

Citazioni su Lucio Anneo Seneca

[modifica]
  • A vedere gli sforzi che Seneca fa per prepararsi alla morte, a vederlo sudare dallo sforzo per corroborarsi e star forte e dibattersi per tanto tempo su quella pertica, avrei scemato la reputazione di lui se non l'avesse conservata morendo veramente da forte. Il suo agitarsi così ardente, così frequente, mostra che era ardente e impetuoso lui stesso. [...] E in ogni modo mostra che era incalzato dal suo avversario. Lo stile di Plutarco, di quanto è più sdegnoso e più sostenuto, è, secondo me, di altrettanto più virile e persuasivo: crederei facilmente che la sua anima avesse gli impulsi più sicuri e più regolati. L'uno, più vivace, ci stimola e ci sveglia di soprassalto, tocca più lo spirito. L'altro, più calmo, ci istruisce, ci fortifica e conforta costantemente, tocca più l'intelletto. Quello là rapisce la nostra mente, questo la conquista. (Michel de Montaigne)
  • Anche nella qualità di scrittore, Seneca è una fedele imagine del suo tempo, che stimava più lo splendore che la profondità. Scrisse a quel modo per intima persuasione della sua bontà, e si giocò per questo l'approvazione dell'età seguente. (Wilhelm Siegmund Teuffel)
  • È l'uomo di genio. Pensatore e artista, prosatore e poeta, egli espresse nella lingua latina un sentimento universale e schiuse la letteratura all'umanità. Non fu ricercatore di verità occulte né creatore di sistemi filosofici né indagatore profondo dei problemi ontologici e gnoseologici: non fu propriamente né un fisico né un filosofo: ma dei problemi fisici e filosofici ebbe la conoscenza e soprattutto la sensibilità: e nessuno come lui, nel mondo antico, poté parlare agli uomini dei casi della vita e della morte. (Concetto Marchesi)
  • Non si concepisce veramente come l'arte [delle tragedie] di Seneca potesse esser presa come esempio di morale, quando egli colla fredda impassibilità di uno stoico fa l'apologia del suicidio, descrive amori senza pudore, desiderî senza freno, vendette orribili; quando rappresenta un mondo di passioni straordinarie ed esagerate, virtù sfrenate, audacie gigantesche, il dolore che bestemmia, la vendetta atroce, l'orgoglio immane. Ma tutto ciò è ricoperto da un manto di sentenze così gravi, di detti così profondi; ma i suoi personaggi declamano così bene degli squarci di filosofia, che, perdonandosi a lui e trascurando ciò che nelle sue tragedie v'era per efficacia dei suoi tempi, furono potute prendere come modello di gravità tragica e di moralità. (Pietro Bilancini)
  • Questo «filosofo», professore di morale, di virtù, di disinteresse, non pratica né la morale, né la virtù, né il disinteresse. Si è arricchito con prestiti di danaro «a tassi usurari». Le sue operazioni finanziarie in Britannia sono di una rapacità tale che sono state una delle cause della ribellione dell'isola. (Georges Roux)
  • Raffinatezza di pensieri; falsità di concetti; abbondanza di antitesi; verbosità di locuzione, arguziette di sentimenti, questo è il capitale del maestro e consigliere di Nerone. (Francesco Lomonaco)
  • Seneca è il soggetto più notevole di questo tempo. Nel brio e nell'agilità della forma non ha chi gli somigli, fuori da Ovidio: ma Seneca ebbe ad un tempo un sentimento vivo di queste sue qualità; e tanta n'era la forza, che ad ogni occasione che gli si fosse offerta, non sapea tenersi dal darne mostra, né gli balenava concettino in mente ch'ei nol cogliesse. Tuttavia solo di rado può dirsi ch'egli abbia fatto un uso biasimevole delle sue grandi doti e dell'alta sua condizione; e se la sua vita mostra sovente una sapienza abbassata al grado di prudenza, la sua morte per altro ha l'impronta d'una rinunzia deliberata ai beni di questa vita. (Wilhelm Siegmund Teuffel)

Note

[modifica]
  1. Da De otio.
  2. Da Fedra, v. 593.
  3. Da Medea, III, 500-501.
  4. Da De constantia sapientis, traduzione di G. Viansino.
  5. Da Epigr. IV, 9, in "Opera omnia", ed Ruhkopf, Aug. Taur., 1829, vol. IV, p. 402.
  6. Da I dialoghi.
  7. Da Controv., p. 70, ed. Bip.
  8. Da Medea, II, 1, 176.
  9. Citato in Claudio Malagoli, Etica dell'alimentazione: prodotti tipici e biologici, Ogm e nutraceutici, commercio equo e solidale, Aracne, 2006, p. 173.
  10. Seneca - LETTERE A LUCILIO, su rcslibri.corriere.it.
  11. Da Rhetorum controversiae I, 1, 10.
  12. Da Consolatio ad Polybium, 9.
  13. Da Ad Polybium consolatio, XXVI.
  14. Da Apokolokyntosis, IX, 6. Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 13. ISBN 978-88-04-47133-2.
  15. Da Lettere a Lucilio, I, 7; 2010.
  16. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 364).
  17. Citato in Renaldo Fischer, Storia di un cane e del padrone a cui insegnò la libertà, Corbaccio, Milano, 1997, trad. Laura Pignatti, p. 57. ISBN 88-7972-205-0
  18. Citato in Dione Cassio, Istorie, LXI, 18.
  19. Citato in Gasparo Gozzi, Novellette e racconti, LXXXIV, L'Iperbole.
  20. a b c d e f Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  21. Da Lettere a Lucilio, spazioinwind.libero.it.
  22. Citato in Gino Ditadi, I filosofi e gli animali, vol. 1, Isonomia editrice, Este, 1994, pp. 329-330. ISBN 88-85944-12-4
  23. Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 18. ISBN 978-88-04-47133-2.

Bibliografia

[modifica]
  • Lucio Anneo Seneca, Apokolokyntosis. La deificazione della zucca. Testo originale a fronte, curato da Gabriella Focardi, Giunti Editore, 1995. ISBN 8809207106
  • Lucio Anneo Seneca, Dialoghi morali, traduzione di Gavino Manca, Einaudi, Torino, 1995.
  • Lucio Anneo Seneca, I benefici, a cura di Salvatore Guglielmino, Zanichelli, Bologna, 1967.
  • Lucio Anneo Seneca, L'Ercole furioso, versione poetica e note di critica testuale di Federico Ageno, Libreria editrice A. Draghi, Padova, 1925.
  • Lucio Anneo Seneca, L'ozio e La serenità, cura e versione di Mario Scaffidi Abbate, Newton, 1993. ISBN 8879830082:
    • De otio.
    • De tranquillitate animi.
  • Lucio Anneo Seneca, La brevità della vita (De brevitate vitae), introduzione, traduzione e note di Alfonso Traina, BUR, Milano, 199323. ISBN 9788817169400
  • Lucio Anneo Seneca, La tranquillità dell'animo, traduzione di Caterina Lazzarini, BUR, 1997. ISBN 9788817071406
  • Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio (Epistulae morales ad Lucilium), introduzione di Luca Canali, traduzione e note di Giuseppe Monti, cronologia a cura di Ettore Barelli, BUR, 1974. ISBN 8817120135
  • Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, traduzione di Monica Natali, in Tutte le opere, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2000. ISBN 88-452-9073-5
  • Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio (Epistulae morales ad Lucilium), traduzione di Caterina Barone, Garzanti, 2010.
  • Lucio Anneo Seneca, Tutte le opere: dialoghi, trattati, lettere e opere in poesia, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2000. ISBN 88-452-9073-5:
    • L'ira (De ira), traduzione di Aldo Marastoni.
    • La provvidenza (De providentia), traduzione di Aldo Marastoni.
    • La tranquillità dell'animo (De tranquillitate animi), traduzione di Aldo Marastoni.
    • Questioni naturali (Naturales quaestiones).

Altri progetti

[modifica]

Opere

[modifica]