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Giancarlo De Cataldo

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Giancarlo De Cataldo

Giancarlo De Cataldo (1956 – vivente), scrittore e magistrato italiano.

Citazioni di Giancarlo De Cataldo

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  • In Romanzo criminale 2 ci saranno sorprese: racconteremo gli anni '80, recuperando parti del romanzo ma anche fatti veri per descrivere il rapporto perverso che si creò tra la banda della Magliana e i terroristi e i pezzi deviati dello stato. Tutta la nuova serie avrà come tema "Chi ha ucciso il libanese?" e la risposta non sarà scontata.[1]
  • Non è solo una storia di gangster, già nel romanzo c'era una connotazione politica. Ad un certo punto la banda viene manovrata, nel film è più evidente. Non si poteva seguire pedissequamente il romanzo perché lo si sarebbe tradito. La differenza di linguaggio obbliga a dei cambiamenti. Un pezzo della storia d'Italia è stata anche una storia criminale.[2]
  • [Su Romanzo criminale] [...] rivendico il diritto di raccontare una storia dove il male ha un ruolo preponderante, per insegnare ai giovani a difendersene e a combattere la paura. La rappresentazione edulcorata della realtà non serve. Nel mio romanzo c'era ancora qualcosa di nascosto che doveva essere raccontato, alcuni dettagli importanti che, nel film di Placido, non erano emersi, forse a causa dei tempi imposti a una pellicola cinematografica. Nella serie si recupera il contesto storico, che permette di capire, a chi non ha vissuto quel periodo, i motivi che condussero una piccola banda criminale ad agire liberamente.[3]
  • Romanzo Criminale 2 affonda le radici nella zona rimossa della nostra coscienza pubblica che riguarda i misteri italiani su cui ancora ci interroghiamo.[1]
  • Romanzo Criminale viene dopo 20-30 anni di cattiva tv, una narcosi inaudita che fa brillare fiction di coraggio come questa.[1]

Romanzo criminale

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Se ne stava rannicchiato fra due auto in sosta e aspettava il prossimo colpo cercando di coprirsi il volto. Erano in quattro. Il più cattivo era il piccoletto, con uno sfregio di coltello lungo la guancia. Tra un assalto e l'altro scambiava battute al cellulare con la ragazza: la cronaca del pestaggio. Menavano alla cieca, per fortuna. Per loro era solo un gran divertimento. Pensò che potevano essergli figli. A parte il negro, si capisce. Pischelli sbroccati. Pensò che qualche anno prima, solo a sentire il suo nome, si sarebbero sparati da soli, piuttosto che affrontare la vendetta. Qualche anno prima. Quando i tempi non erano ancora cambiati. Un attimo fatale di distrazione. Lo scarpone chiodato lo prese alla tempia. Scivolò nel buio.

Citazioni

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  • Sarebbe stato da saggi ripiegare, a questo punto. Ma quando mai lui era stato saggio? Quando mai tutti loro erano stati saggi? Poi, la paura del piccoletto... l'odore della strada... non era per momenti come questo che tutti loro avevano sempre vissuto? Si chinò sul piccoletto e gli sussurrò all' orecchio il suo nome. Quello prese a tremare. (p. 7)
  • Dividiamo oggi. E domani e dopodomani stiamo daccapo a quindici. Le macchine se fanno vecchie, la coca se consuma, la fica si secca per mancanza di liquidi... e dico liquidi, soldi, Fierolo'... ma se invece questi due miliardi e mezzo noi non li dividiamo... se li teniamo uniti... se ci teniamo uniti noi... avete idea di cosa possiamo diventare? Invece di avere poco, abbiamo tanto. E più abbiamo, più avremo... ti ricordi il prete, Satana? Chi più ha più avrà... e noi così dobbiamo fare: avere di meno oggi per avere tutto domani. (il Libanese, p. 27)
  • Se i soldi si dividono non servono più a niente. Se ci dividiamo non serviamo più a niente. Uniti si vince. (il Freddo, p. 28)
  • Il potere deve premiare chi ha le idee più chiare e la forza per affermarle. (p. 36)
  • Patrizia non doveva avere più di ventidue-ventitré anni. Mora, pelle morbida e levigata, seni piccoli e sodi, ascelle perfettamente depilate, gambe lunghe. Un culo da strappare il cuore. Quando gli aprì, in sottoveste nera e microreggiseno dal quale spuntava l'areola di una tetta già inturgidita, Dandi non rimpianse di essersi rivolto a Fierolocchio, il massimo esperto di puttane della banda. In confronto a Gina [...] quella ragazzina era una dea. (p. 43)
  • – Facciamo finta... solo finta di riconoscere la sua autorità, – riprese il Libanese, – gli diciamo che il numero uno è sempre lui... ce lo teniamo buono il tempo che ci serve... due.. tre mesi... quando il carico è piazzato... tutto piazzato... ne facciamo venire un altro... e gli offriamo il venti... a quel punto lui è sicuro, sicurissimo... dorme sul velluto... è allora che dobbiamo beccarlo. Con calma. Quando decidiamo noi. Come decidiamo noi. Dove decidiamo noi! (p. 71)
  • Era la prima volta che il Freddo vedeva il Terribile. Tutti sapevano che aveva cominciato con i furti di automobili, poi era passato allo strozzo e ai bordelli e da lì alle scommesse. Il Terribile era il re dei cani e dei cavalli. Coi soldi del picchetto aveva aperto un paio di macellerie e uno smorzo a Primavalle. Manteneva una quindicina di scagnozzi, ricettava la roba dei cassettari. I Gemito erano la guardia pretoriana: a loro era concesso di esercitare l'estorsione e l'usura in proprio. Il Freddo lo valutò: cervello di gallina e lardo da bue orientale. (pp. 72-73)
  • Nelle zone calde, le teste d'uovo del ministero avevano pensato bene di piazzare i soldatini di leva. Magari pure bravi a individuare un terrorista – e come poi? Dalla chioma? Dalla puzza? – ma capaci di farsi passare sotto il naso come niente un etto di roba. Gli sbirri avevano gli occhi iniettati di sangue come dopo un pippatone alla Cristo comanda, ma erano così infoiati di carne brigatista che di tutto il resto si curavano poco o niente. (p. 83)
  • Non sarebbe stata la prima volta. Né l'ultima. Per la paura, o per i soldi, qualcuno disposto a tradire si finisce sempre per trovarlo, a Roma. La Sicilia era un'altra cosa. Lì non si tradiva. Lì c'era rispetto. Ma pazienza: avrebbero cambiato Roma. Serviva solo un po' di tempo. (p. 90)
  • Il Dandi osservava e imparava: il Libano era un capo nato. Sapeva come tenere a bada i sanguinari e ringalluzzire gli infiacchiti. (p. 98)
  • Maggio si era abbattuto su Roma con tutta la violenza della sua inandescente primavera. Ma era uno strano maggio. Triste. In una città sospesa in un'angoscia insonorizzata, come sotto una nevicata di polistirolo. In una città finita sotto una di quelle teche di vetro dove i vecchi tengono l'immagine della Madonna. O di un Cristo con il cuore sanguinante e la faccia di Aldo Moro. Scialoja sognava Aldo Moro. Milioni di italiani sognavano Aldo Moro. I colleghi sognavano Aldo Moro. Sognavano di fare la stessa fine dei cinque martiri di via Fani. (p. 100)
  • Al cineclub di Via Banaco davano L'infernale Quinlan. L'avrebbe rivisto volentieri per l'undicesima, no, la dodicesima volta. Ogni volta la storia lo mandava in crisi. Charlton Heston era un poliziotto democratico e garantista, come lui aspirava a essere. Orson Welles era un bandito in divisa, sporco, avido, corrotto. Un fascista, come la maggior parte dei suoi colleghi. Ma Heston era anche un coglione capace di farsi menare per il naso dalle lacrime di un bombarolo. E Welles un genio investigativo che subodorava la puzza del colpevole a cadavere ancora caldo. Come non ammirarlo? (p. 102)
  • Il pomeriggio del giorno seguente ritrovarono Moro a via Caetani. Qualcuno disse che lo avevano scaricato di proposito tra Botteghe oscure e piazza del Gesù. Tutti dovevano capire che era la fine dello storico compromesso tra cattolici e comunisti. Scialoja si fece largo a colpi di tesserino tra lo sgomento, la rabbia, il dolore. Nel vano della Renault rossa c'era un corpo rattrappito. Questo è un parricidio, pensò Scialoja. Hanno sparato al vecchio padre, lo hanno guardato negli occhi mentre moriva. Questo è un parricidio. Il sangue del padre ricade sempre sui figli. Quel viso smagrito, ossuto, da uccello; quella barba grigia incolta gli aveva ricordato suo padre nella cassa. (pp. 105-106)
  • È la legge della domanda, compagni. Li teniamo a secco per trenta-quaranta giorni. Intanto, tagliamo non al trentacinque per cento, ma al cinquanta-sessanta per cento. Quando sono tutti, ma proprio tutti con la lingua di fuori, gli rovesciamo in strada l'intero carico. A prezzo doppio... (il Libanese, p. 113)
  • Il Libanese aveva un sorriso obliquo che nessuna pressione riusciva a cancellare. Era algido e tosto. In carcere aveva mandato affanculo un boss della 'ndrangheta. Aveva carisma. Un capo nato. L'idea del sequestro non poteva che essere stata sua. Fierolocchio e i Buffoni lo guardavano come i bambini al catechismo guardano il Sacro Cuore di Gesù. Era lui che li teneva uniti, il cemento. Il Libanese era una pista morta, investigativamente parlando. Troppo duro. Il Freddo parlava il minimo indispensabile. Non insultava. Non rivelava niente di sé. Non capivi mai cosa stesse realmente pensando. Come certi bambini che hanno sofferto troppo e non hanno mai sviluppato la capacità di esprimerla, questa grande sofferenza. Lui e il Libanese si trattavano da pari. Come se ciascuno dei due cercasse nell'altro quelle qualità che gli mancavano per divenire perfetto. (pp. 126-127)
  • Il Bufalo, grande e grosso, giocava a fare il matto scocciato tra silenzi e scoppi di collera. Ma fesso non lo era: lo rivelavano certi improvvisi squarci di greve cameratismo che usava per soccorrere i più deboli Buffoni, o la benevola considerazione che lo stesso Libanese elargiva. Come si fa con i ragazzi dotati che però corrono ogni istante il rischio di scivolare in qualche abisso senza via d'uscita. Il Bufalo era uno da tenere d'occhio. Pericoloso, infido. (p. 127)
  • Il Dandi era il più arrogante di tutti. Di un'arroganza sottile: studiata e consapevole, ma allo stesso tempo istintiva. Sempre perfettamente rasato, con abiti di buon taglio, rispettoso con il sostituto. Tagliente solo all'occorrenza: ma se gliene davi l'occasione, lingua lunga e battuta pronta. Faceva sforzi inauditi per comportarsi da signore. [...] Dandi non possedeva l'intelligenza acuta del Libanese, l'imprevidibilità del Bufalo e nemmeno la forza che spirava dai silenzi del Freddo. Ma era come se, a furia di stare con gli altri, un pizzico di ciascuna di queste qualità gli fosse rimasta appiccicata alla pelle. Se il Libanese era nato capo, Dandi era l'allievo che presto avrebbe superato il maestro. (p. 127)
  • Lo vuoi capire che non me ne frega niente del Dandi, di te, di tutti gli uomini che passano, vengono e se ne vanno... lo capisci che non me ne frega niente di niente? (Patrizia, p. 130)
  • I finocchi sono fragili banderuole in preda alla passione. Tutti i finocchi prima o poi finiscono per commettere un errore più o meno irreparabile. (p. 141)
  • Ricattare per i vizi sessuali? Ma che idea assurda! Mica siamo in America, cara. Qua siamo in Italia. Nella cara, vecchia Italia. Da noi uno più è potente e più è mandrillo, e più è mandrillo e più piace alla gente. (Zeta, p. 144)
  • La Patria è minacciata dalla teppaglia rossa. Le zanne scarlatte dei bolscevichi sono pronte a spolparsi la Nazione. La Democrazia cristiana inciucia coi cosacchi, che scalpitano per abbeverarsi in piazza San Pietro: si vede che la lezione di Moro non gli è bastata. (p. 149)
  • Voi non siete criminali, ma autentici soldati della Rivoluzione nazionale! Voi rubate e uccidete in vista di un fine più elevato! Le vostre vite rappresentano il più spietato atto d'accusa contro il degenere flaccidume dell'orda rossa... che altra scelta ha, al giorno d'oggi, un giovane d'ingegno, un talento forgiato nella Tradizionale, se non quella di una quotidiana, consapevole pratica del Male? (il Professore, p. 151)
  • Io c'ho pensato una sola volta alla fine, Nero. Avevo cinque anni stavo dalle suore. M'avevano dàto una minestra schifosa, e io l'avevo gettata dalla finestra. Ma la madre superiora se ne accorse, e allora ci fece scendere giù in cortile, e a me mi disse di raccogliere la minestra col cucchiaio e di mangiarla. Lì, davanti a tutti. Fino all'ultima cucchiaiata. È stato l'unico momento che volevo morire. E ho deciso che non mi dovevo sentire mai più così... (il Freddo, p. 161)
  • Non è possibile avere Patrizia, nessuno può avere Patrizia, nemmeno quelli che credono di tenerla in pugno... (Ranocchia, p. 169)
  • No, stammi a sentire tu: forse noi abbiamo bisogno di voi, ma non quanto voi avete bisogno di noi. Voi avete i palazzi, noi la strada. È questo che mi interessa: la strada. Perché senza la strada i vostri palazzi non valgono una sega! Be', non c'è nessuno che sa tenere la strada come il Freddo. Nessuno. Il Freddo è la strada. Perciò... senza il Freddo non si fa nessun accordo! (il Libanese, p. 209)
  • – Un giorno ti faccio il ritratto, Patrizia.
    – Sai anche dipingere?
    – Me la cavo. Ho fatto un paio d'anni di accademia. Ti raffigurerò come sei. Come ti vedo io. Come tu nemmeno immagini di essere.
    – Ah, sì? E come?
    – Geometrica. Puntuta. Slava. Tu non hai una faccia romana. Le facce romane sono tonde e dolci, tendono a sfumare nel languore, ispirano lussuria. Tu fai venire voglia di sfidarti. Sei una donna di là da venire, Patrizia. Volti come il tuo non se ne vedono molti in giro. (p. 213)
  • Il Vecchio è il Vecchio. Il Vecchio ordina e Dio dispone. Il Vecchio comandava un'unità informativa dal nome neutro il cui potere era noto solo a pochissimi eletti. Circondato dai suoi giocattoli meccanici, pezzi autentici del Settecento austriaco, prototipi dei moderni automi, il Vecchio combatteva l'insonnia giocando a disordinare il mondo. (p. 215)
  • Ah, gli americani! I guardiani della Libertà! I custodi della Democrazia! With God On My Side! Così semplici, così diretti, così amabilmente, intimamente, innocentemente fascisti! Così fieri della loro tradizione Wasp e del loro avatico prognatismo, ma se andavi a scavare nel pedigree affioravano gli ispanici, i greci, gli armeni e i turcomanni... le razze inferiori, le razze maledette... (p. 216)
  • Il guaio è che il Freddo, appena l'aveva vista, era rimasto come fulminato dai suoi occhi azzurri e impertinenti. Gli venivano in mente, mentre lei inanellava una battuta dietro l'altra, una sigaretta dietro l'altra, paesaggi di campagna, e mari, e altre immagini che non pensava di aver mai posseduto nella sua limitata fantasia. E qualcosa di caldo e di teso lo afferrava dalla bocca dello stomaco, e scendeva giù giù sino al sesso, quando lei gli scoccava un sorriso furtivo o lasciava cadere una distratta carezza sulla coscia. (p. 228)
  • La stazione era sventrata. Le sirene ululavano. Militari e volontari, fianco a fianco con le mascherine al naso, scavavano le macerie in cerca di un segno di vita. Qualcuno piangeva, i più moltiplicavano gli sforzi per rimandare l'appuntamento con la rabbia e lo sgomento. Arrivarono le troupe televisive. Una folla di parenti angosciati assiepava i binari. Circolava una parola maledetta e rivelatrice: strage. Le lancette del grande orologio del piazzale Ovest erano ferme sulle 10 e 25. L'ora in cui il cuore dell'Italia aveva preso a sanguinare. (pp. 239-240) [sulla strage di Bologna]
  • – Le lacrime del guerriero feriscono le stelle, – sussurrò il Nero, che sembrava avergli letto nel pensiero, – e ritornano sotto forma di stille di sangue. (p. 254)
  • Per come la vedeva Freddo, la vendetta doveva essere il collante che il Libanese aveva così tenacemente cercato. Per la vendetta si doveva agire, pensare, vivere, respirare come un organismo unico. (p. 261)
  • – Primo: storia di pulle è. E gli uomini d'nore con le pulle non si devo mischiare; tranne che per ficcarisilli. Sgubbàricci picculi è cosa da infami. E noi non siamo infami, siamo persone oneste!
    – Ci puoi andare a letto, – tradusse il Maestro, intercettando l'occhiata interrogativa del Dandi, – ma non sfruttarle.
    – Secondo: – riprese il siciliano, – alle migne non si spara. E non perché non se lo meritano, perché cornuti e sbirri sono, e cornuti e sbirri restano, ma perché una migna morta porta più danno che una viva...
    – Non si spara ai poliziotti se non si hanno le spalle larghe e ben protette, – sintetizzò il Maestro.
    – Giusto! – proseguì zio Carlo. – È un cacamento di minchia di quelli allucinanti. Macari, è megghiu accattarisillo che astutarci a luce...
    – Potresti provare a corromperlo, piuttosto, – suggerì il Maestro. (p. 275)
  • Quella parola – Mafia – era stato lui a scandirla, forte e chiara, davanti al plotone di giornalisti eccitati. La vanagloria del Procuratore non lo turbava più di tanto. Solo i risultati contavano. I risultati, e il clima che cambiava. La gente doveva rendersi conto che non c'è solo il terrorismo a questo mondo. Il terrorismo passa. La mafia resta. Era questo il punto di partenza. (p. 295)
  • Le puttane sognano sempre la stessa cosa: una casa con un gran televisore, due figli un uomo che non le picchi tutti i giorni, ma magari solo il fine settimana. Sognano di essere chiamate «signora» quando vanno a fare la spesa. Bei vestiti, qualche gioiello, una macchina o due... (Patrizia, pp. 299-300)
  • Ogni dieci-quindici giorni il Sorcio andava da Trentadenari o dal Freddo per assaggiare la roba. Se era coca, la leccava sulla punta delle dita. L'ero se la iniettava in dosi bassissime, per evitare il rischio di overdose. Come assaggiatore, nessuno poteva stargli alla pari. I suoi giudizi sul grado di purezza e sulle sostanze di taglio potevano sfidare qualunque analisi chimica. (p. 305)
  • Il fatto grave era la morte dei tossici. Solo un idiota può fregarsene, quando un tossico muore. Non c'entra la pietà, è un fatto di mercato. Ogni tossico morto è una fonte di guadagno che si spegne. Quei due disgraziati erano morti per aver cambiato fornitore. È così che schiattano i tossici: passando da un tipo di roba ad un'altra senza badare alle quantità. Succede perché i tossici non pensano. I tossici sono animali. Qualcuno deve pensare per conto loro. (p. 344)
  • Quando smetti con la roba senza scalare la realtà cambia ritmo. Il passo stesso della vita ti scorre un momento a velocità iperbolica, e quello con lentezza liquida. La testa ti finisce in un cerchio di ferro e il cuore si stacca dal torace e se ne va pompando all'aria per conto suo. (p. 347)
  • Il tennis era lo sport più stupido del mondo. Il televisore era l'elettrodomestico più stupido del mondo. Messi insieme, costituivano l'antidoto efficace contro l'ansia. (p. 355)
  • Possiamo vendere insieme, comperare insieme, sparare insieme, persino investire insieme, ma mica il Vangelo dice che dovemo pure anna' a letto insieme! (il Dandi, p. 365)
  • La cosa non mi turba. Fa parte delle regole. Io detesto la gente fidata. La gente fidata è leale, e dunque priva di fantasia. Se mi fossi circondato di gente fidata a quest'ora sarei da un pezzo sottoterra... (il Vecchio, p. 370)
  • – Rimpiangerete questi tempi che ora considerate oscuri.
    – Rimpiangere Moro? Il Pidocchio? Bologna?
    – Vedrà. Lei avrà la fortuna di vivere a stretto contatto con gli ultimi uomini veri. Uomini che hanno passioni e identità. Ma, ahimè, tutto questo avrà breve vita! L'oggi muore e il domani sarà il dominio esclusivo di banchieri e tecnocrati. Ah, e ovviamente di ragazzini rincoglioniti dalla Televisione!
    Scialoja spense il sigaro.
    – Mi ha mandato a chiamare ma non mi sta dicendo niente di nuovo.
    – Può darsi, Ma il problema è suo, non mio. Lei si ostina a cercare un disegno dove non esiste nessun disegno, una trama dove non c'è nessuna trama. La smetta con questa pretesa assurda. Il violino e il calendario riposano l'uno accanto all'altro sul tavolo dell'anatomopatologo, e non c'è niente che li colleghi, se non il caso. Questo non è più il secolo di Hegel. Questo è il secolo di Magritte! (pp. 371-372)
  • – Riportame a casa, Freddo. C'ho un gruzzolo da parte. Prendo Filly e stasera stessa facciamo i bagagli per il Brasile. Ce ne andiamo e nessuno sentirà più parlare di noi.
    – Nessuno ti vedrà mai più in giro, amico mio.
    – Grazie, Freddo, grazie sei più che un fratello per me, grazie... fatte abbraccia', Freddo, fratello mio! [Ultime parole]
    Si abbracciarono. Il Freddo gli sparò attraverso la tasca del trench, con una 357 silenziata che aveva preparato prima dell'incontro. Aggrappato alle sue spalle, Aldo ebbe un sussulto. Il Freddo sparò ancora. Aldo scivolò sulla rena. Il Freddo commise il grave errore di guardarlo in faccia. Aveva gli occhi pieni di lacrime e di stupore. Rivide il volto dell'agnello, scagliò l'arma lontano, che se la prendesse il mare, maledetta pistola, e maledetta vita. Si sentiva più sporco di un infame. (p. 385)
  • Il Freddo gli aprì il cuore. Il Nero lo ascoltava compunto, il volto affilato di tanto in tanto scosso da una smorfia di dolore.
    – Avrei fatto anch'io come te... o forse no, ripensandoci.
    – Spiegati meglio.
    – Stiamo tutti a parlare di infami, di tradimenti, di giuda... ma forse anche nel tradimento c'è una certa bellezza...
    – Io non ti tradirei mai, Nero...
    – E come fai a saperlo? Quando la tua vita dipende da cinque minuscole particelle di piombo che dormono... o fingono di dormire nel cervello... quando persino uno sbadiglio o uno sputo possono portarti mandarti all'altro mondo così, all'improvviso, mentre stai scopando, o te ne stai tranquillo nel tuo letto... be', compagno, ti assicuro che le cose le guardi in tutt'altro modo!
    – Mi stai dicendo che non credi più a niente?
    – Al contario! Prima non credevo a niente. Ti ricordi tutti quei discorsi sull'Idea... l'Idea qua... l'Idea là... tutte cazzate! Ora credo a un mucchio di cose, Freddo. Vuoi sapere qual è la più importante? Essere qui, adesso, con te...
  • Il Vecchio era l'interlocutore privilegiato della diplomazia parallela che legava a filo doppio Italia e Stati Uniti. Il campione dell'anticomunismo viscerale. Il Vecchio era un moderato. Temperava le asprezze degli estremisti con la sua calma sapienza. Era ben gradito anche oltrecortina. No, il Vecchio non era che un rottame, un sopravvissuto di altre epoche, uno specchietto per le allodole, un uomo di paglia che tenevano relegato in un ufficetto senza né fondi né uomini. Macché. Mai come nel caso del Vecchio il ruolo formale non corrispondeva al potere effettivo: mediocre e periferico il primo, oscuro e illimitato il secondo. Il Vecchio era uno spaventapasseri che si agitava nei momenti di crisi. Il Vecchio era il crocevia della Storia segreta dell'ultimo quarto di secolo. (p. 407)
  • [...] Scialoja lo si doveva prendere così com'era con la sua etica distorta da sbirro e le ricorrente tempeste ormonali. (p. 434)
  • Stai coperto, non ti fidare di nessuno, e se senti puzza, ricordati: meglio una galera onesta che una pallottola improvvisa. (Zio Carlo, p. 437)
  • [...] li avvocati sono come le buttane. Ti sucano la minchia e l'anima! (Zio Carlo, p. 438)
  • Il Vecchio, per una volta, era alquanto indeciso. A ragionare lucidamente, si poteva concludere che la situazione generale si andava normalizzando. I comunisti erano stati risospinti all'opposizione, e anche se facevano la voce grossa, la loro influenza era in netto calo. L'ineluttabile declino era già avviato: questione di pochi anni, e le bandiere con la falce e il martello sarebbero finite sulle bancarelle di Porta Portese. Il terrorismo, rosso e nero, era entrato in un vortice autodistruttivo dal quale non c'era ritorno. Tra pentimenti, delezioni, dissociazioni e arresti, la generazione del 1970 era stata di fatto cancellata. Quanto alla mafia, non aveva mai rappresentato un vero problema. La mafia era più che un'istituzione: una necessità storica. Un accordo, alla fine, si riusciva sempre a trovarlo. L'Italia veleggiava tranquilla verso il traguardo degli anni Novanta, mollemente cullata dal ritmo di commedia dell'antica quadriglia dei poteri in eterno conflitto. (p. 447)
  • Un potere unico, senza origine e senza sbocchi. La più perfetta, realizzata forma di anarchia. Era una sua invenzione, ma non ci sarebbe stato nessun lascito alla posterità. Morto il Vecchio, sarebbe morto anche il sistema. L'eternità era l'unico nemico che non sarebbe mai riuscito a sconfiggere. (p. 448)
  • A differenza dei rossi, perennemente impegnati nella stresura di prolissi e noiosissimi documenti, i neri predicavano e praticavano la mistica del gesto, l'idea senza parola. (p. 462)
  • Questo il Vecchio faceva da una vita. Controllare. Questo era il Vecchio. Un controllore. Né di destra, né di sinistra. Senza governi da scalzare e sostituire con sbiadite fotocopie. Solo per se stesso. Per sempre contro la bastarda umanità si rifiutava di comprendere e accettare. Un controllore anarchico. (p. 491)
  • – Quegli amici miei su a Milano, quando prendono un infame prima gli tagliano una mano, poi l'altra. Dopo gli tagliano l'uccello e glielo ficcano in bocca. A questo punto se gli gira dritta concedono il colpo di grazia...
    – E sennò?
    – E sennò si fanno una bella pisciata e buttano il fagotto nell'acido muriatico. Le pallottole costano.
    – Giusto. È così che va fatto, – disse Fierolocchio.
    – Qualche volta poi si scopre che il fesso era pulito...
    – Ma allora...
    – Allora niente. C'era comunque il sospetto. Il sospetto è più che sufficiente, non ti pare? (pp. 531-532)
  • Erano in un cinema di seconda visione, quasi unici spettatori per C'era una volta in America. Dandi l'aveva scelto su suggerimento dell'avvocato. Miglianico aveva ragione: il film non era nuovissimo, e pieno di lentezze esasperanti. Ma parlava di loro. Dopo un'oretta aveva capito come sarebbe andata a finire Woods l'avrebbe messo nel culo a Robert De Niro. L'amara lealtà di De Niro gli aveva fatto girare le palle. Puzzava di sconfitta. Sembrava proprio che il regista si fosse ispirato al Freddo. Dandi si vedeva come il vincente. Il finale era sbagliato, però. Tutto quel tirarsela col rimorso! Se gli fosse riuscita di sfangarla come a James Woods, altro che rimorso! (pp. 536-537)
  • Lei è abituata a pensare che l'errore giudiziario consista nell'arrestare un innocente, o peggio, nel condannarlo. E invece tutti i giorni accade l'esatto contrario: si mandano liberi degli autentici farabutti. (Nicola Scialoja, pp. 539-540)
  • Eravamo a un passo dal cuore putrido dell'affare. Un passo, uno solo. C'eravamo arrivati per caso, indagando sull'omicidio di un malavitoso di mezza tacca. Abbiamo scoperto cose incredibili. Un filo che partiva da quella che io chiamo la «mafia romana» e passava per l'uccisione di Moro, la strage di Bologna, dieci anni di omicidi, e portava nel bunker di una branca speciale direttamente dipendente dallo Stato. Una sezione che ufficialmente non esiste, con un capo fantasma che è il crocevia di tutti i più grandi misteri della Storia recente. (Nicola Scialoja, p. 540)
  • Nelle grandi linee si tratta di politica. Mantenere l'ordine. Tenere la situazione sotto controllo. Affinché niente cambi. I bombaroli potrebbero essere utili. Li lasciano fare. Li usano. Li coccolano. Tutto dipende dall'anticomunismo. La leva iniziale è stata la paura di rossi. Personalmente ho smesso di votare da anni. Ma mi fa inorridire l'idea che per tenere alla larga gente come Amendola e Berlinguer si debba andare a letto con gli assassini. Proteggere i trafficanti di droga. Pagare i terroristi neofascisti. Lasciare mano libera alla mafia. (Nicola Scialoja, pp. 541-542)
  • Senta, a certi livelli l'esercizio del potere diventa un'arte fine a se stessa. Si va avanti per inerzia, o perché non si può più tornare indietro, o perché ci si diverte troppo a muovere le pedine della scacchiera. I fini... ammesso che siano mai esistiti... scolorano, svaniscono, si perdono di vista. Ciò che sopravvive è solo un grande, tragico gioco... se penso a certi dirigenti che ho avuto modo di incontrare... gente che vive nell'ombra e veste di grigio... l'unico paragone che mi viene in mente è con il dottor Stranamore... ricorda il film di Kubrick, no? La bomba per la bomba, una cosa così... (Nicola Scialoja, p. 542)
  • La mafia fa comodo. Qualcuno ci fa affari. (Nicola Scialoja, p. 542)
  • Nicola Scialoja, commissario capo della polizia giudiziaria, è un uomo che non conosce il dubbio. [...] La sua determinazione impressiona. La sua fede nella propria capacità professionale appare tanto incrollabile quanto a giudicare dai risultati, mal riposta. La Storia italiana, la Storia di un Paese che si affaccia saldo, compatto, ricco e prospero all'ultimo decennio del secolo, gli scivola accanto e lui, indifferente, la rivolta secondo la sua personalissima visione. Scialoja è un uomo ossessionato dal Male. Possiamo comprenderlo – deve averne viste tante, nella sua vita professionale! – ma non certo giustificarlo. (Sandra Reynal, p. 543)
  • [...] l'omini che te rompono li cojoni o se comprano o se spengono... (il Dandi, p. 567)
  • Cominciò con una fitta al braccio destro. Poi ci furono la perdita dell'equilibrio, il vortice negli occhi, e infine la cosa più dura da tollorare: il venir meno di quel senso di invulnerabilità, quell'aspettativa di eternità che non l'aveva mai abbandonato lungo tutto l'arco della sua non breve vita. (p. 578)
  • Il Vecchio era infastidito dalle reazioni alla caduta del Muro. Lo indispettiva il clima da avanspettacolo nel quale rischiavano di affogare gli anni più esaltanti della sua esistenza. L'austero, tragico gioco anarchico alla cui costituzione aveva dedicato ogni grammo della sua superiore energia trasformato in un'allegra operetta in costume. Ottusi magistrati devoti a un'insulsa fede legalitaria che in cuor loro sbavavano per passare alla Storia come gli astuti Sherlock Holmes che avevano finalmente risolto il mistero del Grande enigma italiano. Comunisti che strillavano allo scippo della democrazia. Democristiani falchi che rivendicavano l'anticomunismo militante sotto l'ombra della Nato. Democristiani colombe che s'interrogavano nel confessionale sulle distorsioni dell'Alleanza atlantica. Socialisti che menavano mazzate a destra e a manca e intanto tiravano dritto per la loro strada lastricata di lingotti. E tutti in processione alla sua porta: ma perché non si dimette? Ma perché non approfitta delle vantaggiosissime condizioni che le vengono offerte? Una pensione più che dignitosa... uno sdegnoso isolamento... (pp. 586-587)
  • Ma lo vuoi capire che quei quattro sbandati non mi fanno paura? Non possono niente contro di me! Puzzano di carogna! Io sono il Dandi... Dandi, capisci? Io ho dàto una strada e una sicurezza a una massa di coatti... io ho Roma! E sai perché ce l'ho? Perché l'ho fatta io Roma. Proprio così! Prima di me non esisteva niente, qua tutti pascolavano, tutti... siciliani, calabresi, marsigliesi, fichetti, e voi quattro servi a leccare l'osso sotto la tavola dei ricchi... Prima di me c'erano solo usurai da quattro soldi e tagliagole pronti a farsela addosso davanti al primo caramba con le palle... e anche tu, Nero! Co' tutte quelle fregnacce, e l'Idea, e il Gesto, e la Rivoluzione... anche tu sei finito sul mio libro paga... come i ministri, l'avvocati, i giudici, i comandanti colle loro belle uniformi... se pensano che me metto paura de quattro stracciaculi... (il Dandi, pp. 603-604)
  • La partita non la vincono gli eroi giovani e belli. La partita la vince chi resta sul campo quando gli altri ne hanno avuto abbastanza. E di solito a resistere un secondo di più sono gli stortignaccoli, le vesciche di grasso, i ragionieri, i meschini che non gli daresti una lira. È tutto scritto nella vita. (p. 616)

Ma mentre si infilava in ascensore, dopo aver controllato per l'ultima volta il nodo della cravatta, provò una piccola, dolorosa fitta in fondo al cuore. Una puntura di spillo, niente di più. Strano. Nel momento del trionfo, da quali mai oscuri recessi del passato affiorava questo incomparabile senso di sconfitta?

Citazioni su Romanzo criminale

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  • Contribuisce in modo notevole ad aiutare la gente a non pensare, a rivolgere l'attenzione ad altro ed è per questo che il prodotto letterario e poi cinematografico è vincente. (Paolo Crepet)
  • L'unico rischio di Romanzo Criminale – libro, film, serie – è quello di dare una dignità letteraria a personaggi che tutto erano fuorché eroi. (Andrea Scanzi)

Quasi per caso

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Il giovane piemontese stringeva la carabina e fissava stordito il cadavere, che se ne stava disteso su un mucchio di fogliame, con le braccia aperte e la bocca atteggiata a un beffardo sorriso. Come se nel prendere congedo dal mondo avesse finalmente realizzato di quale grande inganno – lui come chiunque – era stato vittima. Come se volesse dire a chi restava: E ora tocca a voi. Anzi, tocca a te. Vediamo come riuscirai a cavartela, ragazzo, perché una cosa è certa: dalla mia morte non potranno che venirtene guai.

Citazioni

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  • Naide si lanciò in un'appassionata esaltazione degli ideali della Repubblica [Repubblica Romana]. Né lei né le altre, tutte le altre, si erano date convegno a Roma perché attratte dall'odore del sangue, da un'idea astratta di patria. Perché la patria, certo, era al centro del loro cuore, ma ancora più nel profondo c'era la consapevolezza di rappresentare l'avanguardia di un modo diverso di essere donne. L'orgoglio di una rivendicazione femminile che, animata dalla forza di milioni di sorelle, avrebbe cambiato per sempre il mondo. (epilogo)
  • [Naide Malarò rivolgendosi ad Emiliano Mercalli di Saint-Just] «Roma è tutto questo, oggi. Roma è la parità totale e assoluta dei diritti. Uomini e donne con la stessa dignità e lo stesso ruolo nel mondo... ma non capisci quanto tutto questo sia decisivo per me? Emiliano, amore, mi gira la testa...» (epilogo)

Gualtiero si stiracchiò.
«Quella pasta con la carbonara, Emiliano...»
«Loro la chiamano "alla carbonara", Gualtiero.»
«Tu l'hai assaggiata. Com'è?»
«Una delizia. Ma dopo quello che è successo...»
«Colpa della selvaggina. Forse si potrebbe sostituire con qualcosa di meno... pericoloso.»
«Io proverei col guanciale, neh!» suggerì Aymone.

Incipit de I traditori

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Il prete ha la tonaca lorda e lo sguardo acceso di follia. Brandisce la torcia urlando frasi sconnesse in un incerto latino misto all'aspra cadenza gutturale del luogo. Invoca il suo Dio, pensa Lorenzo con una punta di disprezzo, o forse il diavolo. Contadini armati di forconi fanno eco alle urla con un sommesso mormorio. Schiacciata contro il portone della chiesa, una povera chiesa di campagna, legata a un palo improvvisato, sopra un cumulo di fascine secche, la ragazza dai capelli rossi ha la veste bianca stracciata, scarpe sfilacciate di corda ai piedi, e fissa il cielo con un sorriso vago. Ma la notte è nera, non ci sono stelle, e solo il riverbero agitato della torcia illumina una scena che sa di Goya e di notturni fiamminghi. Nell'oscurità che protegge i patrioti, gli occhi sarcastici del Calabrotto mandano lampi inquieti. La guida si fa il segno della croce e sputa per terra.

Note

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  1. a b c Citato in Cosa resterà di questi anni Ottanta, Sky.it, 13 aprile 2010.
  2. Citato in Romanzo criminale: intervista agli autori, Italica. Rai.it.
  3. Citato in Emilia Costantini, «Romanzo criminale» a puntate. Una sfida giocata su volti nuovi, Corriere della Sera, 7 novembre 2008.

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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Opere

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