Antonio Pennacchi

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Antonio Pennacchi

Antonio Pennacchi (1950 – 2021), scrittore italiano.

Citazioni di Antonio Pennacchi[modifica]

Intervista a Sette, 29 marzo 2002
  • Uno scrive libri e non se lo fila nessuno. Poi un giorno manda affanculo Vattimo e te vengono a cercà tutti.
  • Sono disposto a vendere il culo ma non la lingua.
  • Destra è per l'uomo, sinistra per la collettività.
  • Il '68 è stato una guerra civile. Io non ho commesso reati di sangue. Ma ero disponibile. Mica io solo. Tutti quegli stronzi che adesso dicono: "Io venivo solo alle manifestazioni, ero contrario alla violenza", dicono il falso! Quando passavamo noi della Volante Rossa, tutti 'sti compagni battevano le mani!.
  • Non mi piace la parola avversario. Sono uscito dalla visione antagonista quando ho capito che non era mio diritto uccidere la gente. Ho accettato le regole.
  • Mi dicono: "Tu hai il cervello a sinistra e il cuore a destra". Ma il mio cuore non è a destra. Sono i fascisti che stavano a sinistra: il fascismo era dittatura del proletariato.
  • Angelo Guglielmi ha scritto: "Troppe citazioni: come se l'autore volesse far vedere che ha studiato!". E non ha capito che le citazioni erano false. Era un gioco. Gli ho mandato una lettera: "Guardi che le citazioni me le sono inventate".

Canale Mussolini[modifica]

Incipit[modifica]

Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui? Lì eravamo sempre stati e lì stavano tutti i nostri parenti. Conoscevamo ogni ruga del posto e ogni pensiero dei vicini. Ogni pianta. Ogni canale. Chi ce lo faceva fare a venire fino qua?
Ci hanno cacciato, ecco il perché. Con il manico della scopa. Il conte Zorzi Vila. Ci ha spogliato di tutto. Derubati. Le bestie nostre. I vitelli. Le mucche con delle poppe così. Non ha idea del latte che facevamo. Con uno schizzo solo riempivamo un secchio. Non facevamo nemmeno in tempo a sederci sullo sgabello e a massaggiare un po' la tetta che via, come titillavi il primo capezzolo partiva un getto che lo riempiva. Dovevamo reggerlo forte tra le gambe perché non cadesse.

Citazioni[modifica]

  • Il dramma della condizione umana è proprio questo: sei quasi perennemente condannato a vivere nel torto, pensando peraltro d'avere pure ragione. (p. 281)

Il fasciocomunista[modifica]

  • Intanto s'era fatto il 1968. Scoppiavano casini dappertutto, in tutto il mondo, fuori che a Latina. A Latina filava tutto tranquillo, anzi più tranquillo di prima, visto che noi non eravamo più fascisti e nessuno andava più a fare scritte sui muri, attaccare manifesti e bruciare qualche cosa. Manco il Mare della Tranquillità sopra la Luna.
  • [L'erezione] era un fatto meccanico e a provocarlo bastava qualunque cosa. Pure, una volta, la statua della Madonna – l'unica donna, in effetti, che c'era in giro, anche se di gesso – con tutta la veste azzurra ma con quel piedino ignudo che sbucava a schiacciare la testa del serpente. Era un piedino provocante. (da Il fasciocomunista)
  • Ma la sera prima di partire sono andato in camera di padre Cavalli, ho bussato e gli ho detto: "Mi voglio confessare". Lui ha capito che era per farlo contento, che non ci credevo più come una volta; ma m'ha confessato uguale: "Male non può farti" [...] e gli ho raccontato tutto quanto, dalla A alla Z, senza nascondere o tralasciare nessun particolare, nessuna piega, nessuna viltà: gli ho detto pure le cose che non avevo mai detto a me.
  • Se mi facevi fare il classico non succedeva niente.
  • Mimì dice che stavano a pranzo, in cucina. Stavano mangiando la pasta e fagioli, coi quadrucci fatti in casa. La televisione in sala era spenta, non hanno sentito il telegiornale dell'una: "Ucciso terrorista in un conflitto a fuoco" [...] Ma lo ha sentito la signora Elide al piano di sopra: ha spalancato la finestra, s'è piantata le unghie nel viso, s'è graffiata, poi s'è strappata i capelli e con le mani di nuovo sui capelli, a strappare nuove ciocche, ha urlato: "Signora Lii... hanno ammazzato tuo figlio!"
  • Ma quali "pesci nell'oceano", noi eravamo frati francescani e quando tutt'intorno la gente normale, gli studenti, quella della Fgci, quelli di Lotta Continua, gli operaisti, i Circoli Lenin, tutta la gente normale respirava quel po' di libertà portata dal '68, almeno quella sessuale, e le ragazze cominciavano ad uscire pure dopo le sette di sera e tutti ormai scopavano come ricci -sopratutto con le mie sorelle- solo noi facevamo la vita dei monaci.
  • Noi abbiamo continuato come prima, a fare il nostro lavoro politico: tu non è che t'accorgi, sul momento, che la storia è improvvisamente cambiata.
  • Ma quella bomba ha cominciato a rimettere le cose a posto, in fretta e furia, s'è chiuso il contratto dei metalmeccanici ed iniziato il ritorno all'ordine. "Gli opposti estremismi non passeranno" diceva la Democrazia Cristiana. E non sono passati.
  • [Aldo Brambillari, leader di "Servire il popolo"] Era l'uomo che avrebbe salvato l'Italia, il futuro capo del Governo rivoluzionario. Si diceva che fosse stato in Cina e che Mao Tse-tung fosse rimasto meravigliato dalla scientificità delle sue analisi [...] Adesso sta con Berlusconi.
  • Io a Joan raccontavo che il mondo non mi piaceva, che era brutto, che c'era solo ingiustizia, la bomba atomica, si nasce solo per morire [...] e infatti le diceva che non avrei mai avuto figli, mai avrei commesso la colpa di condannare mio figlio alla vita. E lei s'è messa a piangere. Eravamo stesi sulla duna, tra il lago di Fogliano e il mare, in mezzo al sole e alla tamerici, col Circeo sullo sfondo e lei piangeva. Piangeva per me.
  • L'estate è passata come al solito, a tentare di rimorchiare qualcuna sul lungomare: era l'unico modo per scordarsi Francesca, non è che ce ne fossero altri. Ma la caccia andava male e quindi non me la scordavo. Non facevo altro che parlare di lei e di quanto soffrissi: "Che palle" facevano i miei amici.
  • Ma lui era gentile, dolce. Voleva che gli dessimo del tu, ma io non me la sentivo. Ci chiedeva cosa facevano, le nostre storie. Noi eravamo conquistati. Ci aspettavamo che da un momento all'altro ci facesse delle proposte, perché i suoi gusti erano abbastanza noti. Ero anche curioso di vedere come avrei reagito: quello era Pasolini. La Poesia. La Cultura. Cosa vuoi che contasse il resto?
  • La società era ancora fascista [...] la Democrazia Cristiana rubava a rotta di collo. Altro che "politica come servizio", la gente faceva politica per farsi gli affari propri. [...] Ai giovani gli sembrava che non dovesse essere così ed erano scesi in piazza. Tutti quanti. Pure i fasci. All'inizio sembrava tutto bello: tutti insieme a discutere, a festeggiare, "la fantasia al potere", e le ragazze che stavano fuori la notte fino a tardi. Mai visto prima.
  • Allora quando uno partiva per Milano, la gente andava a salutarlo alla stazione, veniva tutta la famiglia, con la nonna, le zie e i fidanzati delle cugine, e la madre piangeva e tutti lo salutavano con il fazzoletto bianco, fino a che il treno era già arrivato a Cisterna e la gente diceva: "Chissà se lo rivedremo più".
  • Io ci ho messo una vita a capire che la gente non dice mai quello che pensa. Dicono una cosa e ne pensano un'altra, poi la colpa è la mia che il prendo sul serio.
  • A dire la verità non era affatto dispiaciuto anzi, mi sono dispiaciuto dopo, poco prima delle dieci di sera, quando ci hanno rilasciato. Credevo che almeno questa volta ce l'avrei fatta ad andare in galera e manco a via Aspromonte [carcere di Latina] proprio a Regina Coeli. Invece no.
  • Hanno cominciato a strillare: "Buffoni! Buffoni!" e a lanciare uova. Noi pigliavamo ste uova e le lanciavamo a casaccio davanti, a dove colgo colgo: teste, musi, vetrina. Lanciavamo come mitragliatrici e ci veniva da ridere, senza nessuna paura.
  • Comunque -un palazzo tira l'altro- era cresciuta tutta Latina, con me che la guardavo. Ed ero fiero mentre cresceva, mi mettevo lì a fissare i carpentieri che costruivano ponteggi e pennoni in legno, perché non c'erano ancora quelli di ferro, prefabbricati. Ogni casa era come se la facessi io, la città cresceva con me, crescevamo assieme e tutto andava d'accordo secondo l'ordine naturale delle cose: non mi sconvolgeva, c'era il mio consenso, l'accettavo, mentre ancora non riesco ad accettare le palazzine che hanno fatto davanti casa nostra mentre stavo in seminario. Non c'erano, sono tornato e le ho trovate all'improvviso. Aliene.
  • Adesso erano tutti matti per la Zona B. Erano incazzati come bestie. Non ce n'era uno che gli fosse venuto in mente di andare a fare sega ai giardini. Tutti per la Zona B. Magari fino al giorno prima non sapevano nemmeno che che cos'era.
  • Così -appena finito il comizio e quello scendeva dal palco- m'intrufolavo fra la gente finché riuscivo ad arrivargli a tiro: "Scusi permette una domanda?". Tutti facevano finta di prestarmi attenzione: "Sentiamo cos'hanno da dire le giovani generazioni". Io sparavo le mie puttanate. A Saragat chiesi perché ce l'aveva tanto coi fascisti che avevano fatto la bonifica.
  • A casa mia erano tutti contenti [dell'espulsione del Msi]. Fratelli, sorelle e cognati per motivi ideologici, padre e madre per ordine pubblico. Io invece ero molto dispiaciuto, ero convinto di aver subito un torto, mi ritenevo più fascista di prima.

Incipit di Palude[modifica]

Palude – quando era Palude – ti alzava con una mano sola, se non ti stavi zitto. Era un armadio di un metro e novanta. Di altezza. Moro, riccio. Occhi neri. Naso imperiale. Sorriso largo. Vita stretta.
È lui il protagonista di questa storia. Storia che, in fin dei conti, qui non ci si accinge a raccontare se non nel tentativo di raccapezzarci finalmente qualche cosa. Non c'è alcun intento epico – bell'epica sarebbe – né tanto meno documentale. Che senso avrebbe mettere per iscritto una storia che a Latina sanno tutti? Quello di tramandarla ai posteri? E di lavare in pubblico i nostri panni? È per questo che disattendo da mesi l'appuntamento. La voglia di scrivere, difatti, l'avevo già da un pezzo, ma ho sempre traccheggiato, proprio perché nessun'altra storia, come questa, meriterebbe d'essere nascosta, perlomeno ai posteri. Ma non c'era altro verso, per chi come me gli ha voluto bene, di capire come è andata: rimettere in fila tutti i tasselli, rifare tutti i passaggi.

Una nuvola rossa[modifica]

  • A un certo punto -all'improvviso- mi è venuto il sospetto che fosse praticamente impossibile ricostruire per davvero come sono andati i fatti nella realtà. Ognuno la racconta come gli pare. Tacito dice che Nerone è un porco. E tutti a credergli. Per migliaia di anni.
  • Non esiste un buon testimone, né deposizione esatta in ogni sua parte. Anche quando dice il vero, al novanta per cento il testimone mente. Incosciamente.
  • [L'Agro pontino] È un pezzo di Valpadana; dove sembra che parliamo il romanesco, ma a pensare e a sognare si continua in veneto. Noi non ci siamo mai sentiti del Lazio. Il Lazio è Sud. Ci è completamente estraneo. Alieno. Dopo ancora 70 anni. Noi siamo Waspo e la Liga Veneta ha già detto chiaro e tondo che -quando ci sarà la secessione e la Padania sarà uno stato libero e indipendente- noi dovremo fare parte di quella.
  • Ha le mani giunte. Intrecciate alla corona del rosario. Ma sotto la corona, fra le mani e il ventre, qualcuno le ha messo una immaginetta di santa Maria Goretti, la vergine e martire dell'Agro Pontino.
  • È come, pressapoco, se la storia italiana degli ultimi quarant'anni venisse scritta, un giorno, basandosi solo sulle dichiarazioni e sui documenti di Bruno Vespa ed Emilio Fede.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]