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Luigi Einaudi

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Luigi Einaudi

Luigi Einaudi (1874 – 1961), economista, pubblicista, uomo politico e 2º Presidente della Repubblica Italiana.

Citazioni di Luigi Einaudi

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  • Che i contribuenti combattano una diuturna, incessante battaglia contro il fisco è cosa risaputa, ed è nella coscienza di tutti che la frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno, quali sono, vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l'unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco.[1]
  • Dove sono troppi a comandare, nasce la confusione.[2]
  • È vero che noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano dopo la conquista dell'unità e dell'indipendenza nazionale, peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale, con la conseguenza di impoverire l'agricoltura, unica industria del Sud; è vero che abbiamo spostato molta ricchezza dal Sud al Nord con la vendita dell'asse ecclesiastico e del demanio e coi prestiti pubblici.[3]
  • Ecco pressappoco quanto potrebbe dire un settentrionale, immune da pregiudizi regionali e desideroso soltanto che la luce proveniente dall'esperienza del passato ci serva di guida per l'avvenire.
    «Sì, è vero che noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato di più delle spese fatte dallo stato italiano dopo la conquista dell'unità e dell'indipendenza nazionale.
    Ma se talvolta errammo per egoismo, in massima parte traemmo profitto da una serie di circostanze geografiche, storiche e sociali contro di cui sarebbe stato non solo vana ma dannosa per tutta l'Italia la resistenza.
    Peccammo, è vero di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio nazionale e ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale. Noi riuscimmo così a fare affluire dal sud al nord una enorme quantità di ricchezza, nel momento appunto in cui la chiusura dei mercati esteri, conseguenza della nostra politica protezionista, impoveriva l'agricoltura, unica e progrediente industria del sud. Ma è giusto ricordare che noi settentrionali non saremmo riusciti a consumare il nostro peccato di egoismo protezionista se non fossimo stati aiutati dai grandi proprietari di terre a grano del mezzogiorno; i quali permisero agli industriali del nord di sfruttare i loro corregionali a patto di acquistare anch'essi il diritto di far loro pagare il pane un po più caro del normale.»[4]
  • Giustizia non esiste là ove non vi è libertà.[5]
  • I freni [al potere delle maggioranze] sono il prolungamento della volontà degli uomini morti, i quali dicono agli uomini vivi: tu non potrai operare a tuo libito, tu non potrai vivere la vita che a te piaccia; tu devi, sotto pena di violare giuramenti e carte costituzionali solenni, osservare talune norme che a noi parvero essenziali alla conservazione dello stato che noi fondammo. Se tu vorrai mutare codeste norme, dovrai prima riflettere a lungo, dovrai ottenere il consenso di gran parte dei tuoi pari, dovrai tollerare che taluni gruppi di essi, la minor parte di essi, ostinatamente rifiutino il consenso alla mutazione voluta dai più.[6]
  • I socialisti italiani dell'Avanti! proclamano che l'esperimento [comunista in Russia], nonostante le difficoltà enormi degli inizi, va bene; e va tanto bene che essi non esitano ad additarlo all'imitazione immediata dell'Italia. Noi affermiamo che, prima di tentare un salto nel buio, i capi del socialismo italiano hanno il dovere morale di fornire, non a noi, ma ai loro seguaci, a coloro che essi vogliono trascinare a compiere l'esperimento, la dimostrazione che, così operando, essi sul serio miglioreranno le loro sorti e non cadranno in una miseria peggiore di quella che essi asseverano esistere oggidì. (da Non sorge a Mosca il sole dell'avvenire, Corriere della Sera, 1919; in Le lotte del lavoro, P. Gobetti, 1924)
  • Il grido: "Vogliamo la Pace!" è troppo umano, troppo bello, troppo naturale per un'umanità uscita da due spaventose guerre mondiali e minacciata da una terza guerra sterminatrice, perché ad esso non debbano far eco e dar plauso tutti gli uomini i quali non abbiano cuore di belva feroce.[7]
  • [Lo Stato sovrano è] il nemico numero uno della civiltà umana, il fomentatore pericoloso dei nazionalismi e delle conquiste. Il concetto dello Stato sovrano, dello Stato che, entro i suoi limiti, può fare leggi, senza badare a quel che accade fuori di quei limiti è oggi anacronistico e falso. Quel concetto non è che un idolo della mente giuridica formale e non corrisponde ad alcuna realtà. Pensare che uno Stato, sol perché si dice sovrano, possa dare a sé stesso leggi a suo libito, è pensare l’assurdo. Gli uomini, nella vita moderna signoreggiata dalla divisione del lavoro, dalle grandi officine meccanizzate, dalle rapide comunicazioni internazionali, dalla tendenza a un alto tenore di vita, non possono vivere, se la loro vita è ridotta nei limiti dello Stato. Autarchia vuol dire miseria.[8]
  • L'uomo Datini ... viene fuori dai suoi ricordi, dalla sua corrispondenza; avido di guadagno, deliberato ad arricchire, non mai contento della fortuna accumulata, che sarebbe grande anche ai tempi nostri, sospettoso di fattori, commessi, servitori, mezzadri; lavoratore accanito, di giorno e di notte; non alieno dagli amori vagabondi e ancillari e perciò circondato, in assenza di figli legittimi che la moglie non gli poté donare, da bastardi, dei quali una volle dotare riccamente.[9]
  • La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica.[10]
  • La pianta della concorrenza non nasce da sé, e non cresce da sola; non è un albero secolare che la tempesta furiosa non riesce a scuotere; è un arboscello delicato, il quale deve essere difeso con affetto contro le malattie dell'egoismo e degli interessi particolari, sostenuto attentamente contro i pericoli che da ogni parte lo minacciano sotto il firmamento economico.[11]
  • La raccolta privata, quando c'è, è come lo specchio del raccoglitore. Contiene il materiale dei suoi studi, gli amici spirituali nella cui compagnia egli visse, fa conoscere di quali autori e di quali problemi egli si sia interessato. Essa ha un'anima.[12]
  • La riforma tributaria resterà lettera morta, finchè non riformeranno gli uffici delle agenzie delle imposte, finchè gli accertamenti saranno affidati a poveri agenti, mobili quali frasche al vento, senza alcuna garanzia nelle destinazioni e nelle promozioni.[13]
  • Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie ed investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi.[14]
  • Non si capisce perché siamo andati a cercare un impero in Africa, quando bastava guardare oltre l'Atlantico per capire che ce l'avevamo già.[15]
  • Ove non esistano freni al prepotere dei ceti politici, è probabile che il suffragio della maggioranza sia guadagnato dai demagoghi a procacciare potenza onori e ricchezze a sé, con danno nel tempo stesso della maggioranza e della minoranza. I freni hanno per iscopo di limitare la libertà di legiferare e di operare dei ceti politici governanti scelti dalla maggioranza degli elettori.[6]
  • Se al tremendo pericolo della tirannia sempre imminente nelle società industriali moderne, previsto e temuto più di un secolo fa dai grandi pensatori politici che si chiamavano Alexis de Tocqueville e Jacob Burckhardt, vogliamo sfuggire, importa fare ogni sforzo per conservare e ricostruire e rafforzare le forze sociali e politiche indipendenti dello stato leviathano: dar forza e vigoria alla persona umana, agli aggregati umani, di cui l'uomo fa veramente parte, la famiglia, la vicinanza, il comune, la comunità, la regione, l'associazione di mestiere, di fabbrica, l'ordine o il corpo professionale, la chiesa. Gli uomini hanno bisogno di non sentirsi isolati, atomo fra atomo, numero fra numero.[16]
  • Se il sistema monarchico ha valore politico anche nei tempi odierni, il valore sta esclusivamente nell'uso della prerogativa regia; la quale può e deve rimanere dormiente per lunghi decenni e risvegliarsi nei rarissimi momenti nei quali la voce unanime, anche se tacita, del popolo chiede al sovrano di farsi innanzi a risolvere una situazione che gli eletti del popolo da sé non sono capaci ad affrontare o per ristabilire l'osservanza della legge fondamentale, violata nella sostanza anche se ossequiata in apparenza.[17]
  • Se lo Stato, nei suoi tronconi, avesse dovuto, per far fronte al suo fabbisogno, ricorrere soltanto ai biglietti, sarebbe stato il diluvio universale cartaceo. I prezzi, invece di moltiplicarsi in media per 20-25 in confronto al 1938, si sarebbero moltiplicati per 50 o 60; e il crescere vertiginoso dei prezzi avrebbe cresciuto a sua volta le spese pubbliche, sicché il disavanzo non si sarebbe limitato a 631 miliardi, ma si sarebbe spinto a 1000, a 2000 e chissà fin dove. Sarebbe stato il finimondo e forse la lira avrebbe fatto la mala fine. Chi ci salvò fu il risparmio del Paese. Consapevolmente o inconsapevolmente, recando i propri risparmi alle banche e alle casse di risparmio, le quali lo riversavano in massima parte alla Banca d’Italia, la quale a sua volta lo trasmetteva al Tesoro – e tutto ciò accadeva fatalmente, perché banche e casse non potevano pagare interessi ai depositanti se non impiegavano i depositi presso l’unico cliente, che in tutti i Paesi del mondo in tempo di guerra è lo Stato – i risparmiatori salvarono il Paese dall’estrema rovina.[18]
  • Tutti nasciamo spontaneamente virtuosi, intelligenti, liberali e juventini. Taluni, poi, crescendo si corrompono e diventano imbecilli, interisti o milanisti.[19]
  • Un passo gigantesco sulla via della società di nazioni uguali fu compiuto con la creazione della British Commonwealth of Nations, che male si esprime con la espressione comune di «impero inglese», quando non di un impero si tratta, ma di una società di Stati liberi, indipendenti ed uguali.[20]

Il problema delle abitazioni

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Il problema delle abitazioni è fra quelli che al momento presente interessano maggiormente, perché molto diffusa in tutte le classi della popolazione è la preoccupazione di trovare case o stanze per alloggio.

Citazioni

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  • Altro è [...] comandare una cosa, altro è ottenere che quella cosa si faccia. (p. 43)
  • Gli inquilini uscenti negoziano la casa di cui sono in possesso e se ne vanno via quando dall'inquilino nuovo, all'insaputa del proprietario, abbiano potuto ottenere una mancia sufficiente. Tutto questo mercato clandestino che si è andato formando ha fatto che le case per gli inquilini nuovi salgono i prezzi sempre più inaccessibili. (pp. 45-46)

Lo scrittoio del Presidente

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  • Amante del paradosso è colui il quale ricerca e scopre la verità esponendola in modo da irritare l'opinione comune, costringendola a riflettere ed a vergognarsi di sé stessa e della supina inconsapevole accettazione di errori volgari.
  • È dovere del presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell'occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la costituzione gli attribuisce.
  • [La Costituzione della Repubblica Italiana] Essa afferma due principi solenni: conservare della struttura sociale presente tutto ciò e soltanto ciò che è garanzia della libertà della persona umana contro l'onnipotenza dello stato e la prepotenza privata; e garantire a tutti, qualunque siano i casi fortuiti della nascita, la maggiore uguaglianza possibile nei punti di partenza.
  • Il tempo propizio per l'unione europea è ora soltanto quello durante il quale dureranno nell'Europa occidentale i medesimi ideali di libertà. Siamo sicuri che i fattori avversi agli ideali di libertà non acquistino inopinatamente forza sufficiente ad impedire l'unione; facendo cadere gli uni nell'orbita nord-americana e gli altri in quella russa? Esisterà ancora un territorio italiano; non più una nazione, destinata a vivere come unità spirituale e morale solo a patto di rinunciare ad una assurda indipendenza militare ed economica.
  • Le osservazioni da me trasmesse a proposito dei disegni di legge di iniziativa governativa non hanno avuto mai, anche quando il tono può apparire vivace, indole di critica, sibbene di cordiale cooperazione o di riflessioni comunicate da chi, anche per ragione di età, poteva essere considerato un anziano meritevole di essere ascoltato.
  • Nella vita delle nazioni di solito l'errore di non saper cogliere l'attimo fuggente è irreparabile. (1954)
  • Non le lotte e le discussioni dovevano impaurire, ma la concordia ignava e le unanimità dei consensi.

Prediche inutili

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  • Conoscere per deliberare.
  • Gli esportatori illegali di capitale sono benefattori della Patria, perché i capitali scappano quando i governi dissennati e spendaccioni li dilapidano, e allora portandoli altrove li salvano dallo scempio e li preservano per una futura utilizzazione, quando sarà tornato il buon senso.
  • Il solo fondamento della verità è la possibilità di negarla.
  • Il totalitarismo vive col monopolio; la libertà vive perché vuole la discussione fra la libertà e l'errore; sa che, solo attraverso all'errore, si giunge, per tentativi sempre ripresi e mai conchiusi, alla verità. Nella vita politica la libertà non è garantita dai sistemi elettorali, dal voto universale o ristretto, dalla proporzionale o dal prevalere della maggioranza nel collegio uninominale. Essa esiste sinché esiste la possibilità della discussione, della critica.
  • L'azione va incontro all'insuccesso anche perché non di rado le conoscenze radunate con fervore di zelo non erano guidate da un filo conduttore. Non conosce chi cerca, bensì colui che sa cercare.
  • La maggior parte delle parole comunemente adoperate [dagli uomini politici] sono sovratutto notabili per la mancanza di contenuto. Ciò è probabilmente la ragione del loro successo; essendo legittimo il sospetto che le parole più divulgate siano state consaputamente o inavvertitamente scelte appunto perché esse sono adattabili a qualsiasi azione il politico deliberi poscia intraprendere, quando abbia acquistato il potere. (Discorso elementare sulle somiglianze e sulle dissomiglainze fra liberalismo e socialismo)
  • La verità essenziale qui affermata [è:] non avere il diploma per sé medesimo alcun valore legale, non essere il suo possesso condizione necessaria per conseguire pubblici e privati uffici, essere la classificazione dei candidati in laureati, diplomati medi superiori, diplomati medi inferiori, diplomati elementari e simiglianti indicativi di casta, propria di società decadenti ed estranea alla verità ed alla realtà; ed essere perciò libero il datore di lavoro, pubblico e privato, di preferire l'uomo vergine di bolli. (Scuola e libertà)
  • La verità vive solo perché essa può essere negata. Essendo liberi di negarla ad ogni istante, noi affermiamo, ogni volta, l'impero della verità.
  • Le formule mutano e passano. La dottrina di una verità la quale, scoperta, deve essere riconosciuta ed ubbidita, rimane.
  • Non il voto dei cittadini, ma il riconoscimento degli dèi afferma la volontà generale.
  • Troppo spesso i politici sono persuasi non solo di dover ricercare la verità, ed è persuasione giusta e feconda, ma di conoscere già «quella» verità, «una» verità, e di non poterne tollerare la negazione. E questo è pericolo mortale.

Incipit di Lezioni di politica sociale

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Siete mai stati in un borgo di campagna in un giorno di fiera? In mezzo al chiasso dei ragazzi, alle gomitate dei contadini e delle contadine le quali vogliono avvicinarsi al banco dove sono le stoffe, i vestiti, le scarpe ecc. da osservare, confrontare, toccare con mano ed alle grida dei venditori, i quali vi vogliono persuadere che la loro roba è la migliore di tutte, la sola che fa una gran bella figura quando l'avete addosso, la sola che vi farà prima infastidire voi di portarla che essa di essere frustata, quella che è un vero regalo in confronto al poco denaro che dovete spendere per acquistarla? Quella fiera è un mercato, ossia un luogo dove, a giorno fisso e noto per gran cerchia di paesi intorno, convengono a centinaia i camion, i carri ed i carretti dei venditori carichi delle merci, delle cose più diverse, dai vestiti alle scarpe, dalle casseruole da cucina ai vomeri per l'aratro, dalle lenzuola alle federe, dalle cianfrusaglie per i ragazzi ai doni alla fidanzata per le nozze.

Citazioni su Luigi Einaudi

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  • Durante il fascismo, due autori confortavano principalmente me e qualche altro solitario: Courier e Hugo (col Napoleone il piccolo, La storia di un delitto, I castighi); furon libri che imparammo quasi a memoria, e che Piero Gobetti voleva ristampare. Anche Luigi Einaudi rileggeva assiduamente Paul-Louis, di cui è grande estimatore. Il nostro Presidente, vignaiuolo, ha delle buone ragioni per gustar l'uomo della Chavonnière; giornalista, ha sempre avuto per guida «beaucoup de raison et beaucoup d'humanité», le due doti che Anatole France riconosceva a Paul-Louis. Mi sarà lecito dedicargli questa ristampa? (Arrigo Cajumi)
  • Einaudi era già il migliore economista di Torino quando una mattina del 1919 gli entrò nello studio una matricola dell'università, figlio di un droghiere, che gli chiese un articolo per la sua rivista, specificando di non poter pagare. Einaudi accettò e fu anche grazie a lui che l'allievo divenne Piero Gobetti, liberale antifascista morto esule a 25 anni dopo essere stato aggredito dagli sgherri del regime. (Aldo Cazzullo)
  • E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, manzonianamente, che l'uomo è «buono», come dice Rousseau, ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). (Indro Montanelli)
  • Gli italiani in generale stimano Einaudi perché sentono in lui qualche cosa di diverso, anzi di opposto, a quelle che sono le qualità tipiche dell'italiano. (Giuseppe Prezzolini)
  • [Principi di Scienza delle finanze] Lo considero il libro più importante che sia mai stato scritto da un italiano nel secolo ventesimo. Dopo di lui finì l'economia come scienza umana e arrivò l'economia dominata dalla matematica. (Elémire Zolla)
  • Luigi Einaudi è riescito a fare in pochi anni a traverso il Corriere della Sera quello che le diciannove università del Regno non erano riescite a compiere in cinquant'anni di vita nazionale: fare leggere ragionamenti appoggiati da cifre e cifre illustrate da ragionamenti. (Giuseppe Prezzolini)
  • Luigi Einaudi può essere orgoglioso di aver messo al servizio del paese la sua profonda cultura, il suo alto intelletto, la sua lunga esperienza, la sua fede nella democrazia e nella libertà. (Giovanni Leone)
  • Ogni buon padre di famiglia deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.
    Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. (Indro Montanelli)
  • Quando saranno ordinati e raccolti in uno o più volumi gli articoli che da più di un ventennio Luigi Einaudi è andato pubblicando prima nella Stampa e poi nel Corriere della Sera, si verranno ad avere sottomano i capitoli e di una cronistoria economico-finanziaria dell'Italia e di un trattato italiano di economia applicata. Si resterà allora stupiti di tanta alacrità, di tanta sapienza, di tanto senno e anche di tanto patriottismo. (Umberto Ricci)

Note

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  1. Da La lotta contro la frode fiscale, Corriere della Sera, 22 settembre 1907, p. 1.
  2. Da La riforma tributaria, Corriere della Sera, 2 agosto 1919. Riportato anche in Il buongoverno.
  3. Da La parola di un settentrionale; in Il buongoverno.
  4. Da Il buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), luigieinaudi.it
  5. Da Giustizia e libertà, Corriere della Sera, 25 aprile 1948. Riportato anche in Il buongoverno.
  6. a b Da Maior et sanior pars, Idea, gennaio 1945.
  7. Da Chi vuole la pace?, Corriere della Sera, 4 aprile 1948. Riportato anche in Il buongoverno.
  8. Articolo di Luigi Einaudi, 3 gennaio 1945. Citato in Giuliano Cazzola, Il socialismo è morto, la nuova sfida è contro il sovranismo, Il Riformista, 19 aprile 2020.
  9. Citato in Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, Torino, 2004, parte seconda, cap. VI, p. 283. ISBN 88-06-16804-5.
  10. Da Chi vuole la libertà?, Corriere della Sera, 13 aprile 1948.
  11. Da Economia di concorrenza e capitalismo storico, giugno 1942, p. 65.
  12. Da Viaggio tra i miei libri, in Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, a cura di Bruno Rossi Ragazzi, Edizioni di storia e letteratura, 1953, p. 3.
  13. Citato da Luigi Gasparotto nella Tornata del 12 marzo 1917 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).
  14. Da Dedica all'impresa dei Fratelli Guerrino di Dogliani, 15 settembre 1960; citato in Antonio Thomas, Il legame biunivoco tra imprenditorialità e sviluppo economico: origini, evoluzioni e scelte di policy, Guida Editori, 2009, p. 114. ISBN 8860428297
  15. 1911; citato da Piero Fassino nell'audizione della III Commissione della Camera - Comitato permanente per la politica estera in America Latina, Seduta n. 10 del 10 giugno 2021.
  16. Da Riflessioni di un liberale sulla democrazia: 1943-1947, a cura di Paolo Soddu, L.S. Olschki, 2001.
  17. da Ricordi e divagazioni sul Senato vitalizio, Nuova antologia, febbraio 1956.
  18. Da Il Paese salvato dal risparmio, Libertà, 16 aprile 1946.
  19. Citato in Fulvio Paglialunga, I presidenti della Repubblica del pallone, Rivista Studio, 9 febbraio 2015.
  20. Da Gli ideali di un economista, Pubblicazione della Soc. an. ed. "La Voce", Quaderno 50-51, Serie quarta, Firenze, 1921, cap. II, p. 177.

Bibliografia

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  • Luigi Einaudi, Il buongoverno: Saggi di economia e politica (1897-1954), a cura di Ernesto Rossi, Massimo L. Salvadori, Eugenio Scalfari, Gius.Laterza & Figli Spa. ISBN 8858103890
  • Luigi Einaudi, Il problema delle abitazioni, Fratelli Treves, Milano, 1920; ristampa anastatica, Confedilizia Edizioni, Roma, 2001.
  • Luigi Einaudi, Lezioni di politica sociale, RCS Quotidiani, 2010.
  • Luigi Einaudi, Lo scrittoio del Presidente, Einaudi, 1956.
  • Luigi Einaudi, Prediche inutili (1956 – 1959), Einaudi.

Voci correlate

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Altri progetti

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