Georges Bataille

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Georges Bataille nel 1943

Georges Bataille (1897 – 1962), scrittore, antropologo e filosofo francese.

Citazioni di Georges Bataille[modifica]

  • Non posso considerare libero un essere che dentro di sé non nutra il desiderio di sciogliere i legami del linguaggio.[1]
  • Il sacro è l'agitazione prodiga della vita che, per durare, l'ordine delle cose incatena, e che l'incatenamento tramuta in scatenamento, in altri termini in violenza.[2]
  • Il sacrificio non è altro, nel senso etimologico della parola, che la produzione di cose sacre.[3]
  • L'atto sessuale è nel tempo ciò che la tigre è nello spazio.[4][5]
  • La verità ha una sola faccia, credo: quella di una violenta smentita.[6]
  • Parto da un principio semplice e indipendente da ogni analisi economica. A mio parere, la legge generale della vita richiede che in condizioni nuove un organismo produca una somma di energia maggiore di quella di cui ha bisogno per sussistere. Ne deriva che il sovrappiù di energia disponibile può essere impiegato o per la crescita o per la produzione, altrimenti viene sprecato. Nell'ambito dell'attività umana il dilemma assume questa forma: o la maggior parte delle risorse disponibili (vale a dire lavoro) vengono impiegate per fabbricare nuovi mezzi di produzione – e abbiamo l'economia capitalistica (l'accumulazione, la crescita delle ricchezze) – oppure l'eccedente viene sprecato senza cercare di aumentare il potenziale di produzione – e abbiamo l'economia di festa. Nel primo caso, il valore umano è funzione della produttività; nel secondo, si lega agli esiti più belli dell'arte, alla poesia, al pieno rigoglio della vita umana. Nel primo caso, ci si cura solo del tempo a venire, subordinando ad esso il tempo presente; nel secondo, è solo l'istante presente che conta, e la vita, almeno di quando in quando e quanto più è possibile, viene liberata da considerazioni servili che dominano un mondo consacrato alla crescita della produzione. I due sistemi di produzione non possono esistere allo stato puro; c'è sempre un minimo di compromesso. Tuttavia, l'umanità in cui viviamo si è formata sotto il primato dell'accumulazione, della consacrazione delle ricchezze all'aumento del potenziale di produzione. Le nostre concezioni morali e politiche sono ancora dominate da un principio: l'eccellenza dello sviluppo delle forze produttive. Ma se è vero che un tale principio ha incontrato negli uomini poche obiezioni, non è così nel gioco stesso dell'economia: messo alla prova, il principio dello sviluppo infinito ha mostrato che poteva portare a conseguenze imprevista [...] E se l'umanità, nel suo complesso, continua a volerlo e a regolare i suoi giudizi di valore su questo desiderio, in molti si è installato il dubbio circa la validità infinita dell'operazione. Possiamo andare oltre, e porre in modo più preciso la domanda: le concezioni morali e politiche che continuano a dominare la nostra attività – vale a dire l'economia – non sono in ritardo sui fatti? Nei nostri giudizi complessivi non rifacciamo l'errore di quegli stati maggiori che si mostrano ogni volta in ritardo su una guerra? Insomma, il pensiero umano non dovrebbe seguire il rapido movimento dell'economia? Certo, non si tratterebbe di rinunciare bruscamente ai beni crescenti del globo, ma potrebbe essere arrivato il momento di riformare le nostre concezioni sull'uso delle ricchezze [...] per contribuirvi, mi propongo di mostrare una serie di lavori e di saggi [...] da una parte le profonde deformazioni dell'equilibrio generale che lo sviluppo attuale dell'industria ha comportato, dall'altra le prospettive di un'economia non centrate sulla crescita. Per la prima parte non ci sarà da far altro che proseguire l'analisi già avviata dalla scienza economica moderna, mentre per l'altra si tratterà di introdurre considerazioni teoriche nuove e fondare la rappresentazione generale del gioco economico sulla descrizione dei sistemi antecedenti all'accumulazione capitalistica. Questi studi dovranno allora includere un campo considerato generalmente estrinseco all'economia: quello delle religioni, primitive o non, cui è concesso il campo della storia delle arti. In effetti, a mio parere, l'uso delle ricchezze, o più precisamente il loro fine, è essenzialmente lo spreco: il loro ritiro dal circuito della produzione. Ora, questa verità non solo ha fondato fin dall'inizio i profondi valori umani (quelli del disinteresse) e tutti i tesori umani che i secoli ci hanno trasmesso; ma in più, è la sola verità su cui potremmo fondarci ora per risolvere i problemi posti dallo sviluppo industriale. Soltanto il dono senza speranza di profitto, così come lo richiede un principio di eccedenza finale delle risorse, può far uscire il mondo attuale dall'impasse. L'economia attuale ha fin da ora determinato in profondità un rovesciamento radicale delle idee; questo rovesciamento deve però ancora essere realizzato per rispondere alle esigenze dell'economia.[7]
  • Non si tratta di voler stupidamente sfuggire all'utile, ancor meno di negare la fatalità che dà sempre a esso l'ultima parola [ma si tratta di fare spazio alla] possibilità di vedere apparire quel che seduce, ciò che sfugge nell'istante dell'apparire alla necessità di rispondere all'utile.[8]

Incipit di L'azzurro del cielo[modifica]

In una taverna dei bassifondi londinesi, uno strano scantinato incomparabilmente sordido, Dirty era ubriaca.[9]

L'erotismo[modifica]

  • Dell'erotismo si può dire, innanzitutto, che esso è l'approvazione della vita fin dentro la morte.
  • La passione ci consacra alla sofferenza, giacché, in fondo, essa è la ricerca di un impossibile. (introduzione)
  • La violenza, che non è in se stessa crudele, lo diviene nella trasgressione specifica di chi l'organizza. La crudeltà è una delle forme della violenza organizzata.

La congiura sacra[modifica]

Citazioni[modifica]

  • Una pressione infinitamente più pesante si esercita senza dubbio sui dittatori moderni, ridotti a trovare la loro forza nella identificazione con tutti quegli impulsi che Nietzsche disprezzava nelle masse, in particolare con «quella mendace autoammirazione e libidine razziale».[10] C'è una derisione corrosiva nel fatto d'immaginare un possibile accordo tra l'esigenza nietzscheana e una organizzazione politica che impoverisce l'esistenza al vertice, che imprigiona esilia o uccide tutto ciò che potrebbe costituire un'aristocrazia[11] di «spiriti liberi». Come se non fosse lampante che Nietzsche, quando richiede un amore a misura del sacrificio della vita, è per la «fede» che comunica, per i valori che la sua esistenza rende reali, evidentemente non per una patria...
    «Nota per gli asini», scriveva già Nietzsche stesso, temendo una confusione simile, altrettanto miserabile.[12] (p. 18-19)
  • Nella misura in cui il fascismo dipende da una fonte filosofica, non è a Nietzsche, ma a Hegel che si ricollega[13]. Ci si rifaccia all'articolo che Mussolini stesso ha consacrato nell'Enciclopedia Italiana al movimento da lui fondato[14]: il lessico e, più ancora del lessico, lo spirito sono hegeliani, non nietzscheani; anche se Mussolini vi impiega due volte l'espressione «Volontà di potenza», non è a caso che questa volontà sia solo un attributo dell'idea che unifica la moltitudine...[15]
    L'agitatore rosso ha subito l'influenza di Nietzsche: il dittatore assoluto se n'è tenuto a distanza. Il regime stesso si è espresso sul problema. In un articolo su «Fascismo» del luglio 1933, Cimmino nega ogni filiazione ideologica fra Nietzsche e Mussolini. Solo la volontà di potenza costituirebbe un legame fra le loro dottrine. Ma la volontà di potenza di Mussolini «non è egoismo», essa è predicata a tutti gli italiani dei quali il duce «vuole fare dei superuomini» [sic.]. Perché, afferma l'autore, «qualora fossimo tutti superuomini saremmo soltanto tutti uomini. Che poi Nietzsche piaccia a Mussolini è naturale: vi è nel Nietzsche qualcosa che è stata sempre di tutti gli uomini di azione e volontà». La differenza profonda tra Nietzsche e Mussolini è «nel fatto che la potenza come volontà, la forza, l'azione sono fatti dell'istinto, direi quasi della natura fisica, e la possono avere le persone fra loro più opposte, servendosene per i più diversi scopi; mentre l'ideologia è fattore spirituale, ed è sempre una per tutti quelli che l'accettano». È inutile insistere sull'idealismo scoperto di questo testo che ha il merito dell'onesta, se lo si paragona con i testi tedeschi. È più importante notare come il duce venga assolto da una possibile accusa di egoismo nietzscheano. Le sfere dirigenti del fascismo sembrano essere rimaste all'interpretazione stirneriana di Nietzsche formulata intorno al 1908 dallo stesso Mussolini[16]. (p. 19-20)

La letteratura e il male[modifica]

Incipit[modifica]

La generazione a cui appartengo è una generazione tumultuosa.
Essa si è aperta alla vita letteraria in mezzo agli sconvolgimenti del surrealismo. Gli anni che seguirono alla prima guerra mondiale furono caratterizzati da una emozionalità traboccante. La letteratura soffocava, dentro i suoi limiti: pareva portare in sé una rivoluzione.

Citazioni[modifica]

  • Blake, che non fu un pazzo, restò alla frontiera della pazzia.
    Tutta la sua vita ha avuto un solo significato: egli ha dato alle visioni del suo genio poetico la precedenza sulla realtà prosaica del mondo esteriore. (p. 72)
  • L'insegnamento di Blake si fonda anzi sul valore in sé – esteriore all'io – della poesia. [...] Questa identità tra l'uomo e la poesia non ha soltanto il potere di opporre la morale alla religione e di fare della religione l'opera dell'uomo (non di Dio, non della trascendenza della ragione), essa restituisce alla poesia il mondo in cui ci muoviamo. (p. 76-77)
  • Blake non fu un filosofo a nessun titolo, ma ha dichiarato ciò che è essenziale con un vigore e anzi con una precisione che la filosofia può invidiargli. (p. 83)
  • L'essenza delle sue opere [di De Sade] è la distruzione: non solamente la distruzione degli oggetti, delle vittime messe in scena [...] ma anche dell'autore e della sua stessa opera. (p. 100)
  • È vero che i suoi libri differiscono da ciò che abitualmente è considerato letteratura come una distesa di rocce deserte, priva di sorprese, incolore, differisce dagli ameni paesaggi, dai ruscelli, dai laghi e dai campi di cui ci dilettiamo. Ma quando potremo dire di essere riusciti a misurare tutta la grandezza di quella distesa rocciosa? [...] La mostruosità dell'opera di Sade annoia, ma questa noia stessa ne è il senso. (pp. 106-107)
  • Proust, facendoci conoscere la sua esperienza della vita erotica, ci ha offerto un aspetto intellegibile di un tale avvincente gioco di opposizioni. [...] Sembra che si possa cogliere il male, ma solo nella misura in cui il bene può esserne la chiave. Se l'intensità luminosa del Bene non concedesse la sua tenebra alla notte del Male, il male non avrebbe più la sua attrattiva. È una verità difficile: colui che la intende sente rivoltarsi qualcosa in sé. Sappiamo tuttavia che gli oltraggi più forti alla sensibilità provengono da contrasti [...] La felicità senza la sventura che si lega ad essa come l'ombra alla luce sarebbe oggetto di una immediata indifferenza. Questo è tanto vero, che i romanzi descrivono senza posa la sofferenza e quasi mai la soddisfazione. Insomma, il pregio della felicità consiste nel non essere frequente: se fosse facile, verrebbe sdegnata, e associata alla noia [...] la verità non sarebbe quella che è, se non si ponesse generosamente contro il falso. (pp. 127-131)
  • Kafka... Capì che la letteratura gli rifiutava la soddisfazione attesa, e questo egli voleva: ma non cessò di scrivere. Sarebbe anzi impossibile dire che la letteratura lo deluse. (p. 138)
  • La forza silenziosa e disperata di Kafka fu questo non voler contestare l'autorità che gli negava la possibilità di vivere, fu l'allontanarsi dall'errore comune che, di fronte all'autorità, implica il gioco della rivalità. Se colui che rifiutava la costrizione alla fine è vincitore, diviene a sua volta, per se stesso e per gli altri, simile a coloro che ha combattuto, a coloro che si incaricano di esercitare la costrizione. (p. 145)
  • Insomma, [Kafka] volle essere infelice per appagarsi: il punto più segreto di questa infelicità era una gioia così intensa, che egli dice di morirne. (p. 146)

Le lacrime di Eros[modifica]

  • La semplice attività sessuale è diversa dall'erotismo; la prima è data nella vita animale e solo la vita umana presenta un'attività definita forse da un aspetto «diabolico», al quale conviene il nome di erotismo.
  • Nessuno immagina un mondo in cui la passione ardente cesserebbe decisamente di turbarci... Nessuno, d'altra parte, considera la possibilità di una vita che non sarebbe mai più legata dal calcolo.
  • Quel che non è cosciente non è umano.
  • Spesso, in me, la soddisfazione di un desiderio si oppone all'interesse. Ma le cedo, perché essa è bruscamente diventata il mio fine ultimo!
  • Un senso di decadenza ci deprime, se opponiamo allo scatenamento senza misura, all'assenza di paura, il calcolo.

Poesie[modifica]

  • Appoggio il mio cazzo contro la tua guancia | la punta sfiora il tuo orecchio | lecca le mie borse lentamente | la tua lingua è dolce come lacqua || La tua lingua è cruda come una macellaia | è rossa come una coscia | la sua punta è un cucù che sbuca | il mio cazzo singhiozza di saliva. (da Appoggio il mio cazzo[17])
  • Nelle mie calze viola il profumo di mela | il pantheon della bitta maestosa | un cul di cagna aperto | alla santità della via. (da La lisciva[18])
  • Apro il cielo | come s'apre la gola | dei morenti | sono calmo | come un toro | che mugghia sotto la pioggia | Non sono un uomo | io muggisco | sono più idiota del fulmine | che scoppia a ridere | voglio fare un baccano | così grande | che non ci si sentirà più. (da Il mio canto[19])
  • O morte io son quel cervo | che divorano i cani | La morte eiacula sangue. (da Il marciapiede di Danaide[20])

Storia dell'occhio[modifica]

Incipit[modifica]

Sempre, forse per la mia educazione solitaria, almeno per quanto posso con la memoria regredire al tempo passato, sono stato morbosamente curioso del sesso.[9]

Citazioni[modifica]

  • Sono nato da un padre sifilitico (tabetico). Divenne cieco (lo era all'atto del mio concepimento) e quando avevo due o tre anni, a causa della stessa malattia, rimase paralizzato. (2005, p. 146)
  • Alcune settimane dopo la crisi di follia di mio padre, mia madre, dopo una scena odiosa che le fece mia nonna in mia presenza, a sua volta perse la ragione. Attraversò un lungo periodo di malinconia. Le idee di dannazione che allora la dominavano mi irritavano ancor più, in quanto ero costretto a sorvegliarla in continuazione. Il suo delirio mi terrorizzava al punto che una notte tolsi dal caminetto due pesanti candelabri dallo zoccolo in marmo: avevo paura che mi ammazzasse nel sonno. Giunsi a picchiarla, persa la pazienza, torcendole le mani disperatamente, volevo costringerla a ragionare.
    Mia madre un giorno spari, approfittando di un istante in cui mi ero distratto. L'abbiamo cercata a lungo; la trovò mio fratello, appena in tempo, impiccata in solaio. Comunque ritornò in vita.
    Scomparve una seconda volta: dovetti cercarla senza fine lungo il ruscello in cui avrebbe potuto annegarsi. Attraversai di corsa terreni paludosi. Alla fine mi trovai davanti a lei, su un sentiero: era bagnata fino alla cintola e la sua gonna grondava l'acqua del ruscello. Era uscita da sola dall'acqua gelida del ruscello (si era in pieno inverno), che in quel punto era troppo poco profonda per annegarsi. (2005, p. 148)

Citazioni su Georges Bataille[modifica]

  • Mi diverte del resto pensare che non si possa uscire dal surrealismo senza incappare in Bataille, tanto è vero che il disgusto per il rigore non può tradursi se non in una nuova sottomissione al rigore.
    Con Bataille, niente che non si sappia a memoria; assistiamo a un ritorno offensivo del vecchio materialismo antidialettico che tenta, questa volta, di farsi gratuitamente largo attraverso Freud...
    Il caso di Bataille presenta questo aspetto paradossale, e per lui imbarazzante, che la sua fobia dell'"idea", dal momento in cui si propone di comunicarla, non può che prendere piega ideologica...
    Lui che nelle ore del giorno, percorre antichi e talvolta allettanti manoscritti con caute dita di bibliotecario (com'è noto esercita questa professione alla Bliotèque Nationale) si pasce la notte delle immondizie di cui, a propria immagine, vorrebbe vederli pieni... (André Breton)
  • [Dalla conclusione della recensione a L'aridité di Caillois, in riferimento alle attività del Collège de sociologie] È triste vedere come un'ampia corrente limacciosa sia alimentata da fonti situate ad una notevole altitudine. (Walter Benjamin)
  • Questo simbolo solare[la svastica], Bataille lo avrebbe adottato volentieri, per il suo significato eracliteo che gli riconosceva. Ma il movimento hitleriano nella sua totalità era giudicato da lui e da noi tutti come un mostruoso tentativo schiavista, mirante a una ricomposizione "monocefala" della società. (Pierre Prévost)
  • Sotto molti aspetti, la conferenza di Hans Mayer sulle «società degli uomini» della Germania romantica confermerà la comunicazione di Bataille su Hitler e l'Ordine teutonico: essa mostrerà che le società segrete antinapoleoniche – quali l'Ordine tedesco organizzato dai discepoli di Fichte – si ispirano ai ricordi dell'Ordine teutonico. (Denis Hollier)
  • Lewitzky ha pronunciato due conferenze sullo sciamanismo. La questione mi appassionava perché nello schema che aveva adottato(quello di Mauss) vi era antinomia totale tra la magia e religione. A quell'epoca ero profondamente luciferiono, e consideravo Lucifero come il ribelle efficace. Così lo sciamanismo mi interessava in quanto sintesi tra le potenze religiose e il dominio delle cose infernali. Bataille, dal canto suo, si trovava in uno stato d'animo pressappoco identico, con la differenza che Bataille voleva diventare veramente uno sciamano. (Roger Caillois)

Carlo Ginzburg[modifica]

  • Si riconoscono facilmente i temi delle ricerche di Dumézil, tradotti nelle preoccupazioni (o ossessioni) che dominavano i protagonisti del Collége, Bataille e Caillois. Schematizzando potremmo dire che per Bataile era il nesso tra la morte (e la sessualità) e il sacro, per Caillois quello tra il sacro e il potere. In entrambi, questi temi, implicavano un atteggiamento estremamente ambiguo nei confronti delle ideologie fasciste e naziste.
  • Alexandre Kojève, che pure tenne una conferenza al Collège su «Les conceptions hégéliennes», aveva osservato ironicamente che il programma di Bataille e Caillois era paragonabile al tentativo di un prestigiatore di credere alla magia attraverso i propri trucchi.
  • Già in una lettera scritta a Raymond Queneau a Roma, nel 1934, subito dopo aver visitato la mostra sulla rivoluzione fascista, Bataille confessava il fascino esercitato su di lui da quell'esibizione di simboli mortuari, di drappi neri, di teschi, osservando che si trattava nonostante tutto di qualcosa di serio, che non doveva rimanere dominio esclusivo della propaganda fascista. In una conferenza su «Le pouvoir», tenuta al Collège da Bataille il 19 febbraio 1938, in sostituzione di Caillois ammalato, la fascinazione esercitata dalla simbologia fascista si traduceva addirittura nella contrapposizione tra il fascio effigiato in Italia «sur le ventre de toutes les locomotives» e il crocifisso collegato frazerianamente a una «représentation obsessionnelle de la mise à mort du roi». La scure littoria, commentava Bataille, in quanto strumento delle esecuzioni capitali, «est opposé ostensiblement à l'immage du roi supplicié». La stessa atmosfera torbida, intimamente colpevole attrazione per i riti mortuari del nazismo fa da sfondo al romanzo Le blue du ciel, scritto nel 1935 e pubblicato più di vent'anni doppo.
  • Il testo della conferenza di Bataille su «Hitler et l'ordre teutonique» (24 gennaio 1939) non ci è rimasto: possiamo solo congetturare le sue probabili divergenze dalla lucidissima ricostruzione storica di Hans Mayer su «Les rites des associations politiques dans l'Allemagne romantique» (18 aprile 1939) e il loro rapporto con le associazioni protonaziste e naziste.
  • Di fatto nei due anni di attività del Collège (dal novembre 1937 al luglio 1939), tra la vigilia del patto di Monaco e la vigilia della guerra, apprendisti sciamani come Bataille e rigorosi sciamanologhi come Lewitzky, aspiranti fondatori di società segrete come Caillois e storici delle sette come Mayer, trovarono un terreno comune di discussione. Chi guarda retrospettivamente è colpito soprattutto dall'ambiguità della cornice e dall'eterogeneità dei partecipanti. E tuttavia l'equivoco progetto di una «sociologia sacra» delle realtà contemporanee, giustamente criticato da Leiris, aveva di che attrarre, in quel momento, anche osservatori distaccati, poco inclini alle confusioni misticheggianti e estetizzanti.

Note[modifica]

  1. Da Tradurre Bataille: la lingua del Collegio di Sociologia. "Nota" di Marina Galletti in Il Collegio di Sociologia, pag. XXIX.
  2. Da Teoria della religione.
  3. Da Critica dell'occhio.
  4. Da La parte maledetta, traduzione di Francesco Serna, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 27. ISBN 8833906515
  5. Si veda anche p. 47.
  6. Da Il morto, traduzione di Eugenio Ragni, Gremese Editore.
  7. Da Choix de lettres 1917-1962, pp. 377-79.
  8. Da La réligion préhistorique, in Œuvres complètes, vol. XII, p. 513. Citato in F. C. Papparo, Per desiderio d'infinito, introduzione a Georges Bataille, L'aldilà del serio e altri saggi, Guida, 2000.
  9. a b Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  10. [Nota presente nel medesimo testo da cui è tratta la citazione] [F. Nietzsche] Gai savoir, § 377 [trad. it. La gaia scienza, in Id., Opere, vol. 5, 2, Adelphi, Milano 1965]
  11. [Ibid. nota precedente] Nietzsche parla di aristocrazia, parla anche di schiavitù, ma quando si esprime al riguardo dei «nuovi padroni», parla della «loro nuova santità», della «loro capacità di rinuncia». «Essi danno all'inferiore il diritto alla felicità, e loro stessi se ne privano».
  12. [Ibid. nota precedente] [Nietzsche] Volonté de puissance, § 942 [trad. it. cit.]
  13. [Ibid. nota precedente] È noto che l'hegelismo, rappresentato da Gentile, è praticamente la filosofia ufficiale dell'Italia fascista.
  14. [Ibid. nota precedente] Sub verbo «Fascismo». L'articolo è stato tradottoo in apertura di B. Mussolini, Le Fascisme, Denoël et Steele.
  15. [Ibid. nota precedente] A proposito del popolo, Mussolini scrive: «Non razza, né regione geograficamente individuata, ma schiatta storicamente perpetuantesi, moltitudine unificata da un'idea, che è volontà di esistenza e di potenza [...]» [La dottrina del fascismo, Hoepli, Milano 1936, p. 23]
  16. [Ibid. nota precedente] In un articolo pubblicato allora da un giornale romagnolo, e riprodotto da Margherita G. Sarfatti, Mussolini, trad. fr. Albin Michel, 1927, pp. 117-21 (ed. orig. M.G.Sarfatti), Dux, Mondadori, Milano 1926, p. 101.]
  17. In Poesie erotiche, Nautilus, Torino, 1990.
  18. In Poesie erotiche, Nautilus, Torino, 1990.
  19. In Poesie erotiche, Nautilus, Torino, 1990.
  20. In Poesie erotiche, Nautilus, Torino, 1990.

Bibliografia[modifica]

  • Georges Bataille, Critica dell'occhio, a cura di Sergio Finzi, Guaraldi.*
  • Georges Bataille, L'erotismo, a cura di Paolo Caruso, traduzione di Adriana Dell'Orto, Mondadori.
  • Georges Bataille, La congiura sacra (La Conjuration sacrée, 1936), traduzione di Marina Galletti, Bollati Boringhieri, Torino 1997.
  • Georges Bataille, La letteratura e il male (La littérature et le mal, 1957), traduzione di A. Zanzotto, SE, 1997.
  • Georges Bataille, Le lacrime di Eros, a cura di Alfredo Salsano, Bollati Boringhieri.
  • Georges Bataille, Poesie erotiche, Nautilus, s.t., Torino, 1990.
  • Georges Bataille, Storia dell'occhio (Histoire de l'oeil), traduzione di Luca Tognoli, edizioni ES, 2005.
  • Georges Bataille, Teoria della religione, traduzione di Renzo Piccoli, Cappelli, Bologna 1978.
  • Il Collegio di Sociologia 1937-1939 (Le Collège de Sociologie (1937-1939), a cura di Denis Hollier, Èditions Gallimard, Parigi, 1979), traduzione di Marina Galletti, Lola Ieronimo, Annamaria Laserra, Bollati Boringhieri, Torino 1991.

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