Norberto Bobbio

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Norberto Bobbio nel 1988

Norberto Bobbio (1909 – 2004), filosofo, storico e politologo italiano.

Citazioni di Norberto Bobbio[modifica]

  • Arrivai in ritardo a lezione e mi scusai con gli studenti, e dissi: "Avete capito che cosa è successo". Mi ero portato dietro un libro che era uscito poco tempo prima da Einaudi, un bel e grande libro del secolo scorso, di uno scrittore russo, amico di Mazzini [e] di Garibaldi, Alessandro Herzen. Il libro [è] intitolato Un vecchio compagno, ed è una polemica contro i terroristi del tempo. Lessi, come commento all'episodio che ci aveva sconvolto quel giorno [l'agguato contro Carlo Casalegno], alcune frasi. Una di queste frasi è la seguente: «Con la violenza e col terrore si diffondono le religioni e le politiche, si fondano imperi autocratici e repubbliche inscindibili; con la violenza si può distruggere e sgomberare il posto, ma non si può fare di più».[1]
  • Diritti dell'uomo, democrazia, pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico.[2]
  • [L'aborto] È un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri. [...] Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell'aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all'aborto.[3]
  • I problemi sono due: se la guerra sia giusta e se – oltre che giusta – sia efficace. Per quanto riguarda il primo problema la risposta è indubbia: è una guerra giusta perché fondata su un principio fondamentale del diritto internazionale che è quello che giustifica la legittima difesa. Per quel che riguarda invece il secondo punto, l'efficacia, bisogna tener conto di alcune condizioni: la guerra sarà efficace innanzitutto se è vincente, in secondo luogo se è rapida rispetto al tempo e se è limitata rispetto allo spazio, nel senso che sia ristretta al teatro di guerra dell'Iraq.[4]
  • Il mestiere del profeta è pericoloso. La difficoltà di conoscere l'avvenire dipende anche dal fatto che ognuno di noi proietta nel futuro le proprie aspirazioni e inquietudini, mentre la storia prosegue il suo corso indifferente alle nostre preoccupazioni.[5]
  • Il vecchio vive di ricordi e per i ricordi, ma la sua memoria si affievolisce di giorno in giorno. Il tempo della memoria procede all'inverso di quello reale: tanto più vivi i ricordi che affiorano nella reminiscenza quanto più lontani nel tempo degli eventi. Ma sai anche che ciò che è rimasto, o sei riuscito a scavare in quel pozzo senza fondo, non è che un'infinitesima parte della storia della tua vita.[6]
  • La guerra moderna è, in una parola, al di là di ogni principio di legittimazione e di ogni procedimento di legalizzazione. La guerra dopo essere stata considerata un mezzo per realizzare il diritto, e un oggetto di regolamentazione giuridica, è tornata ad essere quello che era nella ricostruzione hobbesiana, l'antitesi del diritto. (da Il problema della guerra e le vie della pace)
  • La nostra classe, o per lo meno alcuni di noi, avevano acquistato una speciale sensibilità [...] per la presenza di un giovane precocissimo, che aveva, a quindici anni – quando entrò al d'Azeglio come studente di prima liceo – tal vastità di cultura, tal maturità di giudizio e tal altezza di coscienza morale da suscitar meraviglia nei professori – e uno di quei professori lo ha chiamato discepolo maestro – e schietta ammirazione, senza invidia, nei compagni: parlo di Leone Ginzburg.[7]
  • La prima condizione perché il dialogo sia possibile è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l'altro dice.[8]
  • La speranza è una virtù teologica. Quando Kant afferma che uno dei tre grandi problemi della filosofia è "che cosa debbo sperare", si riferisce con questa domanda al problema religioso. Le virtù del laico sono altre: il rigore critico, il dubbio metodico, la moderazione, il non prevaricare, la tolleranza, il rispetto delle idee altrui, virtù mondane e civili.[9]
  • Mai come nella nostra epoca sono state messe in discussione le tre fonti principali di diseguaglianza: la classe, la razza e il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini, prima nella piccola società familiare, poi nella più grande società civile e politica, è uno dei segni più certi dell'inarrestabile cammino del genere umano verso l'eguaglianza.
    E che dire del nuovo atteggiamento verso gli animali? Dibattiti sempre più frequenti ed estesi, riguardanti la liceità della caccia, i limiti della vivisezione, la protezione di specie animali diventate sempre più rare, il vegetarianismo, che cosa rappresentano se non avvisaglie di una possibile estensione del principio di eguaglianza al di là addirittura dei confini del genere umano, un'estensione fondata sulla consapevolezza che gli animali sono eguali a noi uomini, per lo meno nella capacità di soffrire?
    Si capisce che per cogliere il senso di questo grandioso movimento storico, occorre alzare la testa dalle schermaglie quotidiane e guardare più in alto e più lontano.[10]
  • Max Weber distingueva tre tipi di capo carismatico. Il profeta religioso, il grande demagogo e il capo militare.[11] Mussolini è stato soprattutto un gran demagogo. Stalin è stato soprattutto il capo militare, o almeno amava presentarsi come tale. Appariva sempre in divisa, e faceva bella mostra delle sue medaglie. Quanto al profeta religioso, lo era, in parte, forse Mao. (da Dialogo intorno alla repubblica)
  • Non dico che gli ottimisti siano sempre fatui, ma i fatui sono tutti ottimisti.[12]
  • Non ho nessuna speranza. In quanto laico, vivo in un mondo in cui è sconosciuta la dimensione della speranza. (da De senectute)
  • Per capire che cosa significhi per un diritto essere naturale, bisognerebbe prima di tutto mettersi d'accordo sul significato del termine «natura». Purtroppo, «natura» è uno dei termini più ambigui in cui sia dato imbattersi nella storia della filosofia.[13]
  • Per quel che riguarda la fine del nostro secolo, ne siamo ancora troppo lontani per trovarci nello stato d'animo proprio della fin de siècle, tanto più che questa volta la fine del secolo coincide con la fine del millennio, e le cose si complicano. A giudicare dall'unico precedente di cui abbiamo testimonianza, le previsioni non dovrebbero essere molto allegre. Si tratta nientemeno della fine del mondo. La prima volta l'attesa andò delusa. Questa volta i pronostici sono meno rassicuranti.[14]
  • Perché li vedo. Perché vedo i nuovi fascisti. Perché vedo la stessa mentalità, la stessa strafottenza e la stessa volgarità. Sono arrivati loro ed è arrivata la rissa volgare. Quella famosa scena alla Camera. Quegli insulti, sulla base di "pederasta". È una cosa così fascista. Così spaventosamente fascista. Così squisitamente fascista. È terribile che non se ne rendano conto. È il virilismo fascista. Oh, perbacco, così tipico. Nessun'altra forza politica usa così espressioni che riguardano la sfera sessuale per insultare la gente. "Pederasta". "Masturbatore". "Impotente". La tipica triade degli insulti fascisti. Per me era inconcepibile che il fasciscmo potesse tornare, a cinquant'anni dalla sua sconfitta. Mi sto ricredendo. [...] Non si può andare al di là dell'antifascismo se i fascisti si dimostrano ancora tali. [...] Il fascismo rappresenta l'altra Italia. L'Italia incivile.[15]
  • Premetto che l'unico modo d'intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole (primarie o fondamentali) che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure. (da Il futuro della democrazia, Einaudi, 1991)
  • Prendere posizione non vuol dire parteggiare, ubbidire a degli ordini, opporre furore contro furore, vuol dire tender l'orecchio a tutte le voci che si levano dalla società in cui viviamo e non a quelle così seducenti che provengono dalla nostra pigrizia o dalla nostra paura esaltate come virtù del distacco e dell'imperturbabilità, ascoltare i richiami dell'esperienza e non soltanto quelli che ci detta un esasperato amor di noi stessi, gabellato per illuminazione interiore. E solo dopo aver ascoltato e cercato di capire, assumere la propria parte di responsabilità.[16]
  • Qualche volta è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato una macchina. Anche se ci fosse un miliardesimo di miliardesimo di probabilità che il granello, sollevato dal vento, vada a finire nel più delicato degli ingranaggi per arrestarne il movimento, la macchina che stiamo costruendo è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il destino.[17]
  • Se è vero che il fine giustifica i mezzi[18], ne discende che il non raggiungimento del fine non consente più di giustificarli.[19]
  • Se Mosca finì per accettare il regime parlamentare, continuò a rifiutare energicamente ed ostinatamente la democrazia sia formale sia sostanziale.[20]
  • Su Piero Calamandrei, uno dei protagonisti della mia Italia civile, sono tornato più e più volte nella mia vita, studiando la sua opera, in specie gli scritti politici e giuridici, pieno di ammirazione per la sua meravigliosa e multiforme attività di scrittore, di giurista, di avvocato, di uomo politico, di letterato: un'ammirazione, accompagnata da un profondo affetto per l'uomo severo e insieme amante della lieta conversazione, sferzante ed ironico, ilare e melanconico, coraggioso senza spavalderia, prodigo di sé senza vanità, animato da una fervida passione per la giustizia attraverso la legge, quando è possibile, o attraverso l'aperta lotta politica quando il diritto vien meno, diviso, secondo gli eventi e la natura dei suoi interlocutori, tra incontenibili sdegni e buoni sentimenti, tra l'irriducibile avversione per i ribaldi e il culto della più pura e disinteressata amicizia, insofferente dei prepotenti e sofferente coi poveri, i derelitti, le vittime del potere, sempre alla ricerca di un'innocenza perduta che identificava nell'età dell'infanzia felice e verso una innocenza da ritrovare in una futura società più libera e più giusta.[21]
  • Tra i libri di Pavese, quello che mi ha commosso di più e ho letto e riletto più volte è proprio Il mestiere di vivere. Del resto, ho conosciuto troppo bene Pavese, e non ho bisogno di leggerlo e sfogliarlo per conoscerlo a fondo. Non siamo stati compagni di liceo perché lui aveva un anno di più. Ma io ho fatto parte del gruppetto di allievi del D'Azeglio, che si riunivano intorno ad Augusto Monti, dopo l'uscita dal liceo e negli anni universitari, per prepararci a diventare "uomini di lettere", ciascuno nel campo di studi da lui preferito. Come è stato raccontato altre volte, le riunioni avvenivano ogni mercoledì nel pomeriggio, in un piccolo caffé di una breve via torinese vicino alla stazione. Sono gli anni in cui i più precoci, Ginzburg, Mila e, appunto, Pavese, fanno le loro prime prove di scrittura su riviste come "Il Baretti" e "La Cultura", pre-einaudiana ed einaudiana. Ebbi per qualche tempo con Pavese un rapporto personale, perché, entrato all'Università, avevo cominciato a prendere lezioni d'inglese insieme con mio fratello.[22]

Autobiografia[modifica]

  • Chi entra in un labirinto sa che esiste una via d'uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca. Procede a tentoni. Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende un'altra. Talora la via che sembra più facile non è la più giusta; talora, quando crede di essere più vicino alla meta, ne è più lontano, e basta un passo falso per tornare al punto di partenza. Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come si dice, un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro. [...] non ci si butti mai a capofitto nell'azione, che non si subisca passivamente la situazione, che si coordinino le azioni, che si facciano scelte ragionate, che ci si propongano, a titolo d'ipotesi, mete intermedie, salvo a correggere l'itinerario durante il percorso, ad adattare i mezzi al fine, a riconoscere le vie sbagliate e ad abbandonarle una volta riconosciute.
  • Per la maggior parte della mia vita ho avuto due compiti difficilissimi da svolgere: insegnare e scrivere. E confesso di essere sempre stato perseguitato dal dubbio di non essere all'altezza di questi due ardui impegni.
  • Come ho detto tante volte, la storia umana, tra salvezza e perdizione, è ambigua. Non sappiamo neppure se siamo noi i padroni del nostro destino. (ultima pagina)
  • Cultura è equilibrio intellettuale, riflessione critica, senso di discernimento, aborrimento di ogni semplificazione, di ogni manicheismo, di ogni parzialità.

Che cosa fanno oggi i filosofi?[modifica]

  • I due mali contro cui la ragione filosofica ha sempre combattuto – e deve combattere ora più che mai – sono, da un lato, il non credere a nulla; dall'altro, la fede cieca.
  • Quando si mette in questione la cosiddetta avalutatività della scienza e si dice che la scienza è ideologica, si dice un'idiozia. La scienza come tale non è né capitalistica né comunistica, né feudale, né borghese. Ciò che può essere capitalistico o comunistico è l'uso della scienza. La scienza è neutrale; lo scienziato può anche non esserlo.
  • Diffidate di un filosofo che sa di sapere.
  • È chiaro che l'ideale della totale libertà non esiste in nessuna società. Insomma, ci sono maggiori e minori approssimazioni a questa idea della società libera.
  • La maggior parte degli uomini di oggi non sono tanto atei o non credenti, quanto increduli. Ma colui che è incredulo non è fuori dalla sfera della religione. [...] Lo stato d'animo di chi non appartiene più alla sfera del religioso non è l'incredulità, ma l'indifferenza, il non saper che farsene di queste domande. Ma l'indifferenza è veramente la morte dell'uomo.

Intervista a Norberto Bobbio[modifica]

Incipit[modifica]

Edmondo Aroldi: Ai non addetti ai lavori giungono, specie negli ultimi tempi, sempre più frequenti e allarmanti enunciazioni del pensiero filosofico. Sono notizie che li inducono a convincersi di vivere in un'epoca di gravi perdite. Per esempio, dopo Dio, si sentono dire che anche Marx è morto. Si tratta di un decesso incerto e controverso. Che cosa risponderebbe a chi credesse rozzamente: insomma, professore, Marx è morto o no?
Norberto Bobbio: Non credo alle formule definitive. Un'impostazione della storia come aut-aut è contraria al mio modo di pensare. La storia è molto più complessa, è un errore interpretarla per svolte, non c'è qualcosa che veramente finisce, c'è sempre continuità. Per quanto riguarda il marxismo, mi sembra che non si possa dire che Marx sia morto. Non è un'affermazione nuova, ogni tanto qualcuno l'ha fatta propria, è quindi una presunta novità, è ormai trascorso quasi un secolo da quando Croce ha scritto Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia. Va da sé che in certi periodi il marxismo non ha esercitato particolare influenza nel nostro paese. Per esempio, mancavano grandi studi quando Giolitti parlò di «Marx in soffitta». Ma sono cose note che, semplificando colloquialmente, si possono definire le tre successive fasi del marxismo in Italia... Se Marx è morto, lo è per qualche filosofo deluso dalla storia del mondo. Stenderne il certificato di morte è quanto meno prematuro e superficiale.

Citazioni[modifica]

  • La democrazia è il più grande tentativo di organizzare una società per mezzo di procedure non violente.
  • La storia insegna che l'unico modo di rispondere alla violenza è la violenza. La sola soluzione possibile sarebbe quella di sostituire all'uso delle armi l'uso della parola.
  • La storia umana è una storia di lacrime e di sangue. Come dissentire dall'immagine di Hegel che rappresenta la storia umana come un «immenso mattatoio»?

Politica e cultura[modifica]

  • Il còmpito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccoglier certezze.
  • La filosofia militante che ho in mente è una filosofia in lotta contro gli attacchi, da qualsiasi parte provengano — tanto da quella dei tradizionalisti come da quella degli innovatori — alla libertà della ragione rischiaratrice.
  • Quello che importa, in questo riaffiorare di miti consolatori ed edificanti, è di impegnarsi a illuminare con la ragione le posizioni in contrasto, a porre in discussione le pretese dell'una e dell'altra, di resistere alla tentazione della sintesi definitiva, o della opzione irreversibile, di restituire, insomma, agli uomini — l'un contro l'altro armati da ideologie in contrasto — la fiducia nel colloquio, di ristabilire insieme col diritto della critica il rispetto dell'altrui opinione.
  • Tra i difensori ad oltranza ed i liquidatori sino allo sterminio, s'interpone l'uomo di ragione e incomincia a interrogare la storia.
  • Quando il procedimento dogmatico è assunto dal potere politico come mezzo di governo, la resistenza contro il dogmatismo e la difesa dello spirito critico diventano per l'uomo di cultura un dovere, oltre che morale, politico, che rientra perfettamente nel concetto di una politica della cultura.
  • C'è una generazione che si è trovata, come accade di solito in periodi di crisi, di fronte a problemi enormi: tutti i valori di una civiltà sono stati messi in discussione. [...] Si capisce in questa situazione la seduzione della certezza, non importa se posticcia. Ma è proprio questa certezza posticcia che crea attorno a sé il silenzio. Ogni più leggero soffio di critica rischierebbe di disperderla. È fragile e bisogna non esporla troppo agli urti delle certezze altrui.
  • Mi pare, del resto, che l'atteggiamento pessimistico si addica di più che non quello ottimistico all'uomo di ragione. L'ottimismo comporta pur sempre una certa dose di infatuazione, e l'uomo di ragione non dovrebbe essere infatuato. [...] Il pessimismo non raffrena l'operosità, anzi la rende più tesa e diritta allo scopo. Tra l'ottimista che ha per massima: «Non muoverti, vedrai che tutto si accomoda», e il pessimista replicante: «Fa' ad ogni modo quel che devi, anche se le cose andranno di male in peggio», preferisco il secondo. (pp. 202-203)
  • Sarebbe davvero un gran progresso, dopo aver combattuto la pretesa delle chiese di essere in possesso dell'unica verità, finire di ammettere che della verità assoluta è in possesso un ente pubblico collettivo, senza rivelazioni soprannaturali e senza interventi divini, come lo stato (o il partito). (Dialogo tra un liberale e un comunista)

Incipit di Contro la pena di morte[modifica]

Se noi guardiamo al lungo corso della storia umana più che millenaria dobbiamo riconoscere, ci piaccia o non ci piaccia, che il dibattito per l'abolizione della pena di morte si può dire appena cominciato. Per secoli il problema se fosse o non fosse lecito (o giusto) condannare a morte un colpevole non è stato neppure posto. Che tra le pene da infliggere a chi aveva infranto le leggi della tribù, o della città, o del popolo, o dello stato, ci fosse anche la pena di morte, e che anzi la pena di morte fosse la regina delle pene, quella che soddisfaceva a un tempo il bisogno di vendetta, di giustizia e di sicurezza del corpo collettivo verso uno dei suoi membri infetti, non è mai stato messo in dubbio.

Citazioni su Norberto Bobbio[modifica]

  • Bobbio assume per tutta l'Italia quella figura di capo spirituale degli indipendenti di sinistra. (Giacomo Noventa)
  • Bobbio dimostra di avere una concezione aristocratica della lotta politica e di non conoscere le ragioni consapevoli che guidano la lotta ideale e politica delle forze popolari. (Giorgio Amendola)
  • La lezione principale di Bobbio [...] è stata che l'intellettuale svolge la propria funzione critica e non propagandistica solo (o anzitutto) quando sa parlare contro la propria parte. (Umberto Eco)
  • [Sull'elezione del 7° Presidente della Repubblica Italiana] Se venisse per esempio Norberto Bobbio alla presidenza della Repubblica, ne sarei veramente felice. Ma poiché mi viene chiesto quale sarebbe, riguardo alla scelta del Presidente, il mio personale e vivissimo desiderio, rispondo con questi due nomi, Vittorio Foa e Umberto Terracini. Penso che nell'uno e nell'altro si radunino le qualità che ho detto, l'esperienza del carcere lunga e acerba, la libertà di giudizio e il rigore morale e civile, una conoscenza lucidissima e presente della realtà attuale, e che tali qualità regnino in loro in una forma incontrovertibile, visibile a tutti e luminosa. (Natalia Ginzburg)
  • Sono stati autori quali Bobbio a ritenere che il rovesciamento del «campo socialista» in Europa orientale e la dissoluzione dei partiti comunisti in Occidente avrebbe dato slancio alla sinistra occidentale, finalmente liberata dal piombo nelle sue ali. Com'è noto, è avvenuto il contrario. (Domenico Losurdo)

Note[modifica]

  1. Dal programma televisivo La notte della Repubblica, Rai 2, 14 febbraio 1990.
  2. Da I diritti dell'uomo, oggi, ne L'età dei diritti, Einaudi, Torino, 2014. ISBN 9788858412251
  3. Dall'intervista di Giulio Nascimbeni, Bobbio: ecco perché sono contro l'aborto, Corriere della Sera, 8 maggio 1981.
  4. Dall'intervista rilasciata a TG3, 15 gennaio 1991. Video disponibile su Youtube.com.
  5. Da Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2013. ISBN 9788858411698
  6. Da De senectute e altri scritti autobiografici, Einaudi.
  7. Da Tre maestri: Umberto Cosmo, Arturo Segre, Zino Zini, in Etica e politica. Scritti di impegno civile, a cura di M. Revelli, Mondadori, Milano 2013, p. 124.
  8. Da Norberto Bobbio, Pietro Polito, Il mestiere di vivere.
  9. Da De senectute, Einaudi, Torino, 1996.
  10. Da Destra e sinistra, pp. 120-121.
  11. Si veda Max Weber, Economia e società, vol. IV, sez. V.
  12. Da Etica e politica: scritti di impegno civile, a cura di Marco Revelli, Mondadori, 2009, p. 822.
  13. Da Argomenti contro il diritto naturale, in Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Laterza, 2014.
  14. Da La Cultura italiana tra '800 e '900 e le origini del nazionalismo, Leo S. Olschki, 1981, p.3.
  15. Dall'intervista di Alberto Papuzzi, Antonicelli «purtroppo» attuale, La Stampa, 5 novembre 1994. p. 17.
  16. Da Cultura vecchia e politica nuova, Il Mulino, IV, luglio 1955, n. 7; ora in Politica e cultura, a cura di Franco Sbarberi, Einaudi, Torino, 2013. ISBN 9788858409732
  17. Da Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, 1991.
  18. Motto erroneamente attribuito a Niccolò Machiavelli.
  19. Dall'intervista di Giancarlo Bosetti, «No, non c'è mai stato il comunismo giusto», l'Unità, 3 aprile 1998, p. 7.
  20. Da Introduzione a Gaetano Mosca, La classe politica, Editori Laterza, Bari, 1966, p. XXVIII.
  21. Da Calamandrei, uomo, in Giornata lincea in ricordo di Piero Calamandrei, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1993, p. 9.
  22. Da Il mestiere di vivere, di insegnare, di scrivere: conversazione con Pietro Polito, Passigli, Firenze, 2014, pp. 36-42. Riportato in Chiave di lettura – Il mestiere di vivere (Norberto Bobbio), centrogobetti.it, 8 settembre 2020.

Bibliografia[modifica]

  • Edmondo Aroldi, Intervista a Norberto Bobbio, La lettura, Rizzoli Editore, dicembre 1977.
  • Norberto Bobbio, Autobiografia, a cura di Alberto Papuzzi, Laterza.
  • Norberto Bobbio, Contro la pena di morte, Amnesty International, Sezione Italiana, 1981.
  • Norberto Bobbio, Destra e sinistra, Donzelli editore, Roma, 2009. ISBN 978-88-6036-382-4
  • Norberto Bobbio, Politica e cultura, a cura di Franco Sbarberi, Einaudi, 2005.
  • Norberto Bobbio, Umberto Cerroni, Umberto Eco, Italo Mancini, Paolo Rossi, Emanuele Severino e Gianni Vattimo, Che cosa fanno oggi i filosofi?, Bompiani, Milano, 1982.
  • Norberto Bobbio e Maurizio Viroli, Dialogo intorno alla repubblica, Laterza, 2001.

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